fiamma_drakon (
fiamma_drakon) wrote2011-12-23 01:40 pm
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Jealousy at midday
Titolo: Jealousy at midday
Rating: Verde
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life
Personaggi: Feliciano Veneziano Vargas (Nord Italia), Lovino Romano Vargas (Sud Italia), Ludwig (Germania)
Wordcount: 1883 (
fiumidiparole)
Prompt: Merry Little Christmas / 002. Neve @
casti_puri + Momenti / Mezzogiorno per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @
hetafic_it
Note: Linguaggio, Shonen-ai
«Fratellone! Sei arrivato presto, non è ancora pronto!» disse Feliciano, stupito.
Lovino lo spostò con un gesto piuttosto spiccio, varcando velocemente la soglia.
«Cosa? Non mangi a mezzogiorno, stupido fratellino...?» sbottò irritato il meridionale, liberandosi dei guanti, che nascose in una tasca del cappotto.
Il settentrionale parve rimanerci male per l'appunto del fratello. Incurvò le labbra in un'espressione disagiata e tentò di scusarsi: «V-veramente mangio sempre a mezzogiorno, p-però Germania mangia più tardi, così...».
Era pieno mezzogiorno e del sole non si vedeva che una pallida ombra alta nel cielo, nascosta dietro una rada coltre di nubi.
Romano, imbacuccato in un pesante cappotto color terra con il bavero rialzato ed una grossa sciarpa di lana attorno al collo, si stava recando a casa del suo fratellino: Veneziano l'aveva invitato a casa sua per pranzare insieme.
Lovino camminava con le spalle ritratte e le mani affondate nelle tasche, il viso per metà nascosto nella sciarpa, in modo da sfuggire almeno in parte al freddo pungente. Dopotutto, erano alle soglie dell'inverno e - perlomeno al nord - aveva anche già nevicato.
Romano odiava la neve ed il freddo. A casa sua non c'erano quasi mai: nel sud dell'Italia le temperature non si abbassavano mai fino al punto da permettere nevicate, seppur lievissime.
Lovino rabbrividì sensibilmente ed imprecò a mezza voce contro il gelo, mentre rallentava l’andatura: era arrivato.
Si fermò davanti al cancelletto che dava sulla casa del suo fratellino e suonò al citofono.
«Sììì...?» fu la voce squillante che gli rispose.
«Veneziano...!» replicò il maggiore dei Vargas con un tono che indicava chiaramente poca pazienza da parte sua. In effetti, non vedeva l'ora di entrare in casa per non dover più sopportare il freddo.
«Fratellone sei arrivato!» esclamò allegro Feliciano.
Scattò la serratura del cancelletto e Romano spinse il battente. Attraversò a passo svelto i pochi metri che lo separavano dall'ingresso e si fermò innanzi alla porta.
Estrasse una mano guantata e la picchiò con una certa forza contro la porta. Pochi momenti dopo il più giovane dei due Vargas si materializzò sull'uscio, sorridendo con la sua solita aria svanita verso il più grande.
Portava un grembiule bianco legato in vita, una camicia di stoffa pesante bianca ed un paio di pantaloni beige.
«Fratellone! Sei arrivato presto, non è ancora pronto!» disse Feliciano, stupito.
Lovino lo spostò con un gesto piuttosto spiccio, varcando velocemente la soglia.
«Cosa? Non mangi a mezzogiorno, stupido fratellino...?» sbottò irritato il meridionale, liberandosi dei guanti, che nascose in una tasca del cappotto.
Il settentrionale parve rimanerci male per l'appunto del fratello. Incurvò le labbra in un'espressione disagiata e tentò di scusarsi: «V-veramente mangio sempre a mezzogiorno, p-però Germania mangia più tardi, così...».
Lovino lo fulminò con lo sguardo.
«C'è anche quel bastardo mangia-patate di Germania?!» fece, improvvisamente adirato. Il minore sobbalzò per l'inattesa intensità dell'affermazione.
«Sì, certo! È in giardino adesso...» rispose con naturale spontaneità Veneziano.
Lovino non riusciva a crederci: perché quello stupido del suo fratellino doveva portarsi ovunque quel bastardo?!
«Allora io me ne vado» sbottò Romano, avviandosi nuovamente verso la porta d'ingresso: non aveva la minima intenzione di pranzare allo stesso tavolo di Germania!
