D A R K S I D E [Capitolo 2]
Apr. 16th, 2011 09:41 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: D A R K S I D E
Rating: Arancione
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale
Personaggi: Brian Basco, Gabriel Spiegelman, Gina Timmins, Ian Bennett, Nuovo Personaggio
Wordcount: 1352 (
fiumidiparole)
Note: AU, Het, Long-fic, Non per stomaci delicati
«Brian...».
Non riuscivo a tenere sotto controllo la voce, che percepivo io stessa instabile e rotta da un pianto ormai prossimo.
Lo guardavo, e nei suoi occhi non vedevo più lo stesso uomo con cui avevo passato così tante avventure e del quale mi ero perdutamente innamorata, ma vedevo semplicemente un estraneo dall’aria familiare.
Volevo abbracciarlo, ma il mio cervello mi urlava disperatamente di non farlo, perché non era più veramente lui.
«Brian...» sussurrai di nuovo «... cosa sei?».
Lui abbassò gli occhi, e per un istante potei giurare di aver visto in un lampo il mio Brian.
«Un mostro...» disse semplicemente, la voce intrisa di dolore e orrore, voltandosi e correndo via.
«Gina!».
Il dottor Bennett mi sostenne, mentre le mie ginocchia cedevano e le lacrime traboccavano dai miei occhi, offuscando il suo profilo in fuga.
[Alternativamente Gina/Brian side]
Era buio e la città brillava delle luci dei lampioni e di quelle che punteggiavano i muri dei grattacieli.
Procedevo lentamente lungo il marciapiede, appoggiandomi con una mano contro il muro che correva alla mia sinistra. Non ricordavo niente di ciò che era successo da quando mi ero addormentato nel mio letto dell’Happy Dale - chissà quanto tempo fa - fino a quando, poche ore prima, mi ero ritrovato in un vicolo buio accanto al corpo martoriato e senza vita di uno straccione. Vicino a me avevo un coltello dalla lama striata di rosso.
Alla vista di tutto quel sangue avevo sentito una parte di me gioire e l’altra disgustarsi, una sensazione che mi aveva fatto venire la pelle d’oca e che era stata subito rimpiazzata da una fitta di dolore e sorpresa che mi strinse alla bocca dello stomaco, costringendomi a piegarmi in due. Avevo dato violentemente di stomaco - benché non avessi mangiato niente - e me ne ero andato, stravolto.
Adesso non avevo la più pallida idea di come fossi riuscito ad andarmene dal manicomio, né del perché: non avrei avuto alcun motivo di scappare, dato che Bennett era convinto che io non fossi un assassino.
Anche io lo ero, finché non mi ero ripreso vicino a quel cadavere.
Ora ero spaesato e vagavo confuso per le strade, stanco e orripilato da me stesso. Che cosa avevo fatto? Avevo davvero commesso un omicidio? E perché non ne conservavo alcun ricordo?
Perché non riuscivo a ricordare come me ne ero andato dal manicomio o come fossi arrivato fino a quell’orribile vicolo?
Perché mi sentivo dolere dentro come se fossi in preda ad un incendio interiore?
È così difficile per te accettare la mia esistenza, Brian?
Perché non vuoi rassegnarti all’inevitabile...?
Scossi con vigore la testa: che cos’era stato?
Cos’era quella voce?
Dovevo essere davvero stanco, se iniziavo a sentire voci incorporee dentro la mia testa, o forse stavo diventando come Giovanna d’Arco. Forse avrei pure fatto la sua stessa fine, ma speravo davvero di poterlo evitare.
Per quante cose strane mi fossero già successe e sicuramente mi attendessero in futuro, non avevo la più remota intenzione di andarmene all’altro mondo a quest’età. Non avevo nemmeno trent’anni, insomma!
Iniziai a sentire i primi morsi della fame, ma non me ne importava granché: volevo solo trovare un posto dove potessi sedermi e riposarmi un po’.
A mettere qualcosa sotto i denti ci avrei pensato poi, anche se solo l’idea di mangiare della carne mi ribaltava di nuovo lo stomaco.
Procedetti ancora per qualche metro, depresso, finché non vidi un piccolo vicolo e mi ci infilai, addossandomi contro la parete e lasciandomi scivolare giù fino a terra, dove mi raccolsi le gambe al petto e affondai il viso nelle ginocchia.
