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[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: Far le veci della madre
Rating: Giallo
Genere: Demenziale, Slice of Life
Personaggi: Aggra, Durak, Rehgar Earthfury, Thrall (Go'el)
Wordcount: 5654 (wordcounter)
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Mists of Pandaria".
Note: Fluff, Het
L’odore di cibo fece infine svegliare Durak. Il piccolo iniziò ad agitare i pugnetti e picchiettarli contro il corpo del padre - verso cui era rivolto - mentre si attaccava con la bocca al suo pettorale, mordendolo. La “vittima” dell’aggressione scattò in piedi ruggendo di dolore per la foga con cui suo figlio stava cercando di avere latte che lui non avrebbe mai potuto dargli, non come sua madre almeno.
E la sua reazione ancora una volta fece scoppiare in lacrime il pargolo, che almeno per strepitare aveva staccato da lui la bocca.


«Sei sicuro di aver capito tutto?».
Aggra sembrava incapace di allontanarsi da suo marito e dal tenero frugoletto che quest’ultimo teneva tra le possenti braccia verdi e nude. Nel suo sguardo era palese la sua preoccupazione.
«Per qualsiasi problema… contattami e io non esiterò a tornare indietro, chiaro?» l’Orchessa stava cominciando a diventare paranoica tante erano le volte che aveva ripetuto il concetto al suo partner.
«Sì, sì… me lo hai già detto un migliaio di volte Aggra» Go’el le rivolse un sorriso d’incoraggiamento «Non devi preoccuparti, io e Durak ce la caveremo».
Era la prima volta da quando si erano sposati ed avevano avuto un figlio che si separavano. Aggra sarebbe tornata con Nobundo nelle Terre Esterne per una settimana per adempiere ad alcuni rituali presso il Trono degli Elementi a Nagrand. Il precario equilibrio elementale del loro pianeta d’origine doveva essere sorvegliato e mantenuto e benché gli sciamani rimasti a sorvegliare la situazione fossero preparati, erano ormai anziani e da soli non riuscivano più a sostenere i periodici rituali richiesti.
Aggra era l’intermediario perfetto, dato che aveva trascorso tutta la sua vita a Nagrand prima di incontrare Go’el e partire per iniziare una nuova vita con lui su Azeroth.
La sciamana accarezzò le braccia del suo compagno e poi si concentrò su suo figlio. Si piegò a baciargli la punta del naso, facendolo ridere.
«La mamma tornerà presto… tu e tuo padre starete insieme soli soletti per un po’...» gli sussurrò, accarezzando la copertina in cui era avvolto.
A quel punto alzò lo sguardo verso Go’el e si sporse a baciarlo, fugacemente e con passione.
«Fai il bravo, intesi?» disse a bassa voce, in maniera che solo lui potesse sentirla.
«Ho mai fatto il contrario?» replicò alla stessa maniera Go’el, accennando un sorrisetto impertinente.
«Non trascurarti solo perché non sei un Orco di casa...» sospirò Aggra in tono premuroso.
«È ora di andare» s’intromise in tono pacato Nobundo. Il Krokul attendeva ad alcuni metri di distanza, per permettere alla coppia di salutarsi in intimità. Di certo non pretendeva di intromettersi nei loro affari privati solo perché doveva partire insieme all’Orchessa.
Go’el non ribatté alla palese provocazione della sua partner, limitandosi ad annuire. Sarebbe tornata in una settimana, non servivano addii particolari. Era una separazione breve e sarebbe andato tutto a meraviglia, era certo. Le accarezzò dolcemente il viso con la mano libera e la lasciò andar via, osservandola allontanarsi con il figlioletto, ora piombato di nuovo nel silenzio.
«La mamma tornerà presto, sì… e intanto noi staremo un po’ insieme» disse l’Orco, facendo le moine al suo bambino mentre ritornava nella capanna, che improvvisamente appariva molto più grande di come la ricordasse.
Ora che Nobundo era partito, il comando del Circolo della Terra era stato lasciato nelle sue mani, per cui aveva dei doveri nei confronti degli altri sciamani in virtù della sua carica, seppur temporanea. Non poteva semplicemente rimanere tutto il giorno nella capanna a badare al piccolo.
Con tutte le attenzioni del caso, Go’el preparò una specie di sacca con lunghi pezzi di tela e la legò attorno al torace a formare una “X”, quindi inserì Durak per traverso nella tasca creata sull’addome. In questo modo poteva portarlo con sé e dedicarsi a lui senza dover per questo rimanere segregato in casa. All’occorrenza poteva ritornare a cambiarlo o per scaldare il latte che doveva bere, ma per il resto poteva occuparsi delle questioni del Circolo della Terra.
«Ora usciamo a sbrigare delle faccende...» esclamò Go'el, rivolgendosi a suo figlio, accarezzandogli con un polpastrello la punta del naso. Era così piccolo in confronto a lui che non riusciva a credere che non si spezzasse sotto il suo tocco, per quanto delicato esso fosse.
