Quando non si è portati...
Sep. 17th, 2014 03:35 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Quando non si è portati...
Rating: Giallo
Genere: Commedia, Slice of life
Personaggi: Dante, Nero
Wordcount: 4667 (
fiumidiparole)
Prompt: Snack Salati / #05 - Olive @
diecielode
Note: Age difference, Shonen-ai
«Ehi, avevamo detto che la richiesta andava esaudita qualsiasi essa fosse, ricordi?» disse. Sembrava divertirsi un mondo per la situazione in cui si trovava, al contrario di Dante, che interiormente stava rodendo di rabbia.
«Sì, ma... fai delle richieste possibili!» esclamò l'uomo irritato «Io non so cucinare».
«Lo so» rispose Nero «È proprio per questo che te l'ho chiesto, altrimenti che gusto c'è?».
Dante non era mai stato fortunato in vita sua. Ne aveva avuta dimostrazione in ben più di un'occasione, eppure ogni volta che gli capitava l'opportunità di scommettere qualcosa lui ci provava, pieno di fiducia nelle proprie capacità come se fosse la prima volta.
Quella volta aveva scommesso contro il suo fidanzatino Nero sull'esito di una partita a biliardo.
«Che scommettiamo? Non hai niente di particolare che non mi abbia già offerto...» esclamò Nero appoggiandosi al bordo del biliardo. Sul suo viso c'era un'espressione intrisa di spudorata malizia che a Dante non sfuggì: era ovvio a cosa si riferisse. Del resto, non aveva niente di valore nella sua agenzia che non fossero le sue armi o il suo corpo.
Il più grande si era rigirato tra le mani l'asta del biliardo, riflettendo; dopodiché propose: «Che ne dici se chi perde fa il cameriere personale dell'altro per un giorno?».
«Un giorno è lungo» obiettò Nero inarcando entrambe le sopracciglia «Piuttosto, perché non facciamo qualcosa di più semplice e interessante? Tipo esaudire una richiesta dell'altro... qualsiasi essa sia» soggiunse con sollecitudine. Era soddisfatto della sua idea.
Dante parve ragionarci su prima di rispondere: «Affare fatto, ragazzo. Oh, dovrò pensare bene a cosa chiederti quando vincerò...».
«Tu? Vincere? Ahah, non farmi ridere!» lo prese per i fondelli il più giovane «Vincerò io questa partita. Ho anche già una mezza idea di cosa chiederti».
«E allora che aspetti? Cominciamo!» lo esortò Dante.
La partita a biliardo fu estremamente breve e si concluse con una vittoria schiacciante di Nero sul suo compagno più maturo, con grande insoddisfazione e delusione di quest'ultimo.
Il più giovane sogghignò assumendo un cipiglio di assoluta superiorità, voltandosi verso il suo partner, che ancora si rodeva per la sconfitta.
«Allora, Dante sei pronto?» chiese con tono di sfida.
L'uomo gli scoccò un'occhiata piena d'ira prima di voltarsi completamente a lui allargando le braccia come ad offrirglisi in sacrificio. Aveva perso e non aveva il diritto di obiettare.
«Be', dimmi che vuoi che faccia» lo esortò senza mezzi termini «Hai detto che avevi già una mezza idea, no? Devo farmi sbattere tutta la notte o vuoi incularmi con una spada o anche un paio...?».
Nero accentuò il sogghigno, cominciando a passeggiare per la stanza diretto verso il divano.
«Sapevo che avresti pensato ad una cosa del genere» disse il ragazzo «Ma se ti chiedessi di fare una cosa di questo tipo finiresti col divertirti. No, non voglio questo» aggiunse, temporeggiando di proposito per irritare ulteriormente il suo fidanzatino.
Dante s'irrigidì nelle spalle e intrecciò le braccia sul petto spostando il peso del proprio corpo da un piede all'altro.
«E allora cosa vuoi?» indagò inarcando un sopracciglio con aria interessata e al tempo stesso curiosa.
Ci fu ancora un momento di silenzio per enfatizzare la risposta che Nero avrebbe fornito di lì a qualche momento.
«Voglio che tu cucini» decretò, lasciandosi cadere seduto sul divano.
Lo stupore di Dante fu tale che la mandibola cadde in un'espressione allibita.
«Che cosa?!» chiese quasi gridando «Puoi scordartelo, io non sono capace! Perché credi che ordini sempre pizza a domicilio?».
Nero si sdraiò, mettendosi comodo prima di scoccargli un'occhiata di traverso.
«Ehi, avevamo detto che la richiesta andava esaudita qualsiasi essa fosse, ricordi?» disse. Sembrava divertirsi un mondo per la situazione in cui si trovava, al contrario di Dante, che interiormente stava rodendo di rabbia.
«Sì, ma... fai delle richieste possibili!» esclamò l'uomo irritato «Io non so cucinare».
«Lo so» rispose Nero «È proprio per questo che te l'ho chiesto, altrimenti che gusto c'è?».
Il viso del più vecchio venne distorto da una smorfia di rabbia e indignazione insieme: quel ragazzo ne pensava sempre una in più per farlo uscire dai gangheri. Sembrava divertirsi a vedere fino a che punto la sua pazienza avrebbe potuto resistere; tuttavia, lui non era mai stato una persona molto paziente e Nero lo sapeva bene.
Venne per un momento allettato dall'ipotesi di rifilargli un pugno dritto in faccia, poi però decise di assecondarlo. Del resto era solo una scommessa e Nero non conosceva abbastanza bene l'arte culinaria per potergli chiedere cose incredibili.
«Allora spara, dimmi che devo prepararti» disse Dante, rimanendo in attesa che il suo partner parlasse.
Quest'ultimo non ebbe neanche un attimo d'esitazione prima di pronunciarsi: «Cappone ripieno di castagne».
Era evidente che fosse una cosa premeditata, perché Dante non l'aveva mai visto sfogliare libri di cucina - anche perché lui in ufficio non ne aveva - né tantomeno era un piatto comune, tant'era che non l'aveva mai neppure sentito nominare.
«Eh? E che roba sarebbe?!» protestò subito e con forza.
«Il cappone è una specie di tacchino castrato» spiegò Nero «E come il tacchino si può fare ripieno...».
«Sì, ma...» cominciò a lamentarsi ancora il più grande, interrompendosi poi perché non aveva idea di cosa dire prima: la lista di obiezioni da muovere era praticamente infinita. Non aveva idea di dove trovare un cappone e poi, ponendo il caso che riuscisse a trovarlo, c'era il problema del prezzo - non era pensabile che glielo vendessero a poco. Oltre a quello avrebbe anche dovuto comprare gli ingredienti per il ripieno, sperando che almeno quelli non fossero strani. Sperava solo che i soldi che aveva faticosamente messo da parte negli ultimi mesi grazie anche al prezioso aiuto di Nero bastassero a coprire la spesa di quel pasto.
La cosa che però preoccupava di più Dante era un'altra.
«Hai anche pensato a come faccio a prepararti una cosa del genere visto e considerato che non l'ho mai neppure sentita nominare?» domandò con il tono tipico di chi volesse fare il bastian contrario a tutti i costi.
Nero si girò a prendere uno dei cuscini ammonticchiati in un angolo del divano, lo sollevò e prese un libro dalla copertina colorata.
«Ci avevo già pensato» disse lanciando il tomo al più grande, che lo prese al volo «Dove credi che abbia trovato la ricetta?».
Dante esaminò la copertina con interesse per alcuni istanti prima di aprire il libro e cominciare a sfogliarlo a caso.
«Ti ho messo un segno alla pagina della ricetta» gli spiegò Nero prima di lasciarsi cadere disteso sul divano «Forza, mettiti al lavoro».
«Ma è una ricetta enorme!» constatò stupefatto Dante, che era appena arrivato alla giusta pagina e stava scorrendo con lo sguardo la lista degli ingredienti.
«Appunto, quindi vedi di darti una mossa a cominciare...» controbatté il ragazzo affondando piacevolmente la testa tra i cuscini.
Un ennesimo accesso d'ira colse il padrone di casa nel sentirlo rivolgerglisi in maniera tanto arrogante e ancora una volta quest'ultimo mise a tacere l'impulso senza dargli sfogo.
