Mancanza d'attenzioni
Dec. 23rd, 2011 07:09 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Mancanza d'attenzioni
Rating: Giallo
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Chibitalia, Chibiromano
Wordcount: 1971 (
fiumidiparole)
Prompt: Sentimenti / Gelosia per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @
hetafic_it
Note: Linguaggio
Anche se si comportava in modo ostile nei suoi confronti e dava l’idea di non sopportare né lui né tutte le cure che gli dedicava quando Feliciano non c’era, non gli piaceva che lo ignorasse completamente quando il suo fratellino veniva a trovarlo da Vienna.
Il maggiore dei due Vargas si fermò dirimpetto a Fernandez e lo guardò dritto negli occhi, cercando di attirare la sua attenzione. Di solito ci riusciva solo con la sua presenza, per cui pensava di farcela anche allora.
Purtroppo, Antonio era così preso da Italia che non gli prestò neanche un briciolo delle attenzioni che il meridionale tacitamente gli richiedeva. Allora, Lovino passò alle “maniere forti”.
«Bastardo, ho fame!».
«Ho lasciato i pomodori appena colti sul tavolo in cucina» gli disse, accarezzando amorevolmente i capelli di Feliciano.
«Ita-chan sei così cariiino...!».
Era l’ennesima volta che quel bastardo di Spagna si piazzava sul muretto che delimitava il giardino della sua villa con Veneziano seduto sulle gambe, osservandolo mentre, mansueto, il piccoletto mangiava uno dei pomodori che lo spagnolo gli aveva portato dal suo orticello.
Era palese che Antonio si beasse del candore fanciullesco e dell’atteggiamento servizievole ed affettuoso al tempo stesso del pargolo.
Romano, nel frattanto, li guardava da lontano, seduto sul prato in disparte in silenzio, un broncio a dir poco delizioso ad increspargli le labbra: non riusciva proprio a sopportare tutte le smancerie e i complimenti sdolcinati che Spagna faceva al suo fratellino.
Anche senza che lo spagnolo lo sottolineasse continuamente con tutte quelle attenzioni e quei gesti sdolcinati, Lovino sapeva perfettamente che, in famiglia, era Feliciano quello “perfetto”: dal nonno aveva ereditato le sue spiccate capacità artistiche e inoltre sapeva svolgere benissimo tutte le faccende domestiche e non c’era nessuno che non ammettesse che era carino e di buon cuore.
Di lui, invece, non solo si lamentavano sempre, ma nessuno lo trovava neanche lontanamente utile a qualcosa: non aveva spirito artistico e non sapeva svolgere neppure le mansioni più semplici. A detta di tutti, l’unica cosa che era capace di fare era creare problemi.
Aveva passato tutta la sua vita all’ombra di Veneziano, il quale era preso come modello da imitare e con il quale veniva paragonato sempre, cosicché - anche non volendo - era sempre messo di fronte alle proprie mancanze rispetto al fratello minore.
Romano cercava di dimostrarsi insensibile a ciò, ma in fondo non faceva altro che covare gelosia nei confronti del più piccolo: a lui andavano tutti i complimenti e le attenzioni e per lui non c’era niente.
Persino quello scemo di Spagna - che era il suo capo - preferiva il suo fratellino a lui!
Lovino si alzò dal suo posto isolato ed attraversò il prato diretto verso Carriedo, deciso a riconquistarsi le sue attenzioni: anche se si comportava in modo ostile nei suoi confronti e dava l’idea di non sopportare né lui né tutte le cure che gli dedicava quando Feliciano non c’era, non gli piaceva che lo ignorasse completamente quando il suo fratellino veniva a trovarlo da Vienna.
Il maggiore dei due Vargas si fermò dirimpetto a Fernandez e lo guardò dritto negli occhi, cercando di attirare la sua attenzione. Di solito ci riusciva solo con la sua presenza, per cui pensava di farcela anche allora.
Purtroppo, Antonio era così preso da Italia che non gli prestò neanche un briciolo delle attenzioni che il meridionale tacitamente gli richiedeva. Allora, Lovino passò alle “maniere forti”.
«Bastardo, ho fame!» brontolò, imbronciato.
Solo allora Spagna parve accorgersi di lui - e neppure in modo completo, bensì puramente marginale.
«Ho lasciato i pomodori appena colti sul tavolo in cucina» gli disse, accarezzando amorevolmente i capelli di Feliciano.