Durak agitò le manine e le strinse attorno all'indice del padre, ridacchiando. Era ancora presto perché potesse iniziare a parlare, però l'Orco era sicuro che parlare con lui già in quella fase precoce della sua vita non fosse del tutto inutile. Suo figlio sarebbe cresciuto sano, forte e intelligente come i suoi genitori.
Lo sciamano controllò che tutto quello che Aggra gli aveva lasciato fosse al suo posto: pannolini, biberon per il latte, copertine pulite e il cambio per la culla nel caso fosse servito. Appurato che tutto era esattamente dove doveva essere, Go'el uscì dalla capanna insieme al piccolo e si diresse verso il centro del Maelstrom, dove solitamente il Circolo della Terra amministrava i rituali di comunione con gli elementi.
Tutti gli sciamani si voltavano nella sua direzione e lo salutavano, fermandosi talvolta a rivolgere qualche moina a Durak. Le femmine in special modo sembravano attratte come calamite dal fagottino che portava sul petto, tanto che ad un certo punto l'Orco si ritrovò assediato da sciamane che parevano impazienti di sommergere suo figlio di coccole e sorrisi.
Go'el era contento che il suo piccolino fosse tanto apprezzato dal resto del Circolo e lasciò che chi desiderava si avvicinasse a lui. Quello che non immaginava era che Durak avesse un'idea completamente contraria alla sua: vedendo tutti quei volti estranei e diversi da quelli di suo padre e sua madre, l'Orco neonato semplicemente scoppiò a piangere. Le sue grida spezzarono l'aria altrimenti placida del Maelstrom - cosa piuttosto insolita invero - facendo sobbalzare tutti coloro che si erano avvicinati a Go'el.
Quest'ultimo reagì allo stesso modo, rimanendo stupito per il vigore del suo pianto. Quando si svegliava nel cuore della notte per piangere non sembrava dotato di una simile potenza vocale.
«Oh, ma che tenero! E senti che polmoni!» l'Invocatrice delle Tempeste Mylra sembrava positivamente colpita dal chiasso che il bambino stava causando «Significa che è un bambino forte» e scoppiò a ridere.
Anche se Go'el sarebbe dovuto essere onorato o quantomeno compiaciuto per il complimento appena ricevuto, in realtà la sua preoccupazione più grande era quella di placare il pianto del figlio: avendolo lui in braccio, era quello che più risentiva del fracasso che stava provocando e le sue povere orecchie non potevano riuscire a tollerarlo ancora a lungo.
«Su, su...» mormorò, iniziando a cullarlo dolcemente ma con palese fretta «Smetti di piangere, Durak... non è successo niente, ci sono io qui...» e così dicendo gli mise davanti al viso l'indice, muovendolo per farlo divertire e placare. Sperava che si mettesse a giocare con esso come aveva fatto poco prima, perdendo quindi ogni volontà di continuare con quell'orribile strepitare.
Nel frattempo tutte le altre sciamane che si erano radunate attorno a loro due si erano allontanate, inclusa Mylra. Evidentemente i bambini erano dolci e adorabili solo fino a che si lasciavano coccolare in silenzio.
Per sua fortuna lo stratagemma parve funzionare, perché pian piano Durak cominciò a smettere di sbraitare e a prestare sempre più attenzioni al polpastrello del padre. Riprese a stringerlo tra le sue manine piccole e morbide, fissandolo con espressione interessata, come se lo stesse studiando. Go'el era contento di essere riuscito a placarlo ed emise un profondo sospiro di sollievo, grato per la tregua. Abbassò la guardia e fu un errore: nel suo esame approfondito Durak gli attaccò un morso alla punta della falange. Non aveva ancora i denti propriamente detti, però sotto le gengive si sentivano eccome le puntine di entrambe le arcate che stavano fuoriuscendo lentamente. Al contrario, le zanne laterali che in età adulta sarebbero state le più grandi, erano già abbastanza formate e affioravano ai lati del labbro inferiore, bianche e con i bordi ancora ben acuminati. La sua bocca era talmente minuta che quelle due aguzze protuberanze erano piuttosto ravvicinate vista la tenera età del pargolo, tanto che non c'era spazio sufficiente a far passare in mezzo il polpastrello di Go'el.
Quest'ultimo cacciò un gridolino di dolore sentendosi pungere dalle zannette di Durak e subito ritrasse la falange esclamando: «Ahio! Non serve mordere!».
Intimorito dalla reazione tutt'altro che pacifica di suo padre, gli occhi del piccolo Orco si riempirono in fretta di lacrime sotto lo sguardo ancora costernato del genitore, che non tardò affatto ad accorgersi di ciò che aveva scatenato.