Aveva perso la scommessa e quel piatto anomalo era il prezzo da pagare. Se proprio doveva arrabbiarsi con qualcuno doveva prendersela con se stesso per non essere stato capace di vincere, specialmente perché se fosse stato lui al posto di Nero si sarebbe comportato alla stessa maniera: avrebbe cercato di metterlo nei guai - non gli avrebbe mai dato grane così grosse, però ci si sarebbe senz'altro messo d'impegno per escogitare qualcosa che l'avrebbe fatto uscire dai gangheri.
Emettendo un verso stizzito richiuse il libro e diede le spalle al suo partner più giovane, dirigendosi verso la scrivania.
In quella posizione non poteva certo vedere lo sguardo interessato che Nero stava rivolgendo al suo didietro mentre si allontanava.
Col libro di cucina alla mano, Dante aveva stilato una lista della spesa piuttosto dettagliata per non rischiare di dimenticare qualcosa di fondamentale prima di uscire per andare al piccolo supermercato di quartiere. In cuor suo si augurava che avessero tutto, anche perché altrimenti non sapeva dove altro andare a cercare: quel supermercato era l'unico posto dove fosse mai andato a fare rifornimenti - e solamente per comperare bibite alcoliche. Oltre quel luogo non conosceva altri posti in città dove recarsi a comprare del cibo.
Per sua fortuna pur essendo un negozio piuttosto piccolo, era molto ben fornito: il cacciatore di demoni riuscì a trovare la carne e le castagne per il ripieno e prese anche della verdura mista in barattolo da usare come condimento; ma soprattutto riuscì a trovare il cappone.
Quando lo chiese ad un'addetta piuttosto carina del reparto carne la ragazza gli rivolse un'occhiata sorpresa, come se gli avesse chiesto qualcosa d'incredibile; infine gli aveva suggerito di provare al reparto macelleria.
L'uomo dietro il bancone al sentirsi chiedere un cappone da un chilogrammo sparì per un momento dietro una porta e ne riemerse poco dopo trasportando un enorme pollo.
Dante rimase a bocca aperta davanti alle dimensioni dell'animale, pensando a quanto tempo gli ci sarebbe voluto per prepararlo e poi riempirlo. Come minimo avrebbe impiegato tutto il pomeriggio a cucinare.
Se lo fece incartare per bene; dopodiché andò a pagare l'intera spesa - ovviamente il cappone fece lievitare il costo totale degli acquisti - e tornò verso la Devil May Cry trasportando un paio di buste piene di roba.
Quando arrivò a destinazione aprì con una spallata l'uscio trascinando dentro le buste.
Lo sguardo gli cadde su Nero, ancora sdraiato sul divano. L'unica differenza rispetto a quand'era uscito era il fatto che adesso aveva gli occhi chiusi e respirava piano con la bocca semiaperta.
«Lui se la gode dormendo...» si lamentò tra sé il padrone di casa emettendo un verso stizzito mentre arrancava nella stanza diretto verso la cucina.
Oltrepassò la scrivania e si immise nella cucina, appoggiando tutte le buste sul tavolo.
Prima di cominciare a mettersi al lavoro tornò nell'altra stanza e si sfilò il cappotto. Lavorare in cucina con quello non sarebbe stato per niente facile.
Prese il libro di cucina che aveva posato sulla scrivania prima di uscire e se ne tornò nell'altra stanza. Posò il libro su un bancone e lo riaprì alla pagina della ricetta.
Diede una prima occhiata alle istruzioni per cucinare, scoprendo con suo sommo dispiacere che avrebbe dovuto cominciare proprio dal cappone.
Mentre si avvicinava al tavolo si premurò di passare a prendere il suo grembiule, un regalo di Nero per un vecchio compleanno. Il ragazzo glielo aveva comperato enorme per essere sicuro che gli stesse nonostante la sua robusta corporatura e a Dante quel grembiule arrivava sotto le ginocchia. Ciononostante all'uomo piaceva metterlo perché era un regalo che trasudava i gusti del suo fidanzato - era azzurro con delle saette rosse disegnate ovunque.
Una volta che l'ebbe legato in vita estrasse l'incarto contenente il cappone e lo posò su un bancone libero, tornando poi a leggere la ricetta.
L'albino pulì e lavò l'animale, dopodiché lo asciugò mentre sul viso gli si allargava un sorrisetto arrogante.
«Cucinare non è poi così difficile...» commentò a mezza voce mentre si asciugava le mani sul grembiule, andando a ricontrollare la ricetta.
Il sorriso gli svanì dal viso leggendo ciò che avrebbe dovuto fare dopo.
Armeggiò coi cassetti cercando quello con i coltelli. Ne estrasse uno e ritornò a dedicarsi al cappone con aria perplessa: «Come faccio a disossarlo...?! Forse dovrei dilaniarlo...».
Voltò la bestia, squadrandone il ventre reclinando di lato la testa.
«No, se devo riempirlo dovrò fare in un altro modo...» rifletté ad alta voce, sollevando il grosso coltello che teneva in mano e osservandone la lama per un attimo «... ma quale?».
Studiò la sua preda da varie angolazioni cercando di intuire quale maniera fosse la migliore per togliere le ossa dall'interno.
Solo dopo diversi minuti si decise ad aprire il cappone col coltello ed il risultato fu uno strazio totale; tuttavia, grazie allo scempio compiuto ai danni del povero cappone riuscì a rimuovere tutte le ossa, sterno incluso - esattamente come era scritto nella ricetta. Dopo quell'aggressione immotivata aggiunse sale e pepe senza riserve.
«Okay» esclamò con aria soddisfatta, ammirando la carcassa dilaniata che giaceva sul bancone. Si vedeva che era orgoglioso delle qualità che stava scoprendo di avere come chef.
Si appuntò le mani sui fianchi e sospirò come se avesse appena fatto qualcosa di faticosissimo.
Adesso era il turno di preparare il ripieno, altrimenti non aveva senso aver aperto il cappone.
Nella testa di Dante la farcitura era solamente un'accozzaglia disordinata d'ingredienti diversi presi e mescolati insieme. In obbedienza a quell'immagine mentale mise a soqquadro mezza cucina in cerca di una grossa ciotola dove riunire tutto.
Tornò a controllare il libro per vedere cosa aggiungere e si sorprese di leggere un paio di righe riguardo a come preparare il ripieno. Soprattutto, a coglierlo di sorpresa fu il fatto che non avrebbe dovuto buttare tutto alla rinfusa dentro una ciotola e mescolare ma avrebbe avuto bisogno di tutt'altro.
«Ma che diavolo di ricetta complicata è andato a scegliere...» bofonchiò irritato mentre si accingeva a riporre la ciotola per andare a cercare una padella per cuocere le castagne.
Frugò nei cassetti e nelle credenze dei banconi senza successo prima di pensare che forse i tegami erano riposti in una delle pensiline. Non avendo mai avuto occasione di usare la cucina per ciò che era stata creata da quando l'aveva comprata - acquisto avvenuto poco dopo l'ufficio - non aveva idea di dove avesse a suo tempo nascosto i vari utensili.
Caso volle che la prima pensilina ad essere aperta fosse quella giusta; peccato che i tegami che si trovavano all'interno fossero stati ammucchiati senza un briciolo d'ordine e che pertanto bastò il movimento d'aria provocato dall'apertura frettolosa delle ante per far crollare tutto.
Dante venne letteralmente sommerso da pentole e padelle senza possibilità di scampo. La pioggia di pentole lo colpì sulla testa, stordendolo e facendolo cadere a terra.
Il gran trambusto dei tegami che cadevano a terra arrivò chiaro fino al soggiorno dove Nero dormiva serenamente.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, come se fosse stato aggredito da un demone. Si guardò intorno con espressione confusa e assonnata per diversi secondi in cerca dell'origine del rumore che l'aveva svegliato prima di realizzare che questa non si trovava nella sua stessa stanza.
Col cuore che gli palpitava furiosamente nel petto e l'adrenalina in circolo per far fronte alla situazione di pericolo, Nero si passò una mano sul viso e tra i capelli emettendo un sospiro esasperato.
«Oh... Dante!» gridò irritato. Stava dormendo così bene che gli rodeva enormemente essere stato svegliato in maniera tanto brusca.
