fiamma_drakon: (Default)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2019-02-18 06:55 pm

Nuovi arrivi in famiglia

Titolo: Nuovi arrivi in famiglia
Rating: Verde
Genere: Fluff, Gen, Slice of Life
Personaggi: Elathriel Sunstriker, Peone
Wordcount: 6440 (wordcounter)
Prompt: Fantasy per il team Ahm-Gi per la Missione 1 della Settimana 2 del COW-T #9 @ Lande Di Fandom
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Battle for Azeroth".
Note: Het
«Signora?! A me?! Villano e pervertito!» esclamò. Stava per colpire l’Orco con un incantesimo di ghiaccio quando un’altra Elfa del Sangue si intromise, facendosi largo tra gli spettatori e gettandosi in ginocchio vicino al Peone, coprendolo con la sua esile figura.
«Ferma! Non osare far del male a mio marito!» intimò.
L’Orco sorrise sotto la mano che ancora gli copriva la faccia ed esclamò in tono grato: «Elathriel! Io felice vedere te!».
«Non ti intromettere! Mi ha afferrato la caviglia sotto il tavolo! È strisciato e ha messo mano sotto la mia tunica! Deve essere punito!».


Il porto di Dazar’alor era immenso. La banchina era larga abbastanza da permettere l’attracco di molte navi piuttosto grandi, il che significava che la manodopera addetta al carico e allo scarico merci aveva molti metri da percorrere ogni giorno per svolgere il proprio ingrato lavoro.
I Peoni erano quanto di più basso esistesse nella gerarchia sociale degli Orchi e costituivano la quasi totalità della manovalanza che l'Orda impiegava per le proprie operazioni di approvvigionamento dalle grandi capitali di Kalimdor. I Peoni erano stupidi ma fisicamente prestanti e quella era l'unica differenza tra loro e i Grunt. I loro muscoli e la loro completa mancanza di capacità di ragionare in maniera indipendente li rendeva perfetti per gli incarichi più umili e più faticosi.
Come una marea verde, sciamavano tra le fila di Grunt che si preparavano a partire per assediare l'Altopiano d'Arathi - attualmente in mano alle truppe dell'Alleanza - portando scatole cariche di armi, cibo e altre provviste di vario tipo. I soldati Orchi li osservavano e li deridevano per il loro destino così misero, contenti che non fossero loro a doversi gravare di incarichi così poco onorevoli.
Per i Peoni la guerra significava solo lavoro in più per loro rispetto alla norma. Non c'era niente di grandioso, non li attendeva nessuna gloriosa ed onorevole morte sul campo di battaglia. Sgobbavano sotto il sole cocente giorno dopo giorno, trasportando scatole più o meno grandi contenenti le più disparate risorse necessarie alla campagna contro l'Alleanza e nulla più.
L’ennesima giornata di duro lavoro si era appena conclusa e i Peoni stavano ritornando nei loro alloggi: le locande di Dazar’alor che si trovavano sulle terrazze ai livelli inferiori della capitale erano state messe a piena disposizione dei membri dell’Orda e i locandieri erano ben felici di ospitare così tanti clienti disposti a mangiare e pagare senza porsi molti limiti.
Fortunatamente tra gli "investimenti" della campagna presso Zandalar erano stati conteggiati anche i costi di mantenimento della manovalanza, che non erano certo da sottovalutare: dopo una giornata di estenuante lavoro, i Peoni non vedevano l’ora di rifocillarsi e tutti nell'Orda erano consapevoli - per esperienza più o meno diretta - di quanto era in grado di ingurgitare un Orco medio affamato, indipendentemente dal ruolo che svolgeva.
In mezzo ai diversi gruppetti di Peoni che ridevano e schiamazzavano riguardo la cena imminente, un Peone apparentemente identico a tutti gli altri non pareva nutrire lo stesso entusiasmo e la stessa fretta dei colleghi nel dirigersi presso la locanda più vicina.
L'Orco in questione si distaccò dalla massa verde e rossa in lento movimento sulle scalinate inferiori di Dazar’alor per dirigersi verso la Terrazza degli Oratori, dove i Troll di tribù diverse da quella Zandalari - alcune persino ritenute estinte o quasi nel resto di Azeroth - erano ospitati e venivano considerati alla stregua di ambasciatori.
Gli occhi di molti di quei Troll si focalizzarono immediatamente sulla massiccia e ingobbita figura del Peone solitario, il quale accelerò il passo tempestivamente con aria spaventata. Era evidente che non fosse una strada che amava percorrere, eppure ciò non lo dissuase dal proseguire, imboccando la successiva rampa di scale.
Come tutti gli altri Peoni, anche lui era avvezzo agli sforzi fisici e il suo corpo muscoloso - molto del quale era possibile osservare a causa delle braghe corte e della canotta che indossava a mo' di uniforme - la diceva lunga in merito a ciò che era in grado di fare e di sopportare; tuttavia, nella sua condizione attuale, ogni nuova rampa di scale sembrava logorarlo e sfinirlo sempre di più.
Già la successiva scalinata iniziò a farlo rantolare sensibilmente e il fatto che la sua destinazione finale fosse distante da lui ancora un'infinità di gradini non lo rallegrava affatto.
Sulla cima, la scala centrale si divideva in due strade simmetriche che abbracciavano la cima centrale dell'immensa struttura piramidale che costituiva il fulcro di Dazar'alor. L'Orco percorse quella alla sua sinistra, che proseguiva con un ponticello ed un corridoio che conducevano ai piedi di un'altra lunghissima scalinata. Questa aveva i gradini più alti e ripidi rispetto alle precedenti, per cui fece un poco più di fatica ad inerpicarsi fino all'altra estremità.