Veneziano gli si strinse addosso, cingendolo con quanta forza aveva all'altezza del torace, strattonandolo verso il soggiorno.
«Non te ne puoi andare, fratellone!! Non abbiamo ancora mangiato...!» gli fece presente, piantando i piedi per terra per opporsi allo strenuo tentativo di fuga del più grande.
«Io non mangio con quel coglione!!» esclamò quasi urlando quest’ultimo, tentando di divincolarsi.
«Dai, fratelloneee! Me l'hai promessooo!!!».
Il meridionale smise di opporre resistenza e poco mancò che cadessero ambedue a terra. Lovino si volse verso l’altro osservandolo con espressione visibilmente contrariata.
«Dai, rimani!» lo supplicò il settentrionale.
«E va bene, smettila di lagnare!» acconsentì irritato, svincolandosi, procedendo verso il soggiorno. Dietro di lui camminava a passo spedito Veneziano.
I due attraversarono a passo piuttosto spedito la stanza fino ad arrivare in sala da pranzo.
«Fratellone, io torno in cucina» annunciò Feliciano, prima di scomparire oltre la porta della suddetta stanza senza neppure attendere una risposta.
Romano rimase impalato in mezzo alla sala, guardandosi intorno: l'aveva lasciato da solo. Che cosa pretendeva che facesse...?
Senza saper come impiegare l’ignoto tempo che lo separava dal pranzo, l’italiano si diresse a passo lento verso le finestre che davano sul cortiletto posteriore. Fu allora che vide Germania: il tedesco, bardato in un cappotto pesante marrone scuro, stava chino su un cumulo di neve dalla forma assurda che sembrava stesse plasmando.
Nel vederlo, Lovino decise che avrebbe passato quel tempo morto fuori in cortile a lamentarsi con Ludwig. Era una trovata che l’allettava decisamente più che la prospettiva di mettersi seduto a tavola e doversene stare con le mani in mano.
Si allontanò dalla finestra e si avvicinò alla porta, che varcò a passo rapido.
Nel breve periodo che lui aveva passato all'interno della casa del fratellino aveva ripreso a nevicare: i fiocchi bianchi turbinavano sospinti dal vento, andando ad ispessire piano piano il manto candido che ricopriva il terreno.
Il Vargas si strinse nel suo cappotto, avviandosi nella neve verso il biondo.
Romano, a dispetto dell’apparente stupidità, era più furbo di Veneziano; per questo non gli erano occorsi né fatica né troppo tempo per giungere alla conclusione che tra il settentrionale e Ludwig esistesse una relazione sentimentale discretamente intensa.
A volte - a loro completa insaputa - li aveva sorpresi in atteggiamenti non proprio tipici di alleati di guerra e non poteva negare il fatto che gli rodesse immensamente il fatto che suo fratello stesse con una persona di cui lui, personalmente, non sopportava neppure la sola presenza.
Germania parve non accorgersi dell’italiano finché non gli si avvicinò tanto che riuscì ad udire il rumore dei suoi passi nella neve.
A quel punto il tedesco alzò gli occhi dal cumulo su cui stava lavorando per rivolgerli al castano in piedi accanto a lui.
Credeva fosse Veneziano e si dispiacque invece di trovarsi di fronte Romano: quel ragazzo faceva di tutto per dargli sui nervi.
«Che cazzo stai facendo, bastardo mangia-patate?» sbottò finemente Lovino, incrociando sostenuto le braccia sul petto.
Le guance di Germania assunsero una viva tonalità rossa per l'improvvisa domanda dell'italiano.
Si vergognava parecchio a dirgli che stava giocando con la neve: avrebbe evitato di rispondere persino a Feliciano, figurarsi a Romano...!
«Sto... aspettando che tuo fratello finisca di preparare il pranzo...» rispose. In effetti, non gli aveva mentito: le cose stavano esattamente così.
Il castano emise un verso stizzito e aggiunse: «A riguardo, smettila di venire a mangiare a casa del mio stupido fratellino!».
Ludwig sbatté perplesso le palpebre e si difese: «Guarda che mi ha invitato lui...».
«Chi se ne importa! È mezzogiorno e io non ho ancora mangiato!!».
Era veramente fastidioso.
Il biondo cercò di dedicarsi completamente al suo "lavoro", ma la risata di evidente scherno di Romano lo distrasse.