«Dante!» ripeté con voce più decisa.
L'uomo si sollevò seduto lentamente portandosi alla testa una mano per massaggiarsi il punto leso, senza curarsi delle pentole che gli caddero dal petto nel movimento.
«Ahio, che botta...» bofonchiò più rivolto a se stesso che ad un vero e proprio interlocutore «Che c'è?» chiese poi a voce alta, guardandosi intorno in cerca della padella che cercava.
«Che cazzo hai combinato?!».
La domanda di Nero gli arrivò come un vero e proprio rimprovero, come se avesse fatto qualcosa a lui.
«Niente, ragazzo» liquidò senza troppi complimenti, mettendosi carponi e cominciando a frugare nel mucchio di tegami «Mi sono solo cadute le pentole» soggiunse mentre sollevava trionfante quello che stava cercando.
Nero chiuse gli occhi corrugando la fronte in un'espressione di sopportazione e malcelata irritazione: era mai possibile che per prendere una pentola dovesse fare tutto quel chiasso?
Doveva soltanto cucinare qualcosa. Il fatto che il piatto fosse impegnativo - e ne era perfettamente consapevole - non significava che dovesse demolire la cucina.
Il ragazzo scosse esasperato la testa prima di distendersi di nuovo e chiudere gli occhi. Dormire in attesa della cena gli avrebbe impedito di assistere allo scempio che Dante avrebbe certamente fatto - ammesso che l'uomo non combinasse qualcos'altro che lo svegliasse.
Intanto l'altro si era rialzato e aveva messo sul fornello la padella senza curarsi di riporre il resto al suo posto e adesso stava tentando di capire come accendere la fiamma.
Cominciò ad armeggiare con le manopoline andando a caso finché non beccò quella che fece partire una fiammata enorme che lo fece balzare indietro per la sorpresa, facendogli dimenticare per un istante che cosa stava facendo. Il risultato fu che la padella, esposta ad un calore così elevato, cominciò a bruciarsi e mandare un tremendo olezzo e fumo nero.
Dante tossì cercando di allontanare il fumo sventolando una mano ma senza ottenere un gran successo. Riuscì però a prendere alla cieca il manico della padella e toglierla dal fornello, scaraventandola nel lavandino situato a qualche metro da dove lui si trovava. L'impatto tra l'acciaio che rivestiva il lavabo e la copertura rovinata della padella fu parecchio chiassoso, anche se non al pari del casino di poco prima.
Nella stanza principale il suo ospite - che si era già riaddormentato - venne svegliato di nuovo di soprassalto. Si guardò intorno esattamente come poco prima; dopodiché realizzò come stavano le cose.
«Dante!» gridò furioso, alzandosi in piedi picchiando pesantemente gli stivali sulle assi di legno del pavimento.
Il più grande udì distintamente il rumore dei suoi passi e si girò verso la porta, senza però vedere il suo compagno.
«Sì?» domandò mentre si accostava al lavabo per aprire l'acqua. Una nuvola di fumo grigio si levò dalla pentola.
«Me ne vado a fare un giro visto che qui non si riesce a dormire!» dichiarò Nero con foga, prima di uscire sbattendosi violentemente la porta alle spalle.
Dante sentì lo schianto e rivolse un'occhiataccia al vano della porta della cucina.
«Tsk! Io dovrei lamentarmi per tutto questo, non tu...!» borbottò a mezza voce rivolto a se stesso.
Si mise una mano sui fianchi e l'altra tra i capelli ammirando le meste condizioni della sua padella.
«Dovrò cercarne un'altra...».
Si rimise alla ricerca di una padella e stavolta, prima di sistemarla sul fornello, si premurò di accendere il fuoco e regolarne l'intensità per evitare il ripetersi di quanto appena successo.
Una volta messa a scaldare andò a prendere le castagne dalla spesa e tornò a controllare cosa doveva farci sul ricettario.
Dopo essersi armato di coltello le sbucciò - e non senza romperle o togliere buona parte di ciò che invece andava lasciato - ne mise alcune nella padella già calda.
L'effetto fu quasi immediato: le castagne al contatto con il rivestimento bollente del tegame cominciarono a raggrinzirsi ed alcune addirittura esplosero.
Dante - istruito dal precedente incidente - non perse tempo e spense subito il fuoco, togliendo di nuovo la padella e mettendola assieme all'altra.
Per fortuna che aveva comprato più castagne di quelle che effettivamente gli sarebbero servite - d'altro canto se la confezione ne conteneva di più lui mica poteva aprirla e prenderne solo quelle che gli occorrevano.
«E adesso che cosa ho sbagliato?» sospirò tornando a contemplare il ricettario: lì c'era scritto solo di "bollirle". Evidentemente l'autore del libro era convinto che lui sapesse come si faceva.
«E ora...?» rifletté, cercando di trovare una soluzione. Non poteva buttare altre castagne così.
Un'idea improvvisa gli balenò alla mente e subito si mise a sfogliare il libro in cerca dell'indice. Una volta trovato lo scorse in cerca di una ricetta in particolare che sperava vivamente ci fosse.
Quando la trovò emise un incomprensibile verso di trionfo e andò a quella pagina.
«Eccolo! "Castagne bollite"» esclamò, cominciando a scorrere rapidamente l'elenco di ingredienti che servivano e il procedimento.
«Ah, ecco. Ho preso il tegame sbagliato...» borbottò sovrappensiero «... e ho sbagliato anche il resto... allora, ricominciamo daccapo».
Frugò nel mucchio di utensili che ancora ingombrava il pavimento fino a che non scovò una grossa pentola che riempì d'acqua.
La ricetta dava le quantità per bollire un chilo di castagne e dato che lui doveva bollirne molte meno - e che non era molto ferrato in matematica - pensò bene che la dose di acqua non fosse poi così rilevante e ne usò una quantità a caso. Riaccese il fornello - stava cominciando a diventare bravo almeno in quello - e ci mise sopra la pentola.
Intanto che l'acqua bolliva decise di cominciare ad occuparsi del resto del ripieno del cappone: per le castagne avrebbe solo dovuto aggiungere del sale - e le castagne - una volta che l'acqua fosse in fase di ebollizione. Almeno quella sapeva come riconoscerla: la superficie dell'acqua avrebbe cominciato a ricoprirsi di bolle.
Tornò alla precedente ricetta e riprese a studiarla.
Si mise a togliere il budello alla salsiccia - anche se la carne non l'aveva mai cucinata di quella se ne intendeva più che di castagne e simili - e la mise in una grossa ciotola.
Prese un uovo e, cercando di contenere la sua spropositata forza distruttrice, lo picchiettò sul bordo della ciotola per incrinarne il guscio - come aveva visto fare a volte in tv. Bastò quel leggerissimo impatto per spezzare completamente in due il guscio e far schizzare il contenuto dovunque. Gocciolò copioso sul bancone, in minima parte schizzò dentro la ciotola e la maggior parte arrivò fino al volto di Dante.
Quest'ultimo non manifestò apertamente alcun segno dell'ira che gli stava crescendo dentro.
Buttò l'uovo rotto e ne prese un altro.
La stessa identica scena si ripeté per ben quattro volte nonostante l'albino di volta in volta cercasse di picchiare l'uovo con sempre minore forza.
Al quinto tentativo, quando ormai il bancone, il grembiule e la sua faccia erano imbrattati in maniera quasi indecente di uova, riuscì a creare una minuscola incrinatura sul guscio.
Sollevato per non aver buttato un altro uovo - se avesse fallito anche quella volta gli sarebbe rimasta solo un'ultima chance - lo spostò sopra la ciotola e lo aprì un due con quanta più delicatezza gli era possibile.
Finalmente il contenuto entrò tutto nella ciotola e Dante fu in grado di buttare solamente il guscio vuoto.
Aggiunse al resto della noce moscata e cominciò a mescolare servendosi di un mestolo - non aveva mai avuto robot da cucina. Costavano troppo e per l'uso che ne avrebbe fatto sarebbe stato uno spreco enorme di soldi, anche se in quel momento, mentre era alle prese con quella salsiccia che non voleva saperne di ammorbidirsi e mescolarsi decentemente col resto, non gli sarebbe dispiaciuto averne uno a portata di mano.