Il Peone si fermò ansimando piuttosto forte sul piano a metà della salita, sul quale erano stati costruiti due altari a due delle divinità che i Troll da sempre veneravano, i Loa. Nello specifico, quelli erano stati dedicati a Gonk - il Loa della Caccia - e a Bwonsamdi - il Loa della Morte.
Al Peone non piaceva passare vicino agli altari dei Loa. Percepiva uno strano disagio interiore ogni volta che si avvicinava ad uno di essi, come se non fosse ben accetto da qualsiasi cosa vi risiedesse o l'altare impersonasse; per questo solitamente tendeva a non sostare vicino ad essi.
In quel caso era stato purtroppo costretto dalla stanchezza. Se non si fermava un momento a riprender fiato, dubitava fortemente di essere in grado di arrivare fino alla Terrazza degli Artigiani senza stramazzare a terra.
«Io può fare» mormorò a se stesso, annuendo convinto mentre fissava la cupola di foglie degli enormi alberi che circondavano la capitale Troll e che erano chiaramente visibili dalle strade periferiche di Dazar'alor, soprattutto a quell'altezza.
Rimase appoggiato con l'ampia schiena alla parete gelida di pietra alle sue spalle, continuando ad ansimare piano mentre cercava di riprendere velocemente fiato. Ogni tanto scoccava un'occhiata ansiosa all'altare di Gonk, il più vicino a lui, mentre l'ormai familiare sensazione di disagio lo assaliva di nuovo. Il suo desiderio di essere già alla locanda del Gran Sigillo era enorme in quel momento ma purtroppo era solo un Peone e non aveva pertanto diritto nemmeno ad avere una insignificante e comunissima Pietra del Ritorno per evitare di dover ripercorrere tutti i giorni quella faticosa strada almeno due volte al giorno.
Dopo una breve pausa che a lui parve lunga un'eternità, l'Orco si mosse per superare lesto i due altari e riprendere la sua ascesa.
Aveva appena messo piede sul primo gradino della scala successiva quando qualcosa affondò i denti nella sua caviglia nuda.
L'Orco cacciò un grido di terrore misto a sorpresa e finì in ginocchio sulle scale dinanzi a sé. I piccoli denti affilati che erano affondati nella sua carne lo spinsero sull'orlo delle lacrime. Rapido, si volse per sedersi e cominciò ad agitare la gamba, cercando di liberarsi dalla fonte di dolore. Le torce appese alla parete sopra di lui rivelarono una piccola figura aggrappata saldamente alla sua caviglia che cominciò ad emettere degli stridii mentre lui tentava di liberarsi. Ci volle un po' ma alla fine la minuscola e aggressiva creatura lasciò la presa. Il Peone la vide tracciare un arco nell'aria e atterrare nel cono di luce formato da una delle fiaccole dell'altare di Bwonsamdi.
Accasciato sulla pietra c'era un piccolissimo Raptor. Il muso era più grosso del resto del suo corpo e intorno alla bocca aveva del sangue, probabilmente appartenente a quella che avrebbe dovuto essere la sua vittima. Il particolare che attirò l'attenzione del Peone fu l'assenza di decorazioni sul suo corpicino.
Lavorando a stretto contatto con gli Zandalari negli ultimi mesi aveva avuto modo di vedere che tutte le loro bestie da soma erano dotate di selle, maschere e briglie finemente lavorate e decorate in oro. Quel cucciolo non aveva niente di tutto ciò; anzi, a vederlo sotto la luce diretta al Peone parve addirittura che la colorazione delle sue scaglie fosse un po' smorta.
L'Orco rimase seduto sul gradino per qualche istante, ancora spaventato e dolorante, ma anziché preoccuparsi della sua caviglia ferita - che ora cominciava a macchiare di sangue la pietra - stava guardando il Raptor disteso prono sul pavimento.
«Bestiolina?» chiamò sommessamente e con voce preoccupata. Aveva visto come gli Zandalari veneravano i Raptor che tenevano con loro come cavalcature e come compagni e il pensiero che qualche guardia potesse passare di lì e trovare il corpicino del Raptor morto vicino a lui lo fece tremare di rinnovata paura.
Non voleva attirare su di sé l'ira degli Zandalari. Era stato convocato insieme agli altri Peoni di stanza a Durotar per contribuire agli approvvigionamenti per lo sforzo bellico ed era ben lungi da lui l'intenzione di mettersi nei guai. Era un Orco sposato dopotutto e non avrebbe mai voluto lasciare prematuramente vedova la sua avvenente moglie per colpa di uno stupido incidente.
Ignorando il dolore alla caviglia più per disperazione che altro, il Peone si precipitò al capezzale del piccolo Raptor. Con tutta la delicatezza di cui erano capaci le sue grandi mani callose, raccolse il corpo - che era talmente piccolo da entrare nel palmo della sua mano - e lo scosse leggermente.
«Bestiolina viva, sì? Io dispiace avere volato via...» esclamò, come se la creaturina fosse in grado di comprenderlo e di rispondergli «Bestiolina no muore, io no volere morta. Io chiede scusa...».
Con l'indice dell'altra mano toccò il grosso muso dell'animaletto e lo ruotò di lato prima da una parte e poi dall'altra, cercando di farlo risvegliare. Non aveva mai interagito coi Raptor nemmeno nelle Savane, per cui non aveva idea di come fare per sapere se uno di loro era in salute o meno - o peggio, stabilire se era morto.
