fiamma_drakon: (Default)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2021-04-27 12:53 pm

(In)felice evento

Titolo: (In)felice evento
Rating: Arancione
Genere: Comico, Generale, Introspettivo
Personaggi: Balfaren (OC), Maximus (OC), Ninnuus (OC), Valoris (OC)
Wordcount: 12'374 (wordcounter)
Disclaimer: L'ambientazione appartiene a Chibi.
Note: Gen
Fece per guardarsi attorno alla ricerca della minuta figura di suo figlio, ma non ci fu bisogno: la maggior parte del Clan, riunita al limitare della piazza centrale della fortezza, osservava chiacchierando la piccola scorta di Druidi che stava avanzando nel centro, disposta ai due lati di un grosso orso sulla cui schiena era disteso suo figlio.
Il drappello era diretto proprio verso Balfaren, che si fece avanti esitando appena, alla ricerca delle parole per scusare o giustificare qualsiasi guaio avesse perpetrato Ninnuus ai danni dei Druidi. Se uno di loro aveva addirittura dovuto appellarsi alla sua Forma Selvatica significava che doveva essere accaduto qualcosa di davvero grave e persino pericoloso.


«Inspirate… trattenete… espirate… svuotate la mente da ogni pensiero...».
La voce greve del Maestro sembrava riecheggiare amplificata nel quieto silenzio della radura in cui il gruppo di giovani Firbolg era stato condotto con il sorgere del sole, come ogni mattina da diversi giorni a quella parte. Gli allievi dell’anziano Druido erano una decina, disposti a semicerchio dinanzi a lui in file concentriche, tutti silenziosamente seduti sul tappeto di erba ingiallita cosparsa di foglie arancioni. Tutti quanti indossavano abiti leggeri, perlopiù in cuoio, e parevano a proprio agio in mezzo alla natura che si accingeva al quotidiano risveglio nonostante l’ora indecente cui erano stati costretti ad uscire dai loro giacigli.
Uno solo spiccava in mezzo a tutti, più piccolo e smilzo rispetto al resto, chiaramente a disagio nella sua posizione in ultima fila, seduto in mezzo a due grosse radici di quercia. Indossava una casacca evidentemente troppo grande per il suo fisico, che gli ricadeva a mo’ di tunica sulle gambe magroline e intrecciate. I capelli rossi acceso erano spettinati e piuttosto lunghi sulla sommità della testa, senza un taglio preciso. Il viso affusolato esibiva sul mento un grazioso e timido accenno di peluria adolescenziale.
Ninnuus stava combattendo contro una fastidiosa lama di luce solare che gli feriva gli occhi a dispetto delle palpebre chiuse. Non gli dispiaceva così tanto alzarsi all’alba: i suoi genitori lo costringevano ad andare a dormire presto da quando aveva iniziato con la parte finale dell’addestramento da Druido, temendo che il suo fisico non riuscisse a reggere i suoi nuovi ritmi, per cui era ben felice di sfuggire alle loro “grinfie” non appena gli era possibile. Le loro soffocanti attenzioni lo mettevano in soggezione.
Il giovane Firbolg era consapevole che non sarebbe dovuto essere lì: i suoi maestri avevano deciso di spostarlo in una classe più avanzata perché i suoi coetanei non riuscivano a reggere il ritmo con cui lui riusciva ad apprendere e affinare l’arte druidica. Le lezioni di incantesimi erano diventate una perdita di tempo, quindi era stato introdotto in un gruppo di Firbolg più grandi che si accingeva ad apprendere la Forma Selvatica, l’ultimo insegnamento che lo separava dall’essere un Druido a tutti gli effetti.
Ovviamente la transizione era stata difficile, ma cosa non lo era stato nella vita di Ninnuus? Da quando era risultato palese a tutti che la sua corporatura minuta e poco muscolosa non era destinata a modificarsi con l’avvento dell’adolescenza, tutto il Clan aveva cominciato a trattarlo come un peso. Nessuno era convinto che fosse in grado di trovare qualcosa in cui era bravo, neanche lui.
Quando aveva intrapreso l’addestramento da Druido, lui per primo immaginava che sarebbe stato un altro buco nell’acqua; invece, le sue capacità di manipolare l’energia magica avevano stupito lui e tutto il Clan.
Nel mentre che si agitava, cercando di spostarsi il più silenziosamente possibile per non avere il sole dritto in faccia, molti dei suoi compagni gli indirizzarono delle occhiatacce. Come sempre, l’eccessiva bravura in qualcosa attirava rancori da parte di chi non aveva lo stesso talento innato.
Con le orecchie basse, Ninnuus si girò a dare la schiena al resto della classe, guardando la corteccia dell’albero che fino a poco prima era stato alle sue spalle. Come ogni cosa e persona che si trovavano attorno a lui, anche la sua posizione in quella sessione di meditazione pareva essere stata pensata specificatamente per proteggerlo. Il Firbolg non tornò a chiudere gli occhi, come aveva cercato di fare fino a poco prima, benché adesso il sole non fosse più un problema. Rimase ad osservare le sottili crepe nella corteccia e i solchi che l’attraversavano verticalmente.
«Inspirate… trattenete… espirate...» la voce del Maestro continuava a giungergli ancora chiara e morbida.
Ninnuus riprese a respirare con ritmi regolari, seguendo le istruzioni del suo insegnante, ma senza estraniarsi dal mondo che aveva attorno. I suoi grandi occhi color del miele studiavano la corteccia mentre la sua mente vagava alla deriva, rimestando nei suoi ricordi.
L’opprimente protezione esercitata da tutti nei suoi confronti era frustrante. Era in grado di lanciare incantesimi, aveva dimostrato ai suoi maestri di essere capace come i suoi coetanei, se non di più, nell’esercizio della magia. Nessuno pareva volergli tributare il giusto riconoscimento per i suoi sforzi. Suo fratello Maximus, d’altro canto, era elogiato di continuo per le sue cacce sempre più fruttuose, grazie alle quali tutto il Clan poteva sfamarsi.
Anche adesso, mentre era seduto nella radura in mezzo a Firbolg grossi il doppio di lui, Maximus era fuori a cacciare per la gloria e la prosperità del Clan. Tutti avrebbero festeggiato una volta che fosse ritornato, e nessuno si sarebbe preoccupato di complimentarsi con lui dei suoi progressi, nemmeno i suoi genitori.
«Perché tutto quello che io faccio è un dovere per guadagnarmi il rispetto del Clan… Maximus invece è magnanimo nell’elargire anche a noi poveri pezzenti i risultati delle sue prodigiose imprese» Ninnuus irrigidì la mandibola e serrò i pugni, inalando ed espirando aria più rumorosamente.
«Ascoltate la natura attorno a voi. Cercate un contatto interiore con gli spiriti animali...» le parole del Maestro penetrarono i pensieri del giovane Firbolg, mescolandosi ad essi.
L’attenzione di quest’ultimo era all’apice, focalizzata su un piccolo punto della corteccia che fissava con insistenza e rabbia. Le sue orecchie erano diritte verso l’alto e le palpebre immobili, gli occhi spalancati e fissi mentre immaginava la faccia di suo fratello innanzi a sé. La sua espressione di superiorità era stata una costante nella vita di Ninnuus, a tal punto da essere arrivato a temerla e odiarla al tempo stesso.
In quella sorta di trance indotta dalle sue emozioni più recondite, il suo corpo era teso nel captare ogni cosa di ciò che aveva attorno. I suoi sensi gli restituivano informazioni amplificate da ogni parte: il fruscio dei cespugli lungo il perimetro della radura, il morbido piegarsi dell’erba sotto le sue caviglie, il cinguettio di alcuni uccellini affamati, l’odore dell’aria tersa del primo mattino… e la faccia di Maximus dinanzi a sé, verosimile in ogni dettaglio.
«Invocate gli spiriti. Accettate i loro doni. Offritevi come mediatori del loro volere...».
Ninnuus non sentì queste parole. Tutto ciò che percepì fu l’odio cieco e la frustrazione latente covata per anni verso la “perfezione” incarnata da suo fratello.
«Giustizia sarebbe fatta se un lupo ti sgozzasse mentre sei a caccia...» ponderò tra sé e sé, digrignando i denti come a ringhiare verso la sua proiezione mentale di Maximus.
Ninnuus si protese in avanti, appoggiando entrambe le braccia a terra ed inarcò la schiena, guidato da un istinto primitivo che si alimentava delle sue stesse emozioni negative.
Un agghiacciante schiocco di più ossa in contemporanea riecheggiò nel silenzio della radura, spezzando la concentrazione di tutti i presenti. Molte teste si voltarono a guardare verso la periferia della zona con fare guardingo, inclusa quella del Maestro.
In quello stesso istante, diverse grida di stupore e sconcerto si alzarono dall’ultima fila.
«Non ci credo, si è trasformato!».
«Sta mordendo un albero?!».
«Maestro, guardi Ninnuus!».
Come un unico organismo, tutti i Firbolg si mossero per fare ala nella direzione di Ninnuus, esponendo alle attenzioni dirette del Druido un grosso lupo dal pelo grigiastro sfumato in blu alle estremità e con una ribelle cresta di pelo rosso acceso che correva lungo tutta la schiena. Le zampe erano magroline e sui fianchi si riuscivano ad intravedere le sagome delle costole.
Gli occhi avevano la sclera ambrata e le zanne erano esposte in un ringhio sordo e minaccioso. Alcuni frammenti di corteccia erano ancora incastrati tra di esse, a riprova del fatto che aveva cercato di mordere l’albero alle sue spalle.
Il Maestro si alzò con un movimento fluido ma cauto, piegando la schiena e sporgendosi verso il giovane allievo.
«Ninnuus, stai calmo… il dolore passerà presto, vedrai...» esclamò, cercando di tranquillizzarlo. Sapeva anche per esperienza diretta quanto la prima trasformazione potesse essere dolorosa, e la sofferenza era la prima causa di atteggiamenti violenti nelle bestie.
Il lupo piazzò le zampe anteriori un poco più divaricate e si piegò, come se stesse per balzare in avanti. Gli altri studenti erano spaventati e l’anziano Druido sperava di poter tranquillizzare il suo brillante allievo senza dovergli provocare altro dolore.