Dopo alcuni minuti si interruppe per andare a mettere il sale nell'acqua - che adesso bolliva - e aggiungere le castagne; dopodiché riprese il suo lavoro.
Mentre mescolava teneva d'occhio la pentola sperando vivamente che quando le castagne fossero state pronte in qualche modo se ne sarebbe accorto.
Essendo poche per la quantità di acqua in cui erano immerse, ci misero veramente pochissimo a cominciare a risalire, fatto che l'albino interpretò come il segno inequivocabile che era giunta l'ora di toglierle.
Andò a cercare un colapasta - ricordava di averne uno da qualche parte che come tutto il resto lì dentro non era mai stato usato. Lo trovò in fondo ad una delle credenze sotto i banconi e ci versò dentro il contenuto della pentola; dopodiché aggiunse le castagne ancora umide dentro la ciotola.
Lavorò l'impasto ancora a lungo per essere sicuro che fosse della giusta consistenza. Una volta soddisfatto del risultato ritornò al cappone e cominciò a riempirlo con la farcitura, scoprendo che avanzava anche un po' di posto. Prese le verdure in barattolo e ce le infilò senza starci troppo a pensare: sia lui sia il suo ospite non facevano storie per un po' di verdura.
A quel punto arrivò la parte complicata e la più temuta da Dante: ricucire il petto.
Si era procurato l'occorrente andando a fare la spesa però non era capace di rammendarsi un buco nelle mutande, figurarsi ricucire un cappone.
Non si sarebbe comunque tirato indietro, non adesso che il più era fatto.
Inserì il filo nella cruna del grosso ago che reggeva in mano; dopodiché cercò di figurarsi la maniera più verosimile per far sì che i due lati del petto si riaccostassero. Infilò l'ago in un lembo e lo passò sopra il ripieno fino dall'altro lato, ripetendo il movimento a zig zag fino in fondo, curandosi bene di tirare perché il cappone tornasse a somigliare a com'era prima di essere disossato.
Il risultato finale fu molto migliore di quanto Dante stesso si aspettasse.
A quel punto non gli rimaneva che aggiungere la verdura di contorno e metterlo a cuocere.
«Eheh... al ragazzo piacerà senz'altro!» gongolò tra sé immaginandosi già la scena della cena di quella sera.
Non poteva non piacergli con tutta la faticaccia che aveva fatto per preparare. Confidava molto nel buon esito della sua impresa.
Oltre alla pioggia di complimenti alle sue abilità di cuoco che si meritava più di ogni altra cosa, sperava che Nero rimanesse così sorpreso da volerlo ricompensare.
Una cenetta romantica di un certo livello avrebbe potuto invogliarlo a darci dentro quella notte e una simile prospettiva era talmente allettante per il padrone di casa da spingerlo a concludere nel miglior modo possibile il suo lavoro.
«Uhm, forse farei meglio ad andare a comprare anche una bottiglia di vino...» constatò Dante.
Quando Nero fece ritorno alla Devil May Cry si fermò a contemplare la facciata dell'edificio per alcuni istanti.
«Chissà se Dante sarà davvero riuscito a finire di cucinare quel cappone...» si chiese senza troppe speranze: le premesse erano state pessime e durante la sua uscita non aveva fatto altro che immaginarsi infiniti scenari catastrofici in cui Dante finiva per demolire l'agenzia.
Per una persona normale sarebbe stata un'impresa impossibile ma stava parlando di Dante. Volente o nolente riusciva sempre a combinarne qualcuna.
«Forse ho sbagliato a chiedergli una cosa tanto difficile...» ammise con se stesso «Be', l'agenzia però è ancora in piedi...».
Il brontolio del suo stomaco attirò la sua attenzione, facendolo arrossire per il gran rumore che aveva fatto. Non si era reso conto di avere così tanta fame.
Un altro gorgoglio decisamente forte lo indusse a portarsi una mano sull'addome nella speranza di attutire il rumore.
Decise di entrare per non dover aspettare ancora a lungo prima di sedare il suo appetito.
«Ehi, Dante hai finito di cucin...» esordì entrando, fermandosi sulla porta nel realizzare che tutte le luci erano spente nell'ufficio ad eccezione di diversi mozziconi di candela posati sul tavolinetto davanti al divano.
Tra le candele si trovavano un paio di piatti accompagnati da una bottiglia di vino ed un vassoio sul quale troneggiava quello che inequivocabilmente era un grosso cappone.
A completare il quadretto, Dante era semisdraiato sul divano in una posizione piuttosto provocante con il torace muscoloso nudo e i soli pantaloni in pelle, aderentissimi, indosso. Il suo fisico statuario messo in mostra in maniera tanto spudorata era quasi una calamita per Nero, che non si peritò minimamente a godere dello spettacolo.
Dante sogghignò provocante allo sguardo del più giovane.
«Che storia è questa?» domandò appuntandosi le mani sui fianchi.
«Mi hai chiesto di cucinare e l'ho fatto. Che male c'è se ho aggiunto qualche dettaglio alla cena di stasera?» esclamò il più grande.
Nero sorrise di sghembo.
«Oh, certo. E presumo che l'atmosfera romantica serva a darmi qualche incentivo a scoparti, dico bene?» indagò in totale schiettezza Nero.
Dante si mise seduto.
«Perché devi sempre rovinare tutto?»
«Perché mi ci diverto» spiegò il minore, avvicinandosi al divano.
Si lasciò cadere accanto al suo partner, esaminando il cappone: sembrava essere un po' troppo cotto, però aveva un aspetto stranamente appetibile.
«Avanti, cominciamo a mangiare. Muoio di fame» lo esortò.
Dante non si fece di certo supplicare: tagliò un pezzo di cappone, lo mise in un piatto e lo passò al suo compagno.
Quest'ultimo ne tagliò un boccone consistente e lo portò alla bocca, masticando rapidamente e deglutendo.
«Allora?» volle sapere subito Dante, ansioso di sapere se il suo sforzo aveva dato un risultato apprezzabile.
Nero annuì dicendo: «È bu...!».
Cominciò a tossire talmente forte da diventare paonazzo in faccia. Non respirava neppure e fu quello a mettere in allarme Dante.
«Ehi, ragazzo!» disse scuotendolo per una spalla «Ragazzo! Nero che ti prende?!».
Il più giovane smise di colpo di tossire e prese a lacrimare aggrappandosi a Dante con un braccio mentre con l'altro si toccava il petto.
Al maggiore - che non era mai stato particolarmente bravo col gioco dei mimi - occorsero diversi secondi per capire che stava cercando di dirgli che stava soffocando.
Subito lo aggirò e gli cinse il torace con le braccia cominciando a strizzarlo e premerlo in mezzo allo sterno.
Nero stava gradualmente diventando blu quando finalmente la manovra dell'altro riuscì a fargli sputare ciò che aveva attentato alla sua vita. A quanto Dante riuscì a vedere, si trattava di qualcosa di piccolo e duro.
Il ragazzo respirò profondamente non appena ne fu in grado, poi rifilò una gomitata nelle costole al suo salvatore.
«Ahio! Ma che ho fatto?!» sbottò quest'ultimo massaggiandosi il punto leso.
«Idiota! Ci hai messo dentro le olive col nocciolo!» gridò Nero infuriato «Così mi ammazzi!».
«Olive col...?» fece per ripetere Dante, quando improvvisamente ricordò il barattolo di verdure che aveva aggiunto frettolosamente al ripieno.
Aveva pensato fossero già snocciolate e invece...
«Non lo sapevo! Cioè... credevo che il nocciolo non ci fosse!» cercò di giustificarsi, ma Nero non ammetteva scuse di nessun tipo, non in quel frangente: «Avresti dovuto controllare!».
Si alzò in piedi di scatto ed attraversò l'ufficio diretto alla porta.
«No... ehi, dove stai andando?!» lo richiamò Dante, alzandosi a sua volta.
«A mangiare qualcosa che non attenti alla mia vita. Quello puoi mangiartelo te, buon appetito!».
E così dicendo uscì di nuovo sbattendo fragorosamente la porta.
«Ragazzo...».