Che cosa cavolo mi stava succedendo? Non mi sentivo più neppure padrone di me stesso.
Era come se stessi osservando la vita di qualcuno da dentro di lui, ma senza essere il proprietario del corpo.
Era una sensazione orribile.
Sentii il basso ringhio del mio stomaco e mandai un sospiro: non avevo tempo né voglia di inoltrarmi a caccia di cibo, ma a quanto sembrava il mio corpo era di idea contraria.
Be’, non avevo una grande scelta, in fatto di roba da mangiare: era un vicolo... e anche nelle strade normali non lasciavano certamente cibo in giro... e di andare a rovistare nella spazzatura non se ne parlava neppure!
«Hai fame, Brian...?».
Era una voce che avevo già sentito, anche se raramente: di solito, lei se ne stava per conto suo, isolata dagli altri pazienti. Incuteva timore persino a Kurgan, il che era tutto dire.
Mi alzai, repentino, guardando il fondo del vicolo, dove una figura più scura spiccava in contrasto con la semitenebra.
«Fay?» chiamai, esitante.
Sentii il rumore tipico dei tacchi a spillo sul cemento, mentre la figura avanzava ancheggiando.
«Brian... mi sei mancato...»
«C-che cosa?».
Avanti... fammi uscire! Lei non vuole te, ma me!
Fammi parlare con lei, Brian...!
«Che cosa vuoi, Fay?» domandai, deciso ad ignorare la voce.
Mi fu addosso in un lampo, tanto che non ebbi neppure occasione di vederla muovere: un istante prima era a venti metri da me, ora era talmente vicina che potevo vedere il bagliore pericoloso nei suoi occhi ambrati.
«Tu non sei... quel Brian...»
«Come?».
Iniziai ad aver paura, un sottile terrore che mi strisciava subdolo sotto pelle: che cosa intendeva con “quel Brian”?
«Che si riferisca a... a... quella voce?» mi chiesi.
Eppure, anche se sospettavo che fosse esattamente così, non riuscivo a capire cosa fosse: io ero io, Brian Basco.
Non esistevano altri Brian Basco all’infuori di me.
Oppure no...?
Stupido! Fatti da parte!
Un ringhio mi riempì la testa, opprimendomi le orecchie come se cercasse di sfondarmi i timpani dall’interno. Mi piegai in avanti, afferrandomi il capo tra le mani: cos’era che stava cercando di uscire?
«No, non voglio!!».
Fay mi prese il mento e mi alzò il viso, portandolo dinanzi al suo: notai allora il sorrisetto malizioso e scaltro che le si era dipinto in viso, assieme ad un’espressione pericolosa.
«Oh-oh... vuoi opporre resistenza? Perché, cucciolotto? Il tuo lato oscuro è così bello...» mi sussurrò, in tono suadente.
Sentii il cuore accelerare i battiti.
«Di che lato oscuro parli?»
«Ahahahah! Ma di quello che ti ha portato in giro fino ad oggi, mio caro Brian!» esclamò, malvagiamente compiaciuta.
Ora avevo paura sul serio.
Mi allontanai da lei, arretrando incerto di qualche passo, guardandola come se fosse una pazza. Be’, lo era, dato che era una paziente dell’Happy Dale Sanatorium, anche se pure io ero un paziente - anche se avevo buoni motivi per essere convinto della mia sanità mentale.
«Cosa stai dicendo?» domandai, confuso.
Avanzò verso di me lentamente, guardandomi con occhi orribilmente lugubri e carichi di promesse malvagie. Era cattiva, l’avevo sempre saputo, ma adesso lei stessa me ne stava fornendo un’ulteriore prova.
«Tu, Brian Basco, sei qui perché io ho voluto che tu uscissi. Sono entrata in quello stupido manicomio per cercare un compagno, e il tuo lato oscuro è così appagante... così nero. In una parola: perfetto!» rise, passandosi la lingua sul labbro superiore senza asportare nemmeno un grammo di rossetto «Peccato che tu lo tenessi segregato dentro di te, senza lasciagli alcuno spazio per uscire allo scoperto. Così ti ho somministrato una cura» s’interruppe, assaporando l’effetto suspense che aveva creato «... perché il tuo lato oscuro si facesse più forte e riuscisse a prendere il controllo. Ti ho dato il potere del terrore e tu l’hai brillantemente usato per fuggire. Per cui...» aprì appena la bocca, e potei giurare di vedere una dentatura bianca, aguzza e scintillante crescere tra le sue labbra «... adesso diventerai come me...».