«Oh, no... non farlo, per fav...» cercò di dissuaderlo, ma venne interrotto da un nuovo e poderoso concerto di grida di Durak.
Go'el sospirò profondamente. Non gli sembrava che il piccolo piangesse così tanto quando era con la madre.
«Forse è colpa mia che non so come prenderlo per il verso giusto...» rifletté tra sé e sé mentre tentava di cullarlo nella speranza di riuscire a calmarlo ancora. Non era stato un padre molto presente negli ultimi tempi, delegando la maggior parte del lavoro ad Aggra mentre lui si occupava di ciò che c'era da fare al Maelstrom insieme agli altri sciamani per ripristinare l'ordine degli elementi su Azeroth dopo la morte di Deathwing. Era stata una sua grave mancanza, ne era consapevole; tuttavia, il lavoro con il Circolo della Terra doveva pur proseguire.
In quel momento rimpiangeva la scelta più che mai.
«Scusami, non volevo spaventarti...» borbottò al bambino, sorridendogli nella speranza di placare il suo animo. Purtroppo non ci riuscì, almeno non al primo tentativo.
«Go’el…?» si sentì chiamare l’Orco all’improvviso. Era una voce profonda ed inequivocabilmente maschile. Il tono era pacato.
Il diretto interessato si girò per vedere chi stava attirando la sua attenzione e si trovò di fronte a Muln Earthfury. Il Tauren lo guardava con espressione buona e quasi compassionevole.
Go’el si sentì a disagio nel farsi vedere con suo figlio che piangeva tra le sue braccia. Sperava che non pensasse che non era in grado di fare il padre.
«Sì...? È successo qualcosa?» domandò l’Orco, senza riuscire a nascondere una nota di apprensione nella voce, che gli tremava anche leggermente.
«No, non sono qui per questo» Muln scosse piano il grande capo sormontato da un bel paio di corna «Sono venuto a darti un consiglio…».
«Oh… riguardo a cosa?» un barlume di speranza trapelò dalla voce di Go’el. Forse sapeva qualcosa in merito a come rapportarsi coi neonati?
«Penso che dovresti tornare alla capanna con tuo figlio...» disse semplicemente il Tauren.
«Come? Perché?» chiese Go’el, spaesato. Intanto stava ancora cullando Durak, il quale sembrava stare lentamente stancandosi di strepitare.
«Il luogo dei rituali del Circolo non è un posto molto sicuro per un bambino… inoltre non potresti concentrarti come si deve sulla comunione con gli elementi se devi badare alle esigenze del piccolo, che sono prioritarie» gli spiegò l’anziano sciamano, senza abbandonare il suo tono pacato.
L’espressione di Go’el si fece improvvisamente più mesta. Abbassò il capo con fare rassegnato e annuì.
«Capisco… immagino che abbiate ragione» disse. In effetti a ben pensarci era vero: i rituali degli sciamani si compivano sul ciglio del Maelstrom. Un passo falso sarebbe bastato a far scivolare lui è suo figlio giù nel vortice che collegava Azeroth al piano elementale di Rocciafonda.
Si chiese perché non ci avesse pensato prima e si diede dello stupido in silenzio mentre faceva dietrofront per tornarsene alla capanna.
«Chiamatemi per qualsiasi problema, d’accordo?» disse a Muln prima di incamminarsi.
«Certamente, se si presenterà la necessità» rispose il Tauren.
A quel punto l’Orco se ne tornò alla capanna. Non incrociò più nessuno lungo la strada, probabilmente perché erano tutti impegnati con gli elementi.
Durak si era zittito e adesso riposava placido tra le braccia di suo padre, un vero sollievo per quest’ultimo.
«Aggra se ne è andata solo da poco e già ho rischiato di combinare un guaio...» ponderò Go’el tra sé e sé, affranto «Devo stare più attento».
Arrivato alla capanna, il gorgogliare del suo stomaco si fece prepotentemente largo nel silenzio della sua dimora, minacciando di risvegliare Durak.
Go’el cercò di soffocare il rumore riparandosi con un braccio l’addome e per fortuna funzionò: suo figlio continuò a dormire contro il suo pettorale.
Non si sarebbe mai immaginato che la colazione fatta assieme a sua moglie un’oretta prima della sua partenza fosse stata in realtà piuttosto scarsa. In un primo momento gli era parso di aver mangiato a sufficienza per arrivare fino al pranzo.
«Probabilmente star dietro a Durak mi è più faticoso di quanto sembri» rifletté mentre si dirigeva verso la zona in cui si trovava la cucina.
Nella parete di pietra avevano scavato una specie di scaffalatura per riporre i cibi di uso più immediato, tra cui spezie, verdure, carne e pesce, ovviamente tutto messo in maniera tale da evitare che andassero a male. Sul pavimento c’era un piccolo cerchio di rocce attorno ad una conca per ospitare il fuoco e sui lati, posizionate verticalmente, si trovavano due aste di metallo sottili per sorreggere lo spiedo.
