fiamma_drakon: (Flandre_Scarlet)
[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: D A R K  S I D E
Rating: Arancione
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale
Personaggi: Brian Basco, Gabriel Spiegelman, Gina Timmins, Ian Bennett, Nuovo Personaggio
Wordcount: 1981 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Note: AU, Het, Long-fic, Non per stomaci delicati
«Brian...».
Non riuscivo a tenere sotto controllo la voce, che percepivo io stessa instabile e rotta da un pianto ormai prossimo.
Lo guardavo, e nei suoi occhi non vedevo più lo stesso uomo con cui avevo passato così tante avventure e del quale mi ero perdutamente innamorata, ma vedevo semplicemente un estraneo dall’aria familiare.
Volevo abbracciarlo, ma il mio cervello mi urlava disperatamente di non farlo, perché non era più veramente lui.
«Brian...» sussurrai di nuovo «... cosa sei?».
Lui abbassò gli occhi, e per un istante potei giurare di aver visto in un lampo il mio Brian.
«Un mostro...» disse semplicemente, la voce intrisa di dolore e orrore, voltandosi e correndo via.
«Gina!».
Il dottor Bennett mi sostenne, mentre le mie ginocchia cedevano e le lacrime traboccavano dai miei occhi, offuscando il suo profilo in fuga.

[Alternativamente Gina/Brian side]

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin. Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.
Perplessa, presi il cellulare e guardai il mittente della chiamata: chi poteva mai essere a telefonarmi a quell’ora della sera?
Al vedere il nome che era comparso sullo schermo, mi si gelò il sangue nelle vene.
«Gabbo?» chiesi, accostando immediatamente il cellulare all’orecchio.
«Ehilà, Gina! Banana!».
Sì, non c’erano dubbi: quello era Gabbo.
«Perché mi hai chiamata?» domandai subito, senza mezzi termini: non era esattamente il tipo da fare chiamate di piacere, soprattutto ad un’ora tanto sconveniente.
La risposta che mi diede, confermò le mie supposizioni: «Riguarda Brian. Banana!».
«Brian?» ripetei, sgranando gli occhi, la voce che iniziava a tremarmi per la preoccupazione: che cosa poteva essergli successo? Era in manicomio e, per quanto disprezzassi quell’orribile infermiera che vigeva come un’aquila infernale ed antipatica nel suo reparto, non potevo dire certo che fosse in un luogo pericoloso - anche se c’erano dei soggetti non proprio “tranquilli”.
«È impazzito sul serio ed è scappato, banana! Il dottor Bennett vuole vederti: pensa che Brian cercherà di venire da te. Banana!».
Il mio cervello non riuscì a registrare l’informazione se non dopo qualche secondo.
C’era qualcosa di losco e terribilmente sbagliato in quel che Gabbo mi stava dicendo, lo sentivo. C’era un’omissione che mi stava schiacciando il petto, qualcosa che aveva detto, ma non in modo chiaro, schiettamente, ponendomi faccia a faccia con la realtà effettuale dell’accaduto.
Dopo qualche momento d’esitazione, infine, lo trovai.
«Gabbo...» dissi lentamente, il cuore che mi batteva a mille in petto «... hai detto che Brian è “impazzito”. Ma... in che senso esattamente...?».
Temevo la risposta che avrei potuto avere, ma dovevo sapere. Non importava quanto mi avrebbe fatto male saperlo.
Era decisamente masochistico da parte mia, ma era ormai una mia consapevolezza ed ero determinata a non porvi alcun rimedio.
Non al momento almeno.
«Il dottore dice che la sua parte oscura ha preso il sopravvento, banana!».
Sentii il cuore sprofondarmi in un abisso nero dal quale temevo non sarei più riuscita a farlo riemergere.
“Potrebbe uccidere” fu il primo pensiero che mi venne alla mente ed un brivido mi serpeggiò lungo la spina dorsale.
«Gabbo, di’ a Bennett che arrivo subito!» esclamai in fretta e riattaccai.