Indietreggiai di un altro passo, mentre i suoi occhi iniziavano ad ardere come brace e i suoi denti mostruosi si allungavano fino ad assumere le dimensioni di zanne di lupo.
Nell’istante in cui ordinai alle mie gambe di muoversi il ringhio di poco prima mi lacerò nuovamente la testa, costringendomi a rimanere fermo.
Sentii Fay sovrastarmi, bloccarmi con una presa d’acciaio e chinarsi lentamente sul mio collo. Inutilmente cercai di divincolarmi.
Quando le sue zanne mi dilaniarono, una fiammata di potere si diramò dentro di me e caddi nel buio.
«Ahah, eccoti... Brian...».
Quando aprii nuovamente gli occhi, l’altro Brian era soppresso, chiuso in un angolo della coscienza dove non avrebbe potuto darmi il minimo fastidio.
Ed io ero finalmente libero di uccidere e fare il bagno nel sangue delle mie vittime.
Guardai Fay e le sorrisi.
«Mi hai trasformato, presumo...».
La mia voce era alterata, resa più roca e profonda, e ciò mi piacque: voleva dire che lei aveva ottenuto ciò che voleva... ed io pure.
«In questa forma hai tutto il libero arbitrio che desideri...» mi disse, snudando a sua volta le zanne, quindi alzò gli occhi al cielo «È bella la luna stasera, non trovi?».
Inspirai a fondo, muovendo le mani... o meglio, le zampe.
«Sì... la luna piena è sempre bellissima» asserii, scrollando il capo.
Percepivo gli odori incredibilmente più forti rispetto a prima, oltre al fatto che adesso avevo una perfetta visuale notturna, nitida in ogni particolare.
«Muoio di fame. Andiamo a cercare qualcosa da mangiare?» chiesi.
La vidi trasformarsi davanti ai miei occhi, in un attimo: la folta chioma castana si tramutò in pelliccia e il suo viso assunse le sembianze del muso di un lupo.
«Sì, amore... andiamo!».
E con uno scatto fluido dei muscoli, mi precedette sul tetto del palazzo che chiudeva il vicolo.
Rating: Arancione
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale
Personaggi: Brian Basco, Gabriel Spiegelman, Gina Timmins, Ian Bennett, Nuovo Personaggio
Wordcount: 1352 (
![[livejournal.com profile]](https://www.dreamwidth.org/img/external/lj-community.gif)
Note: AU, Het, Long-fic, Non per stomaci delicati
«Brian...».
Non riuscivo a tenere sotto controllo la voce, che percepivo io stessa instabile e rotta da un pianto ormai prossimo.
Lo guardavo, e nei suoi occhi non vedevo più lo stesso uomo con cui avevo passato così tante avventure e del quale mi ero perdutamente innamorata, ma vedevo semplicemente un estraneo dall’aria familiare.
Volevo abbracciarlo, ma il mio cervello mi urlava disperatamente di non farlo, perché non era più veramente lui.
«Brian...» sussurrai di nuovo «... cosa sei?».
Lui abbassò gli occhi, e per un istante potei giurare di aver visto in un lampo il mio Brian.
«Un mostro...» disse semplicemente, la voce intrisa di dolore e orrore, voltandosi e correndo via.
«Gina!».
Il dottor Bennett mi sostenne, mentre le mie ginocchia cedevano e le lacrime traboccavano dai miei occhi, offuscando il suo profilo in fuga.
[Alternativamente Gina/Brian side]
Era buio e la città brillava delle luci dei lampioni e di quelle che punteggiavano i muri dei grattacieli.
Procedevo lentamente lungo il marciapiede, appoggiandomi con una mano contro il muro che correva alla mia sinistra. Non ricordavo niente di ciò che era successo da quando mi ero addormentato nel mio letto dell’Happy Dale - chissà quanto tempo fa - fino a quando, poche ore prima, mi ero ritrovato in un vicolo buio accanto al corpo martoriato e senza vita di uno straccione. Vicino a me avevo un coltello dalla lama striata di rosso.
Alla vista di tutto quel sangue avevo sentito una parte di me gioire e l’altra disgustarsi, una sensazione che mi aveva fatto venire la pelle d’oca e che era stata subito rimpiazzata da una fitta di dolore e sorpresa che mi strinse alla bocca dello stomaco, costringendomi a piegarmi in due. Avevo dato violentemente di stomaco - benché non avessi mangiato niente - e me ne ero andato, stravolto.
