Sickness

Jul. 28th, 2011 10:06 pm
fiamma_drakon: (Maid_Gardevoir)
[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: Sickness
Rating: Verde
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (Inghilterra)
Wordcount: 2096 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Note: Yaoi
«Sei davvero un idiota» sentenziò Inghilterra in tono pungente, entrando nella propria camera con una bacinella d'acqua fredda ed un panno in spalla.
Si accostò al proprio letto e poggiò la bacinella sul comò. Vi immerse il panno e lo strizzò, quindi si volse verso il letto, osservando con occhio critico l'occupante.
«Potresti non continuare a brontolare...?»
«No, non posso» ribatté Inghilterra in tono sostenuto «Perché se smettessi tu non capiresti. Non che tu capisca ugualmente, a giudicare dalle tue condizioni».



«Sei davvero un idiota» sentenziò Inghilterra in tono pungente, entrando nella propria camera con una bacinella d'acqua fredda ed un panno in spalla.
Si accostò al proprio letto e poggiò la bacinella sul comò. Vi immerse il panno e lo strizzò, quindi si volse verso il letto, osservando con occhio critico l'occupante.
«Potresti non continuare a brontolare...?»
«No, non posso» ribatté Inghilterra in tono sostenuto «Perché se smettessi tu non capiresti. Non che tu capisca ugualmente, a giudicare dalle tue condizioni» continuò, posando il panno sulla fronte del malato.
«Dovevo riparare la staccionata del giardino» disse quest'ultimo a bassa voce, in tono di scuse.
«Perché per voi americani riparare una stupida staccionata è più importante che stare al riparo nel bel mezzo di una gelida notte di pioggia. Mi domando se siete stupidi o che...» esclamò, senza abbandonare quel tono freddo e di rimprovero.
«Ehi...!»
«Chiudi il becco e dormi, idiota» lo rimbeccò Arthur, senza neppure accennare a guardarlo «Mi chiedo perché continuo ad aiutare un idiota come te!» sbuffò.
«Inghilterra smettila di dire che sono un idiota!» s'indignò America, alzando il capo dal cuscino, facendo cadere la pezza dalla fronte.
«No, non la smetto, razza di stupido yankee masochista!» replicò con veemenza Kirkland, quindi aggiunse un rabbioso: «E stai fermo!».
Prese la pezza e gliela rimise sulla fronte con gesti stizzosi.
Alfred ripiombò giù, affondando il capo nel cuscino.
Le sue palpebre a mezz'asta la dicevano lunga sulla sua stanchezza e la fatica che faceva nel rimanere ben sveglio in quelle condizioni - anche se sembrava mettercela tutta per nasconderla.
I suoi occhi azzurri erano inchiodati sulla figura dell’inglese, che trovava più tenero del solito, nonostante continuasse ad insultarlo senza il minimo rimorso; ciononostante, lui era felice: perlomeno gli era vicino.
«Tsk! Nazione indipendente... eppure ogni volta che succede qualcosa ricompari» continuò a brontolare Kirkland.
«Sei sempre disponibile...» gli fece notare America flebilmente.
«Che dovevo fare, buttarti fuori di casa a calci in questo stato?! Sarò anche arrabbiato con te per l'indipendenza, ma non sono certo senza cuore. Ti sei presentato febbricitante e moribondo a casa mia, sotto la pioggia e il vento. Dove lo trovavo il coraggio per sbatterti la porta in faccia?!».
L'inglese fece una pausa per riprendere fiato.
Alfred rimase zitto: non trovava parole per replicare a quello sfogo - o forse semplicemente non voleva dire niente.
«Certe volte mi domando veramente se sei idiota o meno...!» terminò l’ex madrepatria, rosso in viso per la rabbia e la foga del discorso.
Prima che avesse modo di continuare a parlare, America allungò istintivamente una mano e l'afferrò per il colletto, tirandolo a sé.
Gli posò un bacio sulle labbra, rapido ma profondo, nonostante fosse febbricitante e debole.
Arthur arrossì vistosamente, colto totalmente alla sprovvista dal gesto.
«Che diavolo fai?!» esclamò, paonazzo, svincolandosi dalla sua debole presa e facendo qualche passo indietro.