Go’el depose suo figlio nella tasca sul ventre per poter avere entrambe le mani libere per preparare il cibo. Prese un trancio di carne non troppo grosso dalla dispensa e lo infilzò sullo spiedo, quindi sistemò la legna nell’apposito spazio ed accese il fuoco.
Solo allora si ricordò che la carne andava salata prima di essere messa a cuocere e cercò di togliere lo spiedo ma senza successo: appena toccò il metallo si bruciò le dita.
«Ahi!» ringhiò a mezza voce, tirando subito via la mano e digrignando i denti. Si morse le labbra subito dopo, affrettandosi a controllare che Durak non si fosse svegliato con la confusione che aveva fatto. Per sua fortuna il piccolo sembrava dormire ancora profondamente; così riprovò a rimediare alla sua mancanza senza provare a sfilare lo spiedo dal suo alloggiamento. Semplicemente, prese del sale dal contenitore e lo lasciò cadere sul trancio di carne che rosolava sul fuoco. Una parte cadde inevitabilmente sul falò, che guizzò ruggendo in maniera preoccupante. Go’el si allontanò per evitare di scottarsi di nuovo, quindi andò a prendere altre spezie dal solito scaffale e tornò allo spiedo. Fece esattamente come prima: buttò una manciata di varie spezie sulla carne e poi iniziò a girarla utilizzando l’apposita manovella per evitare che cuocesse su un solo lato.
Non aveva idea di quanto dovesse rimanere lì perché arrivasse al livello di cottura che piaceva a lui. Non aveva mai prestato molta attenzione ad Aggra mentre preparava il cibo e adesso più che mai se ne pentiva, specialmente perché era abituato a mangiare carne molto ben cotta fino in profondità ma non carbonizzata.
Mantenne lo spiedo in movimento, sperando di riuscire ad accorgersi dalla colorazione esterna del trancio di carne del grado di cottura raggiunto anche dalle parti più interne, ma la verità era che non aveva realmente idea di come regolarsi.
Il suo stomaco brontolò di nuovo e stavolta Durak si girò nel sonno, appoggiando la piccola fronte calva contro il petto di Go’el, ma senza svegliarsi. Forse gli Antenati cominciavano a seguirlo con un occhio di riguardo.
In breve la capanna fu piena del fragrante odore della carne in fase di cottura. Nonostante la barbara aggiunta di spezie, dall’aroma sembrava che ciò non avesse pregiudicato la qualità del risultato e l’Orco fu compiaciuto da ciò. Forse sarebbe riuscito a imparare a prepararsi il cibo da solo, smentendo così l’idea che Aggra si era fatta di lui come di un Orco “viziato” e incapace di provvedere ai suoi bisogni essenziali senza un aiuto esterno.
L’odore di cibo fece infine svegliare Durak. Il piccolo iniziò ad agitare i pugnetti e picchiettarli contro il corpo del padre - verso cui era rivolto - mentre si attaccava con la bocca al suo pettorale, mordendolo. La “vittima” dell’aggressione scattò in piedi ruggendo di dolore per la foga con cui suo figlio stava cercando di avere latte che lui non avrebbe mai potuto dargli, non come sua madre almeno.
E la sua reazione ancora una volta fece scoppiare in lacrime il pargolo, che almeno per strepitare aveva staccato da lui la bocca.
«Buono, Durak… non piangere, ora ti do il latte anche a te...» esclamò il padre, affrettandosi a toglierlo dalla “tasca” sul petto prima che ritentasse di succhiargli il capezzolo.
Si alzò con il figlio in braccio e andò a depositarlo nella sua culla nell’altra stanza, quindi tornò per occuparsi del latte. Aggra aveva lasciato tutto l’occorrente in ordine in bella vista in cucina, per cui lo sciamano si preoccupò immediatamente di riscaldare il latte fino a renderlo tiepido e poi metterlo in uno dei biberon puliti allineati in un angolo. Sua moglie aveva provveduto a comperarne alcuni e pulirli con dovizia prima di partire.
Durak continuava a gridare e piangere a volume perfettamente udibile in tutta la capanna. A quel punto Go’el non poté che dare priorità assoluta al nutrire suo figlio. Non poteva lasciarlo a piangere nella culla in quella maniera, altrimenti in poco tempo tutto il Circolo della Terra sarebbe andato da lui a vedere che tutto fosse a posto.
Corse dal piccolo e lo riprese tra le braccia, quindi gli portò il biberon alla bocca.
«Ecco, ecco… ora arriva il latte...» disse cercando di acquietarlo.
Contro ogni logica previsione, Durak si rifiutò di aprire la bocca alla tettarella del biberon. Coi pugnetti cercò di allontanare il flacone e ruotò il capo continuando a piangere.