Dante rimase attonito a fissare l'uscio chiuso curvando le spalle sotto il peso della sconfitta mentre tutti i suoi romantici progetti per la nottata andavano in frantumi.
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Note: Age difference, Shonen-ai
«Ehi, avevamo detto che la richiesta andava esaudita qualsiasi essa fosse, ricordi?» disse. Sembrava divertirsi un mondo per la situazione in cui si trovava, al contrario di Dante, che interiormente stava rodendo di rabbia.
«Sì, ma... fai delle richieste possibili!» esclamò l'uomo irritato «Io non so cucinare».
«Lo so» rispose Nero «È proprio per questo che te l'ho chiesto, altrimenti che gusto c'è?».
Dante non era mai stato fortunato in vita sua. Ne aveva avuta dimostrazione in ben più di un'occasione, eppure ogni volta che gli capitava l'opportunità di scommettere qualcosa lui ci provava, pieno di fiducia nelle proprie capacità come se fosse la prima volta.
Quella volta aveva scommesso contro il suo fidanzatino Nero sull'esito di una partita a biliardo.
«Che scommettiamo? Non hai niente di particolare che non mi abbia già offerto...» esclamò Nero appoggiandosi al bordo del biliardo. Sul suo viso c'era un'espressione intrisa di spudorata malizia che a Dante non sfuggì: era ovvio a cosa si riferisse. Del resto, non aveva niente di valore nella sua agenzia che non fossero le sue armi o il suo corpo.
Il più grande si era rigirato tra le mani l'asta del biliardo, riflettendo; dopodiché propose: «Che ne dici se chi perde fa il cameriere personale dell'altro per un giorno?».
«Un giorno è lungo» obiettò Nero inarcando entrambe le sopracciglia «Piuttosto, perché non facciamo qualcosa di più semplice e interessante? Tipo esaudire una richiesta dell'altro... qualsiasi essa sia» soggiunse con sollecitudine. Era soddisfatto della sua idea.
Dante parve ragionarci su prima di rispondere: «Affare fatto, ragazzo. Oh, dovrò pensare bene a cosa chiederti quando vincerò...».
«Tu? Vincere? Ahah, non farmi ridere!» lo prese per i fondelli il più giovane «Vincerò io questa partita. Ho anche già una mezza idea di cosa chiederti».
«E allora che aspetti? Cominciamo!» lo esortò Dante.
La partita a biliardo fu estremamente breve e si concluse con una vittoria schiacciante di Nero sul suo compagno più maturo, con grande insoddisfazione e delusione di quest'ultimo.
Il più giovane sogghignò assumendo un cipiglio di assoluta superiorità, voltandosi verso il suo partner, che ancora si rodeva per la sconfitta.
«Allora, Dante sei pronto?» chiese con tono di sfida.
L'uomo gli scoccò un'occhiata piena d'ira prima di voltarsi completamente a lui allargando le braccia come ad offrirglisi in sacrificio. Aveva perso e non aveva il diritto di obiettare.
«Be', dimmi che vuoi che faccia» lo esortò senza mezzi termini «Hai detto che avevi già una mezza idea, no? Devo farmi sbattere tutta la notte o vuoi incularmi con una spada o anche un paio...?».
Nero accentuò il sogghigno, cominciando a passeggiare per la stanza diretto verso il divano.
«Sapevo che avresti pensato ad una cosa del genere» disse il ragazzo «Ma se ti chiedessi di fare una cosa di questo tipo finiresti col divertirti. No, non voglio questo» aggiunse, temporeggiando di proposito per irritare ulteriormente il suo fidanzatino.
Dante s'irrigidì nelle spalle e intrecciò le braccia sul petto spostando il peso del proprio corpo da un piede all'altro.
«E allora cosa vuoi?» indagò inarcando un sopracciglio con aria interessata e al tempo stesso curiosa.
Ci fu ancora un momento di silenzio per enfatizzare la risposta che Nero avrebbe fornito di lì a qualche momento.
«Voglio che tu cucini» decretò, lasciandosi cadere seduto sul divano.
Lo stupore di Dante fu tale che la mandibola cadde in un'espressione allibita.
«Che cosa?!» chiese quasi gridando «Puoi scordartelo, io non sono capace! Perché credi che ordini sempre pizza a domicilio?».
Nero si sdraiò, mettendosi comodo prima di scoccargli un'occhiata di traverso.
«Ehi, avevamo detto che la richiesta andava esaudita qualsiasi essa fosse, ricordi?» disse. Sembrava divertirsi un mondo per la situazione in cui si trovava, al contrario di Dante, che interiormente stava rodendo di rabbia.
«Sì, ma... fai delle richieste possibili!» esclamò l'uomo irritato «Io non so cucinare».
«Lo so» rispose Nero «È proprio per questo che te l'ho chiesto, altrimenti che gusto c'è?».
Il viso del più vecchio venne distorto da una smorfia di rabbia e indignazione insieme: quel ragazzo ne pensava sempre una in più per farlo uscire dai gangheri. Sembrava divertirsi a vedere fino a che punto la sua pazienza avrebbe potuto resistere; tuttavia, lui non era mai stato una persona molto paziente e Nero lo sapeva bene.
Venne per un momento allettato dall'ipotesi di rifilargli un pugno dritto in faccia, poi però decise di assecondarlo. Del resto era solo una scommessa e Nero non conosceva abbastanza bene l'arte culinaria per potergli chiedere cose incredibili.
«Allora spara, dimmi che devo prepararti» disse Dante, rimanendo in attesa che il suo partner parlasse.
Quest'ultimo non ebbe neanche un attimo d'esitazione prima di pronunciarsi: «Cappone ripieno di castagne».
Era evidente che fosse una cosa premeditata, perché Dante non l'aveva mai visto sfogliare libri di cucina - anche perché lui in ufficio non ne aveva - né tantomeno era un piatto comune, tant'era che non l'aveva mai neppure sentito nominare.
«Eh? E che roba sarebbe?!» protestò subito e con forza.
«Il cappone è una specie di tacchino castrato» spiegò Nero «E come il tacchino si può fare ripieno...».
«Sì, ma...» cominciò a lamentarsi ancora il più grande, interrompendosi poi perché non aveva idea di cosa dire prima: la lista di obiezioni da muovere era praticamente infinita. Non aveva idea di dove trovare un cappone e poi, ponendo il caso che riuscisse a trovarlo, c'era il problema del prezzo - non era pensabile che glielo vendessero a poco. Oltre a quello avrebbe anche dovuto comprare gli ingredienti per il ripieno, sperando che almeno quelli non fossero strani. Sperava solo che i soldi che aveva faticosamente messo da parte negli ultimi mesi grazie anche al prezioso aiuto di Nero bastassero a coprire la spesa di quel pasto.
La cosa che però preoccupava di più Dante era un'altra.
«Hai anche pensato a come faccio a prepararti una cosa del genere visto e considerato che non l'ho mai neppure sentita nominare?» domandò con il tono tipico di chi volesse fare il bastian contrario a tutti i costi.
Nero si girò a prendere uno dei cuscini ammonticchiati in un angolo del divano, lo sollevò e prese un libro dalla copertina colorata.
«Ci avevo già pensato» disse lanciando il tomo al più grande, che lo prese al volo «Dove credi che abbia trovato la ricetta?».
Dante esaminò la copertina con interesse per alcuni istanti prima di aprire il libro e cominciare a sfogliarlo a caso.
«Ti ho messo un segno alla pagina della ricetta» gli spiegò Nero prima di lasciarsi cadere disteso sul divano «Forza, mettiti al lavoro».
«Ma è una ricetta enorme!» constatò stupefatto Dante, che era appena arrivato alla giusta pagina e stava scorrendo con lo sguardo la lista degli ingredienti.
«Appunto, quindi vedi di darti una mossa a cominciare...» controbatté il ragazzo affondando piacevolmente la testa tra i cuscini.
Un ennesimo accesso d'ira colse il padrone di casa nel sentirlo rivolgerglisi in maniera tanto arrogante e ancora una volta quest'ultimo mise a tacere l'impulso senza dargli sfogo.
