fiamma_drakon (
fiamma_drakon) wrote2012-01-03 11:34 am
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Wish you were here
Titolo: Wish you were here
Rating: Verde
Genere: Romantico, Sentimentale
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (Inghilterra)
Wordcount: 1340 (
fiumidiparole)
Prompt: Momenti / Alba per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @
hetafic_it
Timeline: Subito dopo la Rivoluzione Americana
Note: Shonen-ai
Erano ore che aveva rinunciato a cercare di prendere sonno: era inutile e serviva solo ad innervosirlo.
Inghilterra, seduto al tavolo della sua sala da pranzo, contemplava con sguardo confuso e sostanzialmente assente il ghiaccio all’interno del bicchiere, immerso nel gin.
Aveva svuotato una intera bottiglia di gin, che adesso giaceva abbandonata sul piano innanzi a sé, accanto a quella che stava svuotando in quel momento.
Le guance rosse simili a fuochi, gli occhi socchiusi e brillanti e l’atteggiamento alquanto poco cosciente di sé davano bene ad intendere quanto il gin avesse avuto effetto su di lui.
Inghilterra, completamente ed irrimediabilmente ubriaco, tracannò tutto d’un fiato la bevanda, sbattendo il bicchiere sul tavolo con veemenza, accasciandocisi poi sopra, esausto.
«Maledetto America...! Hic! America ma perché...? Hic! Maledizione! Dopo tutto quello che ho fat... hic!... to per lui, quel... quel vigliacco!».
Non era riuscito a chiudere occhio tutta la notte.
Poteva fingere quanto voleva d’essere forte e di aver assorbito il colpo senza riportare conseguenze, ma la verità era che lo sentiva eccome il cambiamento.
Non riusciva a credere che l’indipendenza di America potesse segnarlo al punto di distruggerlo.
Erano ore che aveva rinunciato a cercare di prendere sonno: era inutile e serviva solo ad innervosirlo.
Inghilterra, seduto al tavolo della sua sala da pranzo, contemplava con sguardo confuso e sostanzialmente assente il ghiaccio all’interno del bicchiere, immerso nel gin.
Aveva svuotato una intera bottiglia di gin, che adesso giaceva abbandonata sul piano innanzi a sé, accanto a quella che stava svuotando in quel momento.
Le guance rosse simili a fuochi, gli occhi socchiusi e brillanti e l’atteggiamento alquanto poco cosciente di sé davano bene ad intendere quanto il gin avesse avuto effetto su di lui.
Inghilterra, completamente ed irrimediabilmente ubriaco, tracannò tutto d’un fiato la bevanda, sbattendo il bicchiere sul tavolo con veemenza, accasciandocisi poi sopra, esausto.
«Maledetto America...! Hic! America ma perché...? Hic! Maledizione! Dopo tutto quello che ho fat... hic!... to per lui, quel... quel vigliacco!» esclamò biascicando.
Aveva cresciuto America come fosse stato il suo fratellino e adesso lui si era ribellato. Se ne era andato.
Arthur riempì di nuovo il bicchiere e bevve mentre ricordava i momenti di quiete familiare che aveva vissuto con Alfred.
Rievocò alla memoria i ricordi dell’America bambino che aveva cresciuto con amore, le vicissitudini domestiche. Sprazzi di vita vissuta gli comparvero come ombre opache innanzi agli occhi, sfuocate dalla sbornia.
Lacrime di nostalgia gli comparvero spontaneamente ai lati degli occhi smeraldini mentre si ricordava dell’americano in uniforme da battaglia.
Non riusciva più a vederlo come il suo fratellino, ma come un qualcuno di estraneo ma indispensabile.
I primi raggi di sole dell’alba gli ferirono gli occhi entrando dalla finestra davanti a lui. Alla fine, aveva passato tutta la notte alzato.
Tracannò l’ennesimo bicchiere di gin spostando lo sguardo sul tavolo: America era un chiodo fisso nel suo cervello annebbiato dall’alcol. Doveva riuscire a trovare il modo di riprenderlo con sé. Era troppo importante per lui.
«Tornerai, sicuro come l’Inferno... hic!» sbottò, sorridendo sprezzante a nessuno in particolare, versandosi dell’altro gin.
Cominciavano a tremargli le mani e la sua presa era più debole del normale.