«Ehi, mangia-patate! Stai giocando con la neve?».
C’era arrivato da solo. Era una sorta di genio, considerati gli standard di famiglia.
Germania sospirò esasperato e tentò di ignorarlo.
«Ah, no...» riprese l'italiano col preciso intento di dargli fastidio, piegandosi accanto a lui per osservare più da vicino il cumulo di neve che stava trasfigurando «... stai cercando di creare una scultura di neve?!».
Il tedesco, allora, replicò, più per zittirlo che altro: «Sì».
La risposta sortì l'effetto esattamente opposto a quello sperato: Lovino rise sguaiatamente di lui lasciandosi cadere seduto sulla neve.
«È un obbrobrio!».
Germania lo guardò di traverso: quanto avrebbe voluto che si zittisse...! Perché i tipi problematici doveva sempre trovarli lui?
Suo fratello era totalmente il suo opposto, anche se l'indole codarda li accomunava.
A Germania piaceva Veneziano, ma Romano... no, lui non rientrava neanche lontanamente nella categoria “sopportabile”.
Non era bravo nelle cose artistiche, in quelle erano senz'altro migliori di lui Feliciano e Roderich, però non reputava affatto corretto che Lovino glielo facesse notare in modo così sfacciato. Lui non aveva fatto niente per meritarsi un trattamento simile!
Il biondo, stanco di essere deriso a vuoto, esclamò provocatorio: «Perché allora non ci provi tu?».
Incredibilmente, il Vargas tacque all'istante: sfidato ad esprimere le proprie capacità artistiche, non riuscì a fare altro che quello. Ammutolire.
Lui non ne era capace. Il vero artista era il suo stupido fratellino, che aveva ereditato tutte le migliori capacità del loro virtuoso nonno. A lui non riusciva disegnare né svolgere le faccende domestiche né altro.
Il castano fissò il biondo indignato: «E perché dovrei?».
«Hai paura?» lo provocò ulteriormente Germania, al che Lovino si inginocchiò a terra e cominciò a lavorare con la neve: non accettava di farsi battere da quel bastardo senza aver fatto niente per tentare di dimostrarsi migliore di lui!
Germania l'osservò silente mentre appallottolava la neve e l'accumulava un po' alla volta, creando passo dopo passo un qualcosa che non avrebbe saputo definire neppure volendo.
Era una massa informe al pari di quella che lui stesso aveva creato.
Romano pareva perdere la pazienza sempre più man mano che procedeva nella cosa, tanto che il tedesco suppose che potesse distruggere il suo operato di punto in bianco e lo piantasse lì.
In un certo senso sarebbe stato un sollievo.
«Germania! Fratellone! È pronto!».
Veneziano era uscito di corsa nella neve agitando in aria un mestolo per cercare di attirare l'attenzione dei due.
Ludwig si voltò verso il più giovane dei Vargas non appena lo vide avvicinarsi ed esclamò ad alta voce, in tono d'ammonizione: «Perché sei uscito senza cappotto?!».
Si spogliò del proprio e, quando il ragazzo gli si fermò accanto, glielo appoggiò sulle spalle con una certa rude premura. Feliciano se lo strinse addosso ringraziandolo e sorridendogli, il tutto sotto lo sguardo vigile di Romano. Quest'ultimo, che a malapena sopportava l'idea che Germania ronzasse intorno al suo fratellino, non ci vide più dalla rabbia nell'assistere a tale scena.
«Che cosa stai facendo, fratellone?» esclamò Veneziano, guardando incuriosito il cumulo di neve tra le sue mani.
Lovino arrossì improvvisamente e borbottò un risentito: «S-stavo facendo u-un coniglio con la neve».
«Un coniglio? Non sembra...» asserì il settentrionale, avvicinandosi candido al meridionale, che per contro si alzò.
Veneziano si mise a modellare la forma sbilenca mentre Romano, dietro di lui, raccoglieva una manciata di neve e, appallottolandola, la lanciava a Germania, centrandolo in pieno petto. L'affronto fu ricambiato dal biondo, dando così inizio ad una sorta di vera e propria guerra a palle di neve.
Il più piccolo dei Vargas era completamente ignaro di ciò che stava succedendo dietro di sé, intento com'era a dare sfoggio del suo innegabile estro creativo.