Aveva perso la scommessa e quel piatto anomalo era il prezzo da pagare. Se proprio doveva arrabbiarsi con qualcuno doveva prendersela con se stesso per non essere stato capace di vincere, specialmente perché se fosse stato lui al posto di Nero si sarebbe comportato alla stessa maniera: avrebbe cercato di metterlo nei guai - non gli avrebbe mai dato grane così grosse, però ci si sarebbe senz'altro messo d'impegno per escogitare qualcosa che l'avrebbe fatto uscire dai gangheri.
Emettendo un verso stizzito richiuse il libro e diede le spalle al suo partner più giovane, dirigendosi verso la scrivania.
In quella posizione non poteva certo vedere lo sguardo interessato che Nero stava rivolgendo al suo didietro mentre si allontanava.
Col libro di cucina alla mano, Dante aveva stilato una lista della spesa piuttosto dettagliata per non rischiare di dimenticare qualcosa di fondamentale prima di uscire per andare al piccolo supermercato di quartiere. In cuor suo si augurava che avessero tutto, anche perché altrimenti non sapeva dove altro andare a cercare: quel supermercato era l'unico posto dove fosse mai andato a fare rifornimenti - e solamente per comperare bibite alcoliche. Oltre quel luogo non conosceva altri posti in città dove recarsi a comprare del cibo.
Per sua fortuna pur essendo un negozio piuttosto piccolo, era molto ben fornito: il cacciatore di demoni riuscì a trovare la carne e le castagne per il ripieno e prese anche della verdura mista in barattolo da usare come condimento; ma soprattutto riuscì a trovare il cappone.
Quando lo chiese ad un'addetta piuttosto carina del reparto carne la ragazza gli rivolse un'occhiata sorpresa, come se gli avesse chiesto qualcosa d'incredibile; infine gli aveva suggerito di provare al reparto macelleria.
L'uomo dietro il bancone al sentirsi chiedere un cappone da un chilogrammo sparì per un momento dietro una porta e ne riemerse poco dopo trasportando un enorme pollo.
Dante rimase a bocca aperta davanti alle dimensioni dell'animale, pensando a quanto tempo gli ci sarebbe voluto per prepararlo e poi riempirlo. Come minimo avrebbe impiegato tutto il pomeriggio a cucinare.
Se lo fece incartare per bene; dopodiché andò a pagare l'intera spesa - ovviamente il cappone fece lievitare il costo totale degli acquisti - e tornò verso la Devil May Cry trasportando un paio di buste piene di roba.
Quando arrivò a destinazione aprì con una spallata l'uscio trascinando dentro le buste.
Lo sguardo gli cadde su Nero, ancora sdraiato sul divano. L'unica differenza rispetto a quand'era uscito era il fatto che adesso aveva gli occhi chiusi e respirava piano con la bocca semiaperta.
«Lui se la gode dormendo...» si lamentò tra sé il padrone di casa emettendo un verso stizzito mentre arrancava nella stanza diretto verso la cucina.
Oltrepassò la scrivania e si immise nella cucina, appoggiando tutte le buste sul tavolo.
Prima di cominciare a mettersi al lavoro tornò nell'altra stanza e si sfilò il cappotto. Lavorare in cucina con quello non sarebbe stato per niente facile.
Prese il libro di cucina che aveva posato sulla scrivania prima di uscire e se ne tornò nell'altra stanza. Posò il libro su un bancone e lo riaprì alla pagina della ricetta.
Diede una prima occhiata alle istruzioni per cucinare, scoprendo con suo sommo dispiacere che avrebbe dovuto cominciare proprio dal cappone.
Mentre si avvicinava al tavolo si premurò di passare a prendere il suo grembiule, un regalo di Nero per un vecchio compleanno. Il ragazzo glielo aveva comperato enorme per essere sicuro che gli stesse nonostante la sua robusta corporatura e a Dante quel grembiule arrivava sotto le ginocchia. Ciononostante all'uomo piaceva metterlo perché era un regalo che trasudava i gusti del suo fidanzato - era azzurro con delle saette rosse disegnate ovunque.
Una volta che l'ebbe legato in vita estrasse l'incarto contenente il cappone e lo posò su un bancone libero, tornando poi a leggere la ricetta.
L'albino pulì e lavò l'animale, dopodiché lo asciugò mentre sul viso gli si allargava un sorrisetto arrogante.
«Cucinare non è poi così difficile...» commentò a mezza voce mentre si asciugava le mani sul grembiule, andando a ricontrollare la ricetta.
Il sorriso gli svanì dal viso leggendo ciò che avrebbe dovuto fare dopo.
Armeggiò coi cassetti cercando quello con i coltelli. Ne estrasse uno e ritornò a dedicarsi al cappone con aria perplessa: «Come faccio a disossarlo...?! Forse dovrei dilaniarlo...».
Voltò la bestia, squadrandone il ventre reclinando di lato la testa.
«No, se devo riempirlo dovrò fare in un altro modo...» rifletté ad alta voce, sollevando il grosso coltello che teneva in mano e osservandone la lama per un attimo «... ma quale?».
Studiò la sua preda da varie angolazioni cercando di intuire quale maniera fosse la migliore per togliere le ossa dall'interno.
Solo dopo diversi minuti si decise ad aprire il cappone col coltello ed il risultato fu uno strazio totale; tuttavia, grazie allo scempio compiuto ai danni del povero cappone riuscì a rimuovere tutte le ossa, sterno incluso - esattamente come era scritto nella ricetta. Dopo quell'aggressione immotivata aggiunse sale e pepe senza riserve.
«Okay» esclamò con aria soddisfatta, ammirando la carcassa dilaniata che giaceva sul bancone. Si vedeva che era orgoglioso delle qualità che stava scoprendo di avere come chef.
Si appuntò le mani sui fianchi e sospirò come se avesse appena fatto qualcosa di faticosissimo.
Adesso era il turno di preparare il ripieno, altrimenti non aveva senso aver aperto il cappone.
Nella testa di Dante la farcitura era solamente un'accozzaglia disordinata d'ingredienti diversi presi e mescolati insieme. In obbedienza a quell'immagine mentale mise a soqquadro mezza cucina in cerca di una grossa ciotola dove riunire tutto.
Tornò a controllare il libro per vedere cosa aggiungere e si sorprese di leggere un paio di righe riguardo a come preparare il ripieno. Soprattutto, a coglierlo di sorpresa fu il fatto che non avrebbe dovuto buttare tutto alla rinfusa dentro una ciotola e mescolare ma avrebbe avuto bisogno di tutt'altro.
«Ma che diavolo di ricetta complicata è andato a scegliere...» bofonchiò irritato mentre si accingeva a riporre la ciotola per andare a cercare una padella per cuocere le castagne.
Frugò nei cassetti e nelle credenze dei banconi senza successo prima di pensare che forse i tegami erano riposti in una delle pensiline. Non avendo mai avuto occasione di usare la cucina per ciò che era stata creata da quando l'aveva comprata - acquisto avvenuto poco dopo l'ufficio - non aveva idea di dove avesse a suo tempo nascosto i vari utensili.
Caso volle che la prima pensilina ad essere aperta fosse quella giusta; peccato che i tegami che si trovavano all'interno fossero stati ammucchiati senza un briciolo d'ordine e che pertanto bastò il movimento d'aria provocato dall'apertura frettolosa delle ante per far crollare tutto.
Dante venne letteralmente sommerso da pentole e padelle senza possibilità di scampo. La pioggia di pentole lo colpì sulla testa, stordendolo e facendolo cadere a terra.
Il gran trambusto dei tegami che cadevano a terra arrivò chiaro fino al soggiorno dove Nero dormiva serenamente.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, come se fosse stato aggredito da un demone. Si guardò intorno con espressione confusa e assonnata per diversi secondi in cerca dell'origine del rumore che l'aveva svegliato prima di realizzare che questa non si trovava nella sua stessa stanza.
Col cuore che gli palpitava furiosamente nel petto e l'adrenalina in circolo per far fronte alla situazione di pericolo, Nero si passò una mano sul viso e tra i capelli emettendo un sospiro esasperato.
«Oh... Dante!» gridò irritato. Stava dormendo così bene che gli rodeva enormemente essere stato svegliato in maniera tanto brusca.
«Dante!» ripeté con voce più decisa.
