fiamma_drakon (
fiamma_drakon) wrote2011-09-12 09:50 pm
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Punishment
Titolo: Punishment
Rating: Rosso
Genere: Erotico, Sentimentale
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (Inghilterra)
Wordcount: 1909 (
fiumidiparole)
Prompt: 50 Places / 009. Biblioteca @
kinks_pervs
Note: Biting, Gakuen Hetalia!Verse, Lemon, accenni a Self!love, Yaoi
«Perché le hai risposto?! Hai idea di quanto ci sia da lavorare qui?! Finiremo tardissimo e... e domani mattina alla prima ora ho educazione fisica, razza di imbecille! Cos'hai, hamburger al posto del cervello?!» sputò fuori il britannico.
Non aveva niente contro la lezione di ginnastica. Il problema era che aveva bisogno di dormire di più la notte prima, per evitare di passare il resto delle lezioni steso moribondo sul banco a sonnecchiare. Il suo rendimento scolastico ne avrebbe sofferto troppo.
«Dai, non fare così! Prendila con filosofia...!» esclamò Alfred, dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla.
«Filosofia un caz...» sibilò l'altro, ma s'interruppe sentendosi toccare il sedere da una mano dell'americano.
«E poi, siamo soli qui dentro, Inghilterra».
«Sono stanco... e qui è così noiosooo...!» si lamentò America, adagiando la testa sul grosso libro aperto sul tavolo sotto di sé.
Accanto a lui, Inghilterra stava mordicchiando infastidito il fondo di una penna, il viso appoggiato sul palmo di un mano, mentre con l'altra sfogliava le pagine di un libro.
«Invece di pensare a quanto ti stai annoiando, pensa piuttosto a studiare, se le vacanze invernali non vuoi passarle a studiare sul serio per recuperare le lacune del primo trimestre» lo redarguì l'inglese senza particolari inflessioni nella voce.
Alfred sospirò, depresso: non aveva tutti i torti in fin dei conti. La sua media scolastica era disastrosa e la sua voglia di studiare era sottoterra persino se faceva troppo freddo per uscire nel cortile dell'istituto.
Fece uno sforzo e tentò di concentrarsi, senza alcun risultato, complice anche il fatto che con Arthur lì accanto aveva voglia di fare ben altre cose che studiare - dopotutto, stavano insieme in modo quasi ufficiale. Il problema era che intorno c'era troppa gente - a lui non dava affatto fastidio, chiaramente, ma al compagno sì.
«Inghilterra...!» esclamò a voce alta e lamentosa, attirando gli sguardi irritati degli studenti dei tavoli vicini.
«Stupido, non urlare. Siamo in biblioteca...» lo rimproverò arrabbiato Kirkland, che non riusciva a sopportare che quel luogo per lui così importante - quasi sacro - fosse profanato dall'ignoranza del compagno.
«Ho acconsentito ad accompagnarti solo a patto che tu t'impegni, ma stai facendo tutto meno che quello» proseguì con un fil di voce, l'indispensabile a farsi sentire.
«Lo so, ma studiare è noioso!» esclamò l'altro, senza variare minimamente tono. Evidentemente nel suo vocabolario mancava l'espressione “abbassare la voce”.
«Ti ho detto di non urlare» sibilò inviperito Inghilterra, persa ogni briciola di pazienza «Altrimenti me ne vado» minacciò.
«Signor Kirkland».
Un brivido corse lungo la spina dorsale dell'inglese nel momento stesso in cui quelle parole scesero come un sudario gelido sulla sua pelle.
Arthur si volse, e così fece anche il suo compagno, incontrando così la figura incombente della bibliotecaria.
«Signor Kirkland, vedo che si è dimenticato della regola per eccellenza che vige nella biblioteca» asserì tagliente.
Inghilterra deglutì nervosamente: far infuriare la bibliotecaria era il peggior errore che si potesse commettere.
Era così ligia al regolamento che uno sgarro poteva costarti una settimana di punizione - ed era una fortuna che le vecchie punizioni corporali fossero state abolite, perché lei era il genere di persona che, se avesse potuto, le avrebbe messe in pratica senza il minimo rimorso.
«O forse devo presumere che la colpa sia da attribuire alla maleducazione signor Jones? Sa quali sono le regole, non è vero?» continuò, pungente.
