fiamma_drakon: (Default)
[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: Mercenario tra bande
Rating: Arancione
Genere: Generale
Personaggi: Priscilla (OC!Quasit), Vargan (OC!Mezzorco Warlock)
Wordcount: 3240 (wordcounter)
Note: Violence
«Puoi farcela, non sono troppi» comunicò telepaticamente Priscilla al Mezzorco, aspettandosi una qualche reazione da parte sua che effettivamente arrivò dopo pochi secondi nella forma di un sogghigno gongolante.
La Quasit gli diede un buffetto di incoraggiamento sulla capigliatura unticcia prima di ritrasformarsi in un panciuto rospo scuro.
«Vai e falli a pezzi... finché stanno ancora mangiando».


Il sole stava scomparendo oltre gli edifici di Neverwinter ed il cielo era irradiato di una calda tonalità di arancione mista a rosato che contribuiva a rendere più nitidi i profili dei tetti. I cittadini di Neverwinter si affrettavano ad ultimare le commissioni in città e dirigersi presso le rispettive case o alla locanda più vicina prima che la luce del giorno svanisse del tutto, rendendo le strade meno sicure da praticare.
La concitazione della vita cittadina a quell’ora del giorno era tale per cui nessuno parve accorgersi del grosso Mezzorco che si fermò all’ingresso di uno degli innumerevoli vicoli poco dopo che un’altra persona vi si era appena inoltrata.
Il Mezzorco in questione aveva le spalle ampie e squadrate e il torace largo, braccia lunghe e muscolose e gambe parimenti imponenti e massicce. Il suo incarnato era rosato, una rarità per quelli della sua razza, esattamente come i capelli, di un castano chiaro tendente al rossiccio. Li portava lunghi sino alle spalle, del tutto sciolti ad eccezione della parte superiore, che teneva raccolta in una treccia la cui coda gli solleticava appena la base della nuca.
Indossava una tunica viola smanicata e piuttosto corta che gli arrivava appena a coprire la metà superiore delle cosce. In corrispondenza dei pettorali vi era una spessa striscia di tessuto mancante che rivelava la carne nuda e la leggera peluria rossiccia lungo la linea centrale dello sterno. La metà inferiore delle gambe era avvolta in un paio di stivali alti che lo proteggevano almeno in parte dall’aria fredda della sera.
Si affacciò rapidamente oltre l’angolo del vicolo e sbirciò all’interno un istante, per poi entrare rimanendo vicino ad una delle pareti. Percorse la stretta strada che si trovò di fronte fino alla porta che si trovava sul fondo e lì si fermò. Il suo stomaco emise un brontolio cupo che gli strappò uno sbuffo di esasperazione mista a sopportazione.
«Di tutte le ore a cui quel tizio poteva tornarsene al covo… proprio l’ora di cena…!» brontolò, sforzandosi di tenere un tono di voce basso - per quanto potesse riuscire ad esserlo la voce di un Mezzorco adulto. Roteò gli occhi color del miele verso l’alto e fece per aprire la porta quando udì gracidare l’enorme rospo nero e panciuto che se ne stava appollaiato sulla sua testa.
«Non sai quanti siano lì dentro, Vargan» una voce femminile leggermente sgraziata riecheggiò nella testa del Mezzorco «Potresti dover dire addio alla cena. Per sempre».
Vargan ritrasse la mano dal pomello digrignando i denti, evidentemente non allettato dalla prospettiva.
«Ma voglio sbrigare il lavoro in fretta… ho fame…!» protestò in tono lamentoso.
«Perché non lasci andare me in esplorazione? Sapere quanti sono ti sarà di sicuro di aiuto» commentò di nuovo lei.
Il Mezzorco cacciò un grugnito prima di afferrare con una certa delicatezza il rospo e chinarsi per posarlo a terra.
«D’accordo Priscilla… ma fai in fretta» l’avvertì lui, di colpo cupo in viso «Se non ti vedo tornare tra poco...».
