fiamma_drakon (
fiamma_drakon) wrote2011-12-11 02:07 pm
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Cattive abitudini
Titolo: Cattive abitudini
Rating: Giallo
Genere: Comico, Sentimentale
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (Inghilterra)
Wordcount: 1551 (
fiumidiparole)
Prompt: Military / Stivali per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @
hetafic_it
Note: Shonen-ai
«America! Ehi, America!!» chiamò Arthur a voce più alta, scuotendo l’ex colonia per una spalla.
Alfred si destò all'improvviso, raddrizzandosi sulla sedia.
«Eh? Chi mi chiama...?» borbottò, guardandosi spaesato intorno.
«Io, idiota! Togli quegli stivali fangosi dal tavolo, villano!» sbottò Kirkland.
Gli toccava sbraitare anche prima di colazione - come se farlo tutta la giornata per impartire ordini a destra e a manca ai soldati non fosse già di per sé sufficiente...!
«Ah, uffa... stavo dormendo...».
C'erano abitudini che, nonostante la situazione, dovevano essere mantenute. Una di queste era, per Inghilterra, cominciare la giornata con una bella tazza di thé fumante.
Altre abitudini, invece, erano quelle che non sarebbero mai state accettate, qualsiasi cosa fosse successa. Senz'ombra di dubbio di quest'ultima categoria faceva parte il fatto che America dormisse a tavola di prima mattina con gli stivali appoggiati sopra il tavolo.
«Ehi, America!» si lamentò l'inglese, posando sul piano di legno una teiera e due tazze, una di porcellana ornata finemente e lavorata per ottenere una forma simile alla corolla di un fiore; l'altra semplice, di forma cilindrica e decorata - come ci si aspettava - con la bandiera degli Stati Uniti.
L'americano non si mosse di un centimetro, bensì continuò a dormire e russare piano. Stava addossato contro lo schienale della sedia con le mani appoggiate sullo stomaco e la testa reclinata all'indietro, in una posizione che Inghilterra giudicava non solo rozza, ma anche piuttosto scomoda. Il giubbotto che indossava gli era sceso leggermente sulla spalla destra, ma se lo teneva stretto addosso con le braccia, coprendo parzialmente l'uniforme color sabbia che indossava al di sotto.
«America! Ehi, America!!» chiamò Arthur a voce più alta, scuotendo l’ex colonia per una spalla.
Alfred si destò all'improvviso, raddrizzandosi sulla sedia.
«Eh? Chi mi chiama...?» borbottò, guardandosi spaesato intorno.
«Io, idiota! Togli quegli stivali fangosi dal tavolo, villano!» sbottò Kirkland.
Gli toccava sbraitare anche prima di colazione - come se farlo tutta la giornata per impartire ordini a destra e a manca ai soldati non fosse già di per sé sufficiente...!
«Ah, uffa... stavo dormendo...» brontolò il più giovane, senza obbedire.
«Togli gli stivali da lì, chiaro?! Non voglio bere il thé guardando le tue suole piene di fango!» ribadì Inghilterra, prendendo posto dirimpetto ad America.
Prese la teiera e si versò del thé, bevendone un po'.
L'aveva educato lui, ma a quanto sembrava delle sue lezioni di buone maniere era rimasto pochissimo - se non addirittura niente. Da quando si era conquistato l'indipendenza faceva tutto di testa sua senza tenere in minima considerazione le opinioni e i consigli altrui, pretendeva d'essere sempre il capo o di avere il ruolo principale nelle operazioni, si comportava in modo avventato, imprudente e... e lui aveva finito con l'innamorarsi di quel suo "nuovo carattere".
Quel che era risultato ancor più strano era stato il fatto che anche America, una volta abbandonate le vesti di fratello, aveva cominciato a manifestare chiari segni d'interesse nei suoi confronti.
La cosa era terminata in una dichiarazione piuttosto impacciata e controversa e l'inizio della loro relazione sentimentale, che perdurava anche allora, nonostante le parole dolci non fossero proprio il loro forte.