Go’el si sentì cadere il mondo addosso.
«Cosa c’è, Durak? Su bevi… è latte, proprio come quello della mamma…!» disse l’Orco, tentando di farglielo bere comunque.
Durak si ostinò a rifiutare la tettarella e piangere, al che suo padre pensò che forse non era la fame il motivo di quella scenata. Posò da parte il biberon e lo strinse a sé per controllare che non avesse invece bisogno di farsi cambiare il pannolino.
A quel punto lo sentì di nuovo mordergli il pettorale nudo dall’apertura della sua tunica e si affrettò a staccarlo nuovamente.
«Allora davvero hai fame! Attaccati al biberon e non a me...!» gemette frustrato l’Orco, riprovando a fargli bere il latte dal biberon, fallendo di nuovo miseramente.
Stava ancora combattendo contro i capricci di suo figlio quando Go’el percepì distintamente l’acre odore di carne bruciata.
Sgranò gli occhi e masticò un’imprecazione a bassa voce mentre deponeva di nuovo Durak alla velocità della luce nella culla per tornare ad occuparsi del suo pasto. Si era completamente dimenticato di quello, troppo occupato a cercare di far mangiare il piccolo.
Quando arrivò dinanzi al falò si ritrovò di fronte ad un pezzo di carne che nella metà inferiore esternamente era annerito, ovviamente per la prolungata esposizione al fuoco sottostante senza essere girata opportunamente. Dopo pochi secondi il fuoco si diffuse alla carne, che cominciò ad incendiarsi a partire dal punto di contatto.
«Ehi! Sta prendendo fuoco!» sbraitò una ruvida voce maschile alle sue spalle, risvegliando Go’el dalla specie di trance in cui era temporaneamente caduto alla vista del dramma che si stava consumando nella cucina.
Si lanciò improvvisamente verso la carne, prendendo lo spiedo dal lato in cui non era incastrato nell’alloggio per collegarsi con la manovella e lo sollevò per rovesciarlo subito a terra. Si bruciò le mani nel farlo ma non poteva esimersi, altrimenti la situazione sarebbe potuta peggiorare ulteriormente.
Arretrò di qualche passo mentre cercava con lo sguardo qualcosa con cui spegnere il principio di incendio sulla carne ma non ce ne fu bisogno: l’ospite misterioso intervenne lanciando un getto d’acqua sull’origine del fuoco.
Go’el rimase a fissare il suo spuntino ormai irrimediabilmente rovinato con cipiglio sconfortato. Non immaginava che potesse succedere una cosa del genere solo per pochi minuti di distrazione.
«Ehi, tutto bene? Non hai visto che stava bruciando?» disse l’ospite, avvicinandosi a poggiare una mano sulla spalla di Go’el.
Quest’ultimo si girò verso di lui, incrociando così il viso di Rehgar Earthfury, parzialmente oscurato dal suo grosso e inconfondibile copricapo a forma di testa di lupo.
«Ero col bambino… ma tu che ci fai qui?» domandò il padrone di casa, passando da un tono pensieroso ad uno più accusatorio.
Rehgar rimase impassibile alla sua domanda e senza alcuna esitazione replicò: «Mi stavo dirigendo verso il luogo dei rituali quando ho sentito odore di cibo bruciato passando di qui… e mi sono avvicinato per vedere cosa stesse succedendo e se c’era bisogno di me».
Go’el sbatté le palpebre perplesso per la schietta spiegazione fornita dall’amico.
«Be’... comunque grazie...» disse semplicemente, non sapendo che altro aggiungere.
Al contrario, il suo collega pareva sapere esattamente cosa dire: «Ora capisco perché era sempre Aggra a preparare il cibo… con lei c’era sempre un gradevole aroma di carne al sangue qui intorno...».
Lo sguardo del padrone di casa si fece di colpo più cupo e minaccioso.
«Puoi anche andartene ora» rispose quasi ringhiando.
In quel momento Durak riprese a strillare dall’altra stanza, costringendo Go’el a tornare subito da lui lasciando Rehgar in cucina. Quest’ultimo non rimase lì a lungo, preferendo di gran lunga il pianto disperato di un neonato all’acre odore di carne carbonizzata.
Seguì a breve distanza Go’el, raggiungendo con lui la stanza del pargolo e fermandosi appena oltre alla porta. Lo vide intento a cercare di far bere a Durak del latte da un grosso biberon. Il bambino non voleva saperne e continuava a strillare e piangere.
«Sei sicuro che voglia mangiare?» chiese Rehgar in tono quasi scettico.
«Non mi pare che abbia altri problemi più urgenti… e ha cercato di mordermi un capezzolo appena l’ho preso in braccio» spiegò Go’el con voce esasperata «Ma io non sono Aggra! Non può attaccarsi a me e ottenere la stessa cosa… però devo trovare la maniera di farlo mangiare, non posso chiamare Aggra per questo...» aggiunse l’Orco. Era una questione di principio, doveva trovare la maniera di arrangiarsi e dimostrare così alla sua compagna che era in grado di fare il padre anche da solo.