Per sua fortuna non dovette sforzarsi più di tanto: il cucciolo aprì improvvisamente i suoi enormi occhi da rettile e morse l'invitante polpastrello che si trovava ad un soffio dalle sue fauci.
L'Orco cacciò un altro grido di dolore ma stavolta anziché scuotere violentemente l'appendice lesa si limitò a lacrimare sforzandosi di soffocare ulteriori lamenti. Avvicinò la mano alla faccia ed esclamò con voce forzatamente controllata: «Io... felice tu vivo. Piccolo Raptor fa preoccupare me».
La creaturina inchiodò un occhietto vivace negli occhi del grosso ammasso di carne verde che aveva azzannato. In quel preciso istante il Peone percepì un'emozione dirompente sbocciare nel profondo del suo animo, un sentimento di compassione e di affetto così intenso da non riuscire a descriverlo.
Non era come l'amore che provava verso sua moglie Elathriel. In realtà non aveva mai sperimentato una cosa del genere. Tutto ciò di cui gli importava adesso era che quel cucciolo di Raptor fosse messo al sicuro.
Non aveva più paura di lui o timore che potesse smembrarlo un pezzo dopo l'altro con quei suoi dentini affilati come rasoi.
«Io porta bestiolina da Elathriel. Io scommette tu ha tanta fame...» mormorò, agitando leggermente il dito cui il Raptor era ancora appeso.
Dal suo polpastrello spillava sangue in maniera copiosa ma il dolore si era fatto quasi sordo, attenuato dall'impeto di tenerezza che il Peone stava sperimentando in quel frangente.
L'Orco si premurò di accostare le mani al petto e di metterle in maniera tale da evitare che il cucciolo cadesse qualora si fosse staccato dalla sua mano, quindi riprese la sua scalata verso la vetta della città.
Terminata la gradinata, il Peone si ritrovò all'estremità meridionale della Terrazza degli Artigiani, il cuore pulsante della produzione della capitale Zandalari. Da qui arrivava la maggior parte delle merci che era costretto a caricare sui mercantili dell'Orda tutti i giorni.
Le fiaccole posizionate lungo le mura esterne della terrazza gettavano la loro tremula luce giallo-arancio sull'ampio spiazzo in cui gli artigiani Troll ancora si affaccendavano per ultimare le produzioni della giornata.
Il Peone cominciò ad avanzare lentamente verso la fucina a cielo aperto situata alla sua destra, al di sotto della parete che delimitava l’ennesima terrazza e oltre la quale si trovava… un’altra scalinata.
Odiava fortemente Dazar’alor per l’immensa quantità di scale da percorrere per spostarsi tra le varie parti della città. Era molto più a suo agio in piccoli insediamenti come quello di Tranciacolle, dove tutti gli edifici importanti erano concentrati in una zona ristretta e facilmente accessibile.
Il cucciolo di Raptor era ancora aggrappato saldamente al suo indice. Doveva ammettere che aveva una forza notevole nelle mascelle oppure una fame tale da non essere minimamente scoraggiato dal fatto che il suo presunto “pasto” lo stesse portando in giro come se niente fosse.
L’Orco si fermò un momento ai piedi della scala e guardò verso l’alto con un sospiro rassegnato e stanco, posando gli occhi sulla luce che fuoriusciva dalla porta perennemente aperta del Gran Sigillo.
Non era molto lontano. Se avesse potuto utilizzare una cavalcatura volante o noleggiare un passaggio presso i Maestri di Volo sparsi per Dazar’alor, sarebbe stato ad un passo dalla sua destinazione.
Tutto ciò che gli mancava erano altre sei gradinate.
«Io odia città piena di scalini» sospirò il Peone a bassa voce, rivolgendosi alla bestiolina. Sperava che il grosso Troll che stava lavorando alla fucina non avesse un udito fine nonostante le sue grosse e lunghe orecchie.
«Io spera Elathriel finisce zugzug presto… noi fame» disse, prima di iniziare l’ascesa finale.
Come era prevedibile, fu una fatica non indifferente; tuttavia, la prospettiva di rivedere sua moglie dopo tutte le ore che aveva passato lontano da lei gli diede forza di volontà sufficiente a farlo arrivare, sfinito e ansante, fino in cima.
I Reietti e i Troll di guardia lo guardarono inerpicarsi quasi strisciando sulla sommità dell’ultima scala, il viso paonazzo e il torace che si gonfiava e si svuotava d’aria in fretta e rumorosamente.
Grato di essere riuscito ad arrivare fino lassù anche per quel giorno, il Peone si diresse verso l’interno del Gran Sigillo. La sala a quell’ora era piuttosto trafficata: i guerrieri dell’Orda stavano iniziando a convergere verso la locanda per rifocillarsi dopo un’altra giornata di battaglie contro l’Alleanza.
Era nella locanda “Braciami Ancora” che sua moglie Elathriel lavorava, anche se a quell’ora il suo turno doveva essere quasi al termine - per fortuna.
Rinfrancato dal risultato ottenuto giungendo fino a lì, il Peone percorse quasi saltellando l’ultima, insignificante scalinata per arrivare nella sala principale del “Braciami Ancora”.