Finiti i giorni del fratellino dagli occhi dolci, benvenuti i giorni del fidanzato dalla forza e l'egocentrismo sovrumani.
«Uffa, quanto la fai lunga! Che differenza fa?!» si lamentò Alfred, spostando finalmente i piedi sul pavimento.
«Che a tavola voglio vedere la tua faccia, non i tuoi stivali!» sentenziò il britannico con tono ovvio, bevendo un altro sorso di thé. Non gli sembrava un concetto così difficile da capire.
America si alzò stancamente e, presa la sua tazza, aggirò la tavola e andò a prepararsi il caffè: se lo voleva se lo doveva preparare da solo, altrimenti se avesse osato fidarsi delle abilità culinarie dell'ex madrepatria avrebbe rischiato l’avvelenamento.
«Ah, t'interessa vedere il mio viso a tavola?» chiese Jones, compiaciuto.
Inghilterra, dietro di lui, arrossì senza esser visto e si strinse nelle spalle, profondamente imbarazzato: avrebbe dovuto pensare alle possibili conseguenze della sua affermazione.
«Sì, be'... non in quel senso! È da maleducati stare con i piedi sul tavolo, soprattutto se hai gli stivali pieni di melma!» ribatté Arthur, cercando di sviare altrove il discorso.
«Ho fatto il turno di guardia stanotte, insieme ai miei soldati! Scusa se non ho avuto il tempo per pulirmi le scarpe, eh!» esclamò in propria difesa, indignato, dandogli le spalle mentre si preparava il caffè «Se sei riuscito a dormire sonni tranquilli, questa notte, lo devi a me!» puntualizzò con orgoglio, gonfiando il petto.
Si aspettava un sentito ringraziamento per il lavoro svolto. Nella sua mente, addirittura, si immaginava Inghilterra che, con espressione piena d'innocenza ed ammirazione, esclamava: «Come sei stato bravo, America!».
«Hai fatto il tuo dovere» disse invece il britannico con un'inflessione vocale che lasciava ben poco spazio alla riconoscenza e all'ammirazione, mentre sorseggiava il suo thé.
«Non vedo perché dovrei ringraziarti».
Alfred si sentì non considerato come di dovere: aveva perso tantissime ore di sonno per poi sentirsi semplicemente dire "hai fatto il tuo dovere".
«Be', tutto qui?! Io ho agito da eroe! Ho vegliato su tutto l'accampamento ed impedito che i nemici ci attaccassero in piena notte!! Mi merito qualcosa di più di un "hai fatto il tuo dovere"!» asserì indispettito, facendo dietrofront con la tazza colma di caffè fumante tra le mani.
«Che cosa?!» fece l'altro, voltandosi a guardarlo. America gli si fermò accanto appoggiandosi con una mano sul piano del tavolo mentre beveva la sua bevanda.
«Ti sei addormentato a tavola con gli stivali appoggiati sopra! Non ti meriti un bel niente, cafone!» rispose infervorandosi il britannico. Non era disposto a passare sopra la sua mancanza di buone maniere per niente al mondo.
«Quanto la fai lunga con questa storia degli stivali sul tavolo! Un eroe si merita sempre qualcosa in segno di ringraziamento per le sue azioni!» sbuffò Jones, abbassando un poco la sua tazza per poter parlare, riportandola poi alla bocca per bere.
«E sentiamo un po', cosa vorresti?» indagò Kirkland, osservandolo con un certo interesse: era proprio curioso di sapere cosa stesse macchinando in quel suo cervello di yankee.
«Ehm...» esordì pensoso Jones, bevendo dell'altro caffè con gli occhi rivolti al cielo.
Tacque qualche minuto mentre ragionava e l'attesa d'una risposta divenne così insopportabile che Inghilterra, precedendo l'ex colonia, propose: «Non so, un... bacio?».
Non era riuscito a dirlo senza arrossire: non era nella sua natura proporre a parole certe cose - già eseguirle senza annunciarle lo metteva in soggezione come poco in vita sua...!
Poco mancò che America soffocasse con il caffè. Tossì e si batté un pugno sul petto più volte per cercare di deglutire.