Adesso non avevo la più pallida idea di come fossi riuscito ad andarmene dal manicomio, né del perché: non avrei avuto alcun motivo di scappare, dato che Bennett era convinto che io non fossi un assassino.
Anche io lo ero, finché non mi ero ripreso vicino a quel cadavere.
Ora ero spaesato e vagavo confuso per le strade, stanco e orripilato da me stesso. Che cosa avevo fatto? Avevo davvero commesso un omicidio? E perché non ne conservavo alcun ricordo?
Perché non riuscivo a ricordare come me ne ero andato dal manicomio o come fossi arrivato fino a quell’orribile vicolo?
Perché mi sentivo dolere dentro come se fossi in preda ad un incendio interiore?
È così difficile per te accettare la mia esistenza, Brian?
Perché non vuoi rassegnarti all’inevitabile...?
Scossi con vigore la testa: che cos’era stato?
Cos’era quella voce?
Dovevo essere davvero stanco, se iniziavo a sentire voci incorporee dentro la mia testa, o forse stavo diventando come Giovanna d’Arco. Forse avrei pure fatto la sua stessa fine, ma speravo davvero di poterlo evitare.
Per quante cose strane mi fossero già successe e sicuramente mi attendessero in futuro, non avevo la più remota intenzione di andarmene all’altro mondo a quest’età. Non avevo nemmeno trent’anni, insomma!
Iniziai a sentire i primi morsi della fame, ma non me ne importava granché: volevo solo trovare un posto dove potessi sedermi e riposarmi un po’.
A mettere qualcosa sotto i denti ci avrei pensato poi, anche se solo l’idea di mangiare della carne mi ribaltava di nuovo lo stomaco.
Procedetti ancora per qualche metro, depresso, finché non vidi un piccolo vicolo e mi ci infilai, addossandomi contro la parete e lasciandomi scivolare giù fino a terra, dove mi raccolsi le gambe al petto e affondai il viso nelle ginocchia.
Che cosa cavolo mi stava succedendo? Non mi sentivo più neppure padrone di me stesso.
Era come se stessi osservando la vita di qualcuno da dentro di lui, ma senza essere il proprietario del corpo.
Era una sensazione orribile.
Sentii il basso ringhio del mio stomaco e mandai un sospiro: non avevo tempo né voglia di inoltrarmi a caccia di cibo, ma a quanto sembrava il mio corpo era di idea contraria.
Be’, non avevo una grande scelta, in fatto di roba da mangiare: era un vicolo... e anche nelle strade normali non lasciavano certamente cibo in giro... e di andare a rovistare nella spazzatura non se ne parlava neppure!
«Hai fame, Brian...?».
Era una voce che avevo già sentito, anche se raramente: di solito, lei se ne stava per conto suo, isolata dagli altri pazienti. Incuteva timore persino a Kurgan, il che era tutto dire.
Mi alzai, repentino, guardando il fondo del vicolo, dove una figura più scura spiccava in contrasto con la semitenebra.
«Fay?» chiamai, esitante.
Sentii il rumore tipico dei tacchi a spillo sul cemento, mentre la figura avanzava ancheggiando.
«Brian... mi sei mancato...»
«C-che cosa?».
Avanti... fammi uscire! Lei non vuole te, ma me!
Fammi parlare con lei, Brian...!
«Che cosa vuoi, Fay?» domandai, deciso ad ignorare la voce.
Mi fu addosso in un lampo, tanto che non ebbi neppure occasione di vederla muovere: un istante prima era a venti metri da me, ora era talmente vicina che potevo vedere il bagliore pericoloso nei suoi occhi ambrati.
«Tu non sei... quel Brian...»
«Come?».
Iniziai ad aver paura, un sottile terrore che mi strisciava subdolo sotto pelle: che cosa intendeva con “quel Brian”?
«Che si riferisca a... a... quella voce?» mi chiesi.
Eppure, anche se sospettavo che fosse esattamente così, non riuscivo a capire cosa fosse: io ero io, Brian Basco.
Non esistevano altri Brian Basco all’infuori di me.
Oppure no...?
Stupido! Fatti da parte!
