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Titolo: What is expected from the Death Lord
Rating: Giallo
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of Life
Personaggi: Labolas (OC!Cavaliere della Morte)
Wordcount: 1716 (wordcounter)
Prompt: Neve per il team Ahm-Gi per la Missione 2 della Settimana 2 del COW-T #9 @ Lande Di Fandom
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Legion".
Note: Gen
«Devi farlo, Labolas. Gli altri Cavalieri della Morte ti osservano, ti giudicano. Devi dimostrarti all’altezza delle loro aspettative...» si disse mentre i cinque Predatori di Llothien in arrivo, notandolo in mezzo ai resti dei loro compagni di branco, correvano verso di lui.
Sollevò la spada nella sua mano destra e la puntò dinanzi a sé, mirando alla prima bestia. Con un ruggito, un Dragone del Gelo comparve sopra il Cavaliere della Morte e planò verso gli animali rilasciando un soffio gelato sul terreno sotto di loro.


Azsuna era una regione incantevole da esplorare. Nonostante la devastazione dell'Accademia di Nar'thalas ad opera della Regina Azshara, le zone circostanti l'enorme lago in cui si trovavano le rovine dell'antica città elfica erano di una rara bellezza, con alberi colorati e rigogliosi, prati verdi e soprattutto tanta, tantissima selvaggina ovunque.
Per il Signore della Morte Labolas, un luogo del genere era il migliore presso il quale andare in cerca di prede da uccidere e scuoiare per migliorarsi nella relativa professione. Era un passatempo che aveva molto caro, dato che l'arte di scuoiare e conciare le pelli era ciò che faceva per guadagnarsi da vivere quando era ancora un Alto Elfo vivente che abitava presso Quel'Thalas, prima che Arthas arrivasse a portare la Piaga della Non Morte nella sua terra natia.
Adesso la sua razza per come era un tempo, gli Alti Elfi, non c’era più. Adesso era un “Elfo del Sangue” e la sua esistenza era votata all'annientamento delle minacce su Azeroth. Era un nobile scopo senz'alcun dubbio, ma lui si accontentava con poco e non era molto contento di sapere che sulle sue spalle non morte gravavano insieme il fardello del comando e quello delle sorti del suo pianeta.
L'Elfo del Sangue sedeva sui gradini di una piccola scalinata al centro delle rovine elfiche presenti nell'Altopiano di Llothien, una zona densamente popolata di Predatori di Llothien, creature che si muovevano in piccoli gruppi e che una volta scuoiate gli permettevano di raccogliere molto materiale da poter poi lavorare quando fosse tornato alla bottega dei conciatori presso Dalaran.
I suoi occhi avevano perso da tempo le pupille azzurre e limpide degli Alti Elfi, trasformandosi in orbite vacue che brillavano di una gelida luce blu, più simili a quelle degli odiati Elfi della Notte di quanto avrebbe voluto. I suoi meravigliosi capelli biondi erano sbiaditi anch'essi, lasciando spazio solo ad un'inquietante tonalità di bianco-azzurro che ricordava quella dei ghiacciai delle distese ghiacciate di Nordania. In vita aveva sfoggiato una chioma fluente e ben curata che poteva tranquillamente rivaleggiare con quelle delle femmine più narcisiste; adesso ogni desiderio di mettersi in mostra era appassito, distrutto dalla fredda stretta della piaga che aveva fatto sì che il suo cadavere non provasse l'abbraccio definitivo della tomba. Quando si era risvegliato sotto il controllo del Re dei Lich, la prima cosa che aveva fatto era stata tagliare quel simbolo che ancora lo legava a ciò che era stato in vita. Il suo corpo defunto non aveva più molte delle normali funzionalità dei vivi e tra queste c'era anche la capacità di far ricrescere i capelli, per cui adesso era costretto a portarli tagliati cortissimi.