Liquidato con un niente: quello stupido non aveva tempo per lui...! C’era Feliciano.
«Spagna crepa! Bastardo!» borbottò irritato Lovino mentre varcava la soglia dell’edificio.
La casa di Spagna gli risultava ancora grande e simile ad un enorme labirinto, ma aveva imparato almeno quali erano i “percorsi principali”, ossia la strada dalla porta d’ingresso alla cucina, quella per la sua stanza e per la camera dello spagnolo.
Persino la via per trovare il bagno era ancora un punto interrogativo per il bambino, per disgrazia di Antonio.
«Non mi considera mai quando c’è quello stupido fratellino tra i piedi...» continuò a lamentarsi l’italiano mentre percorreva uno dei tanti corridoi che portavano alla cucina.
Non vedeva l’ora che Veneziano tornasse a casa di Austria, così Spagna avrebbe ripreso a considerarlo a pieno.
Nel frattempo, nel cortile, Spagna coccolava beato il più piccolo dei due Vargas: era così adorabile!
Romano non si lasciava prendere in grembo né tantomeno accarezzare senza protestare e combinava un guaio dietro l’altro. Veneziano era diverso da lui, totalmente all’opposto, ed accudirlo era persino rilassante.
Nonostante questo, Fernandez non l’avrebbe mai scambiato con il suo Romano: a dispetto del rapporto difficile, ci si era talmente affezionato che non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto essere la sua vita senza di lui.
«Qualche volta però anche lui riesce ad essere carino...!» commentò tra sé e sé Carriedo, arrossendo al solo pensare alle poche volte in cui Lovino, per un motivo o per un altro, si era lasciato coccolare - anche se non si era risparmiato, persino in quei pochi momenti, in insulti a suo carico.
«Quel coglione di Spagna! Come ci arrivo io lassù?!».
Lovino era appena arrivato in cucina. Nell’avvicinarsi al tavolo, però, aveva capito che non sarebbe mai riuscito ad arrivare fino ai suoi adorati pomodori da solo: era troppo basso.
Con sguardo truce fissò il piano sopra di lui, lanciando poi un’occhiata in direzione della porta: se ci fosse stato Spagna li avrebbe fatti prendere a lui, ma al momento era così impegnato col suo stupido fratellino...!
Il primo istinto che Romano ebbe fu di fare dietrofront e andare a chiamare lo spagnolo per farsi aiutare anche a costo di dover picchiare Veneziano; dopo qualche attimo di riflessione, però, si risolse di arrangiarsi da solo: non aveva la minima intenzione di rivedere Antonio coccolare Feliciano.
Il problema era che non sapeva come risolvere quella complicazione da solo.
L’unico modo era tentare di “scalare” fino al tavolo, ma a fatica riusciva a raggiungere in altezza il bordo della sedia. Udendo il proprio stomaco brontolare, decise di provare: in fondo, non gli costava niente.
Si avvicinò alla sedia e fece un piccolo salto per aggrapparsi con le manine al margine del mobile, mettendo al tempo stesso i piedini sull’asta che teneva collegate tra loro le gambe. Si issò sopra con una certa fatica, non essendo esattamente abituato a sforzi fisici del genere.
Una volta messosi in piedi sulla sedia, si rivolse verso il tavolo. Con quello era più difficile perché mancavano appigli supplementari da usare per aiutarsi.
Si aggrappò al bordo e cercò di issarsi sopra, ma riuscì solamente a tirare verso di sé il mobile.
Spagna - che aveva congedato pochi minuti prima Veneziano affinché potesse tornare a Vienna prima che si facesse tardi - comparve in quel momento sulla soglia della cucina.
Si ritrovò a far inaspettatamente da spettatore alla scena tutt’altro che piacevole del tavolo che si ribaltava sopra Romano - che gridò sorpreso e spaventato - mandando a gambe all’aria le sedie retrostanti, rovesciando la cesta dei pomodori sul pavimento.
Il trambusto che accompagnò l’atto fu enorme. Il tavolo, per fortuna, non si schiantò a terra di netto al contrario, ma andò a sbattere contro il bordo di una sedia - quella su cui il bambino era in piedi fino a poco prima - e lì giacque, immobile.
Spagna rimase sbalordito dall’accaduto. Solo in un secondo momento subentrò una preoccupazione angosciosa per le condizioni di Romano.