Inghilterra si morse un labbro, lanciando un'occhiata carica di disperata indignazione al compagno: era difficile che stesse zitto già quando non era manifestamente chiamato in causa, figurarsi quand'era interpellato. Per di più, era estremamente schietto sulle proprie opinioni con tutti, docenti compresi.
«Non replicare, tieni a freno quella linguaccia, dannazione...!» lo supplicò mentalmente l'inglese.
Purtroppo, la stupidità e l'arroganza dell'americano presero il sopravvento su di lui: «Certo che le conosco, ma non è colpa mia se questo posto che sembra un obitorio è così noioso».
L'espressione di totale spontaneità e franchezza che animava il suo viso era in qualche modo irritante.
Arthur rimase a bocca aperta a fissare il compagno: l'aveva combinata grossa.
La bibliotecaria gli lanciò un'occhiata di fuoco dall'alto, poi stirò le labbra.
«Molto bene, allora spero che le ore che spenderà nel rimettere in ordine la biblioteca insieme al suo amico la aiutino a rivalutare la sua opinione» disse con freddezza glaciale, forse per questo apparendo ancor più malvagia di quel che già era.
Inghilterra boccheggiò senza sapere cosa dire, osservandola impotente mentre si allontanava, impettita ed austera.
Erano stati lasciati proprio davanti alla postazione dell'addetto al locale. Alle loro spalle c'era un carrello stracolmo di libri da riporre nei rispettivi scaffali delle rispettive sezioni. Una faticaccia, considerato che - a primo sguardo - quel carrello sembrava pesare una tonnellata e pareva quasi sul punto di schiantarsi.
Le luci accese erano state ridotte al minimo indispensabile che permettesse loro di aggirarsi per la biblioteca senza andare a sbattere contro gli scaffali.
«AMERICA SEI UN IDIOTA!» fu la prima cosa che Inghilterra disse non appena la bibliotecaria se ne fu andata, raccomandandosi di svolgere un lavoro ineccepibile, con la promessa implicita di guai peggiori in caso contrario.
La frustrazione che non era riuscito ad esprimere finché c'era stata gente in giro venne fuori tutta in quel momento, come un inarrestabile fiume in piena.
«Perché le hai risposto?! Hai idea di quanto ci sia da lavorare qui?! Finiremo tardissimo e... e domani mattina alla prima ora ho educazione fisica, razza di imbecille! Cos'hai, hamburger al posto del cervello?!» sputò fuori il britannico.
Non aveva niente contro la lezione di ginnastica. Il problema era che aveva bisogno di dormire di più la notte prima, per evitare di passare il resto delle lezioni steso moribondo sul banco a sonnecchiare. Il suo rendimento scolastico ne avrebbe sofferto troppo.
«Dai, non fare così! Prendila con filosofia...!» esclamò Alfred, dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla.
«Filosofia un caz...» sibilò l'altro, ma s'interruppe sentendosi toccare il sedere da una mano dell'americano.
«E poi, siamo soli qui dentro, Inghilterra» aggiunse quest’ultimo col tono di chi non ha buone intenzioni.
Kirkland arretrò, rosso in viso ed accaldato.
Jones assunse un'espressione innocente e perplessa.
«Ti sei scaldato tanto solo perché ti ho sfiorato...?» domandò con la purezza d'un pargolo.
«“Sfiorato”...?!» ripeté allibito l'inglese «Altro che sfiorato! Cos’è, prima mi rovini la serata poi tenti di molestarmi?!» sbottò poi, indignato.
Si sentiva inerme in un luogo del genere, dove chiunque avrebbe potuto beccarli senza troppi problemi.
L'unico posto dove si permetteva di scambiare effusioni con lui era la loro stanza in dormitorio, con la porta ben chiusa a chiave.
«Dai, dai Inghilterra! Facciamolo, ti preeego! È una settimana che non si fa!» lo supplicò Alfred, agitando le mani in aria come un bambino capriccioso.
«Per forza, avevo da studiare!» replicò Arthur: l'ultima settimana che aveva trascorso era stata occupata interamente da prove scritte e orali che l'avevano costretto a studiare fino a notte fonda tutti i giorni.
Non aveva avuto il tempo per certe distrazioni.
«Per favooore...!»
«N-no, non si può, non ora: dobbiamo sist...».
Non riuscì a finire: la mano di America lo afferrò per il colletto e l'attirò a lui, il quale gli posò una mano sulla bocca mentre gli mordicchiava il lato del collo e con l'altra mano allentava il nodo della cravatta.