Com’era prevedibile, i tavoli erano già quasi tutti pieni e i responsabili del posto avevano il loro da fare tra prendere ordinazioni, preparare i piatti e consegnarli ai clienti. L’odore di cibo saturava l’aria e quando il Peone varcò la soglia ne fu investito come se fosse qualcosa di fisico. Il suo stomaco protestò rumorosamente, desideroso di essere riempito; tuttavia, non fu l’unico ad avere una reazione evidente all’aroma: anche il piccolo Raptor aveva percepito il profumo. Emise un verso acuto e stridulo e si staccò immediatamente dal dito dell’Orco per poi scappare lesto in direzione dei tavoli, il tutto sotto lo sguardo attonito del Peone.
«Oh-oh...» mormorò lui, sgranando gli occhi con fare allarmato. Se quel piccolino avesse iniziato a mordere tutti gli ospiti a destra e a manca avrebbe scatenato un putiferio di sicuro e sarebbe stata colpa sua.
Rapido l’Orco si avvicinò ai tavoli e si mise carponi per passare tra di essi e vedere la creaturina, talmente piccola che probabilmente sarebbe finita schiacciata per sbaglio se nessuno ci avesse fatto attenzione.
«Qui bestiolina…! Bestiolina?» chiamò a mezza voce, frugando sotto i vari tavoli.
Per sua fortuna gli avventurieri seduti in attesa della cena erano troppo impegnati a chiacchierare a voce alta per badare al Peone che stava muovendosi sul pavimento. Non erano molti coloro che si prendevano la briga di seguirlo con lo sguardo, chiedendosi cosa diavolo stesse combinando.
I camerieri sembravano passare sempre lontano da lui, motivo per cui non si accorsero nemmeno di cosa stesse accadendo nel locale.
Il Peone era accaldato ed era stanco ma non voleva lasciare il piccolo Raptor a piede libero. Chiedendo scusa a destra e a manca, attraversò buona parte della sala carponi prima di riuscire a vedere la creaturina che si nascondeva sotto la tunica di un’Elfa del Sangue.
Si precipitò verso di lei e infilò senza esitare una mano sotto il suo vestito, afferrandole una caviglia sottile.
La vittima sobbalzò e cacciò un grido acuto d’allarme e di sorpresa, quindi scalciò con violenza. Il Peone fu colto alla sprovvista, tanto che non riuscì ad evitare il colpo, che lo prese in piena faccia. Sbatté la testa contro il piano del tavolo e cadde all’indietro grugnendo e tenendosi con entrambe le mani la faccia.
«I-io dispiace! Io no vuole fare niente!» si difese con voce nasale.
Il fatto catalizzò ovviamente l’attenzione di tutta la locanda. In molti si voltarono in direzione dell’accaduto e chi era troppo lontano si alzò e addirittura si avvicinò.
Sopra il Peone si rese una Sin’dorei indignata e vestita elegantemente. Aveva i capelli rossi e ricci, acconciati perfettamente, e i suoi occhi verdi brillavano d’ira a stento trattenuta.
«Come osa uno stupido e insulso Peone avvicinarsi a me?! Screanzato e maleducato! Cosa stavi cercando di fare, eh?!» esclamò infuriata, sollevando una mano e creando un piccolo globo di ghiaccio sospeso sul palmo aperto.
Il Peone cominciò a fremere e sollevò una mano per fermarla.
«Io perso bestiolina! Io no volere fare zugzug con signora Elfa!» disse precipitosamente.
La Sin’dorei divenne paonazza in viso e le sue labbra sottili si distorsero in una smorfia.
«Signora?! A me?! Villano e pervertito!» esclamò. Stava per colpire l’Orco con un incantesimo di ghiaccio quando un’altra Elfa del Sangue si intromise, facendosi largo tra gli spettatori e gettandosi in ginocchio vicino al Peone, coprendolo con la sua esile figura.
«Ferma! Non osare far del male a mio marito!» intimò.
L’Orco sorrise sotto la mano che ancora gli copriva la faccia ed esclamò in tono grato: «Elathriel! Io felice vedere te!».
«Non ti intromettere! Mi ha afferrato la caviglia sotto il tavolo! È strisciato e ha messo mano sotto la mia tunica! Deve essere punito!».
«Non osare farlo» Elathriel si erse a fronteggiare l’Elfa rabbiosa, lo sguardo duro di chi era deciso a battersi fino in fondo per proteggere chi le stava a cuore.
«Lui è mio marito. Sicuramente avrà avuto una ragione per fare quel che ha fatto» spiegò in tono secco «Quindi non lo toccherai nemmeno con un dito».
La maga digrignò i denti e fece per ribattere ma l’Elfa del Sangue bionda che era seduta al suo fianco si alzò e le posò una mano sulla spalla per trattenerla.
«Non serve punirlo. Ha detto la verità, stava cercando qualcosa...» e così dicendo sollevò la mano libera e ricoperta di uno spesso guanto di maglia. Al suo indice era attaccato un cucciolo di Raptor che sembrava desideroso di penetrare l’armatura con i suoi dentini affilati. Le minuscole zampe si agitavano in aria velocemente, incapaci di trovare un supporto di qualche tipo.
«Bestiolina!» gemette sorpreso e sollevato il Peone, mettendosi improvvisamente seduto e liberando il viso. Dal naso perdeva sangue, non tanto ma comunque c’era un sottile rivolo che gli scendeva da una narice fino al mento.
«Deve essere venuto da me sentendo l’odore della coscia di Devasauro che stavo mangiando» la Sin’dorei bionda di avvicinò all’Orco e gli permise di prendere il cucciolo di rettile «Dovresti nutrirlo. Mi sembra piuttosto deperito e molto affamato» soggiunse pacatamente.
Il Peone accolse tra le mani il Raptor, che tornò a mordicchiargli l’indice.