Un ringhio mi riempì la testa, opprimendomi le orecchie come se cercasse di sfondarmi i timpani dall’interno. Mi piegai in avanti, afferrandomi il capo tra le mani: cos’era che stava cercando di uscire?
«No, non voglio!!».
Fay mi prese il mento e mi alzò il viso, portandolo dinanzi al suo: notai allora il sorrisetto malizioso e scaltro che le si era dipinto in viso, assieme ad un’espressione pericolosa.
«Oh-oh... vuoi opporre resistenza? Perché, cucciolotto? Il tuo lato oscuro è così bello...» mi sussurrò, in tono suadente.
Sentii il cuore accelerare i battiti.
«Di che lato oscuro parli?»
«Ahahahah! Ma di quello che ti ha portato in giro fino ad oggi, mio caro Brian!» esclamò, malvagiamente compiaciuta.
Ora avevo paura sul serio.
Mi allontanai da lei, arretrando incerto di qualche passo, guardandola come se fosse una pazza. Be’, lo era, dato che era una paziente dell’Happy Dale Sanatorium, anche se pure io ero un paziente - anche se avevo buoni motivi per essere convinto della mia sanità mentale.
«Cosa stai dicendo?» domandai, confuso.
Avanzò verso di me lentamente, guardandomi con occhi orribilmente lugubri e carichi di promesse malvagie. Era cattiva, l’avevo sempre saputo, ma adesso lei stessa me ne stava fornendo un’ulteriore prova.
«Tu, Brian Basco, sei qui perché io ho voluto che tu uscissi. Sono entrata in quello stupido manicomio per cercare un compagno, e il tuo lato oscuro è così appagante... così nero. In una parola: perfetto!» rise, passandosi la lingua sul labbro superiore senza asportare nemmeno un grammo di rossetto «Peccato che tu lo tenessi segregato dentro di te, senza lasciagli alcuno spazio per uscire allo scoperto. Così ti ho somministrato una cura» s’interruppe, assaporando l’effetto suspense che aveva creato «... perché il tuo lato oscuro si facesse più forte e riuscisse a prendere il controllo. Ti ho dato il potere del terrore e tu l’hai brillantemente usato per fuggire. Per cui...» aprì appena la bocca, e potei giurare di vedere una dentatura bianca, aguzza e scintillante crescere tra le sue labbra «... adesso diventerai come me...».
Indietreggiai di un altro passo, mentre i suoi occhi iniziavano ad ardere come brace e i suoi denti mostruosi si allungavano fino ad assumere le dimensioni di zanne di lupo.
Nell’istante in cui ordinai alle mie gambe di muoversi il ringhio di poco prima mi lacerò nuovamente la testa, costringendomi a rimanere fermo.
Sentii Fay sovrastarmi, bloccarmi con una presa d’acciaio e chinarsi lentamente sul mio collo. Inutilmente cercai di divincolarmi.
Quando le sue zanne mi dilaniarono, una fiammata di potere si diramò dentro di me e caddi nel buio.
«Ahah, eccoti... Brian...».
Quando aprii nuovamente gli occhi, l’altro Brian era soppresso, chiuso in un angolo della coscienza dove non avrebbe potuto darmi il minimo fastidio.
Ed io ero finalmente libero di uccidere e fare il bagno nel sangue delle mie vittime.
Guardai Fay e le sorrisi.
«Mi hai trasformato, presumo...».
La mia voce era alterata, resa più roca e profonda, e ciò mi piacque: voleva dire che lei aveva ottenuto ciò che voleva... ed io pure.
«In questa forma hai tutto il libero arbitrio che desideri...» mi disse, snudando a sua volta le zanne, quindi alzò gli occhi al cielo «È bella la luna stasera, non trovi?».
Inspirai a fondo, muovendo le mani... o meglio, le zampe.
«Sì... la luna piena è sempre bellissima» asserii, scrollando il capo.
Percepivo gli odori incredibilmente più forti rispetto a prima, oltre al fatto che adesso avevo una perfetta visuale notturna, nitida in ogni particolare.
«Muoio di fame. Andiamo a cercare qualcosa da mangiare?» chiesi.
La vidi trasformarsi davanti ai miei occhi, in un attimo: la folta chioma castana si tramutò in pelliccia e il suo viso assunse le sembianze del muso di un lupo.
«Sì, amore... andiamo!».
E con uno scatto fluido dei muscoli, mi precedette sul tetto del palazzo che chiudeva il vicolo.