Voleva spogliarlo mentre ancora erano in biblioteca?!
Protestò, ma ogni sua parola venne resa incomprensibile dal blocco oppostogli dall'americano, la cui mano libera - finito che ebbe di sciogliergli la cravatta - s'insinuò sotto il maglioncino e la camicia, toccandogli il ventre ed aggirandolo, andando verso la schiena.
Arthur agitò la testa nel tentativo di divincolarsi, mentre le guance divenivano sempre più rosse ed il caldo aumentava, cominciando a farlo sudare.
Alfred gli sfiorò la spina dorsale, facendolo rabbrividire e tremare.
Non doveva andare in quel modo, non lì. Ce l'aveva ancora con lui per la punizione che gli era toccato subire per colpa sua, non voleva lasciargli il comando.
Fu così che in quell’attimo la rabbia impotente dell'inglese si trasformò in desiderio di dominare l'azione.
Sfilò la camicia dai pantaloni dell'americano e infilò le mani sotto il tessuto, arrivando a solleticargli la spina dorsale con la sinistra, mentre con la destra gli apriva i pantaloni dell'uniforme.
America gli si strusciò addosso, aprendogli a propria volta i pantaloni, ma Arthur fu più svelto ad abbassarglieli - quelli ed i suoi ormai familiari boxer con la bandiera americana - denudando il suo sesso.
Lo spinse a terra con modi non troppo garbati, inginocchiandosi ed aprendogli le gambe, piegandosi in avanti.
Gli leccò l'inguine, passando lentamente la lingua sulla sua zona erogena.
Alfred sbatté un piede a terra e si morse un labbro, reclinando all'indietro la testa.
«Awww, Inghilterra...!» esclamò, lanciando poi un gemito.
La lingua dell'inglese lo stava eccitando, passando lentamente sul suo sesso, fermandosi ogni tanto, poi riprendendo, infine succhiando.
«I-Inghilterra...!» ansimò.
Quando il britannico si sollevò, Alfred si spinse in avanti e lo baciò ardentemente, ficcandogli la lingua in bocca.
Arthur si sentiva bene, vedendolo così in difficoltà.
Gli mise la mano all'inguine e iniziò a stuzzicare la sua eccitazione.
America cominciò a contorcersi, senza però staccarsi dalla bocca dell'altro.
Sentirsi in mano il suo pene duro ed eretto e percepire i suoi movimenti spasmodici per soddisfarsi eccitava Arthur, che poteva sentire il proprio sesso gonfiarsi e drizzarsi nelle mutande.
America voleva che quel momento durasse in eterno. Era così provocante, così estatico il tocco di Kirkland nelle sue zone intime. Jones desiderava solo che Arthur gli entrasse dentro.
«Inghilterraaaahn! Entrami... dentro» esclamò, staccandosi dalle sue labbra.
Inghilterra sorrise.
«E poi si finisce la nostra punizione?» esclamò.
L'americano scosse la testa, esasperato dalle dita audaci che lo stavano masturbando con forza e delicatezza insieme.
«Qualsiasi cosa, tutto... ma entra».
Era stato facile convincerlo a finire di scontare quell'odiosa punizione - anche troppo, considerato che tipo era.
Non appena il britannico lasciò la presa sul suo sesso eretto, America tremò e sospirò, mentre si girava e si metteva carponi abbassandosi ulteriormente i pantaloni.
Le sue natiche pallide e sode erano dannatamente invitanti.
Arthur le accarezzò, pensando che erano solamente sue - come tutto il resto del suo corpo.
Spinto dall'erotismo che si era addensato nell'aria, Kirkland morse forte la natica sinistra dell'americano, facendogli cacciare un gridolino. La sua pelle sapeva di sudore e di libidine.
«Ahio!» sbottò Alfred, ma non ebbe il tempo di dire altro, perché il britannico lo penetrò.
America sentì il suo pene turgido e dritto farsi strada nel suo fondoschiena, poi avvertì un piacere profondo e perverso quando cominciò a percepire le spinte, brevi e rapide, del suo partner.
Fece male, ma il dolore si mescolò al piacere, annebbiandogli la vista e i sensi.
Rispose come meglio poté, portandosi rapidamente una mano al membro per darsi un po' d’alleviamento.
Gemette ed ansimò in modo osceno fino all'orgasmo.