Quando ebbe terminato e si volse, vide Germania inginocchiato sopra Romano nel tentativo di bloccarlo, mentre l'italiano cercava di divincolarsi e sbraitava: «Bastardo, stai lontano dal mio stupido fratellino!!».
«Fratelloneee! Fermo, che cosa stai facendo?! Germania! Germania, fermo!».
Veneziano accorse dai due, ma fu inutile: quando Ludwig si rimise in piedi, sosteneva per il colletto del giubbotto Romano, che ancora si dimenava imprecando per riguadagnarsi la libertà e la possibilità di stare in piedi con le sue gambe.
«Lasciami andare, cazzo! Lasciami stare!!»
«Sei tu che mi hai aggredito» ribatté pacato Germania, posandolo a terra.
«Stai sempre appiccicato al mio stupido fratellino! Sono stanco di averti sempre tra i piedi anche a casa sua, cazzo! Non si mangia più nemmeno a mezzogiorno perché mangi tu più tardi, bastardo!! Devi piantarla di...!»
«Fratellone, basta!» intervenne Feliciano, tappandogli malamente la bocca, cingendolo al torace e strattonandolo lontano dal tedesco per evitare che si picchiassero di nuovo.
«Lasciami andare, Veneziano!» si lamentò Lovino, liberandosi della mano che il più piccolo gli aveva messo sulla bocca.
«N-no...! Non voglio che tu faccia del male a Germania!».
Ludwig osservava i due fratelli litigare senza intervenire. Nel vedere il fervore che animava il più grande ebbe l'impressione che... fosse estremamente geloso del suo fratellino.
Non nel senso che avrebbe voluto essere al suo posto, bensì inteso come possesso.
Non voleva che stesse intorno al suo fratellino perché non sopportava l'idea che fosse proprio lui a portarglielo via.
«Andiamo, fratellone! Andiamo a mangiareee...!» esclamò Veneziano cercando di trascinare di peso il più grande in casa.
«Manda via quel bastardo!! Deve andarsene!» sbraitò Romano, opponendo resistenza.
«Un tipo problematico. Forse anche più di Italia...» rifletté tra sé e sé Germania, seguendo i due all'interno a distanza di sicurezza, onde evitare ulteriori aggressioni.
«Daiiii, fratellone! Basta, adesso il pranzo è pronto!».
Rating: Verde
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life
Personaggi: Feliciano Veneziano Vargas (Nord Italia), Lovino Romano Vargas (Sud Italia), Ludwig (Germania)
Wordcount: 1883 (
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Prompt: Merry Little Christmas / 002. Neve @
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Note: Linguaggio, Shonen-ai
«Fratellone! Sei arrivato presto, non è ancora pronto!» disse Feliciano, stupito.
Lovino lo spostò con un gesto piuttosto spiccio, varcando velocemente la soglia.
«Cosa? Non mangi a mezzogiorno, stupido fratellino...?» sbottò irritato il meridionale, liberandosi dei guanti, che nascose in una tasca del cappotto.
Il settentrionale parve rimanerci male per l'appunto del fratello. Incurvò le labbra in un'espressione disagiata e tentò di scusarsi: «V-veramente mangio sempre a mezzogiorno, p-però Germania mangia più tardi, così...».
Era pieno mezzogiorno e del sole non si vedeva che una pallida ombra alta nel cielo, nascosta dietro una rada coltre di nubi.
Romano, imbacuccato in un pesante cappotto color terra con il bavero rialzato ed una grossa sciarpa di lana attorno al collo, si stava recando a casa del suo fratellino: Veneziano l'aveva invitato a casa sua per pranzare insieme.
Lovino camminava con le spalle ritratte e le mani affondate nelle tasche, il viso per metà nascosto nella sciarpa, in modo da sfuggire almeno in parte al freddo pungente. Dopotutto, erano alle soglie dell'inverno e - perlomeno al nord - aveva anche già nevicato.
Romano odiava la neve ed il freddo. A casa sua non c'erano quasi mai: nel sud dell'Italia le temperature non si abbassavano mai fino al punto da permettere nevicate, seppur lievissime.
Lovino rabbrividì sensibilmente ed imprecò a mezza voce contro il gelo, mentre rallentava l’andatura: era arrivato.
Si fermò davanti al cancelletto che dava sulla casa del suo fratellino e suonò al citofono.