Presi le chiavi ed uscii dal mio appartamento, scendendo a due a due i gradini, senza pensare che, con gli stivali coi tacchi alti, un passo falso mi sarebbe costata una caviglia slogata.
No, non m’importava: Brian aveva bisogno di me, dovevo aiutarlo.
Non c’era niente di più importante al momento.
Uscita dal condominio, raggiunsi a piccola corsa la macchina e mi lanciai dentro, mettendo in moto e partendo con una sgommata.

*****

«Gabbo...? Che ci fai a casa del dottore?».
Fissai perplessa il giovane uomo che mi era venuto ad aprire la porta.
«Gli serviva una mano, banana!» replicò Gabbo, guardandomi con occhi scaltri e uno sguardo un po’ lunatico.
Be’, non a caso Gabriel Spiegelman deteneva il record mondiale per il maggior numero di malattie mentali. Sembrava anche troppo sveglio per essere affetto da più patologie mentali di quelle che se ne potevano contare in tutto l’Happy Dale.
«Sei il suo assistente?».
Parlare così apertamente della sua condizione di “libertà vigilata” mi faceva sentire un poco meglio, come se la situazione in cui mi trovavo adesso non esistesse davvero.
«Per ora sì, più o meno... banana!» esclamò, facendosi da parte per farmi entrare.
Mi guidò fino al salottino dove il dottor Ian Bennett mi stava aspettando, comodamente seduto sul divano azzurro al centro della stanza.
Quando entrai si voltò verso di me e mi rivolse un sorriso spento. A guardarlo bene, notai che aveva un’aria stanca e il viso tirato, come se avesse perso molte ore di sonno.
«Gina».
Proferì il mio nome con un sollievo immenso, che io stessa percepii scivolarmi sulla pelle come fosse stato solido. Forse rappresentavo la soluzione a qualcuno dei suoi problemi - magari a tutti.
«Dottor Bennett» replicai, a mo’ di saluto, entrando nella stanza.
«Prego, prego... si sieda» mi disse, alzandosi e indicandomi il divano.
«No, la ringrazio: preferisco stare in piedi» declinai garbatamente, accostandomi però al pezzo d’arredo «Allora, cos’è successo?» chiesi poi, incrociando le braccia sul petto mentre Gabbo andava ad occupare un posto sul divano.
Lo psichiatra si massaggiò le tempie e mandò un sospiro colmo di stanchezza ed esasperazione.
«Gabbo, puoi parlargliene tu?» chiese.
“Esausto” era la parola che meglio definiva, nel complesso, il suo atteggiamento ed il suo aspetto.
Spiegelman girò il busto verso di me, appoggiando un braccio sullo schienale del divano.
«Be’, da qualche giorno a questa parte, Brian non è più uscito dalla sua stanza, banana! Non metteva mai il naso fuori nemmeno per mangiare e quando qualcuno cercava di entrare, il suo compagno di stanza Marcelo lo allontanava dicendo che non stava bene e che voleva riposare. Ha mandato via anche me, banana! Come si è permesso quel f...»
«Non distrarti, Gabbo» lo ammonii in tono spiccio «Cos’è successo, poi?» lo incalzai poi, ansiosa di saperne di più.
«Be’, il dottor Bennett è andato a chiamarlo per la solita terapia d’ipnosi. È allora che è saltato fuori il fatto che se l’era filata, banana! Marcelo ha detto che l’aveva minacciato di morte in caso si rifiutasse di coprire la sua fuga. Be’, non proprio detto, banana, ma mimato o quel che sia... banana!» concluse Gabbo, stringendosi nelle spalle.
«Che cosa?» domandai, esterrefatta - anzi, allucinata.
«Sì, è così...» intervenne Bennett, lasciandosi cadere nuovamente sul divano «... e non solo: Marcelo mi ha detto che aveva una strana luce negli occhi, una luce assassina».