La pelle un tempo liscia e candida era ora annerita per la parziale decomposizione - che per fortuna non aveva avuto tempo di operare abbastanza a lungo da ridurlo come i Reietti - e presentava un sacco di cicatrici di vecchie battaglie che non potevano guarire del tutto. Per fortuna i Cavalieri della Morte indossavano armature di piastre che coprivano tutto o quasi il corpo, in modo che il suo incarnato non fosse visibile. Per quanto si sforzasse, trovava orribile metterlo in mostra come se fosse una specie di macabro trofeo.
Al momento indossava una lunga tunica che gli arrivava fino alle caviglie formata da varie placche metalliche dorate e rosso scuro attaccate insieme. Lunghi guanti della medesima fattura gli avvolgevano gli avambracci. Ai lati del collo erano montati paio di grossi paraspalle recanti delle cavità dal bordo frastagliato all'interno delle quali si trovavano delle fiamme incantate e decorati con dei nastri su cui erano incise antiche rune Vrykul.
Alla cintura portava le Lame del Principe Caduto, i due frammenti più grandi di Gelidanima, la lama maledetta di Arthas Menethil, il Re dei Lich... e colui che aveva elargito a Labolas la grottesca parodia di vita che stava attualmente conducendo.
Per quanto non fosse felice di cosa era diventato, non poteva negare di avere ancora il terrore di ciò che lo attendeva dopo il trapasso definitivo. Ironicamente, era ancora talmente attaccato alla "vita" che non riusciva neppure a concepire azioni estreme come il suicidio.
Le sue lunghe e sensibili orecchie appuntite captarono un rumore di bestie in avvicinamento dietro di lui. Probabilmente altri Predatori di Llothien stavano tornando a rimpiazzare quelli che aveva già ucciso.
Il rumore riscosse Labolas dai suoi cupi pensieri. Si alzò in piedi ed impugnò le sue lame maledette, pronto ad attaccare. Nel muoversi udì un lieve schiocco tipico del ghiaccio che si spezzava.
Le sue labbra si strinsero violentemente e la sua espressione si fece irritata: per l’ennesima volta, si era fermato così a lungo in un punto a pensare alla sua “non vita” che sotto di lui si era formato del ghiaccio.
Odiava quando succedeva: quel rumore gli ricordava da dove provenivano i suoi “poteri” e chi era stato il suo “progenitore”.
Brandire le Lame del Principe Caduto era un bel modo di rendersi figo agli occhi degli altri Cavalieri della Morte ma era anche terribilmente doloroso dal punto di vista emotivo per lui.
«Devi farlo, Labolas. Gli altri Cavalieri della Morte ti osservano, ti giudicano. Devi dimostrarti all’altezza delle loro aspettative...» si disse mentre i cinque Predatori di Llothien in arrivo, notandolo in mezzo ai resti dei loro compagni di branco, correvano verso di lui.
Sollevò la spada nella sua mano destra e la puntò dinanzi a sé, mirando alla prima bestia. Con un ruggito, un Dragone del Gelo comparve sopra il Cavaliere della Morte e planò verso gli animali rilasciando un soffio gelato sul terreno sotto di loro.
Contemporaneamente, Labolas creò una tormenta di neve attorno a sé mentre con uno slancio energico si lanciava contro le sue prede.
Le lame gelate delle sue armi colpirono attraverso la neve incantata, infliggendo danni da gelo e permeando le carni del piccolo gruppo di Predatori di Llothien con maledizioni oscure che fiaccavano il corpo in maniera più subdola e prolungata di un affondo ben piazzato con la spada.
Uno dopo l’altro i suoi nemici caddero, i cadaveri pelosi e pronti per la scuoiatura rigidi per il gelo.
Il combattimento non durò molto a lungo e quando terminò, Labolas lasciò che la tempesta di neve che ancora turbinava frenetica intorno al suo corpo si placasse, dissipandosi lentamente fino a scomparire del tutto.
Il suo corpo morto non poteva più percepire il freddo, per cui neppure si accorse del momento esatto in cui la sua tempesta personale finì. Era un altro “dono” di Arthas di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
L’Elfo del Sangue si inginocchiò in mezzo alle carcasse dopo aver riposto le armi ed estrasse da una delle sue sacche magiche un piccolo coltello da scuoiatura.