L'uomo si sollevò seduto lentamente portandosi alla testa una mano per massaggiarsi il punto leso, senza curarsi delle pentole che gli caddero dal petto nel movimento.
«Ahio, che botta...» bofonchiò più rivolto a se stesso che ad un vero e proprio interlocutore «Che c'è?» chiese poi a voce alta, guardandosi intorno in cerca della padella che cercava.
«Che cazzo hai combinato?!».
La domanda di Nero gli arrivò come un vero e proprio rimprovero, come se avesse fatto qualcosa a lui.
«Niente, ragazzo» liquidò senza troppi complimenti, mettendosi carponi e cominciando a frugare nel mucchio di tegami «Mi sono solo cadute le pentole» soggiunse mentre sollevava trionfante quello che stava cercando.
Nero chiuse gli occhi corrugando la fronte in un'espressione di sopportazione e malcelata irritazione: era mai possibile che per prendere una pentola dovesse fare tutto quel chiasso?
Doveva soltanto cucinare qualcosa. Il fatto che il piatto fosse impegnativo - e ne era perfettamente consapevole - non significava che dovesse demolire la cucina.
Il ragazzo scosse esasperato la testa prima di distendersi di nuovo e chiudere gli occhi. Dormire in attesa della cena gli avrebbe impedito di assistere allo scempio che Dante avrebbe certamente fatto - ammesso che l'uomo non combinasse qualcos'altro che lo svegliasse.
Intanto l'altro si era rialzato e aveva messo sul fornello la padella senza curarsi di riporre il resto al suo posto e adesso stava tentando di capire come accendere la fiamma.
Cominciò ad armeggiare con le manopoline andando a caso finché non beccò quella che fece partire una fiammata enorme che lo fece balzare indietro per la sorpresa, facendogli dimenticare per un istante che cosa stava facendo. Il risultato fu che la padella, esposta ad un calore così elevato, cominciò a bruciarsi e mandare un tremendo olezzo e fumo nero.
Dante tossì cercando di allontanare il fumo sventolando una mano ma senza ottenere un gran successo. Riuscì però a prendere alla cieca il manico della padella e toglierla dal fornello, scaraventandola nel lavandino situato a qualche metro da dove lui si trovava. L'impatto tra l'acciaio che rivestiva il lavabo e la copertura rovinata della padella fu parecchio chiassoso, anche se non al pari del casino di poco prima.
Nella stanza principale il suo ospite - che si era già riaddormentato - venne svegliato di nuovo di soprassalto. Si guardò intorno esattamente come poco prima; dopodiché realizzò come stavano le cose.
«Dante!» gridò furioso, alzandosi in piedi picchiando pesantemente gli stivali sulle assi di legno del pavimento.
Il più grande udì distintamente il rumore dei suoi passi e si girò verso la porta, senza però vedere il suo compagno.
«Sì?» domandò mentre si accostava al lavabo per aprire l'acqua. Una nuvola di fumo grigio si levò dalla pentola.
«Me ne vado a fare un giro visto che qui non si riesce a dormire!» dichiarò Nero con foga, prima di uscire sbattendosi violentemente la porta alle spalle.
Dante sentì lo schianto e rivolse un'occhiataccia al vano della porta della cucina.
«Tsk! Io dovrei lamentarmi per tutto questo, non tu...!» borbottò a mezza voce rivolto a se stesso.
Si mise una mano sui fianchi e l'altra tra i capelli ammirando le meste condizioni della sua padella.
«Dovrò cercarne un'altra...».
Si rimise alla ricerca di una padella e stavolta, prima di sistemarla sul fornello, si premurò di accendere il fuoco e regolarne l'intensità per evitare il ripetersi di quanto appena successo.
Una volta messa a scaldare andò a prendere le castagne dalla spesa e tornò a controllare cosa doveva farci sul ricettario.
Dopo essersi armato di coltello le sbucciò - e non senza romperle o togliere buona parte di ciò che invece andava lasciato - ne mise alcune nella padella già calda.
L'effetto fu quasi immediato: le castagne al contatto con il rivestimento bollente del tegame cominciarono a raggrinzirsi ed alcune addirittura esplosero.
Dante - istruito dal precedente incidente - non perse tempo e spense subito il fuoco, togliendo di nuovo la padella e mettendola assieme all'altra.
Per fortuna che aveva comprato più castagne di quelle che effettivamente gli sarebbero servite - d'altro canto se la confezione ne conteneva di più lui mica poteva aprirla e prenderne solo quelle che gli occorrevano.
«E adesso che cosa ho sbagliato?» sospirò tornando a contemplare il ricettario: lì c'era scritto solo di "bollirle". Evidentemente l'autore del libro era convinto che lui sapesse come si faceva.
«E ora...?» rifletté, cercando di trovare una soluzione. Non poteva buttare altre castagne così.
Un'idea improvvisa gli balenò alla mente e subito si mise a sfogliare il libro in cerca dell'indice. Una volta trovato lo scorse in cerca di una ricetta in particolare che sperava vivamente ci fosse.
Quando la trovò emise un incomprensibile verso di trionfo e andò a quella pagina.
«Eccolo! "Castagne bollite"» esclamò, cominciando a scorrere rapidamente l'elenco di ingredienti che servivano e il procedimento.
«Ah, ecco. Ho preso il tegame sbagliato...» borbottò sovrappensiero «... e ho sbagliato anche il resto... allora, ricominciamo daccapo».
Frugò nel mucchio di utensili che ancora ingombrava il pavimento fino a che non scovò una grossa pentola che riempì d'acqua.
La ricetta dava le quantità per bollire un chilo di castagne e dato che lui doveva bollirne molte meno - e che non era molto ferrato in matematica - pensò bene che la dose di acqua non fosse poi così rilevante e ne usò una quantità a caso. Riaccese il fornello - stava cominciando a diventare bravo almeno in quello - e ci mise sopra la pentola.
Intanto che l'acqua bolliva decise di cominciare ad occuparsi del resto del ripieno del cappone: per le castagne avrebbe solo dovuto aggiungere del sale - e le castagne - una volta che l'acqua fosse in fase di ebollizione. Almeno quella sapeva come riconoscerla: la superficie dell'acqua avrebbe cominciato a ricoprirsi di bolle.
Tornò alla precedente ricetta e riprese a studiarla.
Si mise a togliere il budello alla salsiccia - anche se la carne non l'aveva mai cucinata di quella se ne intendeva più che di castagne e simili - e la mise in una grossa ciotola.
Prese un uovo e, cercando di contenere la sua spropositata forza distruttrice, lo picchiettò sul bordo della ciotola per incrinarne il guscio - come aveva visto fare a volte in tv. Bastò quel leggerissimo impatto per spezzare completamente in due il guscio e far schizzare il contenuto dovunque. Gocciolò copioso sul bancone, in minima parte schizzò dentro la ciotola e la maggior parte arrivò fino al volto di Dante.
Quest'ultimo non manifestò apertamente alcun segno dell'ira che gli stava crescendo dentro.
Buttò l'uovo rotto e ne prese un altro.
La stessa identica scena si ripeté per ben quattro volte nonostante l'albino di volta in volta cercasse di picchiare l'uovo con sempre minore forza.
Al quinto tentativo, quando ormai il bancone, il grembiule e la sua faccia erano imbrattati in maniera quasi indecente di uova, riuscì a creare una minuscola incrinatura sul guscio.
Sollevato per non aver buttato un altro uovo - se avesse fallito anche quella volta gli sarebbe rimasta solo un'ultima chance - lo spostò sopra la ciotola e lo aprì un due con quanta più delicatezza gli era possibile.
Finalmente il contenuto entrò tutto nella ciotola e Dante fu in grado di buttare solamente il guscio vuoto.
Aggiunse al resto della noce moscata e cominciò a mescolare servendosi di un mestolo - non aveva mai avuto robot da cucina. Costavano troppo e per l'uso che ne avrebbe fatto sarebbe stato uno spreco enorme di soldi, anche se in quel momento, mentre era alle prese con quella salsiccia che non voleva saperne di ammorbidirsi e mescolarsi decentemente col resto, non gli sarebbe dispiaciuto averne uno a portata di mano.