«Romano? Romano!! Romano, tutto a posto?!» chiamò ad alta voce, correndo verso il mobile rovesciato.
Si chinò a sbirciare nello “spazio sicuro” creatosi sotto il piano di legno, l’espressione distorta da una preoccupazione tangibile.
Fu con estremo sollievo che constatò che il piccolo italiano non si era fatto del male: il bambino era steso bocconi per metà sotto la sedia. Una vera e propria fortuna: per un momento, nel vederlo cadere, aveva temuto che fosse rimasto schiacciato.
«Romano stai bene?» domandò ancora Fernandez, infilandosi un po’ dentro il pertugio per afferrare Lovino. Lo prese per i fianchi e lo tirò fuori, sollevandolo a mezz’aria.
«Ngh... n-non toccarmi, coglione!» sbottò a bassa voce l’italiano, stordito leggermente dalla caduta.
Lo spagnolo si rialzò e se lo strinse al petto nonostante il più piccolo picchiasse i pugni contro di lui nel vano tentativo di conquistarsi la libertà.
Spagna gli appoggiò una guancia contro il capo e portò una mano ad accarezzargli i capelli, sorridendo: se lo offendeva significava che era davvero tutto a posto.
«Oh, dai Romano...!» si finse offeso Carriedo «Perché stavi cercando di arrampicarti sul tavolo da solo? È pericoloso!» continuò, passando da offeso a preoccupato.
Romano, col visino affondato nella sua spalla, si spostò verso il suo braccio distogliendo al contempo lo sguardo.
«È colpa tua, bastardo» rispose Lovino, parlando nella camicia del più grande, come se cercasse di non farsi sentire.
Quando faceva così Spagna lo trovava eccessivamente adorabile...!
«Come sarebbe a dire “è colpa mia”?» chiese Antonio, perplesso.
Romano arrossì e controbatté, scocciato: «Se ci fossi stato tu non sarebbe successo, coglione! Dovevi darmeli tu i pomodori, idiota!».
Lo spagnolo riuscì ad avvertire nel tono di voce dell’italiano una nota d’accusa e indignazione. Ripensando a quanto accaduto nell’arco del pomeriggio, non gli fu difficile capire che ciò era dovuto alle attenzioni che aveva prestato al suo fratellino invece che a lui.
«Romano, sei geloso di Ita-chan...?» domandò di getto, accarezzando con affetto i capelli del Vargas.
«C-cosa ti viene in mente, bastardo?!» borbottò Lovino contrariato, ma non si allontanò da Fernandez né tentò nuovamente la fuga, bensì strinse le manine attorno alla stoffa della sua camicia. Dopotutto, anche se si trattava di Spagna, essere considerato era bello.
Antonio si accorse della sua presa sulla propria camicia e si strinse ancor più forte Lovino al petto.
«Che cariiino, Romano! Non ti scambierei mai con il tuo fratellino...!» lo rassicurò Antonio, accarezzandolo e stringendolo ancora di più.
«Mollami, mi fai male, cazzo!» esclamò l’italiano, cercando di divincolarsi con più forza di prima: le braccia di Fernandez lo stavano quasi soffocando.
Spagna non lo lasciò andare. Si limitò semplicemente ad allentare un poco la presa.
Con il bambino in braccio si avvicinò al bancone accanto al lavabo dove era sistemato un altro cesto contenente pomodori. Non erano appena colti, ma pomodori erano e tali rimanevano.
Se Romano avesse visto che ce n’erano anche lì, di certo avrebbe preferito tentare di salire sul bancone piuttosto che sul tavolo: anche se ci si aggrappava e tirava, era assolutamente impossibile che, pesante com’era, quel mobile gli cadesse addosso!
Si sarebbe risparmiato una caduta ed il rischio di farsi male. Soprattutto, non sarebbe stato tra le braccia di Spagna.
Quest’ultimo posò il bambino sul piano, prese un pomodoro e glielo porse.
Il Vargas non esitò un istante a strappargli di mano il frutto. Lo morse con gusto mentre Spagna continuava ad accarezzarlo sulla testa ed iniziava a pizzicargli le guance.
Pensare che fino a poco prima non lo guardava neanche e adesso lo ricopriva letteralmente di morbose, stressanti attenzioni. Da un estremo all’altro.