«Bene, allora lo spettacolo è finito. Potete tornare alla vostra cena… tutti quanti» e nel pronunciare le ultime parole non si rivolse alla platea di clienti ma all’irascibile maga Sin’dorei con cui aveva appena discusso.
Ognuno tornò ad attendere ai fatti propri ed in men che non si dica il locale riprese le sue normali attività. Gli altri camerieri ritornarono a servire gli ospiti pregando in cuor loro che l’incidente non divenisse di dominio pubblico, altrimenti la questione avrebbe avuto ripercussioni sui loro affari.
La maga sbuffò con aria offesa e stizzita, quindi scoccò un’occhiataccia di sbieco al Peone e poi a sua moglie prima di voltar loro le spalle e avviarsi di gran carriera all’uscita.
«Non rimarrò un altro istante in una locanda in cui i clienti sono trattati in modo così volgare! Kedrana andiamo!» disse a voce chiaramente udibile almeno da tutti quelli seduti ai tavoli circostanti.
L’Elfa del Sangue bionda lanciò una breve occhiata bramosa alla sua cena ormai abbandonata, quindi si affrettò a seguire la compagna.
«Sì, Vostra Altezza» esclamò in tono di rispetto e sottomissione, estraendo un sacchetto rigonfio dalla sacca che portava in vita e dal quale prese diverse monete d’oro che passò ad uno degli Zandalari che lavoravano dietro il bancone vicino all’ingresso.
Una volta che la strana coppia fu scomparsa oltre la soglia, Elathriel si girò verso l’Orco e si chinò su di lui. Il suo cipiglio cupo prometteva una ramanzina come non capitava da molto tempo e il sollievo provato dal Peone nel vederla prendere le sue difese si sgretolò come un castello di sabbia all’arrivo dell’alta marea.
«Ora andiamo a casa. Dobbiamo parlare» disse con voce apertamente minacciosa.
Sciolse il grembiule che portava legato sui fianchi sottili e camminò rapida e sicura verso l’uscita. Il Peone, pur temendo cosa stava per accadere, non poté far altro che seguirla in rigoroso silenzio, portando con sé il piccolo Raptor.
Elathriel si fermò vicino al Troll dietro al bancone e gli fece un cenno di saluto con la mano.
«Il mio turno è finito. Ci vediamo domattina» disse, e poi uscì.
Seguita dal suo fedele e taciturno marito, la Sin'dorei si diresse verso la porta del Gran Sigillo e una volta fuori, prese la scala che scendeva lungo il lato orientale della piramide.
Impiegarono un poco ad arrivare presso la casa in cui alloggiavano, che si trovava sulla terrazza diametralmente opposta a quella degli artigiani.
Qui numerosi giovani Troll scorrazzavano ancora nella "piazza" al centro, giocando insieme con i loro compagni animali.
La casa della coppia non era molto distante dalla gradinata che portava al Gran Sigillo. Si trattava ovviamente di un alloggio provvisorio, concesso loro in affitto per la durata della loro permanenza presso Dazar'alor. Come tutte le altre abitazioni private, si affacciava direttamente sulla terrazza e l'unica cosa che era in grado di proteggere la privacy dei proprietari era un pesante drappo calato a mascherare l'ingresso altrimenti sempre aperto. Evidentemente persino l'elité Troll non era stata in grado di sviluppare il concetto di "porta" come avevano invece fatto altre razze.
L'interno era un monolocale di modeste dimensioni, con l'angolo bagno e la zona notte separati dal resto da semplici separé. Un tavolo basso e rotondo, molto robusto e pesante, occupava il centro della stanza. Vicino all'ingresso era stato posizionato un piccolo fuoco che Elathriel utilizzava per cucinare le provviste che erano invece raccolte dall'altro lato della porta, smistate in ceste e scaffali.
Non appena furono dentro, l'Elfa del Sangue si volse verso il compagno e gli rivolse un'occhiata irritata.
«Perché hai portato quella bestia alla locanda?! Stavo finendo di cucinare, sarei uscita a breve e lo sai! Potevi aspettarmi fuori...» esclamò, appuntandosi entrambe le mani sui fianchi, in attesa di spiegazione.
«Io dispiace... io pensato solo bestiolina avere fame e avere strano colore... come se stare male» mormorò l'Orco in tono contrito, mostrandole il Raptor ancora una volta.
Tutto ciò che l'Elfa del Sangue vide però fu il sangue che cominciava a spillare copioso dai segni di morso sul polpastrello del suo partner. Nonostante fosse arrabbiata con lui per averla costretta a litigare con una cliente per difenderlo, non poteva rimanere impassibile dinanzi ad una ferita aperta e sanguinante.
Il suo atteggiamento cambiò bruscamente e la sua espressione si addolcì e si fece compassionevole mentre si avvicinava al suo Peone.
«Vediamo di togliere quel piccolo Raptor dal tuo dito, così posso bendarti la ferita» esclamò, sospingendo il marito verso il tavolo e accennandogli ai cuscini sparsi all'intorno «Non ti fa male?».
«Oh lui fa male, sì. Bestiolina dato morso anche a gamba» e dopo essersi seduto l'Orco mostrò come nulla fosse la caviglia, sporca di sangue che ormai si era rappreso «Ma io forte. Io pensare bestiolina avere tanta fame. Elathriel rimediare, sì? Elathriel brava cuoca...».