Dopo alcuni minuti si interruppe per andare a mettere il sale nell'acqua - che adesso bolliva - e aggiungere le castagne; dopodiché riprese il suo lavoro.
Mentre mescolava teneva d'occhio la pentola sperando vivamente che quando le castagne fossero state pronte in qualche modo se ne sarebbe accorto.
Essendo poche per la quantità di acqua in cui erano immerse, ci misero veramente pochissimo a cominciare a risalire, fatto che l'albino interpretò come il segno inequivocabile che era giunta l'ora di toglierle.
Andò a cercare un colapasta - ricordava di averne uno da qualche parte che come tutto il resto lì dentro non era mai stato usato. Lo trovò in fondo ad una delle credenze sotto i banconi e ci versò dentro il contenuto della pentola; dopodiché aggiunse le castagne ancora umide dentro la ciotola.
Lavorò l'impasto ancora a lungo per essere sicuro che fosse della giusta consistenza. Una volta soddisfatto del risultato ritornò al cappone e cominciò a riempirlo con la farcitura, scoprendo che avanzava anche un po' di posto. Prese le verdure in barattolo e ce le infilò senza starci troppo a pensare: sia lui sia il suo ospite non facevano storie per un po' di verdura.
A quel punto arrivò la parte complicata e la più temuta da Dante: ricucire il petto.
Si era procurato l'occorrente andando a fare la spesa però non era capace di rammendarsi un buco nelle mutande, figurarsi ricucire un cappone.
Non si sarebbe comunque tirato indietro, non adesso che il più era fatto.
Inserì il filo nella cruna del grosso ago che reggeva in mano; dopodiché cercò di figurarsi la maniera più verosimile per far sì che i due lati del petto si riaccostassero. Infilò l'ago in un lembo e lo passò sopra il ripieno fino dall'altro lato, ripetendo il movimento a zig zag fino in fondo, curandosi bene di tirare perché il cappone tornasse a somigliare a com'era prima di essere disossato.
Il risultato finale fu molto migliore di quanto Dante stesso si aspettasse.
A quel punto non gli rimaneva che aggiungere la verdura di contorno e metterlo a cuocere.
«Eheh... al ragazzo piacerà senz'altro!» gongolò tra sé immaginandosi già la scena della cena di quella sera.
Non poteva non piacergli con tutta la faticaccia che aveva fatto per preparare. Confidava molto nel buon esito della sua impresa.
Oltre alla pioggia di complimenti alle sue abilità di cuoco che si meritava più di ogni altra cosa, sperava che Nero rimanesse così sorpreso da volerlo ricompensare.
Una cenetta romantica di un certo livello avrebbe potuto invogliarlo a darci dentro quella notte e una simile prospettiva era talmente allettante per il padrone di casa da spingerlo a concludere nel miglior modo possibile il suo lavoro.
«Uhm, forse farei meglio ad andare a comprare anche una bottiglia di vino...» constatò Dante.
Quando Nero fece ritorno alla Devil May Cry si fermò a contemplare la facciata dell'edificio per alcuni istanti.
«Chissà se Dante sarà davvero riuscito a finire di cucinare quel cappone...» si chiese senza troppe speranze: le premesse erano state pessime e durante la sua uscita non aveva fatto altro che immaginarsi infiniti scenari catastrofici in cui Dante finiva per demolire l'agenzia.
Per una persona normale sarebbe stata un'impresa impossibile ma stava parlando di Dante. Volente o nolente riusciva sempre a combinarne qualcuna.
«Forse ho sbagliato a chiedergli una cosa tanto difficile...» ammise con se stesso «Be', l'agenzia però è ancora in piedi...».
Il brontolio del suo stomaco attirò la sua attenzione, facendolo arrossire per il gran rumore che aveva fatto. Non si era reso conto di avere così tanta fame.
Un altro gorgoglio decisamente forte lo indusse a portarsi una mano sull'addome nella speranza di attutire il rumore.
Decise di entrare per non dover aspettare ancora a lungo prima di sedare il suo appetito.
«Ehi, Dante hai finito di cucin...» esordì entrando, fermandosi sulla porta nel realizzare che tutte le luci erano spente nell'ufficio ad eccezione di diversi mozziconi di candela posati sul tavolinetto davanti al divano.
Tra le candele si trovavano un paio di piatti accompagnati da una bottiglia di vino ed un vassoio sul quale troneggiava quello che inequivocabilmente era un grosso cappone.
A completare il quadretto, Dante era semisdraiato sul divano in una posizione piuttosto provocante con il torace muscoloso nudo e i soli pantaloni in pelle, aderentissimi, indosso. Il suo fisico statuario messo in mostra in maniera tanto spudorata era quasi una calamita per Nero, che non si peritò minimamente a godere dello spettacolo.
Dante sogghignò provocante allo sguardo del più giovane.
«Che storia è questa?» domandò appuntandosi le mani sui fianchi.
«Mi hai chiesto di cucinare e l'ho fatto. Che male c'è se ho aggiunto qualche dettaglio alla cena di stasera?» esclamò il più grande.
Nero sorrise di sghembo.
«Oh, certo. E presumo che l'atmosfera romantica serva a darmi qualche incentivo a scoparti, dico bene?» indagò in totale schiettezza Nero.
Dante si mise seduto.
«Perché devi sempre rovinare tutto?»
«Perché mi ci diverto» spiegò il minore, avvicinandosi al divano.
Si lasciò cadere accanto al suo partner, esaminando il cappone: sembrava essere un po' troppo cotto, però aveva un aspetto stranamente appetibile.
«Avanti, cominciamo a mangiare. Muoio di fame» lo esortò.
Dante non si fece di certo supplicare: tagliò un pezzo di cappone, lo mise in un piatto e lo passò al suo compagno.
Quest'ultimo ne tagliò un boccone consistente e lo portò alla bocca, masticando rapidamente e deglutendo.
«Allora?» volle sapere subito Dante, ansioso di sapere se il suo sforzo aveva dato un risultato apprezzabile.
Nero annuì dicendo: «È bu...!».
Cominciò a tossire talmente forte da diventare paonazzo in faccia. Non respirava neppure e fu quello a mettere in allarme Dante.
«Ehi, ragazzo!» disse scuotendolo per una spalla «Ragazzo! Nero che ti prende?!».
Il più giovane smise di colpo di tossire e prese a lacrimare aggrappandosi a Dante con un braccio mentre con l'altro si toccava il petto.
Al maggiore - che non era mai stato particolarmente bravo col gioco dei mimi - occorsero diversi secondi per capire che stava cercando di dirgli che stava soffocando.
Subito lo aggirò e gli cinse il torace con le braccia cominciando a strizzarlo e premerlo in mezzo allo sterno.
Nero stava gradualmente diventando blu quando finalmente la manovra dell'altro riuscì a fargli sputare ciò che aveva attentato alla sua vita. A quanto Dante riuscì a vedere, si trattava di qualcosa di piccolo e duro.
Il ragazzo respirò profondamente non appena ne fu in grado, poi rifilò una gomitata nelle costole al suo salvatore.
«Ahio! Ma che ho fatto?!» sbottò quest'ultimo massaggiandosi il punto leso.
«Idiota! Ci hai messo dentro le olive col nocciolo!» gridò Nero infuriato «Così mi ammazzi!».
«Olive col...?» fece per ripetere Dante, quando improvvisamente ricordò il barattolo di verdure che aveva aggiunto frettolosamente al ripieno.
Aveva pensato fossero già snocciolate e invece...
«Non lo sapevo! Cioè... credevo che il nocciolo non ci fosse!» cercò di giustificarsi, ma Nero non ammetteva scuse di nessun tipo, non in quel frangente: «Avresti dovuto controllare!».
Si alzò in piedi di scatto ed attraversò l'ufficio diretto alla porta.
«No... ehi, dove stai andando?!» lo richiamò Dante, alzandosi a sua volta.
«A mangiare qualcosa che non attenti alla mia vita. Quello puoi mangiartelo te, buon appetito!».
E così dicendo uscì di nuovo sbattendo fragorosamente la porta.
«Ragazzo...».
Dante rimase attonito a fissare l'uscio chiuso curvando le spalle sotto il peso della sconfitta mentre tutti i suoi romantici progetti per la nottata andavano in frantumi.