Una volta tornato in possesso della facoltà di parola, esclamò: «U-un bacio...?».
Non ci aveva pensato affatto, a dire il vero, anche se adesso che ci rifletteva...
«Sì! Voglio un bacio!» asserì con l'enfasi di un bambino viziato che esigeva qualcosa.
Inghilterra sospirò e spostò le gambe da sotto il tavolo, portandole a lato della sedia nell'atto di voltarsi.
«La mia era solamente un'ipotesi! Questo non è il posto adatt...»
«Sta' un po' zitto, Inghilterra!» l'interruppe America spiccio, chinandosi su di lui, appoggiando la tazza sul tavolo.
Arthur si protese indispettito verso il suo viso e congiunse la propria bocca con la sua con una certa foga.
Jones sgranò gli occhi, sorpreso: non era cosa che capitava tutti i giorni che fosse Kirkland a baciarlo. Di solito era lui ad iniziare.
Le sue guance s'imporporarono di colpo mentre pian piano la sorpresa l'abbandonava in favore della risposta al bacio. Spostò il capo ad un'angolazione tale che gli occhiali non potessero dargli fastidio e premette contro il viso dell’ex madrepatria, facendolo reclinare leggermente all'indietro.
Lentamente, quasi inconsciamente, passò le braccia sulle sue spalle e lo abbracciò, attirandosi a lui mentre il bacio diventava sempre più approfondito.
Gli si avvicinò ancora, spingendosi contro Inghilterra con il torace, aderendo alla sua uniforme. Avrebbe voluto togliersi qualcosa per diminuire gli strati di tessuto che lo separavano dal suo corpo, ma immaginava che poi il britannico, vedendolo spogliarsi, avrebbe iniziato a lamentarsi - ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento.
Le loro lingue si toccarono e si ispezionarono reciprocamente, esplorando l’interno della bocca dell’altro.
Arthur era accaldato, ma la presenza dell'ex colonia letteralmente spalmata su di sé era assai piacevole, nonostante la differenza d’altezza non da poco lo mettesse a disagio.
Desideroso di contatto fisico, Alfred gli si sedette a cavallo delle gambe lasciandocisi cadere sopra.
«Ahio! Togliti, stupido! Mi fai male!» sbottò Kirkland non appena si sentì schiacciare le gambe dal peso del suo corpo. L'americano non era affatto leggero e sostenerne il peso - anche da seduto - non era possibile per l'inglese.
Il più giovane storse le labbra, deluso dall'improvvisa interruzione; tuttavia ubbidì: sciolse l'abbraccio e fece per sollevarsi, ma, nel far ciò, senza volerlo pestò i piedi al maggiore. Le suole sporche di melma scivolarono subito sopra la pelle degli stivali di quest’ultimo, il quale lanciò un debole gemito di dolore.
Jones si sbilanciò in avanti e Kirkland avvertì il suo peso farsi sempre più greve sul proprio torace.
«America!» esclamò, mentre si aggrappava disperatamente al tavolo e allo schienale della sedia per impedirsi di cadere. Riuscì fortunatamente ad attutire l'impatto.
«America...!» lo richiamò un'altra volta Inghilterra, stavolta in tono di rimprovero. L'allontanò da sé in malo modo, guardandosi le scarpe piene di fango con disappunto.
«Aaaah, maledizione!! Sta' più attento quando cammini!».
«Non l'ho fatto di proposito!» si giustificò America, arretrando.
Inghilterra riprese la sua tazzina e ne svuotò il contenuto alzandosi.
«Ed evita di sederti su di me! Non per dire, ma sei pesante!» disse, facendo qualche passo.
«Umpf! E tu cucini male!» controbatté stizzito l'americano. Quando non aveva niente da usare come provocazione ricadeva sempre lì.
«Brutto...!» esordì Arthur, ma una serie di colpi esplosi fuori della tenda li indusse a zittirsi.
America andò a prendere la pistola, mentre Inghilterra estraeva la sua dalla fondina appesa alla cintura.
«Si torna in guerra» sospirò «Stasera finiamo la discussione, eroe dei miei stivali» aggiunse tagliente, precedendo l'altro fuori della tenda.