La diretta interessata rimase profondamente colpita dalle parole del suo compagno. Non era abituata a sentirlo parlare così tanto ed era persino riuscito ad articolare un ragionamento sviluppato in più parti. Era perfettamente consapevole di aver sposato un Peone e che quindi non poteva aspettarsi certamente una profondità di pensiero come quella dei suoi simili; tuttavia, era proprio la semplicità con cui lui viveva ogni momento della giornata e della vita ad aver conquistato il suo cuore.
«Peoncino mio...!» sospirò, chinandosi su di lui e abbracciandolo «Sei stato molto premuroso verso questa creaturina... quindi ora mi occuperò anche di lei. Contento?» disse.
L'Orco assentì, sorridendo e arrossendo per il complimento.
Sua moglie si allontanò in direzione della dispensa. Frugò dentro una delle ceste più grandi e ne estrasse quella che aveva tutta l'aria di essere una potenziale cena coi fiocchi: una grossa e spessa bistecca di carne cruda. Dalle dimensioni probabilmente doveva essere stata tagliata da un brutosauro.
«Direi che questa dovrebbe andare bene...» ponderò Elathriel ad alta voce, voltandosi verso il tavolo esibendo la bistecca.
Il Peone la fissò come ipnotizzato mentre dai lati della sua bocca cominciavano a colare densi ma sottili rivoli di saliva. Il suo stomaco riprese a brontolare, anche se non a volume abbastanza alto da essere percepibile.
«I-io pensa... carne basti, sì... io avere tanta fame...» disse, interrompendo la frase in alcuni punti poiché troppo impegnato ad ammirare il suo prossimo pasto.
«Eh? Questa non è mica per te!» replicò Elathriel perplessa «Questa è per il tuo amichetto».
Il Peone parve uscire bruscamente dalla specie di trance in cui era caduto.
«Uh?» domandò, aggrottando le sopracciglia glabre e fissando sua moglie mentre si avvicinava.
Quest'ultima posizionò la bistecca su uno dei piatti vuoti che aveva lasciato in tavola quella mattina, quindi mosse il braccio del suo partner da cui penzolava ancora il Raptor per appoggiarlo sul tavolo.
«Senti che buon odore di carne cruda... su, mangia pure a sazietà piccolino...» disse a mo' di esortazione per l'animale.
Percependo l'aroma della bistecca, il cucciolo si staccò lesto dall'indice dell'Orco e si avventò sul pasto che gli stava venendo così gentilmente offerto, come se fosse davvero in grado di capire le parole della Sin'dorei. Forse non era un caso se i Troll reputavano i Raptor animali intelligenti e quasi loro pari.
Vedendo come il cucciolo stava divorando con gusto la carne, il Peone cacciò un sospiro affranto e abbassò il capo.
«Uffa... io anche ha fame...» borbottò.
«Sì, lo so... ma prima devo occuparmi dei regalini che ti ha lasciato il tuo amichetto» e così dicendo andò a prelevare dal "bagno" l'occorrente per medicargli le ferite.
Il Peone non fu per niente contento di ciò: il liquido che Elathriel chiamava "disinfettante" bruciava e faceva male quando glielo metteva sulla pelle scorticata o altresì ferita. Anche in quel caso dovette cercare di trattenersi dal piangere mentre i segni di morso venivano tamponati e fasciati. Era un Orco e non avrebbe dovuto manifestare in maniera così palese il dolore fisico che provava ma era incapace di nasconderlo.
Nel mentre che lui soffriva pietosamente, il piccolo Raptor continuò a rifocillarsi, facendo scomparire nel giro di pochi minuti quasi un terzo della bistecca che gli era stata piazzata davanti. Le dimensioni spropositate rispetto al suo minuscolo corpicino non parevano intimorirlo affatto.
Quando Elathriel terminò la medicazione, si alzò e andò ad occuparsi della preparazione della cena per se stessa e suo marito, che rimase seduto ad osservare il loro inusuale ospite che si rimpinzava allegramente e con foga. Anche se non ne poteva essere completamente certo, l’Orco aveva l’impressione che il colorito delle sue scaglie fosse più vivido.
«Io fame» borbottò il Peone, quasi sdraiandosi sul tavolo con espressione chiaramente scontenta.
Il Raptor continuava a masticare avidamente la sua carne cruda, ignorandolo. Adesso non era più sul suo menù a quanto pareva.
«Ci vorrà un po’, peoncino mio… non ti servirei mai qualcosa di crudo… a parte questa» gli disse sua moglie, voltandosi e marciando verso il tavolo per mettergli davanti una ciotola piena di insalata con tanto di pomodorini.
Nel vedersi arrivare davanti una cosa del genere, il Peone si raddrizzò immediatamente e la sua espressione cambiò radicalmente, passando da stanca a disgustata in un lampo.
«Urgh... io no vuole roba verde» brontolò a mezza voce, esibendosi in una smorfia ridicola mentre tentava di allontanarsi il più possibile dal tavolo.
«Quand'è stata l'ultima volta che hai mangiato della verdura, mh?» domandò l'Elfa del Sangue per contro in tono inquisitorio, fissando intensamente il marito negli occhi «Te lo dico io. Troppo tempo fa... quindi mangia!».
E ciò detto si allontanò di nuovo, tornando al falò su cui aveva preparato una specie di grande teglia di metallo per cuocere la carne.
«Altrimenti mangerò da sola queste deliziose costolette di brutosauro» soggiunse in tono quasi casuale, ben sapendo che il messaggio sarebbe comunque arrivato chiaro e forte al suo partner.
Udì distintamente quest'ultimo emettere un grugnito di totale dissenso, come un bambino capriccioso cui i compagni di giochi continuavano a fare dispetti.