«Sììì...?» fu la voce squillante che gli rispose.
«Veneziano...!» replicò il maggiore dei Vargas con un tono che indicava chiaramente poca pazienza da parte sua. In effetti, non vedeva l'ora di entrare in casa per non dover più sopportare il freddo.
«Fratellone sei arrivato!» esclamò allegro Feliciano.
Scattò la serratura del cancelletto e Romano spinse il battente. Attraversò a passo svelto i pochi metri che lo separavano dall'ingresso e si fermò innanzi alla porta.
Estrasse una mano guantata e la picchiò con una certa forza contro la porta. Pochi momenti dopo il più giovane dei due Vargas si materializzò sull'uscio, sorridendo con la sua solita aria svanita verso il più grande.
Portava un grembiule bianco legato in vita, una camicia di stoffa pesante bianca ed un paio di pantaloni beige.
«Fratellone! Sei arrivato presto, non è ancora pronto!» disse Feliciano, stupito.
Lovino lo spostò con un gesto piuttosto spiccio, varcando velocemente la soglia.
«Cosa? Non mangi a mezzogiorno, stupido fratellino...?» sbottò irritato il meridionale, liberandosi dei guanti, che nascose in una tasca del cappotto.
Il settentrionale parve rimanerci male per l'appunto del fratello. Incurvò le labbra in un'espressione disagiata e tentò di scusarsi: «V-veramente mangio sempre a mezzogiorno, p-però Germania mangia più tardi, così...».
Lovino lo fulminò con lo sguardo.
«C'è anche quel bastardo mangia-patate di Germania?!» fece, improvvisamente adirato. Il minore sobbalzò per l'inattesa intensità dell'affermazione.
«Sì, certo! È in giardino adesso...» rispose con naturale spontaneità Veneziano.
Lovino non riusciva a crederci: perché quello stupido del suo fratellino doveva portarsi ovunque quel bastardo?!
«Allora io me ne vado» sbottò Romano, avviandosi nuovamente verso la porta d'ingresso: non aveva la minima intenzione di pranzare allo stesso tavolo di Germania!
Veneziano gli si strinse addosso, cingendolo con quanta forza aveva all'altezza del torace, strattonandolo verso il soggiorno.
«Non te ne puoi andare, fratellone!! Non abbiamo ancora mangiato...!» gli fece presente, piantando i piedi per terra per opporsi allo strenuo tentativo di fuga del più grande.
«Io non mangio con quel coglione!!» esclamò quasi urlando quest’ultimo, tentando di divincolarsi.
«Dai, fratelloneee! Me l'hai promessooo!!!».
Il meridionale smise di opporre resistenza e poco mancò che cadessero ambedue a terra. Lovino si volse verso l’altro osservandolo con espressione visibilmente contrariata.
«Dai, rimani!» lo supplicò il settentrionale.
«E va bene, smettila di lagnare!» acconsentì irritato, svincolandosi, procedendo verso il soggiorno. Dietro di lui camminava a passo spedito Veneziano.
I due attraversarono a passo piuttosto spedito la stanza fino ad arrivare in sala da pranzo.
«Fratellone, io torno in cucina» annunciò Feliciano, prima di scomparire oltre la porta della suddetta stanza senza neppure attendere una risposta.
Romano rimase impalato in mezzo alla sala, guardandosi intorno: l'aveva lasciato da solo. Che cosa pretendeva che facesse...?
Senza saper come impiegare l’ignoto tempo che lo separava dal pranzo, l’italiano si diresse a passo lento verso le finestre che davano sul cortiletto posteriore. Fu allora che vide Germania: il tedesco, bardato in un cappotto pesante marrone scuro, stava chino su un cumulo di neve dalla forma assurda che sembrava stesse plasmando.
Nel vederlo, Lovino decise che avrebbe passato quel tempo morto fuori in cortile a lamentarsi con Ludwig. Era una trovata che l’allettava decisamente più che la prospettiva di mettersi seduto a tavola e doversene stare con le mani in mano.
Si allontanò dalla finestra e si avvicinò alla porta, che varcò a passo rapido.
Nel breve periodo che lui aveva passato all'interno della casa del fratellino aveva ripreso a nevicare: i fiocchi bianchi turbinavano sospinti dal vento, andando ad ispessire piano piano il manto candido che ricopriva il terreno.
