fiamma_drakon: (Neuro_Nōgami)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2011-01-21 10:54 pm

Puzzle

Titolo: Puzzle
Rating: Verde
Genere: Comico, Slice of life
Personaggi: Neuro Nōgami, Yako Katsuragi
Wordcount: 1451 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Yako, sdraiata sul divano del suo ufficio, stava letteralmente masticando già da un po' il fondo di un sottile stilo nero con dedizione, gli occhi fissi sulla piccola console DS dello stesso colore che reggeva con la mano sinistra.
La sua espressione era impregnata di una concentrazione notevole, anche se era troppo simile ad una buffa smorfia per sembrare seria.



Yako, sdraiata sul divano del suo ufficio, stava letteralmente masticando già da un po’ il fondo di un sottile stilo nero con dedizione, gli occhi fissi sulla piccola console DS dello stesso colore che reggeva con la mano sinistra.
La sua espressione era impregnata di una concentrazione notevole, anche se era troppo simile ad una buffa smorfia per sembrare seria.
Neuro era accomodato sulla sua poltrona girevole, le gambe appoggiate sulla scrivania davanti a lui ed elegantemente accavallate. Era intento a leggere il giornale, come faceva di tanto in tanto per trascorrere il tempo altrimenti speso in dolce far nulla tra un mistero e l’altro.
Godai era fuori per svolgere alcune commissioni e Akane, almeno per il momento, pendeva inerte dalla parete senza alcuna occupazione.
L’unico rumore che riecheggiava nel silenzio della stanza era il leggero ed alterno picchiettio di Yako sul touch screen della console.
Dopo un po’ si mise seduta, abbandonando l’apparecchio accanto a sé con una certa stizza, lanciandogli un’occhiata a metà tra l’esasperato e l’astioso: era da più di mezz’ora che stava cercando di risolvere quell’odioso mini-gioco, ma non c’era ancora riuscita.
Non riusciva proprio a capirne il meccanismo.
La cosa peggiore di tutte era che quel gioco era stato etichettato con un deprimente “da più di 7 anni”.
Avrebbe dovuto essere una sciocchezza per lei, data l’accentuata differenza che intercorreva tra i suoi sette anni e la sua effettiva età, ma le risultava essere un qualcosa di dannatamente difficile, quasi impossibile.
Anche la sua migliore amica aveva quello stesso gioco ed era quasi alla fine.
A detta sua era “intuitivo e divertente”, per questo aveva deciso di provarlo anche lei, benché a quel punto rimpiangesse d’averlo fatto.
Mentre riprendeva la console, decisa a riprovare un’altra volta, un’idea le balenò improvvisamente in testa.
Molto lentamente, in modo quasi spettrale, si voltò verso la scrivania alle sue spalle, inquadrando il profilo della persona dietro ad essa - che a quanto sembrava la stava ancora ignorando.
«Che cosa vuoi, serva numero uno?».
Come non detto: la stava considerando e sapeva che lo stava guardando.
Sarebbe mai giunto il momento in cui qualcosa sarebbe sfuggito alla sua attenzione?
«Neuro...?» iniziò lei in tono timido e falsamente gentile, quasi lusinghiero, alzandosi dal divano per accostarglisi.
Il demone spostò gli occhi dal giornale per fissarli su di lei con un’espressione inquisitoria che definire solamente penetrante sarebbe stato eufemistico. Rimase in religioso silenzio, in attesa che continuasse a parlare, dato che lui non aveva intenzione di strappargli le parole di bocca - anche perché non gliene importava granché di quel che aveva da dirgli.
Allora Yako, vedendolo continuare ad aspettare, riprese: «Puoi risolvermi questo rompicapo?».
Gli tese la console e lo stilo, guardandolo con occhi pieni di speranza: dopotutto, non era la prima volta che si “sostituiva” alla sua mente. Farlo un’altra volta e per un motivo differente dal solito non gli avrebbe cambiato granché - o almeno, lei la pensava a quel modo.
Lui esaminò per alcuni attimi l’apparecchio che gli stava porgendo, poi la guardò di nuovo.
«No» esclamò in tono categorico, scandendo con attenzione e forza ambedue le lettere.
«Perché...?!» domandò lei, delusa del rifiuto «Sei il più intelligente di tutto il mondo demoniaco, no? Quanto potrà impegnarti una cosa così banale...?» aggiunse subito, cercando di arruffianarselo.
Neuro sorrise stringendo gli occhi, quindi esclamò: «Sì, in effetti...».
Un momento di silenzio, poi tese una mano guantata al suo indirizzo.
«Dà qua, stupida serva» ordinò.
«Sì!» esultò Yako, ignorando l’insulto - tanto c’era abituata, con lui - consegnandogli il DS e lo stilo.
Il demone impugnò quest’ultimo con un po’ di diffidenza, puntandolo verso lo schermo.
Rimase fermo a contemplare ciò che c’era scritto in quello superiore - la spiegazione in sintesi dell’obiettivo e delle regole del mini-gioco - poi toccò un paio di volte il touch screen inferiore, come per saggiare l’oggetto che aveva per le mani.
«È un giochino della massima banalità» commentò, annoiato, mentre la Katsuragi aggirava la sua poltrona per sbirciare da dietro le sue spalle «Non mi sorprende che una mente inferiore come la tua non riesca a risolverlo».
Yako lo osservò mentre, con fare esperto, si accingeva a risolvere l’enigma.
Seguì un momento di pausa, mentre il gioco elaborava il suo responso. Infine, quest’ultimo comparve a grossi caratteri sullo schermo inferiore, divenuto nero: “sbagliato”.
Una manciata di lettere che lasciarono completamente di stucco Yako, ma ancor di più Neuro: i suoi calcoli erano esatti sotto ogni possibile prospettiva logica, ne era più che certo.
«Ihihih...» ridacchiò a mezza voce la ragazza, senza riuscire a trattenersi.
Il demone la fulminò con un’occhiata, prima d’afferrarla per la testa e scaraventarla di peso contro la porta dall’altra parte della stanza.
«Permaloso...» mormorò Yako in un sussurro risentito mentre, dolorante, si accingeva a rialzarsi massaggiandosi la testa.
«Puoi ripetere, sensei? Non ho sentito...» chiese il demone con una chiarissima inflessione minacciosa nella voce ed uno sfavillio altamente pericoloso negli occhi, la mano destra liberata dal suo guanto in modo da lasciar bene in vista le lame aguzze che erano le sue lunghe dita, in quel momento più simili ad un minaccioso monito che ad altro.
«N-niente!» esclamò la Katsuragi, impaurita da quel che avrebbe potuto fargli con quella mano e che - lo sapeva per esperienza - non avrebbe esitato a fare «Devo andare adesso. A più tardi... e divertiti!» si affrettò ad aggiungere, dileguandosi in un baleno oltre la porta.
Neuro rimase lì, simile ad una colossale statua minacciosa, per alcuni istanti, prima di far dietrofront e tornare dietro alla sua scrivania.
La console giaceva abbandonata sul piano di essa, dove l’aveva lasciata poco prima.
Sullo schermo c’era ancora quell’inaccettabile “sbagliato” che sembrava lanciare tacitamente una sfida al suo intelletto superiore, una sfida che non poteva assolutamente rifiutare di raccogliere, perché altrimenti ciò avrebbe significato ammettere che la soluzione di quel misero giochetto sfuggiva alla sua comprensione, una cosa per lui inconcepibile ed imperdonabile: niente poteva superare l’ineccepibile intelletto del demone Nōgami Neuro.
Fu proprio quel suo profondo ed incontrastabile orgoglio di ciò che era e delle sue capacità a spingerlo ad impugnare nuovamente lo stilo e a riprendere in mano quel DS.
Si sedette e cominciò a ragionare, mettendo a dura prova le sue eccelse cellule grigie.
Le ore iniziarono a scivolare via velocemente, senza che lui riuscisse a staccarsi da quel minuscolo schermo luminoso e quel maledetto rompicapo al quale - per quanto potesse rifletterci ed analizzarlo da una moltitudine di prospettive differenti - non era capace di trovare una soluzione reputata corretta dal dispositivo.
Era assolutamente certo che i suoi ragionamenti portassero a conclusioni corrette, ma a quanto pareva quell’aggeggio infernale era di parere differente - anzi, totalmente contrario.
Lui doveva trovare un modo di fargli capire che era lui a comandare, non il contrario.
Lui era il demone super intelligente, lui dettava le regole.
Non esistevano alternative.
 