Per sua fortuna, l’uso della violenza non si rese necessario: la bestia crollò improvvisamente a terra priva di sensi, e sotto gli occhi attenti e impauriti di tutti avvenne la trasformazione inversa. Stavolta il rumore di ossa che si spostavano e riallineavano fu meno cruento e lo spettacolo durò poco. Il gracile corpo di Ninnuus rimase riverso sul prato, e dopo alcuni istanti di immobilità assoluta, riprese a respirare.
Il Maestro tirò un impercettibile sospiro di sollievo, quindi si fece largo fino al giovane Firbolg intimando a tutti di rimanere a distanza e lasciargli spazio. Pian piano, lo strinse per le spalle e lo ruotò supino, in modo che potesse riempirsi a pieno i polmoni di aria pulita.
Ninnuus riprese i sensi pochi minuti più tardi. Aprì lentamente gli occhi per incontrare il viso del suo insegnante e, al di sopra di lui, le chiome giallo-arancio degli alberi della foresta. Sentiva le membra pesanti e dolenti, come se avesse fatto uno sforzo fisico ben oltre la sua portata. Le sue mani, benché molli vicino al suo corpo, tremavano in maniera incontrollata.
«Oh, non ci hai messo molto a risvegliarti...» commentò il Maestro, raddrizzandosi in ginocchio accanto a lui, osservandolo mentre tentava di puntellarsi su un gomito per ruotarsi su un fianco. Girò la testa con uno scatto rapido che gli fece venire le vertigini e sputò via i pezzi di corteccia che aveva ancora in bocca.
«C-ci sono… riuscito?» chiese con un filo di voce, ansimando mentre sollevava lo sguardo ad incrociare quello del Druido. Ricordava una confusa ma strepitosa serie di sensazioni, rabbia ed euforia, l’impatto del viso contro qualcosa di duro prima e con il terreno poi.
Sperava che non fosse semplicemente svenuto per l’eccessivo impegno profuso nel tentativo - o meglio, per la troppa ansia da prestazione. Gli era già successo in passato e non desiderava trovarsi di nuovo a venire sgridato dai suoi genitori per aver cercato di fare qualcosa di “normale”, soprattutto perché di solito dopo quel passaggio gli venivano imposte altre limitazioni.
L’insegnante rimase a guardarlo per qualche secondo, stupito dalla prontezza di risposta dimostrata: difficilmente gli allievi avevano la forza di rialzarsi così presto dopo la trasformazione, men che meno ne avevano per parlare.
Ninnuus aspettava la replica con sguardo determinato e speranzoso insieme, mantenendosi sollevato in parte con il braccio. Il Maestro non poté non premiare tanta risolutezza: protese una mano e gli accarezzò la testa, spettinandogli ulteriormente i capelli.
«Complimenti Ninnuus. Sei il primo apprendista della tua età ad aver appreso la Forma Selvatica» gli disse.
Il giovane Firbolg sgranò gli occhi e raddrizzò le orecchie, emozionato: stava venendo elogiato per il risultato che aveva raggiunto. Il tono di voce dell’anziano Druido era morbido e affettuoso e a Ninnuus parve addirittura di percepire una nota di orgoglio.
Avrebbe voluto urlare e saltellare per la gioia, ma il suo corpo si rifiutò di rispondere ai suoi comandi. Tremò visibilmente e ricadde disteso supino sull’erba, incapace di muoversi di nuovo. I muscoli degli arti non riuscivano a reggerlo.
Non era minimamente spaventato dalle conseguenze della sua impresa: gli elogi del suo Maestro erano una ricompensa sufficiente. Non gli importava di rimanere lì per tutto il giorno, non finché avesse avuto motivo per crogiolarsi nella soddisfazione personale per il risultato conseguito. Era indifferente persino alle chiare occhiate di invidia che molti dei suoi compagni - una volta passata la paura - gli stavano rivolgendo da distanza.
«Va bene, direi che per oggi l’esercizio è concluso» annunciò il Maestro al gruppo di Firbolg «Riunitevi per tornare alla fortezza, su».
Chinandosi su Ninnuus, aggiunse a bassa voce: «Tu verrai con me».
Il diretto interessato non capì perché d’un tratto pareva così serio nei suoi confronti, ma non ebbe il tempo per porre domande: il Druido lo afferrò saldamente per le braccia e lo mise in piedi, quindi si trasformò in un grosso orso dal pelo marrone striato di grigio - come i suoi capelli - e se lo issò sull’ampia e morbida schiena.
Ninnuus rimase dritto solo per pochi secondi, prima di cadere prono, cercando di far presa con gli arti sul dorso dell’animale per non cadere. Non appena il gruppo si mosse per far ritorno al Clan, l’ondeggiare ritmico dell’orso cullò il debole Firbolg nell’oblio del sonno più gradevole della sua breve vita.

Era ancora mattino presto e le attività nel Clan stavano lentamente iniziando il loro corso.
Balfaren era già uscito da casa per recarsi alla mensa collettiva, dove si occupava della cucina. I lunghi capelli castano scuro erano raccolti in una grossa treccia che gli scendeva fin quasi a metà della schiena, di modo che potesse tenerli agevolmente lontani dal cibo. La stessa cosa non si poteva dire per la barba che gli copriva per intero la gola e che di solito portava intrecciata con cordicelle e ninnoli metallici per cercare di darle un aspetto curato e pulito.
Non era un Firbolg particolarmente alto dato che arrivava poco sotto i due metri e mezzo; tuttavia, l’ampiezza delle spalle e la possenza della sua muscolatura compensavano più che adeguatamente la sua mancanza.
In quel momento era impegnato a macellare della carne per il pranzo, poiché era incaricato - assieme ad altri Firbolg - di occuparsi di sfamare tutto il Clan.
I colpi della grossa mannaia che impugnava riecheggiavano nella sala vuota della mensa, mentre dalla stanza dietro di lui udiva giungere il rumore delle verdure messe a bollire.
Nel mentre che lavorava, dall’esterno giunse un gran chiasso di persone meravigliate, almeno a giudicare dai toni.
Incuriosito, mise da parte la sua arma e si diresse verso l’esterno pulendosi il sangue dalle mani nell’ampio grembiule che indossava. Gli sembrava un po’ presto perché fosse accaduto qualcosa di rilevante: di solito il grosso delle attività si svolgeva più verso l’ora di pranzo.
«Che Maximus sia tornato con qualche altra preda enorme?» si domandò, accelerando il passo istintivamente per non perdersi il trionfale ritorno del suo primogenito da un’altra fruttuosa caccia.
Maximus era l’orgoglio della famiglia e molto probabilmente anche dei loro antenati. Lui e Valoris non avrebbero potuto sperare in un figlio migliore di lui: era forte, indipendente e in grado di aiutare nel sostentamento del Clan sin dalla giovane età. Le sue doti come cacciatore erano ad oggi ineguagliate da qualsiasi altro membro del Clan, persino tra quelli più maturi ed esperti.
Inutile dire che le sue abilità avevano messo la sua famiglia in una posizione di spicco agli occhi del Concilio degli Anziani.
Balfaren aveva appena avuto modo di coprire metà della distanza che lo separava dal grande ingresso alla mensa quando questo si aprì ed un Firbolg dai capelli verde chiaro si affacciò trafelato.
«Balfaren! Tuo figlio…!» esclamò annaspando, gli occhi azzurri sgranati e pieni di sorpresa.
Balfaren non riuscì a reprimere un sorrisetto tronfio e orgoglioso.
«Che cosa ha portato di così grosso Maximus…?» domandò, aspettandosi di sentire il nome di qualche mirabolante mostro alto svariate decine di metri.
Il suo interlocutore mutò per un attimo espressione, assumendone una molto più confusa.
«Si tratta di Ninnuus!».
Bastò menzionargli il suo secondo secondogenito perché il vivace colorito bluastro della pelle di Balfaren sbiadisse di colpo, sostituito da una sfumatura decisamente più cianotica e malaticcia.
Il suo minuscolo figlio più giovane, privo di ogni più comune caratteristica della loro razza, che attirava così tanta attenzione su di sé…?
«Deve aver combinato qualcosa» fu il suo primo pensiero, colmo di orrore. Si maledisse per avergli concesso di uscire per la lezione di meditazione con gli aspiranti Druidi più grandi di lui.
Coprì la distanza che lo separava dalla porta con poche e lunghe falcate cariche di apprensione.
«Cos’è successo?» domandò una volta raggiunto il Firbolg dalla chioma verde, spingendolo bruscamente fuori dall’uscio per seguirlo subito dopo.
Fece per guardarsi attorno alla ricerca della minuta figura di suo figlio, ma non ci fu bisogno: la maggior parte del Clan, riunita al limitare della piazza centrale della fortezza, osservava chiacchierando la piccola scorta di Druidi che stava avanzando nel centro, disposta ai due lati di un grosso orso sulla cui schiena era disteso suo figlio.
Il drappello era diretto proprio verso Balfaren, che si fece avanti esitando appena, alla ricerca delle parole per scusare o giustificare qualsiasi guaio avesse perpetrato Ninnuus ai danni dei Druidi. Se uno di loro aveva addirittura dovuto appellarsi alla sua Forma Selvatica significava che doveva essere accaduto qualcosa di davvero grave e persino pericoloso.
Dopo anni trascorsi a cercare motivazioni per l’incompetenza cronica di suo figlio, Balfaren stava iniziando a perdere la creatività.
Il gruppo di Druido si arrestò a pochi metri da lui, e soltanto l’orso proseguì, fino a portare Ninnuus davanti a lui. Suo padre si fece dappresso e lo recuperò, trattenendolo in grembo senza alcuna fatica. Ad una prima occhiata non sembrava aver riportato ferite o escoriazioni, ma era anche vero che di scoperto non c’era molto per via dell’abbigliamento troppo grande per il suo fisico gracile.
L’orso riacquistò le sue sembianze originarie non appena provato del fardello sulla sua schiena.
«Io non so come scusarmi» esordì Belfaren con un sospiro rassegnato «Cosa… cos’è successo?».
Il Druido dinanzi a lui lo guardò con cipiglio contrariato.