Per parte sua, Lovino era felice di essere nuovamente al centro delle attenzioni dello spagnolo, anche se non gli piaceva che lo infastidisse mentre mangiava.
Invece, Antonio era stato letteralmente conquistato dalla tenerezza della sua gelosia nei confronti del suo fratellino. Si piegò sul bancone e puntellò i gomiti sul piano, mettendosi la mano sinistra sotto il mento in modo che gli sostenesse il capo. Con l’altra mano pungolava senza tregua il piccolo Romano.
Un sorriso di beatitudine gli incurvava le labbra.
«Ahwww, come sei carino, Romano...!» esclamò, infilandogli le mani tra i capelli castano scuro, scendendo poi ad accarezzargli dietro le orecchie.
Aveva voglia di abbracciarlo ancora, ma era meglio aspettare che avesse finito di mangiare, altrimenti avrebbe cercato di ribellarsi e quel pomodoro sarebbe con altissima probabilità andato a spalmarsi sul suo viso o, peggio, sui suoi vestiti.
«Lasciami stare...!» bofonchiò Lovino, imbronciato. Voleva attenzione, ma adesso era troppo.
Con Veneziano non era mai così ossessivo.
Spagna non diede minimamente peso all’obiezione e gli pizzicò una guancia con particolare forza, tanto che lacrime di dolore spuntarono ai lati degli occhioni ambrati del piccino.
Quest’ultimo levò una mano e schiaffeggiò con quanta forza aveva il polso del più grande.
Si massaggiò delicatamente la guancia offesa, che si era fatta più rossa nel punto in cui le dita di Antonio si erano chiuse ed avevano tirato mentre le piccole lacrime che gli si erano affacciate alle palpebre scendevano silenziose sulla pelle.
Cercando di trattenere altre lacrime pronte ad uscire, il piccolo si rivolse allo spagnolo: «Mi hai fatto male... bastardo!».
«Scusa, Romano. Mi sono lasciato trasportare, non volevo farti male!» si scusò il Carriedo, accarezzandogli la testolina.
L’altro girò lo sguardo altrove, indignato.
Non era giusto: a Veneziano non faceva mai male, in nessuna maniera, neanche per sbaglio. Lo trattava sempre come se fosse fatto di cristallo.
Perché con lui si comportava diversamente...?
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Genere: Fluff, Generale, Sentimentale
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Chibitalia, Chibiromano
Wordcount: 1971 (
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Prompt: Sentimenti / Gelosia per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @
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Note: Linguaggio
Anche se si comportava in modo ostile nei suoi confronti e dava l’idea di non sopportare né lui né tutte le cure che gli dedicava quando Feliciano non c’era, non gli piaceva che lo ignorasse completamente quando il suo fratellino veniva a trovarlo da Vienna.
Il maggiore dei due Vargas si fermò dirimpetto a Fernandez e lo guardò dritto negli occhi, cercando di attirare la sua attenzione. Di solito ci riusciva solo con la sua presenza, per cui pensava di farcela anche allora.
Purtroppo, Antonio era così preso da Italia che non gli prestò neanche un briciolo delle attenzioni che il meridionale tacitamente gli richiedeva. Allora, Lovino passò alle “maniere forti”.
«Bastardo, ho fame!».
«Ho lasciato i pomodori appena colti sul tavolo in cucina» gli disse, accarezzando amorevolmente i capelli di Feliciano.
«Ita-chan sei così cariiino...!».
Era l’ennesima volta che quel bastardo di Spagna si piazzava sul muretto che delimitava il giardino della sua villa con Veneziano seduto sulle gambe, osservandolo mentre, mansueto, il piccoletto mangiava uno dei pomodori che lo spagnolo gli aveva portato dal suo orticello.
Era palese che Antonio si beasse del candore fanciullesco e dell’atteggiamento servizievole ed affettuoso al tempo stesso del pargolo.
Romano, nel frattanto, li guardava da lontano, seduto sul prato in disparte in silenzio, un broncio a dir poco delizioso ad increspargli le labbra: non riusciva proprio a sopportare tutte le smancerie e i complimenti sdolcinati che Spagna faceva al suo fratellino.
Anche senza che lo spagnolo lo sottolineasse continuamente con tutte quelle attenzioni e quei gesti sdolcinati, Lovino sapeva perfettamente che, in famiglia, era Feliciano quello “perfetto”: dal nonno aveva ereditato le sue spiccate capacità artistiche e inoltre sapeva svolgere benissimo tutte le faccende domestiche e non c’era nessuno che non ammettesse che era carino e di buon cuore.