«Io stato bravo, io fatto tanto zugzug. Io merita carne buona...» commentò offeso, ma sua moglie non gli diede corda. Farlo avrebbe solo peggiorato la sua reazione e gli avrebbe dato l'illusione di avere una via di scampo tra le opzioni a sua disposizione.
Dopo alcuni secondi di rigoroso silenzio interrotti soltanto dai morsi del piccolo Raptor e dai suoi versi di presunta gioia e soddisfazione, con la coda dell'occhio Elathriel notò che l'Orco stava avvicinando a sé la ciotola d'insalata, piano e controvoglia.
Non osò esortarlo verbalmente, lasciandolo fronteggiare il momento con il suo ritmo. Occorsero diversi istanti prima che la Sin'dorei cominciasse a udire il rumore di foglie d'insalata masticate.
Se avesse davvero prestato attenzione al suo compagno avrebbe notato con quale cipiglio rassegnato e malinconico stava apprestandosi a consumare il contorno che aveva dinanzi. Sembrava che fosse stato condannato ad una terribile pena ed in parte era davvero così che stava vivendo il momento, soprattutto considerando che c'era una meravigliosa bistecca cruda che stava venendo divorata a pochi centimetri da lui.
«Tu piccolo fortunato. Tu no mangiare roba verde» mormorò a bassa voce il Peone mentre si portava alla bocca una prima porzione, rivolgendosi al Raptor.
Quest'ultimo si volse verso di lui e lo fissò con i suoi grandi occhi vivaci masticando gli ultimi pezzi di un boccone particolarmente grosso. La creaturina fece qualche passo verso di lui, accostandosi alla mano che l'Orco non stava utilizzando per impugnare la forchetta, quindi si sedette vicino ad essa e si appoggiò contro il dorso.
Il Peone rimase per un attimo confuso dal suo comportamento. Stava per ritrarre la mano per paura che volesse azzannarlo di nuovo quando il piccoletto emise un verso sordo che poteva quasi somigliare ad un ruttino. A vederlo in quel momento, sembrava quasi che il suo pancino fosse più tondeggiante rispetto a prima, e forse era davvero così considerato che aveva fatto fuori quasi metà di una bistecca enorme per le sue proporzioni.
L'Orco sorrise con dolcezza e comprese che non gli sarebbe stato fatto altro male. Di nuovo avvertì la strana sensazione di incommensurabile affetto verso quell'esserino aggressivo e allo stesso tempo così indifeso e si crogiolò per un poco in essa. Pur essendo una curiosa emozione era molto piacevole.
«Io felice bestiolina piena» disse in un goffo sussurro, lasciandosi utilizzare a mo' di cuscino dal piccolo Raptor.
A quel punto tornò alla sua tortura personale, che decise di affrontare coraggiosamente solo per il ricco premio che lo aspettava al termine della prova e che stava cominciando ad emanare un aroma davvero invitante e difficile da ignorare.
Con disgusto crescente ingurgitò il resto della sua insalata, rallentando progressivamente fino quasi a fermarsi del tutto quando ormai gli era rimasta sì e no un'ultima porzione.
Fu allora che udì sua moglie esclamare ad alta voce: «La cena è pronta!».
Temendo che non avrebbe avuto la sua meritata porzione di costolette per colpa di un singolo boccone residuo, il Peone afferrò la forchetta e con uno scatto repentino si infilò in bocca tutto ciò che era rimasto nella ciotola. Con le guance ancora piene di insalata e pomodori si girò verso Elathriel elargendole un sorriso teso che voleva sembrare innocente.
La diretta interessata gli sorrise di rimando con fare compiaciuto.
«Bravo il mio peoncino!» si complimentò mentre serviva su un largo vassoio una porzione enorme di costolette di brutosauro - che in realtà appariva tale solo per le dimensioni dei pezzi di carne piuttosto che per l'effettiva quantità.
L’Orco deglutì l’insalata quasi senza masticare, incantato dal profumo di carne non troppo cotta e dalla colorazione leggermente bruna e lucida delle costolette, punteggiata qua e là da manciate di spezie.
Il suo primo impulso fu di avventarsi sulla carne con lo stesso impeto di un Grunt rimasto digiuno sul campo di battaglia per interi giorni; tuttavia, prima di fare ciò riuscì a trattenersi per mettere al sicuro il Raptor, evitando così che venisse schiacciato o che cadesse dal tavolo durante la cena.
Lo depose su uno degli altri cuscini, disteso a pancia in su e ancora profondamente addormentato. Non sembrava essersi accorto dello spostamento ed andava bene così, non era intenzione del Peone svegliarlo.
Una volta “libero” di muovere ambedue le mani come più gli aggradava, l’Orco strappò con la mera forza bruta un paio di costolette e se le mise nel piatto, quindi iniziò a strappare generosi morsi di carne ignorando totalmente l'esistenza delle posate.
Elathriel non badò ai suoi modi grezzi, ormai avvezza a vederlo comportarsi così a tavola, e tagliò una piccola porzione che mise nel suo piatto.
I due mangiarono in silenzio ma non perché non sapevano di cosa parlare o per timidezza. Erano sposati ormai da più di due anni, per cui bastava solo la reciproca presenza per tener loro compagnia. Non servivano parole o gesti.
L'Elfa del Sangue si trovava perfettamente a suo agio ad osservare il marito mentre divorava una porzione dopo l'altra di costolette. Aveva passato anni a lavorare presso svariate locande e continuava ad essere fermamente convinta che la soddisfazione più grande di una cuoca fosse vedere il frutto del proprio lavoro sparire dal piatto alla velocità della luce.