Yako spinse la porta dell’ufficio, affacciandosi timidamente all’interno: le lampade al neon irradiavano la stanza di una luce vagamente surreale ed inquietante in cui Neuro appariva ancor più lugubre di quel che in teoria avrebbe dovuto essere.
Era ancora chino sulla scrivania, gli occhi dilatati fino all’estremo con quella sua classica espressione da assassino malato mista ad un pizzico di pura pazzia infernale.
Sembrava incombere sulla piccola console che aveva innanzi come una nube oscura che si profila all’orizzonte annunciando l’arrivo di una violenta tempesta.
Se l’apparecchio fosse andato in mille pezzi sotto l’intensità del suo sguardo probabilmente la ragazza non se ne sarebbe affatto sorpresa.
Quest’ultima gli si avvicinò silenziosamente, stupita che fosse ancora lì a lambiccarsi con quello: erano le otto di sera passate e lei, quel pomeriggio, l’aveva lasciato che erano da poco passate le cinque e mezza.
Quando l’ebbe raggiunto, si piegò accanto a lui a fissare il DS.
«Sei stato qui con questo per tutto il pomeriggio?» domandò, perplessa.
Era superfluo chiederlo: i fogli pieni di disegni e schemi e calcoli vari in una grafia ed una lingua a lei incomprensibili parlavano da soli.
Neuro rimase muto, picchiettando sullo schermo e muovendo lo stilo.
Dopo poco riapparve la scritta “sbagliato”.
Yako sorrise mentre un vago senso di trionfo l’assaliva: non era riuscito a risolverlo.
Per una dannatissima volta aveva impattato contro un muro che non era riuscito a sfondare e lei ne traeva una soddisfazione immensa: anche quella mente reputata infallibile talvolta era soggetta ad errori.
«Guarda» disse, allungando una mano sul touch screen «Me l’ha spiegato la mia amica poco fa al telefono».
Mosse il dito ed attuò una mossa estremamente semplice e banale.
L’attimo successivo la scena si dissolse mentre appariva la dicitura: “esatto!”.
La ragazza si riappropriò della sua console sotto lo sguardo di Neuro - divenuto prettamente omicida - e se ne andò, diretta al divano.
«Quella non era logica, ma puro, semplice, BANALISSIMO intuito!» sbottò lui tra sé, mentre una scintilla luminosa gli appariva fugacemente negli occhi.
L’attimo dopo il DS prese fuoco tra le mani di Yako, che lo lasciò andare con un’esclamazione sorpresa e spaventata assieme.
E con quell’aggeggio bruciò anche quel gioco che era inspiegabilmente riuscito a fregarlo.