Di lui, invece, non solo si lamentavano sempre, ma nessuno lo trovava neanche lontanamente utile a qualcosa: non aveva spirito artistico e non sapeva svolgere neppure le mansioni più semplici. A detta di tutti, l’unica cosa che era capace di fare era creare problemi.
Aveva passato tutta la sua vita all’ombra di Veneziano, il quale era preso come modello da imitare e con il quale veniva paragonato sempre, cosicché - anche non volendo - era sempre messo di fronte alle proprie mancanze rispetto al fratello minore.
Romano cercava di dimostrarsi insensibile a ciò, ma in fondo non faceva altro che covare gelosia nei confronti del più piccolo: a lui andavano tutti i complimenti e le attenzioni e per lui non c’era niente.
Persino quello scemo di Spagna - che era il suo capo - preferiva il suo fratellino a lui!
Lovino si alzò dal suo posto isolato ed attraversò il prato diretto verso Carriedo, deciso a riconquistarsi le sue attenzioni: anche se si comportava in modo ostile nei suoi confronti e dava l’idea di non sopportare né lui né tutte le cure che gli dedicava quando Feliciano non c’era, non gli piaceva che lo ignorasse completamente quando il suo fratellino veniva a trovarlo da Vienna.
Il maggiore dei due Vargas si fermò dirimpetto a Fernandez e lo guardò dritto negli occhi, cercando di attirare la sua attenzione. Di solito ci riusciva solo con la sua presenza, per cui pensava di farcela anche allora.
Purtroppo, Antonio era così preso da Italia che non gli prestò neanche un briciolo delle attenzioni che il meridionale tacitamente gli richiedeva. Allora, Lovino passò alle “maniere forti”.
«Bastardo, ho fame!» brontolò, imbronciato.
Solo allora Spagna parve accorgersi di lui - e neppure in modo completo, bensì puramente marginale.
«Ho lasciato i pomodori appena colti sul tavolo in cucina» gli disse, accarezzando amorevolmente i capelli di Feliciano.
Liquidato con un niente: quello stupido non aveva tempo per lui...! C’era Feliciano.
«Spagna crepa! Bastardo!» borbottò irritato Lovino mentre varcava la soglia dell’edificio.
La casa di Spagna gli risultava ancora grande e simile ad un enorme labirinto, ma aveva imparato almeno quali erano i “percorsi principali”, ossia la strada dalla porta d’ingresso alla cucina, quella per la sua stanza e per la camera dello spagnolo.
Persino la via per trovare il bagno era ancora un punto interrogativo per il bambino, per disgrazia di Antonio.
«Non mi considera mai quando c’è quello stupido fratellino tra i piedi...» continuò a lamentarsi l’italiano mentre percorreva uno dei tanti corridoi che portavano alla cucina.
Non vedeva l’ora che Veneziano tornasse a casa di Austria, così Spagna avrebbe ripreso a considerarlo a pieno.
Nel frattempo, nel cortile, Spagna coccolava beato il più piccolo dei due Vargas: era così adorabile!
Romano non si lasciava prendere in grembo né tantomeno accarezzare senza protestare e combinava un guaio dietro l’altro. Veneziano era diverso da lui, totalmente all’opposto, ed accudirlo era persino rilassante.
Nonostante questo, Fernandez non l’avrebbe mai scambiato con il suo Romano: a dispetto del rapporto difficile, ci si era talmente affezionato che non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto essere la sua vita senza di lui.
«Qualche volta però anche lui riesce ad essere carino...!» commentò tra sé e sé Carriedo, arrossendo al solo pensare alle poche volte in cui Lovino, per un motivo o per un altro, si era lasciato coccolare - anche se non si era risparmiato, persino in quei pochi momenti, in insulti a suo carico.
«Quel coglione di Spagna! Come ci arrivo io lassù?!».
Lovino era appena arrivato in cucina. Nell’avvicinarsi al tavolo, però, aveva capito che non sarebbe mai riuscito ad arrivare fino ai suoi adorati pomodori da solo: era troppo basso.
Con sguardo truce fissò il piano sopra di lui, lanciando poi un’occhiata in direzione della porta: se ci fosse stato Spagna li avrebbe fatti prendere a lui, ma al momento era così impegnato col suo stupido fratellino...!