Rehgar scrollò le ampie spalle e si lasciò sfuggire una mezza risata.
«Be’... in realtà Aggra non serve. Basta fargli credere che quello non sia un biberon» ponderò ad alta voce.
Go’el si girò verso di lui e lo guardò aggrottando le sopracciglia. Dall’espressione era chiaro che gli sfuggisse il senso ultimo del suo suggerimento.
Earthfury si produsse in un sogghigno che non prometteva niente di buono. Forse Go’el avrebbe fatto bene a fingere che non avesse detto niente; tuttavia, gli premeva così tanto il bene di suo figlio e si dimostrare la sua autosufficienza a sua moglie che osò domandare: «E come dovrei riuscirci?».
L’altro Orco si strinse nelle spalle rapidamente e con totale nonchalance disse: «Be’, ti metti una tunica di stoffa un po’ più chiusa di quella che indossi ora e la imbottisci».
Con le mani mimò un paio di seni grossi e tondi e Go’el trasalì imbarazzato.
«Cosa?! Non ci penso nemmeno!» sbottò al colmo dell’indignazione, cercando di nascondere come meglio poteva il suo disagio al solo pensare ad una cosa del genere.
«Perché no? Così puoi mettere il biberon nell’imbottitura e fingere che il latte esca da lì!» obiettò Rehgar «O vuoi che Durak continui a fare così?» chiese, accennando al piccolo Orco che ancora strepitava a pieni polmoni. Era davvero resistente, non c’era che dire.
Go’el non avrebbe mai voluto fare una cosa simile, però era anche vero che Durak non sembrava intenzionato a placarsi e lui non aveva valide alternative per far sì che bevesse il latte. In aggiunta a questo, il fatto che avesse già cercato due volte di attaccarsi al suo petto gli dava un chiaro segnale circa ciò che il piccolo desiderava.
Con un enorme sforzo da parte sua, Go’el emise un sospiro rassegnato e rispose: «D’accordo! Lo farò! Spero solo che funzioni...».
Rehgar accennò un sorrisetto compiaciuto è divertito e annuì.
«… ma tu dovrai aiutarmi a farlo!» sbottò irritato il diretto interessato, al che l’amico sollevò le braccia come per arrendersi.
«Certo! Non era mia intenzione lasciarti a farlo da solo!» si difese prontamente, sperando che l’improvviso picco d’ira dell’altro scemasse.
La sua tattica parve funzionare, almeno a giudicare dallo sguardo rabbonito che l’Orco gli rivolse. A quel punto non poteva più tirarsi indietro.
«Allora? Andiamo a cercarti un vestito più adatto?» chiese.
Go’el sollevò lo sguardo con aria vagamente esasperata.
«Tu rimani qui. Io vado a cercare una tunica» replicò. Non avrebbe mai permesso a Rehgar di entrare nella camera da letto che divideva con Aggra, per nessuna ragione al mondo.
Ciò detto fece dietrofront e se ne andò velocemente, prima che l’altro potesse protestare: «Aspetta! Io non so fare il baby-sitter!».
La sua obiezione andò a vuoto e Earthfury si ritrovò tutto solo in compagnia del piccolo Durak, che ancora piangeva.
Quella era l’ultima delle situazioni in cui avrebbe immaginato di cacciarsi quando aveva deciso di intervenire. Tutto ciò che aveva sperato era di riuscire a strappare un pasto gratuito a Go’el come ringraziamento per aver salvato dall’incendio la sua cucina. In realtà non aveva mai avuto a che fare con i bambini, per cui non aveva la più pallida idea di come interagire col neonato che protestava affamato a pochi metri da lui.
Immaginava di dover cercare di placarlo. Si avvicinò pian piano, come se temesse di spaventarlo con la sua sola presenza. Si chinò sulla culla e prese il piccolo tra le braccia, sollevandolo in aria senza avvicinarlo a sé.
«Non piangere più, su… Thrall tornerà tra poco» disse, cercando di non gridare per non spaventare ulteriormente quello scricciolo dall’incarnato marrone. Non riusciva a credere che un tempo era stato così piccolo, indifeso e chiassoso persino lui.
Lo mosse leggermente, su e giù, cercando di farlo divertire, ma non riusciva a tranquillizzarlo. Lo avvicinò allora a sé, tenendolo in braccio contro il suo torace e cullandolo goffamente. Solo a quel punto Durak ebbe una reazione che fece cessare le sue proteste: aprì la bocca e diede un vigoroso morso al pettorale di Rehgar, proprio in corrispondenza dell’areola, quindi iniziò a succhiare forte.