Quando venne si sporcò del suo stesso sperma le dita e si lasciò sfuggire un sospiro quasi di sollievo.
Come se non volesse dargli tregua, Arthur venne in lui con un'ulteriore spinta, svuotandosi completamente. Tutto ciò che udì fu un gemito più forte ed un sospiro acuto nel quale ebbe l'impressione di sentirlo pronunciare un soddisfatto ed esausto «Ooow, Inghilterra...».
L'inglese uscì da dentro di lui rapidamente e si mise in piedi, risistemandosi l'uniforme con garbo e compostezza, mentre America si lasciava andare ad un fiume di commenti tutt'altro che casti su quanto appena accaduto.
«Bene, adesso alzati» concluse Arthur ad un certo punto, una volta che fu stufo d'ascoltarlo «Dobbiamo finire qui e poi andare a dormire» puntualizzò, rivolgendosi verso gli scaffali.
«America?» chiamò, voltandosi, trovandolo sì in piedi dietro di sé, ma con un occhio chiuso ed un'espressione di dolore sul viso.
Non si era preso la briga di risistemarsi la camicia nei pantaloni ed aveva annodato male la cravatta, ma tutto sommato era sera, avevano appena fatto sesso e Arthur era stanco, per cui fece finta di niente.
Quello che attirò la sua attenzione, invece, fu la mano con cui Alfred si stava massaggiando il fondoschiena, più precisamente il lato sinistro.
«Perché mi hai morso una chiappa? Fa male» borbottò l’americano indispettito.
«Perché sei mia proprietà e volevo metterlo in chiaro» esclamò spavaldo Inghilterra, incrociando le braccia sul petto «Il segno dei miei denti dovrebbe farlo capire a chiunque voglia provare a farti suo».
«Speriamo che non lo veda nessuno quando mi cambio per le ore di educazione fisica» sospirò Alfred, avvicinandosi al britannico «Non saprei come spiegarlo».
«Ah! A proposito di educazione fisica!» lo interruppe l'altro, afferrandolo per un polso «Dobbiamo mettere a posto in fretta! Non posso perdere altre preziose ore di sonno!» disse, trascinando il compagno verso il carrello stracolmo di libri del quale si erano dimenticati.
«Inghilterra, non tirare! Ehi, non correre: il tuo morso fa maleee...!».
Rating: Rosso
Genere: Erotico, Sentimentale
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (Inghilterra)
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Prompt: 50 Places / 009. Biblioteca @
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Note: Biting, Gakuen Hetalia!Verse, Lemon, accenni a Self!love, Yaoi
«Perché le hai risposto?! Hai idea di quanto ci sia da lavorare qui?! Finiremo tardissimo e... e domani mattina alla prima ora ho educazione fisica, razza di imbecille! Cos'hai, hamburger al posto del cervello?!» sputò fuori il britannico.
Non aveva niente contro la lezione di ginnastica. Il problema era che aveva bisogno di dormire di più la notte prima, per evitare di passare il resto delle lezioni steso moribondo sul banco a sonnecchiare. Il suo rendimento scolastico ne avrebbe sofferto troppo.
«Dai, non fare così! Prendila con filosofia...!» esclamò Alfred, dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla.
«Filosofia un caz...» sibilò l'altro, ma s'interruppe sentendosi toccare il sedere da una mano dell'americano.
«E poi, siamo soli qui dentro, Inghilterra».
«Sono stanco... e qui è così noiosooo...!» si lamentò America, adagiando la testa sul grosso libro aperto sul tavolo sotto di sé.
Accanto a lui, Inghilterra stava mordicchiando infastidito il fondo di una penna, il viso appoggiato sul palmo di un mano, mentre con l'altra sfogliava le pagine di un libro.
«Invece di pensare a quanto ti stai annoiando, pensa piuttosto a studiare, se le vacanze invernali non vuoi passarle a studiare sul serio per recuperare le lacune del primo trimestre» lo redarguì l'inglese senza particolari inflessioni nella voce.
Alfred sospirò, depresso: non aveva tutti i torti in fin dei conti. La sua media scolastica era disastrosa e la sua voglia di studiare era sottoterra persino se faceva troppo freddo per uscire nel cortile dell'istituto.
Fece uno sforzo e tentò di concentrarsi, senza alcun risultato, complice anche il fatto che con Arthur lì accanto aveva voglia di fare ben altre cose che studiare - dopotutto, stavano insieme in modo quasi ufficiale. Il problema era che intorno c'era troppa gente - a lui non dava affatto fastidio, chiaramente, ma al compagno sì.