«Non c’è alcun motivo di scusarsi, Balfaren» disse, appoggiandogli una mano sulla spalla e scuotendola con fare incoraggiante «Ninnuus è stato il primo della sua classe a trasformarsi» spiegò con un sorriso.
L’altro non poté evitare di guardarlo con espressione stupita e atterrita insieme, assolutamente incredulo.
«Ninnuus...? Davvero?!» chiese, incapace di concepire il fatto che il suo secondogenito fosse riuscito a compiere un’impresa simile.
«Esatto. È un risultato strabiliante, considerato che è persino più giovane degli altri della sua classe. È stato straordinario» si congratulò il Maestro Druido.
Balfaren era ancora stordito dalla notizia. Aprì e chiuse la bocca diverse volte prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto: «Allora perché è…?».
Non concluse il discorso, sollevando appena il suo corpo privo di sensi con fare esplicativo.
«La prima trasformazione esige energia. Essendo persino più giovane e… gracile degli altri...» la puntualizzazione fu doverosa da parte del Maestro, anche se Balfaren ne avrebbe volentieri fatto a meno «… non è riuscito a rimanere sveglio dopo il procedimento».
Il padre di Ninnuus fu sollevato di sapere che non era svenuto per qualche stupida bravata che suo figlio aveva fatto cercando di colmare l’insuperabile divario che lo separava dagli altri Firbolg.
«Balfaren, oggi puoi essere orgoglioso di Ninnuus. È giunto il tempo: chiederemo al Concilio degli Anziani un rito di iniziazione in via eccezionale. È evidente che lo status di allievo non gli è più congeniale» proseguì il Maestro, e Balfaren non riuscì a credere a ciò che stava udendo.
«Renderemo Ninnuus un Druido a pieno titolo il prima possibile».
Quelle parole riempirono di gioia e di orgoglio il padre del giovane prodigio; tuttavia, furono anche portatrici di un presagio oscuro.
Se Ninnuus fosse davvero diventato un Druido in così tenera età, catalizzando tutte le attenzioni del Clan su di sé negli anni a venire, avrebbe dovuto portare il fardello di notevoli aspettative e forse addirittura di un ruolo di rilievo nella loro società.
Balfaren dubitava grandemente che quelle minuscole spalle fossero in grado di sostenere un tale peso, a prescindere da quanto potenti fossero le sue abilità magiche innate. Ciò lo portò a pensare all’inevitabile conseguenza: se tutti gli occhi fossero stati puntati su di lui, ogni suo disastro o guaio sarebbero stati di dominio pubblico nel momento esatto in cui li avesse compiuti. La cosa si sarebbe ripercossa su tutta la famiglia, incluso il suo primogenito.
Ninnuus non poteva rovinare il futuro glorioso di Maximus.
«Non è possibile rimandare l’iniziazione? È ancora giovane...» cercò di obiettare Balfaren, nel tentativo di posporre la tragedia.
«Il fatto che possa già trasformarsi significa che è pronto» fu la secca replica alla sua protesta «Portalo a casa e fa sì che si riprenda, Balfaren. Ninnuus diverrà un Druido, perché tale è il suo destino in seno al Clan».
Il Druido si volse e se ne andò assieme agli altri, lasciando Balfaren a fronteggiare da solo il suo dilemma interiore.

Quando giunse a casa una mezz’ora più tardi con il corpo di Ninnuus ancora fra le braccia, Balfaren trovò sua moglie Valoris sulla soglia ad attenderlo, con le braccia intrecciate sul petto e un’espressione pensierosa che stonava coi suoi meravigliosi occhi verde smeraldo.
A differenza del suo compagno, la femmina torreggiava ben oltre i due metri e mezzo e il suo fisico tonico era più aggraziato nelle forme rispetto al suo. Aveva i capelli di una vibrante tonalità di rame lunghi fin quasi al coccige e soltanto i ciuffi laterali al viso erano raccolti in trecce che teneva poggiate sulle spalle. La folta chioma faceva un bel contrasto con il suo incarnato delicatamente violaceo, dandole un tocco quasi etereo che Balfaren aveva sempre trovato assai gradevole. Le orecchie erano insolitamente lunghe per la loro razza, e l’estremità pelosa dei lobi pendeva oltre la porzione cartilaginea rigida, arrivandole quasi alla base del collo.
Indossava casacca e pantaloni e in vita portava legato un grembiule sporco di terra e di erba.
Nel vedere sopraggiungere il marito con uno dei suoi figli, la donna gli andò incontro tendendo le braccia per sottrargli Ninnuus.
«Immagino che tu abbia saputo» fu la prima cosa che riuscì a dire Balfaren, lanciandosi delle occhiate circospette attorno per controllare che non ci fossero spettatori indesiderati a quella conversazione.
«Immagini?» Valoris emise uno sbuffo ilare e sprezzante al tempo stesso «In tutta la fortezza non c’è nessuno che non sappia della trasformazione di Ninnuus».
«Allora sai già anche del rito di passaggio?» Balfaren abbassò volutamente la voce nel porre il quesito.
Ogni traccia di sarcasmo scomparve dal volto di sua moglie e un’ombra le velò gli occhi. Serrò le labbra e scosse il capo lentamente, per poi abbassare lo sguardo verso il suo secondogenito.
«Andiamo in casa, ti spiego. Prima sarà meglio mettere Ninnuus a letto» così dicendo, Balfaren entrò per primo all’interno dell’edificio, seguito immediatamente da Valoris.
La loro dimora era semplice: una stanza principale in cui mangiavano e si riunivano all’occorrenza - quando non dovevano farlo nella piazza della fortezza, assieme al resto del Clan - con tre stanze annesse, due da un lato - quella di Maximus e la loro - e una dall’altro - quella di Ninnuus.
La coppia di Firbolg portò il figlioletto nella sua camera, adagiandolo sul suo giaciglio e avendo almeno cura di avvolgerlo nella coperta prima di uscire.
Una volta da soli, Valoris andò a sedersi vicino al basso tavolo in pietra che si trovava al centro della sala principale.
«Balfaren… di che rito stavi parlando?» domandò senza mezzi termini in tono greve.
«I Druidi vogliono rendere Ninnuus un loro compagno a tutti gli effetti» suo marito immaginò che tergiversare non avrebbe reso il problema meno impellente «Probabilmente già adesso staranno parlando con il Concilio degli Anziani in merito ad una concessione straordinaria per la celebrazione».
«Ninnuus non può farlo» intervenne sua moglie, colpendo piano il tavolo con un pugno «Il fatto che sia in grado di utilizzare la magia non lo rende capace di sostenere un peso di questo tipo. Non sa nemmeno brandire un’arma per difendersi!» soggiunse, evidentemente contrariata dalla decisione di cui era appena stata messa al corrente.
«Ne sono consapevole, ma i Druidi sono stati irremovibili» esclamò tetro Balfaren, inginocchiandosi al fianco di sua moglie «Secondo loro, Ninnuus è destinato a divenire uno di loro. È la sua vocazione, per il bene del Clan».
Valoris inspirò a fondo, lentamente, cercando di placare il suo malumore. Nella sua memoria erano impressi a fuoco i lunghi anni in cui aveva assistito alle penose prestazioni del suo secondogenito sotto ogni punto di vista, tali da costringerla ad occuparsi persino della sua istruzione di base. L’ambiente scolastico del Clan era un noto campo di addestramento per insegnare sin da subito ai giovani Firbolg a cavarsela da soli e temprare il proprio corpo contro le avversità che facevano parte della Natura. Ninnuus non era stato in grado di difendersi neanche contro i Firbolg più piccoli di lui, e i mesi trascorsi a medicargli escoriazioni ed ematomi erano stati i più bui di tutta la vita di Valoris.
Le altre madri l’avevano derisa per il modo morboso con cui aveva dovuto preoccuparsi della salute di Ninnuus.
«Se questo è il volere del Clan… così sia. Noi non possiamo impedirglielo» la Firbolg chiuse gli occhi e poi si volse verso suo marito, sorridendogli con cipiglio calmo e posato.
Era una delle espressioni più disturbate che Balfaren avesse mai avuto il dispiacere di veder comparire sul volto della sua compagna. A differenza sua, lui non aveva dovuto sobbarcarsi così tanto l’onere di badare al figlio incapace: il suo lavoro si svolgeva lontano da casa; tuttavia, era a conoscenza delle maldicenze diffuse tra le altre femmine e di quanto le avessero fatto male a livello emotivo.
«Se vogliono prendere Ninnuus con loro, ben venga. Finalmente potremo liberarci di lui» disse la donna, spostando pian piano lo sguardo fino a posarlo sulla tenda che separava quella stanza dalla camera del diretto interessato.
«Siamo… comunque i suoi genitori, Valoris» Balfaren cercò di riportarla alla ragione, perché si stava evidentemente facendo trasportare dalla frustrazione accumulata negli anni «Se dovesse commettere degli errori, o accadessero degli incidenti… la colpa ricadrebbe...».
«Sui Druidi» terminò prontamente lei, e nel dirlo le sue labbra si distorsero in una sorta di ghigno malsano «Sono loro che hanno insistito per iniziarlo, no? Tu ti sei opposto?».
Il tono di voce di Valoris iniziava a suonare sgraziato e affannoso, come se sentisse il bisogno fisiologico di dare sfogo il prima possibile a tutti i pensieri che le affollavano la mente.
Balfaren si grattò il mento barbuto, a disagio per la situazione che si era venuta a creare. Non era sua intenzione mettere così a dura prova i nervi della sua compagna, benché fosse consapevole che l’argomento dovesse essere affrontato.
«Gli ho detto che secondo me era troppo giovane… non ho osato tirare in causa altre motivazioni» ammise con tono esitante.
«Allora non ci sono problemi» Valoris gli appoggiò con violenza entrambe le mani sulle ginocchia, sporgendosi per guardarlo dall’alto in basso con espressione folle «Se Ninnuus combinerà qualcosa, noi li avevamo avvertiti. Gli Anziani non potranno dare a noi colpe che non abbiamo! Se sbaglierà, saranno altri a doversi preoccupare di risolvere i suoi problemi!».
L’ultima frase le uscì dalle labbra tremanti con un tono di voce stridulo ma carico di una soddisfazione tale da risultare malata.