Il rospo si trasformò dinanzi ai suoi occhi con un sonoro “puff”, assumendo la forma di una fatina che pareva uscita direttamente da un incubo: il corpo era tarchiato e avvolto in un minuscolo vestitino nero con un vistoso scollo che abbracciava l’abbondante décolleté - probabilmente l’unico pregio del suo aspetto. La gonna stralciata sui fianchi rivelava un paio di gambe corte che terminavano in piedi dotati di affilati artigli, molto simili a quelli al termine delle sue mani non proprio minuscole. Il cranio somigliava a quello di un dragonide, con tanto di corna laterali ritorte verso il basso, ma con il muso più schiacciato e gli occhi di un bianco lattiginoso e privi di iride. A completare il tutto, un paio di ali membranose color del ghiaccio protrudevano dalle sue scapole, lacere alle estremità e perciò inservibili per il volo.
La creatura sogghignò mostrando una doppia fila di dentini seghettati e si sporse poi verso l’arto di Vargan, ancora puntellato al suolo. In altezza gli arrivava a malapena a metà dell’avambraccio.
«Non ti posso lasciare solo così presto, mio caro» commentò Priscilla con una punta di sarcasmo nella voce, accarezzando la pelle nuda del Mezzorco «Tu preparati in mia assenza...».
Ciò detto, scomparve alla vista. Vargan armeggiò rapidamente con la porta, che era stata lasciata stupidamente aperta, quindi socchiuse leggermente il battente per permetterle di sgusciare all’interno. Lo fece con la maggiore delicatezza possibile e parve riuscire nell’intento, dato che nessuno corse a spalancare la porta per aggredirlo.
A quel punto si rialzò in piedi e cominciò a mormorare parole in un linguaggio arcaico. Sentì il potere formicolargli sulla pelle e aderire ad essa mentre completava velocemente la prima formula magica. Percepì l’ormai familiare sensazione di olio denso e grasso che lo ricopriva dalla testa ai piedi e seppe che l’incantesimo era andato a buon fine. Borbottò un secondo incantesimo, più semplice, e con un rumore viscido lo strato di grasso che lo rivestiva si ispessì, divenendo una patina giallastra visibile a tutti gli effetti.
Non era una bella vista, specialmente vicino all’ora dei pasti, però almeno non puzzava. D’altro canto, non poteva fare niente per impedirlo: era la manifestazione tangibile del potere che gli era stato concesso dal suo Patrono. A lui non dava particolarmente fastidio, dato che non pregiudicava in alcun modo la sua capacità di combattimento. Capiva che potesse non essere uno spettacolo piacevole per le altre persone, ma per fortuna adesso lavorava da solo con Priscilla, che essendo una Quasit aveva standard molto differenti da quelli dei mortali in merito ad argomenti come l’estetica.
Quest'ultima non appena varcata la soglia, si ritrovò ad osservare dal basso una sala non troppo grande che conteneva solamente cinque persone, attualmente sedute attorno ad un tavolo di media grandezza a parlottare mentre sbocconcellavano del cibo. Non c'erano altre stanze collegate ad essa, almeno niente che fosse visibile. Se c'erano ingressi o uscite segrete, Priscilla non aveva modo di saperlo finché qualcuno non li avesse utilizzati.
Con un moto di stizza constatò che Vargan avrebbe potuto tranquillamente fare irruzione ed occuparsi di loro senza attendere. Odiava dovergli dare ragione, soprattutto considerando che spesso e volentieri dava fiato alla bocca senza prima pensare alle cose.
«Dovrai farci l'abitudine» si disse tra sé e sé con un sospiro, procedendo a fare un rapido sopralluogo per assicurarsi che non ci fossero altri banditi nascosti negli angoli più bui «Devi badare a lui come faresti con un poppante...».
L'analogia le strappò un sorriso. Paragonare Vargan ad un bambino in un corpo troppo cresciuto le rese assai più gradevole la prospettiva di doverlo sorvegliare, anche se fu una cosa temporanea.
Terminata la ricognizione, la Quasit svicolò nuovamente oltre il pertugio della porta, dove tornò visibile. Vargan abbassò lo sguardo su di lei, raccogliendola per riposizionarla sulla sua testa.
Priscilla notò subito lo strato di grasso bianco-giallastro che lo rivestiva e che in alcuni punti persino gocciolava dal suo corpo, ma non vi diede peso. Sapeva che si trattava di difese magiche che gli garantivano la sopravvivenza; inoltre, non era tanto suscettibile da disgustarsi per una cosa del genere. Era consapevole che non sempre il potere arrivava in forme gradevoli per chiunque.