Il primo istinto che Romano ebbe fu di fare dietrofront e andare a chiamare lo spagnolo per farsi aiutare anche a costo di dover picchiare Veneziano; dopo qualche attimo di riflessione, però, si risolse di arrangiarsi da solo: non aveva la minima intenzione di rivedere Antonio coccolare Feliciano.
Il problema era che non sapeva come risolvere quella complicazione da solo.
L’unico modo era tentare di “scalare” fino al tavolo, ma a fatica riusciva a raggiungere in altezza il bordo della sedia. Udendo il proprio stomaco brontolare, decise di provare: in fondo, non gli costava niente.
Si avvicinò alla sedia e fece un piccolo salto per aggrapparsi con le manine al margine del mobile, mettendo al tempo stesso i piedini sull’asta che teneva collegate tra loro le gambe. Si issò sopra con una certa fatica, non essendo esattamente abituato a sforzi fisici del genere.
Una volta messosi in piedi sulla sedia, si rivolse verso il tavolo. Con quello era più difficile perché mancavano appigli supplementari da usare per aiutarsi.
Si aggrappò al bordo e cercò di issarsi sopra, ma riuscì solamente a tirare verso di sé il mobile.
Spagna - che aveva congedato pochi minuti prima Veneziano affinché potesse tornare a Vienna prima che si facesse tardi - comparve in quel momento sulla soglia della cucina.
Si ritrovò a far inaspettatamente da spettatore alla scena tutt’altro che piacevole del tavolo che si ribaltava sopra Romano - che gridò sorpreso e spaventato - mandando a gambe all’aria le sedie retrostanti, rovesciando la cesta dei pomodori sul pavimento.
Il trambusto che accompagnò l’atto fu enorme. Il tavolo, per fortuna, non si schiantò a terra di netto al contrario, ma andò a sbattere contro il bordo di una sedia - quella su cui il bambino era in piedi fino a poco prima - e lì giacque, immobile.
Spagna rimase sbalordito dall’accaduto. Solo in un secondo momento subentrò una preoccupazione angosciosa per le condizioni di Romano.
«Romano? Romano!! Romano, tutto a posto?!» chiamò ad alta voce, correndo verso il mobile rovesciato.
Si chinò a sbirciare nello “spazio sicuro” creatosi sotto il piano di legno, l’espressione distorta da una preoccupazione tangibile.
Fu con estremo sollievo che constatò che il piccolo italiano non si era fatto del male: il bambino era steso bocconi per metà sotto la sedia. Una vera e propria fortuna: per un momento, nel vederlo cadere, aveva temuto che fosse rimasto schiacciato.
«Romano stai bene?» domandò ancora Fernandez, infilandosi un po’ dentro il pertugio per afferrare Lovino. Lo prese per i fianchi e lo tirò fuori, sollevandolo a mezz’aria.
«Ngh... n-non toccarmi, coglione!» sbottò a bassa voce l’italiano, stordito leggermente dalla caduta.
Lo spagnolo si rialzò e se lo strinse al petto nonostante il più piccolo picchiasse i pugni contro di lui nel vano tentativo di conquistarsi la libertà.
Spagna gli appoggiò una guancia contro il capo e portò una mano ad accarezzargli i capelli, sorridendo: se lo offendeva significava che era davvero tutto a posto.
«Oh, dai Romano...!» si finse offeso Carriedo «Perché stavi cercando di arrampicarti sul tavolo da solo? È pericoloso!» continuò, passando da offeso a preoccupato.
Romano, col visino affondato nella sua spalla, si spostò verso il suo braccio distogliendo al contempo lo sguardo.
«È colpa tua, bastardo» rispose Lovino, parlando nella camicia del più grande, come se cercasse di non farsi sentire.
Quando faceva così Spagna lo trovava eccessivamente adorabile...!
«Come sarebbe a dire “è colpa mia”?» chiese Antonio, perplesso.
Romano arrossì e controbatté, scocciato: «Se ci fossi stato tu non sarebbe successo, coglione! Dovevi darmeli tu i pomodori, idiota!».
Lo spagnolo riuscì ad avvertire nel tono di voce dell’italiano una nota d’accusa e indignazione. Ripensando a quanto accaduto nell’arco del pomeriggio, non gli fu difficile capire che ciò era dovuto alle attenzioni che aveva prestato al suo fratellino invece che a lui.