La maggior parte della portata finì ovviamente nello stomaco dell'Orco; tuttavia, la sua metà era consapevole del suo appetito fuori della norma ed aveva preventivato un simile esito. A lei era sufficiente poca carne per saziarsi e pur avendo lavorato a sua volta per quasi tutto il giorno, lo sforzo compiuto sicuramente non era allo stesso livello di quello del suo adorato Peone.
Quest'ultimo una volta terminata la cena, si distese supino sul grosso e morbido cuscino su cui si trovava - occupando in parte anche quello adiacente - e si portò entrambe le mani sul ventre.
«Io pieno ora» commentò con tono evidentemente soddisfatto.
Elathriel sorrise e annuì alle sue parole.
«Sono lieta che ti sia piaciuto tutto» rispose semplicemente, prima di alzarsi e cominciare a sparecchiare.
Stava tornando al tavolo dopo aver posato una parte delle stoviglie sporche quando vide il cucciolo di Raptor svegliarsi, alzarsi e arrampicarsi sull'immensa spalla nuda del Peone.
«Uh?» mormorò quest'ultimo confuso, sentendo i suoi piccoli artigli che si infilavano nella sua pelle nuda «Cosa succedere?» chiese, sollevando la testa glabra per cercare di capire cosa era a punzecchiarlo.
La creaturina corse attraverso il suo ampio torace fino ad arrivare al suo addome. Laddove i pettorali creavano una specie di piccolo avvallamento lineare, il cucciolo si accovacciò lanciando uno stridulo verso.
Elathriel rise dinanzi alla scena e poi commentò: «Pare che il Raptor si sia affezionato a te...».
«Anche io vuole bene a bestiolina...» aggiunse il Peone a mo' di spiegazione, sollevando una grossa mano verde per accarezzare con delicatezza infinita il dorso del piccolo animale.
L'affetto e l'impulso a proteggere quel minuscolo essere spinsero l'Orco a domandare: «Noi no può tenere bestiolina?».
La Sin'dorei - che nel frattempo aveva tolto tutto ciò che c'era da lavare dal tavolo e si stava occupando di ciò in un angolo - si volse a guardarlo da sopra una spalla con cipiglio sorpreso.
«Amore mio, si tratta di un animale... è un impegno serio e per di più è una bestia carnivora... potrebbe arrivare presto il momento in cui dovremo lasciarla andare per non mettere a repentaglio la nostra sicurezza...» esordì, cercando di farlo ragionare.
I Peoni non erano famosi per la loro capacità di usare il cervello, però valeva comunque la pena fare un tentativo. Aveva fiducia nel fatto che suo marito comprendesse quante responsabilità comportava la sua richiesta.
«Dovremmo trovargli una cuccia, procurarci altra carne, educarlo a non sbranare altri animali o persone... fargli fare i bisognini...» Elathriel fece una pausa per concedere all'Orco un attimo per assimilare la sua affermazione «... sei ancora convinto di volerlo fare?».
Il Peone si raddrizzò avendo cura di non far rotolare a terra il cucciolo, trattenendolo tra le mani.
«Io insegna lui tutte cose. Io trova posto, io insegna no fare male e dove fare cacca» esclamò in tono risoluto, annuendo con un solenne cenno del capo «Io però chiede Elathriel se lei va bene... lei compagna, io volere stare con lei tutta mia vita. Se Elathriel dire no, io riportare bestiolina dove trovare» aggiunse, incrociando con determinazione gli occhi di sua moglie.
Quest'ultima lo fissò per qualche secondo prima di lasciar perdere i piatti bagnati e andargli incontro per abbracciarlo. Lo strinse a sé con forza e poi lo baciò con passione, mantenendo per quasi un minuto il contatto.
Quando lo lasciò libero, l'Orco aveva le guance di una sfumatura di verde particolarmente intensa e l'espressione alquanto basita. Era palese che non si aspettasse una simile reazione da parte sua.
«Oh, peoncino mio! Ti amo infinitamente anche io...!» sospirò lei in tono estatico «Se sei così sicuro di farcela ad allevare questo cucciolo non posso certo negartelo. Ti aiuterò al meglio delle mie possibilità. Sarà come... crescere un figlio!» e il suo sorriso si fece di colpo più raggiante che mai, come se fosse appena giunta ad una importante e fondamentale conclusione.
Tutti e due erano consapevoli - chi più chi meno - che non avrebbero mai potuto formare una normale famiglia e dare alla luce dei figli. Orchi e Sin'dorei non erano due razze che potessero combinare il loro patrimonio genetico per mettere al mondo degli ibridi. Le loro caratteristiche fisiche erano troppo differenti.
Il Peone sorrise di rimando alla compagna.
«Io fa buon padre!» disse con crescente entusiasmo.
«Ne sono sicura...» replicò con affetto Elathriel «Ma come chiamiamo il cucciolo? Dovremo trovargli un nome adatto...».
«Io chiama lui Morso» esclamò prontamente l'Orco «Lui piace mordere tutto. Morso è nome che sta bene».
L'Elfa del Sangue non riuscì a trovare niente in contrario né alla sua decisione né alla sua spiegazione.
Allungò una mano per accarezzare il Raptor, che si era nuovamente addormentato nel palmo della mano del Peone. Aveva la netta sensazione che occuparsi di lui avrebbe rafforzato ulteriormente il matrimonio con il suo adorato e adorabile Orco.
«E allora... che Morso sia!».