Non era una domanda posta con l'intento di ricevere una risposta, difatti Alfred rimase in silenzio a fissarlo, le palpebre calate a mezz'asta nell’atto tipico di chi sta per assopirsi.
Era stato rapido, non voluto da una delle due parti, ma l’aveva trovato comunque un contatto veramente piacevole, più di quanto avesse immaginato.
Arthur arretrò di qualche altro passo prima di voltarsi e allontanarsi deciso.
«Dormi che è meglio!» esclamò una volta giunto sulla porta, dopodiché uscì definitivamente.
«Ma guarda tu che razza di sfrontato!» sbuffò tra sé e sé, scendendo le scale «Moribondo e febbricitante sì, ma non quando gli serve...!» aggiunse, irritato, arrivando in cucina.
«M-mi ha baciato... America mi ha baciato! Un maschio!».
Realizzare la cosa lo mise in forte agitazione.
Mise a fare il thé mentre ancora ripensava a quanto appena accaduto, sperando che forse quello avrebbe potuto calmarlo.
«Quello stupido americano! Gli è andata bene che la febbre di questo periodo l'ho presa anch'io e poco tempo fa, altrimenti saremmo stati in due ad essere costretti a letto»
rifletté, irritato, poi riprese: «Ma come ha osato...!». Non riusciva nemmeno a dire la parola "bacio". Solo ripensandoci arrossiva di nuovo violentemente.
Seduto al tavolo in un angolo della stanza, osservava in silenzio la teiera sul fornello, in attesa che il suo thé fosse pronto.
Inghilterra si massaggiò le tempie, in atto di esasperazione.
«Dovrei solamente dimenticarmene, far finta che non sia successo niente» pensò, cercando di convincersene, senza riuscirci «Ma come faccio? Cavolo, con un maschio... America, per giunta!».
Era sull’orlo di una crisi di nervi.
La teiera cominciò a fischiare, salvandolo dall’abisso sempre più nero e profondo i suoi pensieri lentamente lo stavano trascinando.
Inghilterra si avvicinò al fornello e tolse la teiera, facendo attenzione a non scottarsi.
«Adesso bevo il mio thé e leggo qualcosa, magari riuscirò a distrarmi» si disse, versando la bevanda in una tazzina di porcellana.
La prese e se ne andò in soggiorno, dove si accomodò nella poltrona a ridosso della libreria.
Prese il libro che aveva già cominciato a leggere dal tavolino accanto alla poltrona - sul quale invece appoggiò la tazzina - e lo aprì, riprendendo a leggere.
Intercalando il thé alla lettura, Arthur passò delle ore discretamente piacevoli - se considerato quanto gli era appena accaduto - nella quiete assoluta del suo soggiorno, perso nel mondo immaginario dipintogli innanzi agli occhi dalle parole stampate nero su bianco sul suo amato libro.
Quando terminò la lettura ed alzò gli occhi sull'orologio, erano passate quattro ore.
Chiuse il libro e lo posò accanto al piattino con la tazzina di thé vuota.
«Meglio andare a controllare come sta...» mormorò, alzandosi e avviandosi verso le scale.
Salì a passo lento, senza la minima voglia di rivedere America.
Si fermò un momento davanti all'uscio, inspirò profondamente - imbarazzato all’idea di rivederlo dopo quanto accaduto - ed aprì.
La prima cosa su cui posò lo sguardo fu l'ammasso informe di coperte sotto il quale doveva essere nascosto Alfred.
Avvicinandosi riuscì a scorgere, sul cuscino, gli arruffati capelli biondi del suddetto.
La bacinella era ancora piena d'acqua ed il panno era appoggiato sul bordo, abbandonato a sé stesso.
«S'è addormentato...» mormorò tra sé, fissandolo perplesso.
Si accostò ancora al suo letto, continuando ad osservarlo.
«Be', meglio lasciarlo dormire. Se non altro non darà fastidio» pensò, voltandosi per uscire.
Fece per andarsene, quando un flebile: «Inghilterra...?» lo raggiunse, congelandolo lì dove si trovava.
L'inglese si girò di nuovo, incontrando il suo viso semiaffondato nel cuscino.