Il Vargas si strinse nel suo cappotto, avviandosi nella neve verso il biondo.
Romano, a dispetto dell’apparente stupidità, era più furbo di Veneziano; per questo non gli erano occorsi né fatica né troppo tempo per giungere alla conclusione che tra il settentrionale e Ludwig esistesse una relazione sentimentale discretamente intensa.
A volte - a loro completa insaputa - li aveva sorpresi in atteggiamenti non proprio tipici di alleati di guerra e non poteva negare il fatto che gli rodesse immensamente il fatto che suo fratello stesse con una persona di cui lui, personalmente, non sopportava neppure la sola presenza.
Germania parve non accorgersi dell’italiano finché non gli si avvicinò tanto che riuscì ad udire il rumore dei suoi passi nella neve.
A quel punto il tedesco alzò gli occhi dal cumulo su cui stava lavorando per rivolgerli al castano in piedi accanto a lui.
Credeva fosse Veneziano e si dispiacque invece di trovarsi di fronte Romano: quel ragazzo faceva di tutto per dargli sui nervi.
«Che cazzo stai facendo, bastardo mangia-patate?» sbottò finemente Lovino, incrociando sostenuto le braccia sul petto.
Le guance di Germania assunsero una viva tonalità rossa per l'improvvisa domanda dell'italiano.
Si vergognava parecchio a dirgli che stava giocando con la neve: avrebbe evitato di rispondere persino a Feliciano, figurarsi a Romano...!
«Sto... aspettando che tuo fratello finisca di preparare il pranzo...» rispose. In effetti, non gli aveva mentito: le cose stavano esattamente così.
Il castano emise un verso stizzito e aggiunse: «A riguardo, smettila di venire a mangiare a casa del mio stupido fratellino!».
Ludwig sbatté perplesso le palpebre e si difese: «Guarda che mi ha invitato lui...».
«Chi se ne importa! È mezzogiorno e io non ho ancora mangiato!!».
Era veramente fastidioso.
Il biondo cercò di dedicarsi completamente al suo "lavoro", ma la risata di evidente scherno di Romano lo distrasse.
«Ehi, mangia-patate! Stai giocando con la neve?».
C’era arrivato da solo. Era una sorta di genio, considerati gli standard di famiglia.
Germania sospirò esasperato e tentò di ignorarlo.
«Ah, no...» riprese l'italiano col preciso intento di dargli fastidio, piegandosi accanto a lui per osservare più da vicino il cumulo di neve che stava trasfigurando «... stai cercando di creare una scultura di neve?!».
Il tedesco, allora, replicò, più per zittirlo che altro: «Sì».
La risposta sortì l'effetto esattamente opposto a quello sperato: Lovino rise sguaiatamente di lui lasciandosi cadere seduto sulla neve.
«È un obbrobrio!».
Germania lo guardò di traverso: quanto avrebbe voluto che si zittisse...! Perché i tipi problematici doveva sempre trovarli lui?
Suo fratello era totalmente il suo opposto, anche se l'indole codarda li accomunava.
A Germania piaceva Veneziano, ma Romano... no, lui non rientrava neanche lontanamente nella categoria “sopportabile”.
Non era bravo nelle cose artistiche, in quelle erano senz'altro migliori di lui Feliciano e Roderich, però non reputava affatto corretto che Lovino glielo facesse notare in modo così sfacciato. Lui non aveva fatto niente per meritarsi un trattamento simile!
Il biondo, stanco di essere deriso a vuoto, esclamò provocatorio: «Perché allora non ci provi tu?».
Incredibilmente, il Vargas tacque all'istante: sfidato ad esprimere le proprie capacità artistiche, non riuscì a fare altro che quello. Ammutolire.
Lui non ne era capace. Il vero artista era il suo stupido fratellino, che aveva ereditato tutte le migliori capacità del loro virtuoso nonno. A lui non riusciva disegnare né svolgere le faccende domestiche né altro.
Il castano fissò il biondo indignato: «E perché dovrei?».
«Hai paura?» lo provocò ulteriormente Germania, al che Lovino si inginocchiò a terra e cominciò a lavorare con la neve: non accettava di farsi battere da quel bastardo senza aver fatto niente per tentare di dimostrarsi migliore di lui!
Germania l'osservò silente mentre appallottolava la neve e l'accumulava un po' alla volta, creando passo dopo passo un qualcosa che non avrebbe saputo definire neppure volendo.