«Inghilterra...!» esclamò a voce alta e lamentosa, attirando gli sguardi irritati degli studenti dei tavoli vicini.
«Stupido, non urlare. Siamo in biblioteca...» lo rimproverò arrabbiato Kirkland, che non riusciva a sopportare che quel luogo per lui così importante - quasi sacro - fosse profanato dall'ignoranza del compagno.
«Ho acconsentito ad accompagnarti solo a patto che tu t'impegni, ma stai facendo tutto meno che quello» proseguì con un fil di voce, l'indispensabile a farsi sentire.
«Lo so, ma studiare è noioso!» esclamò l'altro, senza variare minimamente tono. Evidentemente nel suo vocabolario mancava l'espressione “abbassare la voce”.
«Ti ho detto di non urlare» sibilò inviperito Inghilterra, persa ogni briciola di pazienza «Altrimenti me ne vado» minacciò.
«Signor Kirkland».
Un brivido corse lungo la spina dorsale dell'inglese nel momento stesso in cui quelle parole scesero come un sudario gelido sulla sua pelle.
Arthur si volse, e così fece anche il suo compagno, incontrando così la figura incombente della bibliotecaria.
«Signor Kirkland, vedo che si è dimenticato della regola per eccellenza che vige nella biblioteca» asserì tagliente.
Inghilterra deglutì nervosamente: far infuriare la bibliotecaria era il peggior errore che si potesse commettere.
Era così ligia al regolamento che uno sgarro poteva costarti una settimana di punizione - ed era una fortuna che le vecchie punizioni corporali fossero state abolite, perché lei era il genere di persona che, se avesse potuto, le avrebbe messe in pratica senza il minimo rimorso.
«O forse devo presumere che la colpa sia da attribuire alla maleducazione signor Jones? Sa quali sono le regole, non è vero?» continuò, pungente.
Inghilterra si morse un labbro, lanciando un'occhiata carica di disperata indignazione al compagno: era difficile che stesse zitto già quando non era manifestamente chiamato in causa, figurarsi quand'era interpellato. Per di più, era estremamente schietto sulle proprie opinioni con tutti, docenti compresi.
«Non replicare, tieni a freno quella linguaccia, dannazione...!» lo supplicò mentalmente l'inglese.
Purtroppo, la stupidità e l'arroganza dell'americano presero il sopravvento su di lui: «Certo che le conosco, ma non è colpa mia se questo posto che sembra un obitorio è così noioso».
L'espressione di totale spontaneità e franchezza che animava il suo viso era in qualche modo irritante.
Arthur rimase a bocca aperta a fissare il compagno: l'aveva combinata grossa.
La bibliotecaria gli lanciò un'occhiata di fuoco dall'alto, poi stirò le labbra.
«Molto bene, allora spero che le ore che spenderà nel rimettere in ordine la biblioteca insieme al suo amico la aiutino a rivalutare la sua opinione» disse con freddezza glaciale, forse per questo apparendo ancor più malvagia di quel che già era.
Inghilterra boccheggiò senza sapere cosa dire, osservandola impotente mentre si allontanava, impettita ed austera.
Erano stati lasciati proprio davanti alla postazione dell'addetto al locale. Alle loro spalle c'era un carrello stracolmo di libri da riporre nei rispettivi scaffali delle rispettive sezioni. Una faticaccia, considerato che - a primo sguardo - quel carrello sembrava pesare una tonnellata e pareva quasi sul punto di schiantarsi.
Le luci accese erano state ridotte al minimo indispensabile che permettesse loro di aggirarsi per la biblioteca senza andare a sbattere contro gli scaffali.
«AMERICA SEI UN IDIOTA!» fu la prima cosa che Inghilterra disse non appena la bibliotecaria se ne fu andata, raccomandandosi di svolgere un lavoro ineccepibile, con la promessa implicita di guai peggiori in caso contrario.
La frustrazione che non era riuscito ad esprimere finché c'era stata gente in giro venne fuori tutta in quel momento, come un inarrestabile fiume in piena.
«Perché le hai risposto?! Hai idea di quanto ci sia da lavorare qui?! Finiremo tardissimo e... e domani mattina alla prima ora ho educazione fisica, razza di imbecille! Cos'hai, hamburger al posto del cervello?!» sputò fuori il britannico.