Rehgar cacciò un ridicolo grido di dolore e sorpresa mentre immediatamente cercava di allontanare dal suo petto il figlio di Thrall, senza tuttavia esagerare per non fargli male. I suoi tentativi risultarono vani: Durak pareva perfettamente in grado di rimanere attaccato a lui nonostante non avesse ancora una vera e propria dentatura.
L’unica cosa che gli rimaneva da fare - oltre ad esercitare più forza, l’ultima spiaggia cui non voleva arrivare - era chiamare aiuto.
«Thrall! Thrall! Mi sta mordendo!» sbraitò con quanto fiato aveva in gola, sperando che le pareti della capanna non fossero tanto spesse da impedirgli di udire il suo richiamo.
I frettolosi passi pesanti di Go’el si fecero udire immediatamente e in men che non si dica apparve di nuovo nel vano della stanza. Non indossava più la sua solita tunica bianca ma un’altra che Rehgar non gli aveva mai visto prima d’allora indosso. Sembrava piuttosto aderente e anche scomoda, almeno a giudicare da come l’Orco gli venne incontro limitando le altrimenti lunghe falcate. Il tessuto da cui era stata ricavata aveva il tipico colore marrone della pelliccia folta dei Mammuceronti di Draenor ma somigliava in tutto e per tutto a pelle in quanto ad aspetto e consistenza. La gonna arrivava fino al suolo ed era costituita da una stoffa nera che pareva più leggera dell’altra. Piccoli frammenti di ossa arcuate erano fissati con un cordoncino in corrispondenza dei polpacci e delle cosce. La metà superiore del torace era fatto di tessuto azzurro, teso al massimo sul largo petto muscoloso di Thrall. Attorno al collo erano fissate con alcuni passanti due pietre curve che scintillavano di verde.
Vedendo il figlioletto attaccato al capezzolo di Rehgar, Go’el marciò verso di lui esclamando: «Durak! Smetti, non si fa!».
Prese il piccolo e con garbo riuscì a staccarlo dal petto di Rehgar. A quest’ultimo sembrava che avesse fatto esattamente ciò che aveva provato a fare lui e non capiva perché ci fosse riuscito.
«Oh… per gli Antenati! Morde davvero forte!» commentò sorpreso Earthfury, massaggiandosi il capezzolo dolorante mentre il piccolo riprendeva a piangere.
«Va bene, va bene! Puoi lamentarti dopo, adesso aiutami a dargli da mangiare!» esclamò Go’el in tono irritato mentre rimetteva il figlio nella culla.
Rehgar lo tirò via dalla culla e lo fece ruotare per fare le spalle ad essa. Prese uno dei tirapugni che aveva allacciato alla cintura - non era nelle sue intenzioni utilizzarli al momento - e lo mise alla mano destra.
«Spero non sia il vestito buono...» borbottò.
«È vecchio in realtà… non vedi che mi sta stretto?» obiettò Go’el a mezza voce in tono leggermente scettico.
«Bene, allora...» e così dicendo Earthfury incise con la punta della sua arma la stoffa della tunica e la ruppe con un sonoro “strap”.
«Ehi!» gemette Go’el, cercando di allontanare il tirapugni del collega dal suo abito con aria contrariata.
«Lasciami fare. Non vuoi dare da mangiare al piccolo?» lo rimproverò l’altro mentre si toglieva il tirapugni e allargava leggermente con le dita il buco.
«Sì, certo!» sbuffò il padre di Durak, anche se era sempre più evidente il fatto che fosse a disagio.
«Allora devi prendere il biberon e infilartelo nella tunica in modo da far porgere da qui la tettarella» spiegò Rehgar spiccio, andando a prendere l’oggetto e porgendoglielo.
Go’el lo prese fissandolo torvo.
«Come dovrei fare ad infilarlo qui dentro, esattamente? Non c’entro nemmeno io...» sbuffò.
Rehgar emise un verso stizzoso e gli prese il colletto, allargandolo.
«Tipo così?» propose.
Go’el roteò gli occhi verso l’alto con aria vagamente esasperata e rassegnata insieme, quindi procedette. Fece scivolare il biberon all’interno pian piano e lo spinse fino ad adagiarlo contro il suo pettorale. Rehgar lo aiutò a far sì che la tettarella sbucasse correttamente dal buco, quindi si fece da parte e rimase ad osservare in silenzio mentre l’amico si avvicinava alla culla e prendeva il neonato in braccio per l’ennesima volta.
«Ora dovrebbe andarti bene...» mormorò accennando un sorriso tenero, accostando il finto seno alla bocca di Durak «Era questa che cercavi… no?».
Per tutta risposta, il bambino finalmente cessò di piangere per attaccarsi alla tettarella del biberon, dalla quale iniziò a succhiare latte avidamente. Sembrava soddisfatto adesso.
Earthfury gonfiò compiaciuto il petto, sollevando il mento.