Vargan pareva a proprio agio, e confessava che in un primo momento la cosa le aveva dato non poco fastidio: spesso i mortali che stringevano patti col suo Padrone, la prima volta che attingevano ai poteri che aveva concesso loro si disgustavano delle ripercussioni estetiche degli incantesimi al punto da smettere di utilizzarli o di cercare di revocare il patto.
Molti precedenti proprietari di Priscilla erano andati incontro a morti lente, dolorose e disgustose a seguito delle loro deprecabili scelte in quel senso, con sommo divertimento della Quasit.
Vargan non dava alcun cenno che avrebbe mai imboccato quello stesso cammino. Evidentemente era troppo ossessionato dai vantaggi derivati dal suo patto per prendere in considerazione soluzioni drastiche... o forse era semplicemente troppo ingenuo.
«Puoi farcela, non sono troppi» comunicò telepaticamente Priscilla al Mezzorco, aspettandosi una qualche reazione da parte sua che effettivamente arrivò dopo pochi secondi nella forma di un sogghigno gongolante.
La Quasit gli diede un buffetto di incoraggiamento sulla capigliatura unticcia prima di ritrasformarsi in un panciuto rospo scuro.
«Vai e falli a pezzi... finché stanno ancora mangiando» soggiunse, ben consapevole del tipo di reazione che le sue parole avrebbero suscitato.
Le persone dalla mente semplice erano le più facili da manovrare e condurre sulla strada del male e Vargan aveva nel cibo un punto debole talmente sensibile che Priscilla quasi si sentiva in colpa nell'approfittarsene in modo così spudorato.
Quasi.
Dalla sua postazione riuscì a percepire la postura del suo proprietario farsi più rigida mentre protendeva lateralmente un braccio con la mano aperta. Mormorò qualcosa a denti serrati e nel suo palmo comparve un nucleo di quella che poteva essere tranquillamente scambiata per cera fluida. L'agglomerato cominciò a ribollire e dai due poli opposti fuoriuscirono due prolungamenti dalla consistenza più rigida che trasformarono quello che all’inizio sembrava un semplice globo in un’asta piuttosto spessa e lunga. Da una estremità si staccarono due enormi ali di cera sottili dal margine ricurvo che diedero finalmente la forma finale a quel prototipo di ascia bipenne.
Vargan lasciò scivolare la mano con cui ancora la sorreggeva verso il fondo dell'impugnatura, quindi sollevò l'ascia tracciando un arco a mezz’aria che terminò posizionando l’arma trasversalmente dinanzi a sé. Sotto l’effetto della forza centrifuga, la cera proseguì il suo moto, schizzando in un denso grumo che si rapprese sul terreno e scomparve nel nulla. Adesso Vargan reggeva tra le mani una grossa ascia di freddo e pesante metallo grigio scuro. Solamente una blanda patina giallastra era rimasta a ricordare al proprietario che si trattava di un'arma evocata grazie ai poteri di cui era investito.
Con uno scatto violento, Vargan sollevò una gamba e calciò la porta, mandando il battente a schiantarsi contro la parete.
Il colpo secco fece scattare in piedi gli occupanti della stanza, che non si trovavano poi così lontani dall'ingresso. Non c'era molta luce nel locale, ma la Scurovisione di Vargan gli garantì la completa visibilità sui suoi bersagli. Erano cinque ed erano radunati attorno al tavolo per cenare, esattamente come Priscilla gli aveva anticipato.
Avevano pugnali e spade rinfoderati sulle cinture e qualcuno persino in foderi extra allacciati sulle cosce.
Vargan fissò i suoi occhi ambrati sul più vicino a sé e sibilò un incantesimo. Il suo bersaglio - un Umano di mezza età avvolto in un'armatura di cuoio evidentemente raffazzonata - percepì la spiacevole sensazione di qualcosa di grasso iniziare a gocciolargli dalla fronte e ricoprirgli la faccia. Non gli annebbiava la vista e non sembrava affliggere altre parti del suo corpo; inoltre, non gli stava colando sulle spalle.
Tutti erano rivolti verso il nuovo arrivato. In quell'attimo di stupore generale, il Mezzorco si lanciò in una carica selvaggia attraverso la stanza, raggiungendo l'Umano con la faccia ricoperta di olio. Quest'ultimo non ebbe la prontezza di riflessi necessaria per fare niente. Rimase a fissare Vargan mentre sollevava l'ascia, portandola alta sopra la testa.