Balfaren non sapeva che cosa risponderle; per fortuna, in quello stesso istante la tenda della camera di Ninnuus si scostò a rivelare il giovane Firbolg.
«Quanto… ho dormito?» biascicò in tono assonnato, stropicciandosi gli occhi «E… e il Maestro?».
Valoris si girò di scatto verso di lui e si alzò in piedi, andandogli incontro e abbracciandolo, sollevandolo da terra.
«Tesoro, sono così contenta! Il Maestro ti ha riportato da tuo padre e gli ha raccontato tutto!» disse, stringendolo forte tra le braccia e spettinandogli i capelli con la mano che gli teneva dietro il cranio «Un Druido! Ah, non vedo l’ora che la cerimonia abbia luogo!».
«Mamma! Così m-mi soffochi…!» protestò Ninnuus, ma in realtà era contento delle attenzioni amorevoli che sua madre gli stava rivolgendo, e finse soltanto di volersi sottrarre.
Il volto di Valoris era oltre la portata visiva di suo figlio, per cui quest’ultimo non vide il suo cipiglio apatico nel complimentarsi con lui; né tantomeno era in grado di percepire il lieve tremore nella sua presa mentre cercava di non stringere più forte. Era così gracile tra le sue braccia muscolose che avrebbe potuto ucciderlo senza nemmeno impegnarsi, risolvendo ogni problema della sua vita, poiché tutti erano causati dalla sua sola esistenza.
Si trattenne, come aveva fatto negli ultimi undici lunghi anni. Lo fece per Balfaren e per Maximus, la luce dei suoi occhi, il figlio che le aveva dato così tante soddisfazioni da farle pensare che Ninnuus fosse la sua punizione per l’aver sperimentato così tanta gioia. Gli assassini non erano visti di buon occhio dal Clan, neanche se portavano a segno le loro uccisioni fingendo degli incidenti domestici, e liberarsi di Ninnuus non valeva il rischio di essere esiliata.

Nei giorni successivi, Ninnuus non dovette più seguire gli altri studenti nella meditazione mattutina, come aveva fatto nell’ultimo mese: i Druidi erano riusciti a convincere il Concilio degli Anziani a concedere l’organizzazione del rito di iniziazione al loro circolo, anche se era soltanto per un singolo Firbolg.
Emozionato per l’avvenimento imminente, il ragazzo sgambettava dietro ai suoi maestri a destra e a manca per tutta la fortezza senza obiettare, preparandosi alla cerimonia. Ovunque andasse, tutti si voltavano a guardarlo passare, bisbigliando tra di loro e salutandolo, una cosa cui Ninnuus non era per niente abituato. Altri giovani Firbolg lo fermavano per le strade e gli chiedevano come avesse fatto ad ultimare così presto il suo apprendistato e se poteva trasformarsi di nuovo per loro. Sembravano considerare la cosa alla stessa stregua di un gioco, anche se Ninnuus era ben lungi dal sentirsi offeso da ciò: tutte quelle attenzioni non facevano che esaltarlo ancora di più, dandogli la sensazione di aver raggiunto finalmente un obiettivo tale da renderlo visibile a tutto il Clan come un membro effettivo dello stesso.
Il problema era che lui per primo non aveva idea di come ritrovare la concentrazione necessaria ad assumere la sua Forma Selvatica senza focalizzare i suoi pensieri su Maximus. Fortunatamente i Druidi gli stavano sempre appresso, salvandolo di continuo da tali scomode richieste con la motivazione che la Forma Selvatica non era un gioco e che doveva essere utilizzata con rispetto, solo quando se ne presentava il bisogno.
Valoris era ben lieta di liberarsi di Ninnuus per giornate intere. L’approssimarsi della cerimonia la rendeva molto più allegra di quanto non fosse stata negli ultimi anni, tanto da riuscire a nascondere dietro un’apparenza di innocente gaudio materno i suoi reali sentimenti nei confronti del suo secondogenito.
Si occupò con meticolosa attenzione delle necessità di quest’ultimo per la cerimonia: gli cucì una nuova tunica appositamente per l’occasione, gli preparò i suoi pasti preferiti e si procurò persino un focus druidico da regalargli subito dopo la nomina.
«Non ho alcun motivo di lamentarmi, ormai. È come esaudire l’ultimo desiderio di un moribondo» spiegò Valoris a suo marito una sera, dopo che Ninnuus era ormai andato a dormire da un po’ di tempo. La calma e la naturalezza con cui formulò la risposta lasciarono Balfaren senza parole.
Comprendeva le difficoltà attraversate dalla sua compagna nell’accudire il figlio più giovane; tuttavia, benché lui stesso non nutrisse particolare fiducia nelle capacità del piccolo, una parte di lui non poteva non provare pena nei suoi confronti.
«In fin dei conti è pur sempre mio figlio...» Balfaren tenne per sé la riflessione. Non voleva alterare Valoris né tantomeno perdere il suo affetto. Il fatto che Ninnuus - seppur inconsapevolmente - avesse corrotto il suo stato mentale fino a ridurla così bastava a fargli perdere qualsiasi intenzione di difenderlo a spada tratta.
Assecondare il volere di sua moglie era la scelta più facile e quella che senza dubbio gli avrebbe permesso di vivere più serenamente il resto dei suoi giorni assieme a lei.
«Mancano solo pochi giorni… e poi Ninnuus non sarà più un mio problema» esultò Valoris, rannicchiandosi contro la massiccia spalla del suo compagno. Quest’ultimo non poté far altro che stringerla a sé, in silenzio.

Il giorno della cerimonia, Ninnuus si svegliò all’alba nonostante la sera avanti avesse avuto non poche difficoltà ad addormentarsi a causa dell’emozione. Anche allora, proprio come il giorno prima, non riusciva a smettere di tremare per la gioia: probabilmente quello sarebbe stato il giorno più bello e significativo della sua vita e fremeva di terrore al solo pensiero che qualcosa potesse andare storto.
Si alzò dal suo giaciglio scaraventando via la coperta e si andò a specchiare nella bacinella d’acqua che teneva sotto la finestra. La notte inquieta che aveva appena trascorso aveva lasciato tracce evidenti sul suo viso: gli occhi ambrati erano cerchiati di scuro e i capelli erano ancor più scompigliati del solito. Aveva lasciato crescere la rada peluria sul viso nella speranza di poter apparire più adulto di quanto non sembrasse per il suo aspetto minuto, e almeno su quel versante le sue aspettative non erano state deluse: lo spelacchiato pizzetto che lo faceva somigliare ad una capra malaticcia si era un po’ infoltito e altri peli erano spuntati lungo il margine della sua mandibola. Sorrise, soddisfatto del risultato, quindi alzò il viso verso la finestra. Scavalcò la bacinella e si avvicinò ad essa - un semplice buco squadrato nella parete - quindi si aggrappò al davanzale e cercò di issarcisi sopra: la finestra era stata creata per l’uso da parte di un Firbolg di dimensioni standard, anni prima che Ninnuus nascesse.
I suoi muscoli flaccidi si tesero mentre scalciava contro il pavimento e la parete liscia per tentare di darsi più spinta. La sua fortuna fu la sua stessa corporatura mingherlina, la quale non richiedeva particolare forza per essere sollevata.
Si sedette sul davanzale ansimando dolorosamente, con le spalle in fiamme per lo sforzo ma orgoglioso del risultato, quindi si sporse leggermente a guardare oltre: sua madre Valoris aveva allestito il suo giardino di erbe mediche proprio fuori dalla sua finestra, in maniera tale da poterlo tenere d’occhio facilmente anche quando era impegnata con il suo lavoro. Il suo tavolo con gli attrezzi da giardino era localizzato sotto di lui, e gli occhi del giovane Firbolg non ci misero molto a trovare quello di cui aveva bisogno: le forbicine di precisione che la femmina usava per tagliare le foglie e i fiori necessari ai suoi impiastri erano appoggiate sul piano, in bella mostra. Erano l’unico attrezzo che Ninnuus era in grado di maneggiare con una sola mano: se fosse andato nella sala principale di casa a prendere delle comuni forbici, per la sua statura sarebbero state più simili a delle cesoie che ad altro.
La notevole statura di Valoris giocò a suo favore anche per il recupero delle forbici, dato che il piano del tavolo si trovava molto vicino al bordo del davanzale, abbastanza perché persino Ninnuus con le sue braccia corte riuscisse ad arrivarci senza problemi. Recuperato il bottino, il ragazzo fece ritorno nella sua stanza con un goffo salto.
Tuffò la testa nella bacinella d’acqua gelata per bagnarsi i capelli, quindi procedette con una meticolosa opera di sfoltimento della chioma ribelle usando la superficie riflettente dell’acqua come specchio. Non si era mai tagliato i capelli da solo, ma voleva essere in ordine il più possibile per il rito d’iniziazione; inoltre, difficilmente avrebbe trovato altro con cui tenersi impegnato a quell’ora indecente della mattina.
Si prese il suo tempo per l’operazione, non volendo rovinare tutto per la fretta. Già le sue mani tremolanti rendevano la cosa più complessa di quanto non fosse, senza che ci mettesse pure il voler terminare tutto subito.
Quando si ritenne soddisfatto, posò le forbici da una parte e utilizzò un semplice trucchetto druidico per creare una folata di vento per asciugarsi i capelli, pettinandoli con la mano libera per dargli un ordine. Li aveva scorciati parecchio sui lati del cranio e lasciati un po’ più lunghi sulla sommità e sul retro, zone che adesso stava rassettando con le falangi sottili per cercare di farle apparire un po’ più voluminose. Così facendo sperava di sembrare un poco più alto.
Finita la toelettatura, ripose lo strumento adoperato al suo posto e tornò a sedersi sul suo giaciglio. Stava per cominciare a ponderare su cosa fare nel prossimo futuro quando udì dei passi fuori della sua stanza.
Lesto si affacciò oltre la tenda che gli garantiva un briciolo di privacy, trovando suo padre intento a mettersi a preparare la colazione.
Senza pensarci due volte, Ninnuus uscì allo scoperto e gli si avvicinò da dietro le spalle.
«Buongiorno, papà!» lo salutò allegro, al che Balfaren sobbalzò rischiando di rovesciare la rozza padella su cui aveva appena rotto due uova.