«Stavo per dirlo io!!» si lamentò Alfred, seguendolo con la pistola alla mano.
Rating: Giallo
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Note: Shonen-ai
«America! Ehi, America!!» chiamò Arthur a voce più alta, scuotendo l’ex colonia per una spalla.
Alfred si destò all'improvviso, raddrizzandosi sulla sedia.
«Eh? Chi mi chiama...?» borbottò, guardandosi spaesato intorno.
«Io, idiota! Togli quegli stivali fangosi dal tavolo, villano!» sbottò Kirkland.
Gli toccava sbraitare anche prima di colazione - come se farlo tutta la giornata per impartire ordini a destra e a manca ai soldati non fosse già di per sé sufficiente...!
«Ah, uffa... stavo dormendo...».
C'erano abitudini che, nonostante la situazione, dovevano essere mantenute. Una di queste era, per Inghilterra, cominciare la giornata con una bella tazza di thé fumante.
Altre abitudini, invece, erano quelle che non sarebbero mai state accettate, qualsiasi cosa fosse successa. Senz'ombra di dubbio di quest'ultima categoria faceva parte il fatto che America dormisse a tavola di prima mattina con gli stivali appoggiati sopra il tavolo.
«Ehi, America!» si lamentò l'inglese, posando sul piano di legno una teiera e due tazze, una di porcellana ornata finemente e lavorata per ottenere una forma simile alla corolla di un fiore; l'altra semplice, di forma cilindrica e decorata - come ci si aspettava - con la bandiera degli Stati Uniti.
L'americano non si mosse di un centimetro, bensì continuò a dormire e russare piano. Stava addossato contro lo schienale della sedia con le mani appoggiate sullo stomaco e la testa reclinata all'indietro, in una posizione che Inghilterra giudicava non solo rozza, ma anche piuttosto scomoda. Il giubbotto che indossava gli era sceso leggermente sulla spalla destra, ma se lo teneva stretto addosso con le braccia, coprendo parzialmente l'uniforme color sabbia che indossava al di sotto.
«America! Ehi, America!!» chiamò Arthur a voce più alta, scuotendo l’ex colonia per una spalla.
Alfred si destò all'improvviso, raddrizzandosi sulla sedia.
«Eh? Chi mi chiama...?» borbottò, guardandosi spaesato intorno.
«Io, idiota! Togli quegli stivali fangosi dal tavolo, villano!» sbottò Kirkland.
Gli toccava sbraitare anche prima di colazione - come se farlo tutta la giornata per impartire ordini a destra e a manca ai soldati non fosse già di per sé sufficiente...!
«Ah, uffa... stavo dormendo...» brontolò il più giovane, senza obbedire.
«Togli gli stivali da lì, chiaro?! Non voglio bere il thé guardando le tue suole piene di fango!» ribadì Inghilterra, prendendo posto dirimpetto ad America.
Prese la teiera e si versò del thé, bevendone un po'.
L'aveva educato lui, ma a quanto sembrava delle sue lezioni di buone maniere era rimasto pochissimo - se non addirittura niente. Da quando si era conquistato l'indipendenza faceva tutto di testa sua senza tenere in minima considerazione le opinioni e i consigli altrui, pretendeva d'essere sempre il capo o di avere il ruolo principale nelle operazioni, si comportava in modo avventato, imprudente e... e lui aveva finito con l'innamorarsi di quel suo "nuovo carattere".
Quel che era risultato ancor più strano era stato il fatto che anche America, una volta abbandonate le vesti di fratello, aveva cominciato a manifestare chiari segni d'interesse nei suoi confronti.
La cosa era terminata in una dichiarazione piuttosto impacciata e controversa e l'inizio della loro relazione sentimentale, che perdurava anche allora, nonostante le parole dolci non fossero proprio il loro forte.
Finiti i giorni del fratellino dagli occhi dolci, benvenuti i giorni del fidanzato dalla forza e l'egocentrismo sovrumani.
«Uffa, quanto la fai lunga! Che differenza fa?!» si lamentò Alfred, spostando finalmente i piedi sul pavimento.