Ero inquietata, ma allo stesso tempo convinta che qualcosa dovesse essergli successo: non avevo neppure il più vago ricordo di un Brian capace di minacciare materialmente di morte qualcuno.
Era completamente incoerente con il suo modo di pensare.
«Che cosa gli può essere successo?» chiesi, ponendo senza alcuna esitazione quell’odiosa domanda che mi ronzava senza posa in testa.
«Con tutte le terapie che ho avuto con lui in stato d’ipnosi, sono arrivato alla conclusione che ci siano due metà complementari del suo essere» disse il dottore, voltandosi verso di me.
«Due metà?» ripetei, stupita.
«Sì, esatto. Sono due parti del suo carattere che affiorano a turno, senza mai venire a coincidere in un determinato momento o situazione: la parte razionale e mansueta... e quella bestiale e violenta».
Rimasi ad osservare l’uomo ad occhi sgranati: Brian era diviso in due... parti?
«So che è strano... assurdo da pensare, ma dalle sue sedute ipnotiche è stato facile dedurlo. A volte si faceva trasportare da commenti o situazioni violente, descrivendole con ricchezza di particolari e un sottile velo di divertimento... altre volte, invece, passava velocemente sopra a questo genere di cose come se ne fosse disgustato».
«Mi sta dicendo che la parte razionale di Brian è stata... soppressa dall’altra?»
«Non esageri, Gina. Non “soppressa”, semplicemente sostituita; tuttavia, quella parte di Brian è totalmente succube degli istinti peggiori dell’essere umano. In pratica, è una perfetta macchina per uccidere».
Sentii le forze defluirmi dalle gambe e dovetti sedermi per impedirmi di cadere, forse perdere persino i sensi. Certo, sarebbe stato estremamente più piacevole che stare a sentire tutto ciò, data la situazione in cui mi trovavo.
«Poco fa, al telefono, Gabbo mi ha detto che  lei crede che stia venendo da me...»
«Sì, è probabile: è l’unico punto di riferimento che ha nella “realtà”. Ma non sono certo che verrà con buoni propositi: ricordi che è pur sempre il lato oscuro di Brian».
Scossi la testa: non volevo crederci. Non volevo credere che il mio amato fosse in balia di una parte nascosta dentro di lui che sarebbe stata pronta a farmi del male senza pensarci due volte, che mi avrebbe aggredita se solo ne avesse avuta l’opportunità.
Avevo voglia di piangere. No, ne avevo un disperato bisogno, ma dovevo resistere: mostrarmi debole e sensibile non avrebbe risolto niente.
Facendomi forza, inspirai profondamente, scacciando il primo singhiozzo, quindi dissi: «Come possiamo aiutarlo?».
Bennett mi rivolse uno sguardo comprensivo.
Non volevo la sua pietà né la sua consolazione: volevo solo trovare Brian e aiutarlo, in qualsiasi modo, perché una maniera doveva esserci, per forza.
Solo quando lo psichiatra parlò mi accorsi dello strano, disagiato silenzio che era calato tra noi e che lui si era premurato di spezzare per primo.
«Prima di pensare a questo, che è in verità il problema maggiore, devo metterla al corrente di un’altra cosa ancora».
Sentii una morsa d’acciaio stringermi il cuore, mentre, deglutendo a vuoto, attendevo che parlasse.
Non erano ancora finite le cattive notizie? C’era dell’altro?
«Penso che lei, Gina, sappia delle recenti aggressioni che si sono verificate in città...» esordì il dottore, guardandomi intensamente.
Percepii il cuore mancarmi un battito, ipotizzando dove voleva andare a parare con quel discorso. Gli impedii di continuare lungo quella “strada lunga”, che mi avrebbe sicuramente portata all’esaurimento nervoso prima che fosse giunto al sodo.
«Mi sta dicendo che c’entra Brian? Che è stato lui?» chiesi, la voce incrinata dalla disperazione.
Stavo cercando un’ancora di salvezza cui aggrapparmi per non sprofondare nei neri gorghi della costernazione, ma senza alcun successo.