«Oh, Ninnuus! Non credevo fossi già sveglio» rispose suo padre, aggirandolo per andare a posizionare la padella su un piccolo falò contenuto in una specie di piccola camera di pietra.
Il più piccolo lo raggiunse svelto e utilizzò la magia per accendere il fuoco. La cosa sorprese Balfaren, ancora poco avvezzo alla cosa: erano rari i momenti in cui stavano assieme nell’arco della giornata.
Ninnuus si sedette vicino al fuoco, osservandolo scoppiettare sotto la padella che suo padre teneva sospesa in modo che venisse soltanto lambita dalle fiamme.
Il ragazzo pareva completamente a proprio agio, ancora sorridente mentre attendeva che il cibo fosse pronto. Lo stesso non si poteva dire per Balfaren, che trovava scomodo e fastidioso il silenzio che li circondava.
«Sei riuscito a dormire stanotte?» chiese, appellandosi al primo argomento che gli passò per la mente pur di trovare qualcosa per smorzare la sua tensione interiore. Trovare qualcosa di cui discutere con lui era sempre stato problematico data la sua infanzia particolare. Con Maximus ovviamente quel problema non era mai esistito.
«Sì, ho dormito abbastanza» Ninnuus rispose con tono sereno e tranquillo «Sono andato a dormire presto e ho riposato a sufficienza. Non mi hai svegliato tu...» aggiunse, immaginando erroneamente che suo padre temesse di averlo disturbato.
«Bene, è importante che tu sia in forze per la giornata che ti aspetta» rispose Balfaren con malcelato orgoglio. Avrebbe voluto tanto riuscire a prendere le distanze da lui con la stessa agghiacciante facilità con cui riusciva a farlo Valoris, ma si sentiva un vigliacco a farlo quando si trovavano da soli. Almeno un briciolo di supporto se lo meritava, a prescindere dai problemi che causava di continuo con la sua goffaggine. Si era evidentemente impegnato per raggiungere quel traguardo importante.
Balfaren chiuse gli occhi e inalò lentamente un paio di volte, espirando piano mentre cercava di allontanare dai suoi pensieri la preoccupazione continua per lo stato mentale di Valoris. In quel momento, sua moglie stava dormendo, quindi non avrebbe potuto risentire in alcun modo di quanto sarebbe accaduto lì, tra lui e Ninnuus.
«Che cosa preferisci con le uova?» domandò, e stavolta il suo tono era più gioviale e allegro.
Ninnuus colse il cambio di atteggiamento di suo padre e raddrizzò le orecchie, entusiasta per il quesito che gli era stato posto.
«Quelle striscioline di carne essiccata piene di grasso...» rispose, leccandosi le labbra soltanto immaginandosi il piatto in questione. Suo padre le utilizzava soltanto in occasioni speciali, di solito per festeggiare le cacce meglio riuscite di suo fratello.
Benché il ricordo delle celebrazioni di Maximus gli risultasse piuttosto sgradito, Ninnuus non poté negare di trovare giovamento al fatto nei piatti che suo padre cucinava per tali eventi. Sperava vivamente che data la giornata, Balfaren avrebbe acconsentito ad assecondare la sua richiesta.
Quest’ultimo portò via la padella per scodellare le uova in due piatti, quindi andò a recuperare dalla loro minuscola dispensa familiare la carne in questione.
«Per una volta si potrà fare un’eccezione, anche senza tuo fratello» disse, mettendo a cuocere diverse piccole strisce di carne nella stessa padella usata per le uova.
Fu l’affermazione più gratificante udita in tutta la sua vita sino a quel momento. Ninnuus iniziò a fremere impercettibilmente per l’eccessivo entusiasmo mentre l’aria si riempiva rapidamente del delizioso odore del grasso che si struggeva a caldo.
Nel giro di pochi minuti, Balfaren gli porse la sua colazione, e padre e figlio si misero a mangiare assieme, in ginocchio attorno al tavolo.
Nel mentre che Ninnuus divorava con appetito le sue striscioline di carne unticce, l’altro riuscì finalmente a notare il suo nuovo taglio di capelli. Ricordava distintamente di averlo visto andare a dormire con la sua solita capigliatura spettinata, per cui escluse che fosse stata Valoris a sistemarglieli.
«Ti sei tagliato i capelli da solo stanotte?» chiese, incuriosito. Non gli sembrava il tipo che faceva attenzione a certi particolari.
«Stamani» rispose Ninnuus con la bocca piena «Non dovevo? Pensavo di fare una migliore impressione...» aggiunse poi, una volta deglutito il boccone. Le sue orecchie si abbassarono un po’ nel concludere l’osservazione.
Balfaren si prese qualche secondo per studiarlo, poi si allungò oltre il tavolo e gli scompigliò leggermente il ciuffo sulla sommità del cranio, dandogli un aspetto più ondulato. Ninnuus emise un verso di protesta sentendosi schiacciare appena la testa.
«No, fermo! Me li sono già pettinati!» brontolò, mettendo su un broncio che lo fece sembrare ancora più giovane della sua età effettiva.
«Se li tieni troppo ordinati, non appena ti spettini sembrerà che tu abbia un nido di uccelli in testa» gli fece notare suo padre con un sorriso «Il trucco è farli sembrare in ordine quando non lo sono».
Ninnuus lo guardò con espressione visibilmente confusa.
«Fidati, così ti stanno meglio» gli garantì Balfaren, dandogli un’amorevole pacca sulla spalla, il più delicatamente possibile.
Suo figlio gli sorrise con un misto di gratitudine, gioia e commozione che trafisse il cuore di Balfaren come la più affilata delle armi.
«È come esaudire l’ultimo desiderio di un moribondo».
Le parole di sua moglie riaffiorarono prepotentemente nella sua mente e Balfaren non riuscì a non pensare che forse anche lui, trattandolo in maniera così anticonvenzionale, stava facendo esattamente ciò che aveva fatto Valoris negli ultimi giorni.
Gli stava regalando quell’aperto affetto paterno che non gli aveva mai elargito prima, ben sapendo che una volta divenuto Druido, Ninnuus sarebbe diventato un peso del Clan.
«Ninnuus, tesoro! Sei sveglio? Puoi venire da me un momento?».
La voce di Valoris proruppe da oltre la tenda della camera che divideva con Balfaren, interrompendo il momento.
Ninnuus terminò con un ultimo grosso boccone la sua colazione, quindi si alzò e raggiunse sua madre. Balfaren lo seguì con lo sguardo, l’espressione costernata dalla natura dei suoi stessi pensieri e il sorriso gioviale di poco prima congelato in una mesta parodia di sé stesso.
Si sentiva un verme per l’illusione che aveva fatto vivere a Ninnuus, eppure non riuscì a trovare il coraggio necessario a cambiare la situazione.

Nella piazza centrale si era radunato tutto il Clan. Ninnuus non aveva mai avuto occasione di vedere tutti quanti riuniti in quella maniera, dato che i suoi genitori lo avevano sempre tenuto lontano dalle celebrazioni pubbliche. Nonostante lo spiazzo fosse enorme, i Firbolg riuscivano a riempire la metà esterna della circonferenza pur stando tutti assiepati, lasciando non molto spazio per la cerimonia che si sarebbe tenuta al centro di lì a poco. Del resto, non ne serviva molto: la nomina a Druido quel giorno era riservata ad un singolo individuo, perdipiù non molto ingombrante.
Ninnuus si trovava all’esterno del cerchio di spettatori, all’ingresso dell’unico stretto passaggio che gli era stato riservato. All’altro capo dello stesso vedeva i suoi genitori ed alcuni dei Druidi più vecchi; oltre i due schieramenti, era dispiegato al gran completo il Concilio degli Anziani. Tutti lo aspettavano e lui non riusciva a smettere di tremare per la forte emozione, benché stesse sforzandosi grandemente.
Deglutì forte, quindi si sistemò la tunica arancio chiaro che indossava, il regalo di sua madre per lui. L’aveva cucita a mano di una taglia sola più grande della sua, per permettergli di portarla anche nel futuro senza doverla sostituire. Sembrava convinta che avesse ancora delle possibilità per crescere, e ciò rendeva Ninnuus ancora più emotivamente instabile.
Con le mani magroline che facevano appena capolino in fondo alle maniche, sollevò la gonna dell’abito per non inciampare nell’orlo un po’ lungo e cominciò a muoversi attraverso la folla. Misurava cautamente i propri passi, temendo di rovinare il momento con la sua innata goffaggine. I suoi grandi occhi color del miele andavano spontaneamente da una parte all’altra, posandosi fugacemente sui Firbolg cui passava accanto mentre cercava di costringersi a guardare unicamente innanzi a sé: vedere tutti gli sguardi puntati verso di lui lo metteva ancor più in soggezione di quanto già non lo fosse per l’occasione.
Si fermò tra i suoi genitori e i Druidi, inchinandosi brevemente verso il Concilio come gli era stato spiegato nei giorni addietro, durante la preparazione dell’evento.
Il Firbolg più vecchio del Concilio si fece avanti e Ninnuus si inginocchiò a terra, la tunica così grande che gli andò a coprire per intero le gambe. Rimase con il capo chino e le orecchie basse in segno di assoluto rispetto, lasciando che formulasse il discorso di rito mentre lui fissava il punto in cui avrebbero dovuto trovarsi le sue ginocchia. Il cuore gli martellava nel petto così forte che temeva sarebbe svenuto per la troppa emozione. Non prestò molta attenzione alle parole dell’anziano: la sua mente stava vagando alla deriva nei ricordi degli ultimi anni, di tutta la fatica e l’impegno profusi per giungere fino a quel momento. Finalmente qualcuno riconosceva le sue capacità. Anche lui sarebbe diventato una parte attiva del Clan, senza più essere considerato un bambino da accudire e sorvegliare come se fosse una statuina di vetro.
La cerimonia gli scivolò addosso come se non la stesse vivendo in prima persona. Il suo cervello non riusciva a realizzare che stesse seriamente ricevendo una tale considerazione e un tale onore da parte dei capi del Clan.
Da una parte gli dispiacque non riuscire a percepire a pieno l’emozione del momento; dall’altra ne fu sollevato, poiché riuscì a ripetere tutte le risposte ed eseguire tutti i passaggi che aveva studiato nell’ultimo periodo quasi alla perfezione. Il tremore nella sua voce purtroppo era una cosa che neanche la distanza mentale dall’avvenimento riuscì a cancellare.