«Che a tavola voglio vedere la tua faccia, non i tuoi stivali!» sentenziò il britannico con tono ovvio, bevendo un altro sorso di thé. Non gli sembrava un concetto così difficile da capire.
America si alzò stancamente e, presa la sua tazza, aggirò la tavola e andò a prepararsi il caffè: se lo voleva se lo doveva preparare da solo, altrimenti se avesse osato fidarsi delle abilità culinarie dell'ex madrepatria avrebbe rischiato l’avvelenamento.
«Ah, t'interessa vedere il mio viso a tavola?» chiese Jones, compiaciuto.
Inghilterra, dietro di lui, arrossì senza esser visto e si strinse nelle spalle, profondamente imbarazzato: avrebbe dovuto pensare alle possibili conseguenze della sua affermazione.
«Sì, be'... non in quel senso! È da maleducati stare con i piedi sul tavolo, soprattutto se hai gli stivali pieni di melma!» ribatté Arthur, cercando di sviare altrove il discorso.
«Ho fatto il turno di guardia stanotte, insieme ai miei soldati! Scusa se non ho avuto il tempo per pulirmi le scarpe, eh!» esclamò in propria difesa, indignato, dandogli le spalle mentre si preparava il caffè «Se sei riuscito a dormire sonni tranquilli, questa notte, lo devi a me!» puntualizzò con orgoglio, gonfiando il petto.
Si aspettava un sentito ringraziamento per il lavoro svolto. Nella sua mente, addirittura, si immaginava Inghilterra che, con espressione piena d'innocenza ed ammirazione, esclamava: «Come sei stato bravo, America!».
«Hai fatto il tuo dovere» disse invece il britannico con un'inflessione vocale che lasciava ben poco spazio alla riconoscenza e all'ammirazione, mentre sorseggiava il suo thé.
«Non vedo perché dovrei ringraziarti».
Alfred si sentì non considerato come di dovere: aveva perso tantissime ore di sonno per poi sentirsi semplicemente dire "hai fatto il tuo dovere".
«Be', tutto qui?! Io ho agito da eroe! Ho vegliato su tutto l'accampamento ed impedito che i nemici ci attaccassero in piena notte!! Mi merito qualcosa di più di un "hai fatto il tuo dovere"!» asserì indispettito, facendo dietrofront con la tazza colma di caffè fumante tra le mani.
«Che cosa?!» fece l'altro, voltandosi a guardarlo. America gli si fermò accanto appoggiandosi con una mano sul piano del tavolo mentre beveva la sua bevanda.
«Ti sei addormentato a tavola con gli stivali appoggiati sopra! Non ti meriti un bel niente, cafone!» rispose infervorandosi il britannico. Non era disposto a passare sopra la sua mancanza di buone maniere per niente al mondo.
«Quanto la fai lunga con questa storia degli stivali sul tavolo! Un eroe si merita sempre qualcosa in segno di ringraziamento per le sue azioni!» sbuffò Jones, abbassando un poco la sua tazza per poter parlare, riportandola poi alla bocca per bere.
«E sentiamo un po', cosa vorresti?» indagò Kirkland, osservandolo con un certo interesse: era proprio curioso di sapere cosa stesse macchinando in quel suo cervello di yankee.
«Ehm...» esordì pensoso Jones, bevendo dell'altro caffè con gli occhi rivolti al cielo.
Tacque qualche minuto mentre ragionava e l'attesa d'una risposta divenne così insopportabile che Inghilterra, precedendo l'ex colonia, propose: «Non so, un... bacio?».
Non era riuscito a dirlo senza arrossire: non era nella sua natura proporre a parole certe cose - già eseguirle senza annunciarle lo metteva in soggezione come poco in vita sua...!
Poco mancò che America soffocasse con il caffè. Tossì e si batté un pugno sul petto più volte per cercare di deglutire.
Una volta tornato in possesso della facoltà di parola, esclamò: «U-un bacio...?».
Non ci aveva pensato affatto, a dire il vero, anche se adesso che ci rifletteva...