Fu l'ultima cosa che vide: l'arma si abbatté con ferocia inaudita sul cranio dello sfortunato, e le ossa cedettero il passo alla pesante lama affilata come se fossero burro.
L'Umano si accasciò al suolo con un tonfo sordo e i suoi compari poterono vedere tutti distintamente la patina lucida di grasso che rivestiva il Mezzorco farsi più spessa.
Priscilla rise tra sé e sé dinanzi alle espressioni terrorizzate dei malcapitati Umani, ansiosa di gustarsi lo spettacolo del massacro che stava per realizzarsi. Non c'era niente di meglio del cogliere dei malviventi nel pieno della cena per fomentare la rabbia e gli impulsi violenti di Vargan.
I secondi seguenti furono movimentati. La piccola banda di superstiti realizzò che il loro compagno era morto con un singolo colpo d'ascia e l'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento sul raziocinio. Non pensarono che la via d'uscita era più vicina di quanto potessero sperare, bensì si concentrarono sul fatto che quel Mezzorco era pericoloso e doveva essere abbattuto. Subito.
Sfoderarono le armi - spade e pugnali - e si avventarono tutti insieme su Vargan, che li attendeva con l'ascia ancora ricoperta di sangue e materia grigia.
Soltanto due colpi andarono a segno, anche se riuscirono a scalfire il bersaglio solo in maniera superficiale. Gli altri due vennero prontamente deviati da propaggini di grasso che si distaccarono dalla superficie del corpo di Vargan per difenderlo.
Il Mezzorco attaccò di nuovo, impietoso, dopo aver spostato su un altro bersaglio l'incantesimo che aveva reso unto il viso dell'ormai freddo cadavere sul pavimento.
Uno dopo l'altro caddero sotto gli implacabili e violenti assalti di Vargan, che non si fece il minimo problema a smembrarli progressivamente per ridurre le loro chance di attacco nei suoi confronti.
L'ultimo a cadere fu un uomo piuttosto giovane che, accorgendosi della sua fine imminente, tentò di strisciare via trascinandosi con l'unico braccio rimastogli, rantolando e gemendo terrorizzato.
Vargan lo raggiunse senza difficoltà e gli diede un calcio nel fianco, imponendogli di voltarsi supino a guardarlo. Priscilla si sporse leggermente, ansiosa di vedere la barbara fine di quel disgraziato.
Con gli occhi iniettati di sangue che schizzavano freneticamente da un lato all'altro della stanza e il respiro corto, il bandito iniziò a tremare.
«N-no! Non farlo! R-risparmiami ti prego!» gridò con voce stridula «T-ti darò qualsiasi cosa vorrai...!» urlò più forte, tentando di farsi scudo con il suo unico arto.
Il Mezzorco esitò un istante, al che Priscilla quasi temette che volesse lasciarsi corrompere dalle ultime parole di un disperato che pur di aver salva la vita avrebbe promesso persino l'anima ad un Diavolo.
«Peccato che non sei nelle condizioni di darmi quello che voglio» asserì con tono glaciale Vargan, levando ancora una volta la sua ascia.
Accompagnando l'arma con il suo notevole peso, fece breccia nell'arto del poveretto e gli aprì a metà la faccia senza neanche battere ciglio.
Dopo un secondo, appurato che il corpo era effettivamente immobile, il Mezzorco si rialzò e mormorò tra i denti. La sua arma riassunse una consistenza cerosa e poi si dissolse, tornando nella dimensione da cui l'aveva evocata. Dopo un istante, lo strato di grasso sul suo corpo svanì senza lasciare residui.
«Finalmente» mugugnò con tono sollevato, dando la schiena al cadavere.
«Un gran bel massacro, mio caro!» si congratulò con una nota di emozione Priscilla «Adesso puoi andare a prenderti i tuoi soldi».
«Non ancora» commentò Vargan, gli occhi ambrati appuntati sulla tavola ancora apparecchiata. Si avvicinò ad essa, passando in rassegna ciò che c'era: cinque piatti con diversi cosciotti di volatile, del pane e alcune scatolette aperte contenenti fagioli.
Non era niente di eccezionale, specialmente se paragonato ai pasti che Vargan aveva consumato di recente, però la sua pulsione smodata verso il cibo gli impediva di abbandonare lì tutta quella roba.
«Sarebbe uno spreco lasciare qui tutto questo cibo...» commentò, spostando di lato il primo cadavere per accomodarsi sulla sua sedia.