I Druidi gli conferirono un bastone di ottima fattura, con l’asta di un legno particolarmente leggero che Ninnuus non riconobbe come quello degli alberi che crescevano attorno alla fortezza. Sulla cima portava fissata una mezzaluna di pietra di una tonalità di rosso particolarmente accesa che richiamava quella dei suoi capelli. Non aveva idea di dove o come se la fossero procurata, ma accettò ben volentieri il dono.
Anche i suoi genitori gli regalarono qualcosa, cogliendo completamente impreparato il piccolo Ninnuus: suo padre gli porse una semplice collana di corda che portava legata al centro un ramoscello di vischio. Era una pianta che cresceva spontanea nel bosco circostante: il ragazzo l’aveva notata in diverse occasioni quando usciva per andare a meditare all’alba. Nel prenderla tra le mani, Ninnuus percepì della magia all’interno dell’accessorio, che indossò immediatamente.
Una volta completata l’iniziazione, Ninnuus si volse verso il resto del Clan e chiuse gli occhi, godendosi gli applausi e l’esultanza del pubblico, crogiolandosi in quel caos come una lucertola sotto il sole nelle ore più calde della giornata. Voleva imprimersi in maniera indelebile quel momento nella memoria, il giorno del suo trionfo sulla sua stessa incompetenza, l’ombra che l’aveva perseguitato da che lui ricordava.
Nel mentre che tutti applaudivano, Valoris si dileguò nella calca in fretta, lieta che la sua parte in tutto ciò si fosse esaurita. Balfaren, invece, si avvicinò a suo figlio e gli poggiò entrambe le mani sulle spalle.
«Andiamo, Ninnuus. Il resto della festa si svolgerà nella mensa» gli disse vicino all’orecchio, chinandosi su di lui per timore che nella confusione non lo sentisse.
Il piccolo sollevò la testa a guardarlo con un sorriso radioso e annuì, iniziando a muoversi per seguire la folla nello spostamento.
All’improvviso il suono di un corno rimbombò al di sopra della cacofonia generale, inducendo tutti quanti al silenzio assoluto. Dopo il primo, ne arrivarono altri due, quindi si diffuse tra la gente un bisbigliare eccitato.
L’entusiasmo di Ninnuus venne stroncato di netto nel riconoscere il segnale acustico: significava che il gruppo di caccia era di ritorno. Ciò significava solamente una cosa per lui.
«Maximus…!» sentì esclamare a suo padre in tono sollevato e grato al tempo stesso.
Quel nome fece digrignare i denti al secondogenito di Balfaren in maniera tutt’altro che entusiasta. La sua espressione felice e piena di soddisfazione si rabbuiò di colpo, trasformandosi in una smorfia arcigna.
Suo fratello era tornato giusto in tempo per rovinare la sua giornata con le sue gesta eroiche durante la caccia. Ninnuus si sentiva giustamente perculato dal destino per il tempismo con cui Maximus era tornato a reclamare la gloria della sua perfezione.
«Non gli permetterò di avere tutte le attenzioni per sé. Non oggi» decise il più piccolo. Si scrollò le grosse e pesanti mani di suo padre dalle spalle e corse via, sollevandosi con l’unica mano libera il fondo della tunica.
«Ninnuus! Dove stai…?» cercò di richiamarlo Balfaren, ma il figlioletto scomparve nella folla prima che potesse aver modo di recuperarlo.
«Dovrà riconoscere i miei meriti, perché anche io adesso ne ho. Ora sono un vero Druido» ribadì a sé stesso con determinazione mentre sgusciava in mezzo agli altri Firbolg in direzione del grosso portone della cinta di mura, l’unico accesso esistente alla fortezza. In quel frangente la sua corporatura mingherlina era più che mai utile, poiché gli consentiva di aprirsi la strada laddove un comune Firbolg non sarebbe riuscito a passare.
La sua tunica nuova un po’ lo rendeva impacciato, specialmente dato che il fondo troppo lungo spesso rimaneva impigliato sotto le scarpe dei passanti, costringendolo a fermarsi più volte di quante avrebbe voluto.
Nonostante tutto, riuscì a guadagnarsi la testa del gruppo di curiosi lungo l’ampia strada principale che collegava il portone alla piazza.
Si fermò in mezzo alla via, assumendo un cipiglio serio e determinato mentre i grossi e pesanti battenti del portone venivano aperti da un rudimentale meccanismo a carrucole.
Ninnuus era pronto ad esibire con fiero orgoglio la sua fresca nomina a Druido ma il suo entusiasmo si spense nel momento stesso in cui il gruppo di caccia si materializzò nell’apertura: molti Firbolg esibivano ferite gravi già a distanza, ed erano quelli messi meglio. Alcuni erano sostenuti dagli sfiniti compagni, poiché mostravano chiari segni di arti amputati; altri invece trasportavano i corpi di inquietanti bestie simili a grossi serpenti con un esorbitante numero di piccole zampe adagiate inerti ai lati del ventre, anche se per gli standard delle cacce capeggiate da Maximus erano veramente un bottino scarso.
Il giovane Druido si apprestò a farsi da parte con espressione titubante nel constatare che l’imponente stazza di suo fratello non figurava tra quelle appena apparse. Maximus era più alto di tutti nel Clan e solitamente al ritorno dalle battute di caccia era in testa al gruppo, a pavoneggiarsi della cattura della preda più grossa. Era difficile non notarlo, motivo per cui la sua assenza risultò così lampante agli occhi del suo fratellino.
«Che davvero stavolta abbia avuto la peggio…?».
Il pensiero non poté non sfiorare la mente di Ninnuus, e benché in una normale relazione fraterna una tale eventualità avrebbe dovuto scatenare apprensione in lui - per non dire terrore e disperazione - di fatto riuscì solamente a farlo irritare ancor di più dell’annuncio del suo ritorno. Davvero Maximus era andato incontro alla sua fine prima che suo fratello potesse sbattergli in faccia il fatto di non essere completamente inutile...?
Sarebbe stata l’ennesima beffa del destino nei suoi riguardi.
Dalla platea di spettatori attoniti e spaventati emerse il gruppo di anziani Druidi che aveva presieduto la nomina di Ninnuus, seguiti a poca distanza da Balfaren e Valoris.
Quest’ultima avanzò nella scia dei Druidi, che stavano cercando di aiutare a portare i feriti all’interno.
«Dov’è Maximus?» udì chiedere Ninnuus a sua madre, mentre la donna si guardava attorno con evidente terrore «Dov’è il mio Maximus? Dov’è!» proseguì in un crescendo di apprensione e paura.
«Valoris, amore mio...» Balfaren cercò di ghermirla da dietro, per portarla via dal gruppo di caccia «Maximus sarà da qualche parte tra i suoi compagni… lascia che i Druidi si occupino dei feriti...».
Il tono pieno di preoccupazione e di paura della femmina ferì il suo secondogenito in profondità. Non l’aveva mai sentita parlare di lui in modo così angosciato, neanche quando veniva trasportato privo di sensi a casa o tornava pieno di lividi dopo essere stato aggredito dai suoi primi compagni di scuola durante le cruente lezioni di “educazione fisica”.
Il rancore che Ninnuus provava verso suo fratello non faceva che aumentare ogni volta che accadeva qualcosa che lo riguardava, sia in positivo sia in negativo. Non gli importava più di esibire il suo nuovo status a Maximus. Adesso sperava solo di scoprire che il suo corpo maciullato si trovava ancora nella foresta, impossibile da recuperare.
«Maximus tesoro! Oh cielo…!».
L’esclamazione sollevata di Valoris attirò l’attenzione di Ninnuus, inducendolo a staccare il suo sguardo frustrato dal terreno sotto i suoi piedi. Sua madre era riuscita ad arrivare fino al fondo del gruppo, che si era trattenuto un po’ indietro rispetto agli altri. Ben quattro grossi Firbolg erano alle prese con il trasporto di un corpo parecchio ingombrante, che dalla statura e dalla massa muscolare fuori del comune Ninnuus realizzò essere quello di Maximus.
Balfaren trasse sua moglie da parte con forza mentre quest’ultima cercava di sporgersi verso il corpo privo di sensi del suo primogenito. Un paio di Druidi arrivarono a controllarlo e affiancarono i quattro trasportatori per condurli verso la zona della fortezza presso la quale il circolo druidico risiedeva.
«Cosa fai lì impalato, Ninnuus?».
La voce del Maestro del ragazzo gli fece distogliere l’attenzione dal passaggio del fratello. Il Firbolg era in piedi vicino a lui e lo guardava con espressione confusa.
«Ehm, io...» esordì balbettando il ragazzo, non sapendo bene come motivare la sua presenza lì senza rivelare le sue vere e distorte intenzioni «Ero venuto a salutare Maximus...» rispose con tono esitante, e sotto sotto sapeva di stare dicendo la verità, anche se non in modo del tutto trasparente.
«Be’, temo che i saluti dovranno aspettare. Tuo fratello ha bisogno di cure immediate» gli rispose in tono fermo ma gentile l’ex insegnante «Ma adesso che sei un vero Druido, è anche tuo dovere occuparti dei feriti. Seguimi».
Ninnuus drizzò le orecchie, incuriosito e sorpreso dalle sue parole: davvero stava per ricevere il suo primo “incarico” come Druido?
Ansioso di dimostrare il suo valore nel suo nuovo ruolo, il ragazzo si afferrò la tunica, la sollevò e sgambettò in tutta fretta dietro il suo mentore.
Seguirono la barcollante marcia di feriti verso la zona in cui erano state edificate le case dei Druidi. Già dall’aspetto era evidente che fosse loro intenzione esplicitare il loro status a tutti: sulle mura esibivano rune magiche che brillavano attraverso le cortine di foglie e i tralci di rampicanti che le ricoprivano. Ognuno di loro pareva aver dato un tocco personale, scegliendo i propri ornamenti in modo indipendente rispetto agli altri.