«Non serve ringraziarmi. So già di essere un genio» si vantò a mezza voce, per non disturbare la tanto attesa poppata.
Go’el gli scoccò un’occhiata di traverso che voleva essere un ammonimento, almeno in prima istanza, ma che si tramutò rapidamente in un’espressione colma di gratitudine. Non disse o fece altro, dedicando interamente la sua attenzione a Durak, al che Rehgar reputò saggio andarsene e lasciarli soli.
Dopo quel primo “incidente” tra Go’el e Durak, il resto della loro settimana insieme trascorse piuttosto tranquillamente anche se per l’Orco significò svegliarsi spesso e volentieri nella notte per sfamare il piccolo e avere a che fare col cambio dei pannolini più volte di quante ne gradisse.
Ad una settimana esatta dalla sua partenza, Aggra fece silenziosamente ritorno a casa. Entrò nella capanna pian piano intorno all’ora di pranzo e, non avendo visto suo marito fuori insieme agli altri sciamani, dedusse senza alcuna difficoltà che si trovava con il figlio. Andò dritta verso la stanza di Durak, fermandosi sulla soglia nel vedere suo marito in piedi rivolto verso la culla.
Indossava una tunica che non era quella solita bianca e smanicata bensì una che non metteva più da tempo. Ricordava che ad un certo punto lui si fosse lamentato del fatto che non gli andava più bene come una volta, per cui non capiva perché l’avesse rimessa.
«Go’el? Amore sono tornata...» esclamò Aggra dalla soglia, decidendo di ignorare il suo strano abbigliamento.
Sentendosi chiamare, l’Orco si girò verso di lei e le sorrise, palesemente felice di vederla. L’attenzione dell’Orchessa però venne immediatamente catalizzata dalla scena che si trovò dinanzi nel suo complesso: Durak era trattenuto da un grosso braccio di Go’el contro il suo petto e stava succhiando qualcosa dalla tunica.
«Cuore mio, che gioia rivederti. Il rituale è andato bene, spero...» rispose con naturalezza l’Orco, come se fosse una cosa completamente normale il fatto che Durak stesse così attaccato in corrispondenza del suo capezzolo.
Aggra si fece avanti, aggrottando le sopracciglia.
«Sì, è andato tutto bene… ma tu cosa stai facendo con nostro figlio?» disse in un tono che manifestava sempre di più il suo scetticismo.
Go’el abbassò rapidamente lo sguardo verso il neonato e poi lo riportò sulla sua compagna.
«Ah, questo dici… ecco, Durak si rifiutava di bere il latte dal biberon… e ho dovuto improvvisare. Rehgar mi ha suggerito questa soluzione e sembra funzionare, non ha più protestato per bere il latte» spiegò l’Orco, stringendosi appena nelle spalle.
Aggra aprì la bocca un paio di volte e la richiuse senza riuscire a dire nulla, poi finalmente sembrò trovare di nuovo la voce o le parole: «Hai messo il biberon nella tunica e l’hai bucata per fargli credere che fosse un seno appositamente per Durak?».
Go’el assunse un cipiglio imbarazzato.
«Detto così sembra quasi una cosa perversa… però sì» esclamò, annuendo appena con il capo.
Immaginò che Aggra si sarebbe arrabbiata con lui vedendo la sua espressione, invece si sorprese quando gli si avvicinò e si allungò senza esitazione alcuna verso il suo viso per baciarlo.
Scoprì solo allora quanto il contatto con sua moglie gli era mancato in quella settimana di lontananza e si trovò più desideroso che mai di riprendere familiarità con il suo corpo.
«Che bravo padre che sei» commentò Aggra con un sorriso quando si separò dalle labbra di suo marito «Il nostro piccolo Durak è fortunato».
Go’el si prese qualche momento per crogiolarsi nell’autocompiacimento per il complimento appena ricevuto.
«Anche tu sei una madre esemplare» disse, sorridendo a sua volta alla sua compagna.
«Vado a farmi un bagno, il viaggio è stato lungo e stancante...» disse improvvisamente Aggra, facendo un paio di passi indietro pian piano «Quando hai messo a dormire Durak potresti raggiungermi…» aggiunse a voce un poco più bassa. Era ovvio che avesse in mente ben altro che non un semplicissimo bagno.
Go’el si sentì di nuovo vivo per un momento mentre una scarica di adrenalina e desiderio lo pervadeva al pensiero di ciò che avrebbero potuto fare nella vasca da bagno insieme.
«S-sì, certo… in effetti ho anche io bisogno di un bel bagno caldo...» disse con fare un po’ impacciato.
«Ti aspetto» replicò sua moglie, ammiccandogli dalla porta prima di andarsene.
L’Orco emise un sospiro, profondamente grato a Rehgar per la bella figura che gli aveva fatto fare dinanzi alla sua compagna.
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