Non aveva niente contro la lezione di ginnastica. Il problema era che aveva bisogno di dormire di più la notte prima, per evitare di passare il resto delle lezioni steso moribondo sul banco a sonnecchiare. Il suo rendimento scolastico ne avrebbe sofferto troppo.
«Dai, non fare così! Prendila con filosofia...!» esclamò Alfred, dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla.
«Filosofia un caz...» sibilò l'altro, ma s'interruppe sentendosi toccare il sedere da una mano dell'americano.
«E poi, siamo soli qui dentro, Inghilterra» aggiunse quest’ultimo col tono di chi non ha buone intenzioni.
Kirkland arretrò, rosso in viso ed accaldato.
Jones assunse un'espressione innocente e perplessa.
«Ti sei scaldato tanto solo perché ti ho sfiorato...?» domandò con la purezza d'un pargolo.
«“Sfiorato”...?!» ripeté allibito l'inglese «Altro che sfiorato! Cos’è, prima mi rovini la serata poi tenti di molestarmi?!» sbottò poi, indignato.
Si sentiva inerme in un luogo del genere, dove chiunque avrebbe potuto beccarli senza troppi problemi.
L'unico posto dove si permetteva di scambiare effusioni con lui era la loro stanza in dormitorio, con la porta ben chiusa a chiave.
«Dai, dai Inghilterra! Facciamolo, ti preeego! È una settimana che non si fa!» lo supplicò Alfred, agitando le mani in aria come un bambino capriccioso.
«Per forza, avevo da studiare!» replicò Arthur: l'ultima settimana che aveva trascorso era stata occupata interamente da prove scritte e orali che l'avevano costretto a studiare fino a notte fonda tutti i giorni.
Non aveva avuto il tempo per certe distrazioni.
«Per favooore...!»
«N-no, non si può, non ora: dobbiamo sist...».
Non riuscì a finire: la mano di America lo afferrò per il colletto e l'attirò a lui, il quale gli posò una mano sulla bocca mentre gli mordicchiava il lato del collo e con l'altra mano allentava il nodo della cravatta.
Voleva spogliarlo mentre ancora erano in biblioteca?!
Protestò, ma ogni sua parola venne resa incomprensibile dal blocco oppostogli dall'americano, la cui mano libera - finito che ebbe di sciogliergli la cravatta - s'insinuò sotto il maglioncino e la camicia, toccandogli il ventre ed aggirandolo, andando verso la schiena.
Arthur agitò la testa nel tentativo di divincolarsi, mentre le guance divenivano sempre più rosse ed il caldo aumentava, cominciando a farlo sudare.
Alfred gli sfiorò la spina dorsale, facendolo rabbrividire e tremare.
Non doveva andare in quel modo, non lì. Ce l'aveva ancora con lui per la punizione che gli era toccato subire per colpa sua, non voleva lasciargli il comando.
Fu così che in quell’attimo la rabbia impotente dell'inglese si trasformò in desiderio di dominare l'azione.
Sfilò la camicia dai pantaloni dell'americano e infilò le mani sotto il tessuto, arrivando a solleticargli la spina dorsale con la sinistra, mentre con la destra gli apriva i pantaloni dell'uniforme.
America gli si strusciò addosso, aprendogli a propria volta i pantaloni, ma Arthur fu più svelto ad abbassarglieli - quelli ed i suoi ormai familiari boxer con la bandiera americana - denudando il suo sesso.
Lo spinse a terra con modi non troppo garbati, inginocchiandosi ed aprendogli le gambe, piegandosi in avanti.
Gli leccò l'inguine, passando lentamente la lingua sulla sua zona erogena.
Alfred sbatté un piede a terra e si morse un labbro, reclinando all'indietro la testa.
«Awww, Inghilterra...!» esclamò, lanciando poi un gemito.
La lingua dell'inglese lo stava eccitando, passando lentamente sul suo sesso, fermandosi ogni tanto, poi riprendendo, infine succhiando.
«I-Inghilterra...!» ansimò.
Quando il britannico si sollevò, Alfred si spinse in avanti e lo baciò ardentemente, ficcandogli la lingua in bocca.
Arthur si sentiva bene, vedendolo così in difficoltà.
Gli mise la mano all'inguine e iniziò a stuzzicare la sua eccitazione.