Gli occhi, aperti per metà, brillavano per la febbre; ciononostante, sembrava abbastanza sveglio e cosciente di sé.
«Sì? Che vuoi?» domandò, con un tono che non era molto cortese.
«Mi porti qualcosa da bere?» chiese America, guardandolo con aspettativa, come se gli fosse dovuto qualcosa.
«Si usa chiedere "per favore"» s'indignò Inghilterra, ma lasciò cadere il discorso, visto che probabilmente non ne avrebbero cavato fuori niente. L'inglese si limitò a scrollare le spalle, lanciandogli un'occhiata non molto gentile, quindi rispose: «Ti porto qualcosa...».
Ciò detto, uscì di nuovo.
America si sdraiò supino sul materasso, fissando il soffitto.
Menomale che c'era Inghilterra, perché lui non aveva la minima idea di come si curasse la febbre; inoltre, stare a letto tutto il giorno lo deprimeva, anche se stare lì aveva risvegliato in lui una parte dei ricordi della sua infanzia ambientati tra le mura della casa dell'inglese. Per questo non si annoiava a morte stando immobile senza niente da fare.
Inghilterra tornò dopo una decina di minuti con una tazza di porcellana in mano.
«Tieni» disse, porgendogli la tazza, che l'americano prese volentieri, mettendosi a sedere.
Si portò alla bocca il contenuto senza nemmeno controllare cosa fosse, per cui si meravigliò di sentire il sapore per lui disgustoso del thé.
Deglutì a fatica, schifato, per evitare di sputarlo di nuovo nella tazza - cosa che non sarebbe stata molto carina - poi guardò contrariato l'inglese.
«Thé?!» esclamò, il tono di sprezzo e sorpresa ben marcato.
«Be', che ti aspettavi? Una coca-cola?!» sbottò in risposta l'altro.
«In realtà sì» ammise Alfred, provocando uno sbuffo clamoroso nel suo interlocutore nonché attuale infermiere.
«Scordatelo che io ti dia cose del genere finché le tue condizioni di salute non migliorano! Il thé va benissimo: è persino uno di quelli più leggeri, adatto alla tua situazione! Al limite ti porto una camomilla o un bicchiere d'acqua!» sentenziò, perentorio.
«Ma il thé fa schifo!»
«Allora andavi a chiedere asilo da Francia!».
America gonfiò offeso le guance e deviò lo sguardo.
«No, voglio te» affermò deciso, poi rabbrividì «Chissà cosa sarebbe capace di farmi quel pervertito...» aggiunse, immaginandosi il peggio.
Inghilterra non riusciva a dargli torto: Francia non era proprio il tipo da starsene buono a curare qualcuno. Era assolutamente certo che avrebbe approfittato di lui.
«Be', allora dovrai bere il thé ancora per un po', mi spiace» sentenziò Arthur, provocando un sentito sbuffo nell'altro.
«Uffa...»
«Non sembra che tu stia poi così male, se riesci a lamentarti tanto» commentò l'inglese.
L'americano a fatica finì di bere il thé e si stese un'altra volta, socchiudendo le palpebre.
L'ex madrepatria fece per andarsene, ma l'altro lo afferrò per il bordo della maglia.
«Inghilterra resta...» sussurrò.
L’inglese si volse e lo guardò dall'alto: da quella posizione il suo sguardo sembrava più tenero ed indifeso, dolce.
Gli sembrava di fargli un torto a lasciarlo da solo.
«E va bene» sbuffò, sedendosi sul bordo del materasso, posando sul comò la tazza vuota.
Guardò il biondo per dei minuti, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa.
Alfred lo guardava semplicemente, senza aprire bocca.
Si accontentava di osservarlo: aveva preferito andare a chiedere aiuto a lui piuttosto che ad altri anche perché voleva stare in sua compagnia, benché Inghilterra probabilmente non condividesse i suoi sentimenti.
«Inghilterra» disse dopo un po'.
«Che c'è?»
«Non c'è nessuno che ti piace?» continuò, in tono un poco più flebile: si sentiva spossato, eppure la stanchezza fisica non aveva influenzato affatto la sua impulsività e spontaneità nel parlare.