Le case erano disposte a semicerchio contro la cinta muraria della fortezza e al centro si trovava un enorme albero con la chioma più fitta che Ninnuus avesse mai visto. Non ce n’erano di così grandi e rigogliosi nella foresta, almeno non nelle poche parti che lui aveva avuto il permesso di visitare nel suo apprendistato.
Un’apertura sottile, simile ad una ferita, si apriva nella corteccia, protetta da due robuste radici.
Il gruppo di caccia venne convogliato all’interno di essa, e Ninnuus con gli altri Druidi li seguirono. Il giovane membro del circolo scoprì così che in realtà l’albero era cavo e che nascondeva la grande infermeria della fortezza, nella quale stava mettendo piede per la prima volta nella sua vita: ogni volta che si era ferito o si era sentito male, era sempre stato riportato a casa.
Il pavimento era tappezzato di giacigli e coperte, illuminato dalla luce che filtrava attraverso i rami, più abbondante di quanto Ninnuus avrebbe osato sperare data la folta chioma. Lungo le pareti erano sistemate delle altre zone di riposo, ma dotate di una tenda, molto probabilmente riservate ai feriti più gravi.
I cacciatori vennero separati, e i Druidi iniziarono le medicazioni. Benché fosse il “giorno speciale” di Ninnuus, nessuno dei suoi nuovi compagni si fece il minimo scrupolo a chiamarlo a destra e a manca per farsi aiutare.
Il ragazzo aveva studiato i rudimenti del pronto soccorso, per cui riuscì a dare una mano con le bende e le disinfezioni, ma il suo punto forte era comunque l’utilizzo della magia. Laddove le sue capacità manuali risultavano carenti, interveniva attingendo ai suoi innato talento magici.
Le sue mani furono in breve tempo ricoperte di sangue, che però non era suo, il che lo rendeva al tempo stesso contento e perplesso. Era una strana sensazione trovarsi dall’altra parte, a curare anziché essere curato. Gli sembrava una cosa fuori del comune, quasi innaturale considerata la sua fragile natura; tuttavia, man mano che i suoi pazienti riprendevano coscienza e lo ringraziavano, il compito gli risultò molto più gradito. Anche se non erano complimenti, era comunque ben felice di ricevere qualcosa in cambio dei suoi servigi. Era una forma di attenzione, anche se non convenzionale, e per lui andava più che bene.
Passò ore ad occuparsi del gruppo di suo fratello, curando ferite, aiutando a ricucire lacerazioni e occupandosi di orribili ustioni prima di accorgersi che di Maximus sui giacigli non c’era traccia.
Dopo essersi occupato dell’ennesimo cacciatore anonimo, Ninnuus osò chiedere di suo fratello alla Druida che lo accompagnava.
«Maximus è con il Maestro» disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, accennando col capo ad una delle tende chiuse «Forse è meglio se vai a dargli una mano… non si è ancora fatto sostituire da nessuno...» aggiunse con un sospiro sconsolato, scuotendo la testa piena di treccine di capelli verde acqua «È sempre stato cocciuto… magari tu riesci a convincerlo a riposare» disse abbassando la voce e chinandosi fin quasi a terra, in modo che solo Ninnuus potesse udirla «In fondo sei stato il suo allievo più promettente...».
Il piccoletto balzò in piedi come una molla, rischiando di scivolare sull’orlo della sua tunica sovradimensionata per il troppo slancio. Le sue orecchie si drizzarono come antenne e le sue guance scavate si tinsero di una sfumatura violacea che mise in risalto la rada peluria rosso acceso sul suo viso. Il suo petto iniziò a muoversi al ritmo del suo respiro accelerato mentre i suoi occhi color del miele si ingrandivano, la pupilla scura al centro talmente grande da ridurre l’iride ad una striscia colorata quasi invisibile.
Eccitazione, ansia, gioia e trepidazione esplosero nel suo petto, cercando di soverchiarsi e annullarsi a vicenda per poi invece sinergizzare in un tumulto che lo fece tremare come una foglia.
La Druida lo guardò preoccupata, temendo che stesse per avere un attacco di panico. Lei si occupava dei feriti da anni, ma ricordava bene l’effetto che le faceva sguazzare nel sangue altrui le prime volte che era stata incaricata di farlo. Soprattutto, ricordava la stanchezza che fare ciò le comportava.
Ninnuus era ancora molto giovane - letteralmente il più giovane tra loro - e per giunta di cagionevole costituzione. Era stato stupido da parte sua chiedergli un simile sforzo dopo averlo visto spendere tanta energia fisica e magica sugli altri cacciatori.
«Ehm… Ninnuus non importa, riposati pure caro...» disse, sperando di prevenire qualsiasi malessere stesse per manifestare.
Il diretto interessato neanche sentì le sue parole. Ancora stordito per la fiducia riposta in lui, strinse il suo bastone con i palmi sporchi di sangue ed esclamò con voce stridula, quasi urlando: «Vado subito dal Maestro!».
La Druida lo vide rischiare di cadere un paio di volte mentre correva tra i giacigli, diretto verso la tenda che lei gli aveva indicato. Per essere lo scricciolo che era, doveva ammettere che era pieno di voglia di fare.
Un sorriso tenero sbocciò sulle labbra della Firbolg, di quelli affettuosi, spontanei e materni che Ninnuus non aveva mai potuto sperimentare.
Il ragazzo si fermò davanti alla tenda chiusa solo pochi secondi, il tempo di sistemarsi alla meglio la tunica e controllare di non aver perso niente per strada, quindi spostò il pesante drappo e sgattaiolò all’interno.
La saletta che era stata ricavata grazie alla tenda era grande abbastanza per ospitare un Firbolg di dimensioni normali o più, per cui a Ninnuus parve persino troppo grande.
Maximus era disteso sul giaciglio che occupava il centro della stanza e il Druido era inginocchiato al suo fianco, assieme a diverse ciotole contenenti impiastri di varie sfumature di verde che mandavano un tanfo che a Ninnuus purtroppo era ben familiare.
Suo fratello era stato spogliato dei pochi pezzi di armatura che indossava - non fosse mai che i suoi muscoli eccessivamente tonificati venissero protetti troppo da eventuali attacchi - ed era ancora privo di sensi. Le ferite erano grandi, più di quelle che il suo fratellino aveva visto sugli altri cacciatori. Sulla spalla sinistra riconobbe i segni di un morso, e la bocca che l’aveva provocato era enorme se paragonata alle tracce più simili rimaste sui suoi compagni.
Sull’addome aveva una spessa fasciatura che trasudava un impacco di erbe e sulle gambe mostrava chiazze di carne ustionata.
Maximus non era mai stato un canone di bellezza accettabile per Ninnuus: benché i muscoli fossero una cosa che alle femmine piaceva, suo fratello ne aveva troppi. La sua figura ne era deformata.
Il suo viso mostrava degli zigomi molto pronunciati e un naso aquilino, le guance appena incavate e il mento glabro. In questo era un’eccezione ai canoni maschili della sua razza, anche se Maximus stesso aveva più volte addotto come motivazione alla sua rasatura il fatto che una barba folta gli sarebbe stata solo d’intralcio nella caccia.
A compensare la mancanza di peluria facciale ci pensavano i capelli: lunghi e rossi, anche se di una tonalità molto più scura di quella del suo fratellino, quasi scarlatta. Normalmente li portava raccolti in una mastodontica coda di cavallo, anche se in quel frangente erano sciolti dietro la sua testa e sparpagliati sul pavimento a formare una grottesca parodia di pozza di sangue.
«Ah...» il richiamo del suo Maestro distolse l’attenzione del piccolo Firbolg dal corpo inerte del parente «… è successo qualcosa, Ninnuus?».
Il Druido parlava con voce bassa e lenta, come se facesse un’enorme fatica a mettere in fila le parole. Aveva l’espressione sfinita anche se continuava ad affaccendarsi a mescere gli impiastri e le mani gli tremavano appena.
L’interpellato sobbalzò appena. Leggeva chiaramente i segni della stanchezza nei gesti e nel modo di porsi del Druido più anziano. Era stato per merito suo se era riuscito ad arrivare sin lì, ad ottenere la nomina dal Concilio degli Anziani. Lui lo aveva spronato e lo aveva elogiato per ogni suo risultato come nessuno - nemmeno i suoi genitori - aveva mai fatto. E adesso si stava consumando anima e corpo per rimettere in piedi il suo odiato fratello.
Nel mentre che il più anziano era concentrato su di lui, l’attenzione di Ninnuus venne catturata per un attimo ancora dal fratello; dopodiché si dedicò alla conversazione.
Gonfiò il petto magrolino sotto la tunica, troppo grande perché il gesto potesse essere notato, quindi si avvicinò al Maestro.
«Vada a riposare, per favore. A mio fratello… ci penso io».
Al ragazzo occorse tutta la sua forza di volontà per completare la frase. Avrebbe desiderato ardentemente che Maximus si riprendesse senza l’aiuto della magia o di impiastri, solo per vederlo scendere dal suo piedistallo di perfezione assoluta e soffrire come un comune mortale attraverso il processo di guarigione.
Sarebbe stata la più grande soddisfazione della sua breve vita.
Eppure, sapeva che nessuno nel Clan avrebbe consentito una cosa del genere: Maximus era il guerriero più bravo e il cacciatore più esperto, e la comunità aveva bisogno che ritornasse in forze il più presto possibile. Soprattutto, il suo Maestro non si sarebbe allontanato se non avesse proposto un sostituto per medicarlo.
L’altro Druido lo guardò inarcando entrambe le sopracciglia in un’espressione chiaramente stupita. Con ogni probabilità non si era aspettato da lui un simile comportamento, anche se Ninnuus non aveva idea del perché.
«Vi prego. Lasciate che vi aiuti. Posso farcela!» insistette il più giovane, picchiettando il grosso bastone sul terreno.
Quale migliore modo di mostrarsi degno della nomina appena ricevuta se non quello di curare il prezioso Maximus?
Il suo mentore lo esaminò in silenzio per qualche momento: nei suoi occhi ambrati brillava una determinazione che fino ad allora non aveva mai visto. Al confronto impallidivano persino i suoi risoluti ma fallimentari primi tentativi di dominare la magia druidica.
Era bizzarro come tanta fermezza potesse trovarsi raccolta in un corpo così minuto e gracile.