Era una massa informe al pari di quella che lui stesso aveva creato.
Romano pareva perdere la pazienza sempre più man mano che procedeva nella cosa, tanto che il tedesco suppose che potesse distruggere il suo operato di punto in bianco e lo piantasse lì.
In un certo senso sarebbe stato un sollievo.
«Germania! Fratellone! È pronto!».
Veneziano era uscito di corsa nella neve agitando in aria un mestolo per cercare di attirare l'attenzione dei due.
Ludwig si voltò verso il più giovane dei Vargas non appena lo vide avvicinarsi ed esclamò ad alta voce, in tono d'ammonizione: «Perché sei uscito senza cappotto?!».
Si spogliò del proprio e, quando il ragazzo gli si fermò accanto, glielo appoggiò sulle spalle con una certa rude premura. Feliciano se lo strinse addosso ringraziandolo e sorridendogli, il tutto sotto lo sguardo vigile di Romano. Quest'ultimo, che a malapena sopportava l'idea che Germania ronzasse intorno al suo fratellino, non ci vide più dalla rabbia nell'assistere a tale scena.
«Che cosa stai facendo, fratellone?» esclamò Veneziano, guardando incuriosito il cumulo di neve tra le sue mani.
Lovino arrossì improvvisamente e borbottò un risentito: «S-stavo facendo u-un coniglio con la neve».
«Un coniglio? Non sembra...» asserì il settentrionale, avvicinandosi candido al meridionale, che per contro si alzò.
Veneziano si mise a modellare la forma sbilenca mentre Romano, dietro di lui, raccoglieva una manciata di neve e, appallottolandola, la lanciava a Germania, centrandolo in pieno petto. L'affronto fu ricambiato dal biondo, dando così inizio ad una sorta di vera e propria guerra a palle di neve.
Il più piccolo dei Vargas era completamente ignaro di ciò che stava succedendo dietro di sé, intento com'era a dare sfoggio del suo innegabile estro creativo.
Quando ebbe terminato e si volse, vide Germania inginocchiato sopra Romano nel tentativo di bloccarlo, mentre l'italiano cercava di divincolarsi e sbraitava: «Bastardo, stai lontano dal mio stupido fratellino!!».
«Fratelloneee! Fermo, che cosa stai facendo?! Germania! Germania, fermo!».
Veneziano accorse dai due, ma fu inutile: quando Ludwig si rimise in piedi, sosteneva per il colletto del giubbotto Romano, che ancora si dimenava imprecando per riguadagnarsi la libertà e la possibilità di stare in piedi con le sue gambe.
«Lasciami andare, cazzo! Lasciami stare!!»
«Sei tu che mi hai aggredito» ribatté pacato Germania, posandolo a terra.
«Stai sempre appiccicato al mio stupido fratellino! Sono stanco di averti sempre tra i piedi anche a casa sua, cazzo! Non si mangia più nemmeno a mezzogiorno perché mangi tu più tardi, bastardo!! Devi piantarla di...!»
«Fratellone, basta!» intervenne Feliciano, tappandogli malamente la bocca, cingendolo al torace e strattonandolo lontano dal tedesco per evitare che si picchiassero di nuovo.
«Lasciami andare, Veneziano!» si lamentò Lovino, liberandosi della mano che il più piccolo gli aveva messo sulla bocca.
«N-no...! Non voglio che tu faccia del male a Germania!».
Ludwig osservava i due fratelli litigare senza intervenire. Nel vedere il fervore che animava il più grande ebbe l'impressione che... fosse estremamente geloso del suo fratellino.
Non nel senso che avrebbe voluto essere al suo posto, bensì inteso come possesso.
Non voleva che stesse intorno al suo fratellino perché non sopportava l'idea che fosse proprio lui a portarglielo via.
«Andiamo, fratellone! Andiamo a mangiareee...!» esclamò Veneziano cercando di trascinare di peso il più grande in casa.
«Manda via quel bastardo!! Deve andarsene!» sbraitò Romano, opponendo resistenza.
«Un tipo problematico. Forse anche più di Italia...» rifletté tra sé e sé Germania, seguendo i due all'interno a distanza di sicurezza, onde evitare ulteriori aggressioni.
«Daiiii, fratellone! Basta, adesso il pranzo è pronto!».