«Romano, sei geloso di Ita-chan...?» domandò di getto, accarezzando con affetto i capelli del Vargas.
«C-cosa ti viene in mente, bastardo?!» borbottò Lovino contrariato, ma non si allontanò da Fernandez né tentò nuovamente la fuga, bensì strinse le manine attorno alla stoffa della sua camicia. Dopotutto, anche se si trattava di Spagna, essere considerato era bello.
Antonio si accorse della sua presa sulla propria camicia e si strinse ancor più forte Lovino al petto.
«Che cariiino, Romano! Non ti scambierei mai con il tuo fratellino...!» lo rassicurò Antonio, accarezzandolo e stringendolo ancora di più.
«Mollami, mi fai male, cazzo!» esclamò l’italiano, cercando di divincolarsi con più forza di prima: le braccia di Fernandez lo stavano quasi soffocando.
Spagna non lo lasciò andare. Si limitò semplicemente ad allentare un poco la presa.
Con il bambino in braccio si avvicinò al bancone accanto al lavabo dove era sistemato un altro cesto contenente pomodori. Non erano appena colti, ma pomodori erano e tali rimanevano.
Se Romano avesse visto che ce n’erano anche lì, di certo avrebbe preferito tentare di salire sul bancone piuttosto che sul tavolo: anche se ci si aggrappava e tirava, era assolutamente impossibile che, pesante com’era, quel mobile gli cadesse addosso!
Si sarebbe risparmiato una caduta ed il rischio di farsi male. Soprattutto, non sarebbe stato tra le braccia di Spagna.
Quest’ultimo posò il bambino sul piano, prese un pomodoro e glielo porse.
Il Vargas non esitò un istante a strappargli di mano il frutto. Lo morse con gusto mentre Spagna continuava ad accarezzarlo sulla testa ed iniziava a pizzicargli le guance.
Pensare che fino a poco prima non lo guardava neanche e adesso lo ricopriva letteralmente di morbose, stressanti attenzioni. Da un estremo all’altro.
Per parte sua, Lovino era felice di essere nuovamente al centro delle attenzioni dello spagnolo, anche se non gli piaceva che lo infastidisse mentre mangiava.
Invece, Antonio era stato letteralmente conquistato dalla tenerezza della sua gelosia nei confronti del suo fratellino. Si piegò sul bancone e puntellò i gomiti sul piano, mettendosi la mano sinistra sotto il mento in modo che gli sostenesse il capo. Con l’altra mano pungolava senza tregua il piccolo Romano.
Un sorriso di beatitudine gli incurvava le labbra.
«Ahwww, come sei carino, Romano...!» esclamò, infilandogli le mani tra i capelli castano scuro, scendendo poi ad accarezzargli dietro le orecchie.
Aveva voglia di abbracciarlo ancora, ma era meglio aspettare che avesse finito di mangiare, altrimenti avrebbe cercato di ribellarsi e quel pomodoro sarebbe con altissima probabilità andato a spalmarsi sul suo viso o, peggio, sui suoi vestiti.
«Lasciami stare...!» bofonchiò Lovino, imbronciato. Voleva attenzione, ma adesso era troppo.
Con Veneziano non era mai così ossessivo.
Spagna non diede minimamente peso all’obiezione e gli pizzicò una guancia con particolare forza, tanto che lacrime di dolore spuntarono ai lati degli occhioni ambrati del piccino.
Quest’ultimo levò una mano e schiaffeggiò con quanta forza aveva il polso del più grande.
Si massaggiò delicatamente la guancia offesa, che si era fatta più rossa nel punto in cui le dita di Antonio si erano chiuse ed avevano tirato mentre le piccole lacrime che gli si erano affacciate alle palpebre scendevano silenziose sulla pelle.
Cercando di trattenere altre lacrime pronte ad uscire, il piccolo si rivolse allo spagnolo: «Mi hai fatto male... bastardo!».
«Scusa, Romano. Mi sono lasciato trasportare, non volevo farti male!» si scusò il Carriedo, accarezzandogli la testolina.
L’altro girò lo sguardo altrove, indignato.
Non era giusto: a Veneziano non faceva mai male, in nessuna maniera, neanche per sbaglio. Lo trattava sempre come se fosse fatto di cristallo.
Perché con lui si comportava diversamente...?