America cominciò a contorcersi, senza però staccarsi dalla bocca dell'altro.
Sentirsi in mano il suo pene duro ed eretto e percepire i suoi movimenti spasmodici per soddisfarsi eccitava Arthur, che poteva sentire il proprio sesso gonfiarsi e drizzarsi nelle mutande.
America voleva che quel momento durasse in eterno. Era così provocante, così estatico il tocco di Kirkland nelle sue zone intime. Jones desiderava solo che Arthur gli entrasse dentro.
«Inghilterraaaahn! Entrami... dentro» esclamò, staccandosi dalle sue labbra.
Inghilterra sorrise.
«E poi si finisce la nostra punizione?» esclamò.
L'americano scosse la testa, esasperato dalle dita audaci che lo stavano masturbando con forza e delicatezza insieme.
«Qualsiasi cosa, tutto... ma entra».
Era stato facile convincerlo a finire di scontare quell'odiosa punizione - anche troppo, considerato che tipo era.
Non appena il britannico lasciò la presa sul suo sesso eretto, America tremò e sospirò, mentre si girava e si metteva carponi abbassandosi ulteriormente i pantaloni.
Le sue natiche pallide e sode erano dannatamente invitanti.
Arthur le accarezzò, pensando che erano solamente sue - come tutto il resto del suo corpo.
Spinto dall'erotismo che si era addensato nell'aria, Kirkland morse forte la natica sinistra dell'americano, facendogli cacciare un gridolino. La sua pelle sapeva di sudore e di libidine.
«Ahio!» sbottò Alfred, ma non ebbe il tempo di dire altro, perché il britannico lo penetrò.
America sentì il suo pene turgido e dritto farsi strada nel suo fondoschiena, poi avvertì un piacere profondo e perverso quando cominciò a percepire le spinte, brevi e rapide, del suo partner.
Fece male, ma il dolore si mescolò al piacere, annebbiandogli la vista e i sensi.
Rispose come meglio poté, portandosi rapidamente una mano al membro per darsi un po' d’alleviamento.
Gemette ed ansimò in modo osceno fino all'orgasmo.
Quando venne si sporcò del suo stesso sperma le dita e si lasciò sfuggire un sospiro quasi di sollievo.
Come se non volesse dargli tregua, Arthur venne in lui con un'ulteriore spinta, svuotandosi completamente. Tutto ciò che udì fu un gemito più forte ed un sospiro acuto nel quale ebbe l'impressione di sentirlo pronunciare un soddisfatto ed esausto «Ooow, Inghilterra...».
L'inglese uscì da dentro di lui rapidamente e si mise in piedi, risistemandosi l'uniforme con garbo e compostezza, mentre America si lasciava andare ad un fiume di commenti tutt'altro che casti su quanto appena accaduto.
«Bene, adesso alzati» concluse Arthur ad un certo punto, una volta che fu stufo d'ascoltarlo «Dobbiamo finire qui e poi andare a dormire» puntualizzò, rivolgendosi verso gli scaffali.
«America?» chiamò, voltandosi, trovandolo sì in piedi dietro di sé, ma con un occhio chiuso ed un'espressione di dolore sul viso.
Non si era preso la briga di risistemarsi la camicia nei pantaloni ed aveva annodato male la cravatta, ma tutto sommato era sera, avevano appena fatto sesso e Arthur era stanco, per cui fece finta di niente.
Quello che attirò la sua attenzione, invece, fu la mano con cui Alfred si stava massaggiando il fondoschiena, più precisamente il lato sinistro.
«Perché mi hai morso una chiappa? Fa male» borbottò l’americano indispettito.
«Perché sei mia proprietà e volevo metterlo in chiaro» esclamò spavaldo Inghilterra, incrociando le braccia sul petto «Il segno dei miei denti dovrebbe farlo capire a chiunque voglia provare a farti suo».
«Speriamo che non lo veda nessuno quando mi cambio per le ore di educazione fisica» sospirò Alfred, avvicinandosi al britannico «Non saprei come spiegarlo».
«Ah! A proposito di educazione fisica!» lo interruppe l'altro, afferrandolo per un polso «Dobbiamo mettere a posto in fretta! Non posso perdere altre preziose ore di sonno!» disse, trascinando il compagno verso il carrello stracolmo di libri del quale si erano dimenticati.
«Inghilterra, non tirare! Ehi, non correre: il tuo morso fa maleee...!».