Con malagrazia prese gli altri piatti e li svuotò in quello che aveva dinanzi, per poi afferrare due cosce - una per mano - e azzannarle voracemente.
Priscilla balzò sul tavolo, per poi voltarsi ad osservarlo. Notando lo scintillio famelico e al tempo stesso soddisfatto nel suo sguardo, capì che c'era ben poco che potesse dire o fare per distoglierlo dall'idea di consumare i resti di quella misera cena prima di abbandonare l'edificio.
«Immagino che possa anche andarti bene come antipasto...» commentò telepaticamente, osservando il Mezzorco che, ripulita una coscia, ne pescava una mezza addentata dal piatto per immergerla a mo' di scarpetta in una scatola di fagioli.
Le buone maniere a tavola non erano il suo forte. Vargan pareva amare particolarmente utilizzare le sue mani al posto delle posate, spesso e volentieri ripulendo i sughi o l'olio che vi colava sopra direttamente con la lingua. Per lui erano anche un eccellente succedaneo per i tovaglioli, dei quali pareva ignorare l'esistenza.
In un batter d'occhio si spazzolò tutta la carne che c'era nel piatto e una buona metà dei fagioli. Quelli che rimanevano li ingurgitò accompagnati da grossi pezzi di pane, per non buttare niente al di fuori di ciò che era strettamente necessario.
Quand'ebbe terminato, si ripulì il mento con un pollice - che leccò prontamente - e ruttò senza fare neanche un minimo tentativo di nasconderlo.
Priscilla, che nel frattempo si era stancata della sua forma animale ed era tornata a quella originale, si alzò dalla lattina vuota che aveva utilizzato come sedia provvisoria e si portò verso il bordo del tavolo.
«Soddisfatto?» domandò con aria stufa.
Vargan, addossato contro lo schienale, si accarezzò l'addome lentamente.
«In realtà ho ancora un certo languorino... ma qui non c'è altro» rispose con aria delusa, dando un'occhiata nei dintorni come per assicurarsi che fosse davvero così.
«Concludi il lavoro e potrai andare a rimpinzarti con qualcosa di meglio di carne appena scaldata e fagioli crudi» rimbeccò Priscilla, saltandogli sul petto ed arrampicandosi senza problemi fino alla sua spalla.
Il Mezzorco si alzò in piedi portandosi un dito alle labbra con aria pensierosa.
«... avrei proprio voglia di un bel tacchino ripieno con le patate...» bofonchiò mentre si dirigeva verso la porta.
«Ehi, ehi! Non ti scordare la prova!» lo redarguì la Quasit, superando con la forza della sua voce telepatica i suoi pensieri.
«Oh, giusto...» Vargan si fermò e si volse a controllare il massacro che si stava lasciando alle spalle. Benché avesse appena mangiato, la vista dei corpi orrendamente mutilati non gli diede alcun fastidio.
Tornò indietro a recuperare un arto amputato che esibiva il tatuaggio caratteristico della banda che era stato incaricato di cacciare da quel covo. Lo prese e lo nascose lesto nella borsa che teneva sulla schiena.
«Perché ogni volta mi chiedono di portare via qualcosa? Pensano che non sia in grado di fare il lavoro come si deve?» si domandò con tono annoiato e stanco, abbandonando il posto in totale tranquillità, avendo persino cura di richiudere la porta quasi distrutta dietro di sé.
«Sai come dicono i mortali, Vargan. Non c'è onore tra i ladri...» esclamò Priscilla nella sua mente, tornando alla sua comune forma di rospo.
Il Mezzorco aggrottò le folte e spesse sopracciglia e scrollò le spalle.
«Non so come dicono, però io non voglio problemi. Quando completo il lavoro, voglio i miei soldi ed essere lasciato in pace a spenderli» commentò a mezza voce lui, uscendo dal vicolo e dirigendosi in un'altra zona dell'Enclave del Protettore, una tra le più malfamate e famigerate per le bande criminali che la praticavano.
Ormai era buio e c'erano poche persone in giro. Vargan invidiava i fortunati che erano già al caldo a mangiare, bere e riposarsi.
Accelerò il passo, ansioso di giungere a destinazione prima che arrivasse l’ora in cui i ladri cominciavano il loro sporco lavoro. Con tutto il tempo che aveva sprecato, non voleva rischiare di non poter riscuotere.
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