«Non ne ho la certezza assoluta, ma può essere...».
No, non volevo crederlo possibile, nemmeno per un istante. Non potevo crederci.
«Conosco Brian, non farebbe mai una cosa simile» pensai, ma poi ricordai che quello non era lo stesso Brian che avevo conosciuto, ma la sua parte bestiale e violenta, quel lato oscuro che con me non aveva mai tirato fuori, per cui non potevo essere certa di ciò che quel lato di lui poteva fare o meno.
«Ma potrebbe anche essere stata opera di un’altra paziente».
L’affermazione di Bennett mi giunse alle orecchie come un balsamo rigenerante, donandomi la forza di chiedere: «Davvero? Chi?».
«All’incirca nello stesso periodo in cui Brian è stato “in malattia”, un’altra persona è riuscita a scappare. Si tratta di una donna, Fay Vayne. Era nel nostro stesso reparto, banana, per cui è un elemento pericoloso. Nessuno, nemmeno i peggiori, osavano avvicinarla. Era come se... fosse circondata da un’aura maligna. Metteva i brividi... banana!» intervenne Gabbo.
«Fay Vayne?» ripetei, perplessa: non l’avevo mai sentita nominare e di solito coloro che vanno a finire in manicomio - soprattutto in reparti come quello dove stava il mio Brian - avevano commesso qualcosa tipo un omicidio per finirci. Era la prima volta che sentivo quel nome, e io di solito mi tengo informata sulle novità sia del “mondo comune” che di quello entro le mura dell’Happy Dale, per cui mi sembrava strano.
«Pensate che possa essere stata lei?».
«A meno che non sia stata opera di qualche serial killer ancora anonimo, le possibilità sono due: o è stata Fay o è stato Brian» concluse Bennett in tono greve.
«Serial killer...?».
«C’è qualcosa che accomuna le vittime?» domandai di getto: i serial killer di solito avevano un modus operandi che, bene o male, si ripeteva costantemente in tutti i loro assassinii.
Forse avevo guardato troppi telefilm polizieschi negli anni passati, o forse quel che davano ad intendere ai telespettatori come se fosse Vangelo nei suddetti telefilm non erano tutte balle. La risposta sarebbe dipesa dal responso di Bennett.
«Già...» esordì lo psichiatra, annuendo «... le vittime sono state tutte sfregiate in modo pesante, talvolta persino mutilate, da ferite che sembrano essere state inflitte da una lama. I corpi sono stati martoriati fino all’ultimo spasmo di vita ed in modo orripilante» continuò.
«Se non sbaglio, l’ultima vittima è stata trovata in un vicolo all’altro capo della città... banana!» esclamò Gabbo.
A quell’affermazione mi alzai, decisa, e mi voltai verso di lui.
«Dove, più precisamente?» chiesi.
«In un vicolo a metà della Rest Road... banana
«Perché?» intervenne il dottor Bennett, fissandomi in modo eloquente.
Serrai i pugni e, con voce ferma, spiegai semplicemente: «Voglio andare a dare un’occhiata».
«È pericoloso»
«Non m’importa. Brian ha bisogno di me!».
Sostenni in modo estremamente coraggioso e risoluto lo sguardo inquisitorio e severo dello psichiatra, che infine sospirò, esausto: «Gabbo, conducila alla porta. Mi raccomando Gina, faccia attenzione. È pericoloso girare a quest’ora della notte da soli».
«Starò bene attenta» replicai semplicemente, sorridendo.
Cercai di nascondere una nota di compiacimento nella voce per essere riuscita ad averla vinta anche con lui: di solito ci riuscivo solo con Brian, ma lì c’era anche un ausilio.
Stavo decisamente migliorando.
A quel punto m’incamminai al seguito di Gabbo, che mi condusse fino alla porta dell’appartamento.
La varcai e mi diressi a passi lunghi e decisi verso le scale.
Sarei andata a controllare di persona, costasse quel che costasse.

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