La rimozione della pelliccia e di tutto ciò che c’era attaccato sotto gli richiede un poco di tempo, ma ormai aveva fatto abbastanza pratica da riuscire a non rovinare la maggior parte del materiale. Riponendo i frutti del suo lavoro nelle borse, si accorse di aver terminato lo spazio a sua disposizione. Aveva trascorso così tante ore a scuoiare povere bestie da riempire tutto il suo inventario magico.
«Dannazione… devo tornare a Dalaran a depositare tutto...» mormorò irritato, rialzandosi e scuotendosi via la polvere dalle ginocchia della tunica.
Di riflesso fece per estrarre la sua Pietra del Ritorno a Dalaran ma un altro pensiero si fece bruscamente largo nella sua mente, mettendo in secondo piano ogni altro suo proposito: se aveva passato delle ore intere ad Azsuna - e probabilmente era così, anche se a lui non sembrava - allora significava che ad Acherus i suoi seguaci lo attendevano con il rapporto dell’ultima missione che aveva loro assegnato.
Labolas fu percorso da un brivido che non fu dettato dal freddo ma da un’improvvisa carica di ansia al pensiero di dover tornare nella sua Enclave.
Sicuramente non poteva rimanere là e far attendere troppo a lungo i suoi seguaci non era un comportamento degno del titolo che gli avevano conferito. Il Signore della Morte Labolas doveva essere all’altezza del suo ruolo.
«Va bene, passerò da Acherus a sentire il rapporto e poi andrò a Dalaran. Comunque lì c’è un portale di collegamento» rifletté Labolas, annuendo a se stesso «Non dovrebbero aver atteso a lungo… spero».
Appellandosi ai suoi poteri, aprì uno squarcio nell’aria, che si riempì di turbolente energie violacee. Il Portale della Morte era un collegamento diretto tra Acherus e il Cavaliere della Morte che lo evocava.
Labolas fece per attraversarlo quando si bloccò, allontanandosi leggermente con uno sbuffo.
Evocò la cavalcatura dello Yak della Grande Spedizione, quindi si rivolse al Grumyan responsabile delle Trasmogrificazioni delle armature e cambiò l’aspetto della sua in quella che aveva eletto come più adatta all’immagine di un Signore della Morte: era un’armatura rosso violaceo con un paio di paraspalle a forma di teschio con un paio di corna ricurve verso il basso e un cappuccio sormontato di corna curve verso l’alto. Il suo viso si intravedeva appena, soprattutto per la metà inferiore: l’altra parte era ombreggiata, per cui i suoi occhi rilucevano come diamanti di ghiaccio.
Non gli piaceva andare in giro vestito così. Quando andava fuori da Acherus si cambiava sempre, per non doversi sempre vedere in “forma” di Signore della Morte. Cercava di non pensare alla sua condizione ogni volta che gli era possibile ma purtroppo con gli altri Cavalieri doveva farlo. Doveva dimostrare loro di essere all’altezza della situazione, come sempre da quando era stato messo al comando della Roccaforte dei Cavalieri della Spada d’Ebano.
Quel suo continuo cambio di trasmogrificazione tra esterno e interno di Acherus pesava molto sulle sue finanze, che dovevano essere sempre rimpolpate perché non si esaurissero proprio nel momento del bisogno.
Smontò dalla cavalcatura e la congedò, quindi fissò il portale con espressione scontenta.
«Spero che Nazgrim non si diletti a raccontarmi di ogni nemico smembrato durante la missione…» gemette in tono quasi supplicante.
Scosse il capo, quindi raddrizzò per bene la schiena e le spalle e assunse un cipiglio serio e composto, quasi marziale. Apparire serio e responsabile, dedito alle torture del prossimo e ai massacri. Questo era ciò che tutti si aspettavano dal Signore della Morte.
Impugnò ancora una volta le Lame del Principe Caduto, pensando di apparire così ancora più glorioso e importante, quindi varcò il portale, seguito solo da un leggero rumore di ghiaccio che si spezzava.
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