Arthur s'infiammò all'istante per l'improvvisa domanda, che gli rievocò alla mente il bacio rubatogli a tradimento ore prima.
«M-ma che dici?» sbottò, a disagio.
«Era solo per curiosità...».
La voce di America si spense e le sue palpebre si abbassarono.
«Ehi, che ti prende?» chiese, allarmandosi. Gli posò senza pensare la mano sulla fronte e sgranò gli occhi.
«La febbre è salita di nuovo!».
«Ho freddo...» sussurrò Alfred.
L'inglese si alzò e andò a cercare delle altre coperte da mettergli addosso, ma sfortunatamente non riuscì a trovarne altre.
«Che cosa posso fare...?» si domandò, guardandosi intorno.
«Innanzitutto, calma. Le medicine» si disse, scendendo al piano di sotto in fretta.
Cercò la medicina adatta alla situazione nell’armadietto dietro lo specchio e, non appena l’ebbe trovata - si trattava di una piccola pastiglia bianca - si apprestò a discioglierla in un bicchiere d'acqua, quindi corse di nuovo da America con un solo pensiero fisso in testa: doveva far presto.
Aprì con veemenza l'uscio e si diresse a grandi falcate verso il letto.
«Forza, bevi questo» disse, porgendogli il bicchiere.
Alfred si tirò su a fatica e bevve.
Stava malissimo ma era felice, in fondo: Arthur era preoccupato per lui. Era una cosa che non capitava ormai da anni - da quand’era piccolo, ora che ci pensava.
Gli restituì il bicchiere e si coricò un'altra volta, tremando.
«Maledizione! Non ho altre coperte!» sibilò tra i denti Kirkland, abbassando gli occhi.
Guardò l'americano per alcuni momenti: tremava come una foglia e sembrava infinitamente più fragile ed indifeso.
Doveva fare qualcosa, assolutamente. Nel caos di pensieri che gli vorticava nella mente baluginò un'idea che, per quanto balzana fosse, era pur sempre un'alternativa al rimanersene lì con le mani in mano.
America sentì le coperte sollevarsi ed un corpo affiancarsi al suo sul materasso.
Aprì gli occhi, incredulo, e si trovò a fissare il viso di Arthur, le cui guance rosse spiccavano vividamente in contrasto con tutto il resto.
Le sue braccia serpeggiarono lungo il suo corpo, avvolgendolo e attirandolo a sé.
Se fosse stato in condizioni migliori avrebbe potuto crederlo un sogno che si realizzava.
Alfred si accoccolò contro il petto di lui, affondandogli il viso nella camicia, come un gatto in cerca di coccole.
«E-ehi, non farti venire strane idee... è solo che non ho altre coperte da darti» si giustificò l'inglese.
Il più giovane stirò debolmente le labbra in un sorriso.
«Grazie...» sussurrò.
«America»
«Sì...?».
Un momento di pausa, che servì a creare un bell'effetto suspense.
Era una domanda che l'ex madrepatria avrebbe voluto tenere per sé, ma gli sembrava il momento adatto per porla: la situazione... intima era perfetta - e poi non c’era nessuno che potesse sentirli.
«Ti... piaccio?» chiese, esitante.
Sapeva perfettamente che l'amore tra due uomini era anormale, però il bacio che aveva ricevuto quello stesso pomeriggio era un indizio che portava nella direzione di un rapporto del genere.
Alfred esitò un attimo, poi in un soffio appena udibile rispose: «Sì... mi piaci».
Era una dichiarazione a tutti gli effetti e sarebbe stata più d'effetto se fosse avvenuta in ben altre circostanze.
Kirkland arrossì e, invece di allontanarlo o rifiutarlo, si strinse il più giovane al petto con fare protettivo.
«Dormi, dai» gli disse «E cerca di riposare come si deve. Mica vorrai rimanere a letto con la febbre per dei giorni?».
America scosse debolmente il capo.
«'notte...» sussurrò.
In realtà era appena il tramonto, ma Inghilterra sorrise pensando che stava talmente male da non rendersi più conto dello scorrere del tempo. Lo rendeva più dolce.
«Buonanotte» gli augurò.
«A te penserò io. Proprio come quand'eri piccolo...».
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