«Va bene» acconsentì il Druido più anziano, poggiando la ciotola che aveva in mano per alzarsi «Ripongo grande fiducia nelle tue capacità, Ninnuus… sappi che non avrei lasciato questo ingrato compito nelle mani di nessun altro...» soggiunse, rivolgendogli un sorriso esausto.
Le orecchie del più giovane, ferme a mezz’asta, rotearono diverse volte alle sue parole, mentre i suoi occhi color del miele si spalancavano colmi di gratitudine.
L’apprezzamento altrui delle sue doti era tutto ciò che aveva sempre desiderato e che, anche in quel frangente, ricercava più di ogni altra cosa.
«Non la deluderò, Maestro…!» esclamò con voce stridula per l’emozione, il respiro accelerato e le gambe in costante movimento. Saltellava sul posto per la trepidazione.
Il suo interlocutore annuì e si trascinò pian piano oltre la tenda, evidentemente bisognoso di riposo. Ninnuus lo seguì con lo sguardo finché non si fu eclissato oltre la tenda, quindi si volse verso il corpo di Maximus. Nel farlo, il suo sguardo cambiò istantaneamente, adombrandosi, passando dall’innocente eccitazione ad una cupa espressione colma di risentimento.
«Siamo solo io e te, Maxi. So che sei sveglio» esclamò con voce lenta e bassa, marciando fino al suo fianco con movimenti cauti. Sapeva di stare deliberatamente attraversando un campo minato chiamandolo così.
Alcuni secondi di assoluta quiete trascorsero prima che Maximus aprisse tranquillamente gli occhi, puntellandosi sui gomiti per fissare il fratellino. Il suo sguardo era attento e sveglio e le sue labbra distorte in una smorfia di sprezzo. In quella posizione riusciva tranquillamente ad eguagliare il più piccolo in altezza.
«Quel nomignolo del cazzo. Se cominciassi a chiamarti “Nino” ti starebbe bene?» sputò irritato suo fratello.
Ninnuus fece spallucce, lasciando che il suo stupido tentativo di irritarlo gli scivolasse addosso come acqua tiepida. Anche storpiando il suo nome, non avrebbe cambiato il senso dello stesso: i suoi genitori d’altro canto l’avevano chiamato così proprio perché era piccolino.
“Maximus” d’altro canto, se abbreviato, dava a Ninnuus l’impressione di stare rivolgendosi ad un cane. La cosa lo divertiva, specialmente perché infastidiva il primogenito come poche altre cose al mondo.
«Come hai fatto ad accorgertene? Tch… proprio tu tra l’altro...» continuò Maximus, aggrottando le sopracciglia con fare stizzito alla mancanza di reazioni da parte del più piccolo alle sue parole.
Quest’ultimo gli elargì la smorfia di sagace superiorità migliore di cui era capace.
«Quando il Maestro mi ha chiamato per nome, hai contratto il pugno destro» spiegò senza fare una piega «Ma non mi sembri proprio nelle condizioni di prendermi a pugni...».
Maximus rise sommessamente, tornando disteso e portandosi una mano sul viso.
«Ah… non ci posso credere che mi abbiano lasciato nelle tue inutili mani» commentò con un sospiro «Quel Druido deve essere un vero incompetente per reputarti in grado di occuparti di me… be’, non sarebbe il tuo Maestro se non vi somigliaste in qualcosa» soggiunse in tono tagliente, guardando dritto in faccia Ninnuus con espressione piena di fasulla compassione.
Il suo fratellino represse l’impulso di prenderlo a bastonate su quel suo grosso e altezzoso naso appuntito. Sapeva di non possedere la prontezza di riflessi e la forza fisica necessarie a costituire una minaccia per lui. Avrebbe potuto spezzargli ogni osso del corpo soltanto afferrandolo e stringendo appena la presa.
Tuttavia, aveva dalla sua ancora un asso da giocare, e sapeva che la cosa avrebbe colpito Maximus allo stesso modo di un vero attacco fisico, ma a livello psicologico. Per lui, tutto ciò che era importante in quel momento era cancellare l’arroganza dal suo atteggiamento.
Un ampio e sinistro sorriso si aprì sul viso di Ninnuus mentre sollevava la cordicella che reggeva il suo nuovo focus druidico.
«Be’, si dà il caso che adesso io sia un Druido a tutti gli effetti. Nominato giusto poco prima del tuo infelice e pietoso ritorno dalla caccia» esclamò, instillando in ogni sillaba tutto l’odio di cui si era saturato nel corso degli anni.
Si inginocchiò accanto a lui e continuò con assoluta soddisfazione e nonchalance: «I tuoi insulsi compagni sono ancora vivi per merito mio e della mia magia».
Vide Maximus abbassare lentamente la mano e guardarlo con la stessa espressione esterrefatta con cui si sarebbe potuta accertare la presenza di un fantasma a pochi passi di distanza.
«Tu… cosa?!» la voce possente di Maximus, già ridotta in volume dalle sue condizioni non ottimali, suonava adesso come un verso strozzato e stridulo.
Musica per le orecchie di Ninnuus.
Il più grande si mise a ridere, il torace muscoloso scosso da fremiti di dolore ad ogni sussulto.
«È uno scherzo? Quel Druido mi sembrava un idiota… ma così…! Dove sono mamma e papà? Sicuramente loro mi diranno che...».
Ninnuus poggiò a terra il bastone e congiunse le mani davanti a sé, iniziando a cantilenare una formula magica. I suoi occhi ambrati iniziarono ad emanare un debole vapore verde, lo stesso colore delle chiome degli alberi nel pieno dello sviluppo. Quando sistemò i palmi sulla sua coscia - lunga quanto il suo magro torso e la testa - le ustioni iniziarono a rimarginarsi per effetto della magia. Maximus, benché di quest’ultima fosse completamente ignorante, riusciva a percepirla distintamente viaggiare attraverso i suoi arti, pervaderlo e lenire il dolore pulsante nella sua carne.
Il suo sbigottimento per il fatto che Ninnuus fosse capace di guarirlo era di gran lunga superiore a quello dovuto alla sua sconfitta. Il suo inutile, minuscolo e patetico fratellino non solo era in grado di praticare la magia, ma quest’ultima era addirittura utile.
«Tu… chi sei? Che ne hai fatto del mio stupido fratellino?!» boccheggiò esterrefatto Maximus.
Ninnuus provò un moto di gioia perversa indescrivibile nell’udire quelle parole. Poco mancò che il travolgente impatto emotivo gli facesse sbagliare le parole dell’incantesimo, mandando alle ortiche quell’idilliaco momento che voleva imprimersi a fuoco nel cervello per tutta la vita. Una parte della sua coscienza stava freneticamente cercando di registrare ogni dettaglio della situazione, dall’aspetto del locale alla faccia di Maximus, passando per tutta la variopinta gamma di emozioni che minacciavano di sopraffare l’autocontrollo del piccolo Druido.
Lentamente, Ninnuus spostò la propria attenzione verso le parti più alte del corpo di suo fratello, portando le ferite ad un livello tale da richiedere solo una normale medicazione per rimarginarsi del tutto.
Maximus rimase vigile per tutto il tempo, naufragando nel senso d’impotenza dinanzi alle capacità di Ninnuus. Era una sensazione del tutto nuova per lui, abituato ad eccellere in qualsiasi cosa cercasse di fare o apprendere.
L’unica sua mancanza - un po’ per sua scelta e un po’ per assenza di talento in merito - era esattamente ciò in cui il piccolo, gracile, goffo e incompetente Ninnuus pareva eccellere al punto tale da meritarsi una nomina speciale: la magia.
Era una consapevolezza che logorava il suo ego ad un livello che non riusciva neppure a comprendere a pieno.
Ninnuus si occupò di tutte le ferite: dopo averle trattate con la magia, si preoccupò di coprirle con degli impiastri medicinali e poi fasciarle. Gli ci volle un po’, ma sapeva di stare ferendo suo fratello a livello psicologico, e niente gli avrebbe fatto più piacere al mondo di quello. Avrebbe terminato il suo compito anche se gli fosse occorso tutto il giorno.
Alla fine, quando tolse le mani dal suo corpo per pulirle con uno straccio, Maximus grugnì stizzito mentre si issava sui gomiti.
«Dovresti poterti muovere… sei quasi guarito» gli disse il fratellino, la voce un po’ spenta e tremula per lo sforzo sostenuto.
L’altro si mise seduto per tutta risposta, muovendo entrambe le braccia nerborute tracciando un arco nell’aria; dopodiché provò a inarcare le gambe.
«Ancora un po’ deboli… ma fattibile» disse, rivolgendo un’occhiata infastidita a Ninnuus.
A guardarlo meglio, aveva perso un po’ del suo solito colorito azzurrognolo e attorno agli occhi si erano create delle ombre scure.
«C-che hai da fissare?» brontolò il diretto interessato, distogliendo lo sguardo «Vattene! Sei in grado di stare in piedi ora!».
Maximus si alzò in piedi, quindi prese la coperta che era stata appoggiata di fianco al suo giaciglio per ogni evenienza e l’aprì, gettandola sopra il fratellino.
«Fatti una dormita, hai un aspetto orribile… più del solito» commentò il più grande con un accenno di risata.
Ninnuus fece capolino da sotto il lembo, i capelli corti spettinati per davvero adesso. Fece per ribattere a tono alle sue parole ma l’altro lo interruppe: «Sono in debito con te… per quanto la cosa non mi piaccia. Ti restituirò il favore… prima o poi».
Così dicendo, uscì dalla saletta improvvisata, lasciando Ninnuus a fissare la tenda, sbigottito dalle sue parole. Non immaginava di riuscire ad arrivare così in là nel suo primo giorno da Druido.
Riuscire a rendere Maximus debitore nei suoi confronti era un obiettivo notevole da raggiungere, soprattutto per i suoi standard.
Un sorriso di sincera soddisfazione si allargò sul suo viso pallido e stanco mentre si stringeva la coperta addosso, lasciandosi cadere su un fianco sul pavimento. Chiuse gli occhi e permise alla stanchezza di avere la meglio su di lui.
Per la prima volta nella sua vita, si addormentò con la consapevolezza di aver fatto molto più di quanto preventivato nell’arco della giornata, benché non fosse neppure il tramonto.