«Sì! Voglio un bacio!» asserì con l'enfasi di un bambino viziato che esigeva qualcosa.
Inghilterra sospirò e spostò le gambe da sotto il tavolo, portandole a lato della sedia nell'atto di voltarsi.
«La mia era solamente un'ipotesi! Questo non è il posto adatt...»
«Sta' un po' zitto, Inghilterra!» l'interruppe America spiccio, chinandosi su di lui, appoggiando la tazza sul tavolo.
Arthur si protese indispettito verso il suo viso e congiunse la propria bocca con la sua con una certa foga.
Jones sgranò gli occhi, sorpreso: non era cosa che capitava tutti i giorni che fosse Kirkland a baciarlo. Di solito era lui ad iniziare.
Le sue guance s'imporporarono di colpo mentre pian piano la sorpresa l'abbandonava in favore della risposta al bacio. Spostò il capo ad un'angolazione tale che gli occhiali non potessero dargli fastidio e premette contro il viso dell’ex madrepatria, facendolo reclinare leggermente all'indietro.
Lentamente, quasi inconsciamente, passò le braccia sulle sue spalle e lo abbracciò, attirandosi a lui mentre il bacio diventava sempre più approfondito.
Gli si avvicinò ancora, spingendosi contro Inghilterra con il torace, aderendo alla sua uniforme. Avrebbe voluto togliersi qualcosa per diminuire gli strati di tessuto che lo separavano dal suo corpo, ma immaginava che poi il britannico, vedendolo spogliarsi, avrebbe iniziato a lamentarsi - ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento.
Le loro lingue si toccarono e si ispezionarono reciprocamente, esplorando l’interno della bocca dell’altro.
Arthur era accaldato, ma la presenza dell'ex colonia letteralmente spalmata su di sé era assai piacevole, nonostante la differenza d’altezza non da poco lo mettesse a disagio.
Desideroso di contatto fisico, Alfred gli si sedette a cavallo delle gambe lasciandocisi cadere sopra.
«Ahio! Togliti, stupido! Mi fai male!» sbottò Kirkland non appena si sentì schiacciare le gambe dal peso del suo corpo. L'americano non era affatto leggero e sostenerne il peso - anche da seduto - non era possibile per l'inglese.
Il più giovane storse le labbra, deluso dall'improvvisa interruzione; tuttavia ubbidì: sciolse l'abbraccio e fece per sollevarsi, ma, nel far ciò, senza volerlo pestò i piedi al maggiore. Le suole sporche di melma scivolarono subito sopra la pelle degli stivali di quest’ultimo, il quale lanciò un debole gemito di dolore.
Jones si sbilanciò in avanti e Kirkland avvertì il suo peso farsi sempre più greve sul proprio torace.
«America!» esclamò, mentre si aggrappava disperatamente al tavolo e allo schienale della sedia per impedirsi di cadere. Riuscì fortunatamente ad attutire l'impatto.
«America...!» lo richiamò un'altra volta Inghilterra, stavolta in tono di rimprovero. L'allontanò da sé in malo modo, guardandosi le scarpe piene di fango con disappunto.
«Aaaah, maledizione!! Sta' più attento quando cammini!».
«Non l'ho fatto di proposito!» si giustificò America, arretrando.
Inghilterra riprese la sua tazzina e ne svuotò il contenuto alzandosi.
«Ed evita di sederti su di me! Non per dire, ma sei pesante!» disse, facendo qualche passo.
«Umpf! E tu cucini male!» controbatté stizzito l'americano. Quando non aveva niente da usare come provocazione ricadeva sempre lì.
«Brutto...!» esordì Arthur, ma una serie di colpi esplosi fuori della tenda li indusse a zittirsi.
America andò a prendere la pistola, mentre Inghilterra estraeva la sua dalla fondina appesa alla cintura.
«Si torna in guerra» sospirò «Stasera finiamo la discussione, eroe dei miei stivali» aggiunse tagliente, precedendo l'altro fuori della tenda.
«Stavo per dirlo io!!» si lamentò Alfred, seguendolo con la pistola alla mano.