Afferrò il bicchiere e, nell’atto di portarselo alla bocca, gli sfuggì dalle dita. Il contenitore si infranse sulla superficie del tavolo, andando in mille pezzi. I cubetti di ghiaccio e la bevanda si sparsero sul tavolo, mischiandosi con i pezzi di vetro.
Inghilterra si lasciò sfuggire un’imprecazione biascicata a mezza voce mentre si alzava e, malfermo sulle gambe, andava a cercare un pezzo di carta per pulire.
In quel momento suonò il campanello di casa. Il suono, benché lontano, riecheggiò amplificato centinaia di volte nella testa del britannico, stordendolo.
Cambiò direzione di avanzamento, dirigendosi verso la porta d’ingresso costeggiando una delle pareti del corridoio per evitare di cadere.
Il campanello suonò una seconda volta e più a lungo, provocando una fitta di dolore alle tempie ad Arthur.
«Smettetela di suonare... cazz... hic!» sbottò irritato, aggrappandosi ad uno dei mobili.
Raggiunta la porta di casa, si aggrappò alla maniglia della porta e l’aprì di getto con veemenza.
«Inghilterra! Devi firmare il trattato!».
Kirkland venne letteralmente accecato dalla luce del sole che spuntava dietro la figura di America, in piedi davanti all’uscio, in controluce.
Aveva completamente cambiato abbigliamento. Di anche solo lontanamente britannico non c’era più niente: indossava una camicia bianca con i primi due bottoni aperti, un paio di pantaloni grigio scuro ed un paio di bretelle nere.
Un abbigliamento del genere era completamente privo d’eleganza per i parametri dell’inglese.
Alfred - che si era aspettato una sfuriata senza pari per l’ora inadeguata ed il ritorno improvviso neanche ventiquattr’ore dopo essersi conquistato l’indipendenza - si sorprese enormemente di quel che si trovò davanti: Arthur aveva i capelli in condizione pietose e i vestiti spiegazzati. L’espressione con cui lo fissava era descrivibile solo con un termine: ebete. Gli occhi smeraldini erano cerchiati da occhiaie scure che facevano paura e le guance erano tanto rosse da sembrare fiamme.
Con la mano ancora stretta sulla maniglia, sembrava sul punto di cadere da un momento all’altro se solo avesse cercato di mollare la presa.
A completare il quadro, un tanfo d’alcol tale da soffocare.
America sapeva che l’ex madrepatria era un bevitore abbastanza accanito, ma per ridursi in quello stato pietoso doveva averci dato dentro parecchio.
«Inghilterra?».
Quest’ultimo lo fissò a vuoto per qualche istante, confuso; poi parve riprendersi.
«Non riesci a farcela da solo? Ti ho protetto da Francia e ti sei ribellato...! Hic! Adesso... torni...?» fece, assumendo una parvenza di cipiglio irritato.
«... torni...?» ripeté, sbattendo le palpebre.
Alfred lo vide iniziare a piangere mentre gli dava le spalle e barcollava all’interno.
Non ce la faceva a sopportare di vederlo ricomparire alla sua porta sapendo che non era più suo e che sarebbe scomparso di nuovo di lì a poco. Il fatto che fosse ubriaco e quasi completamente privo di freni razionali faceva sì che il percepire emozioni come la tristezza, la rabbia e la nostalgia fosse accentuato di molto.
Quand’era ubriaco, Arthur diventava estremamente sensibile e sentimentale.
L’americano varcò esitante l’uscio della casa che aveva considerato come sua fino a non molto tempo prima, muovendo qualche passo verso Inghilterra.
«Inghilterra, devi venire con me! Devi firmare il trat...».
Alfred s’interruppe nel vedere l’oramai ex madrepatria inciampare in una zampa di un mobiletto e rovinare pesantemente a terra.
L’americano scoppiò a ridere nel vederlo cadere come un sacco di patate al suolo, ma poi si zittì di colpo nel sentirlo iniziare a singhiozzare forte.
«America sei un... un idiota! Bastardo...» borbottò.
L’ex colonia gli si avvicinò, fermandosi dietro di lui.
Inaspettatamente, Kirkland si mise in ginocchio e si volse verso Jones, aggrappandosi alla sua cintura.
«Inghilterra?!» esclamò sbalordito il più giovane, sobbalzando.
L’altro gli appoggiò il capo contro il ventre, piangendogli sulla camicia.
«Idiota...» singhiozzò «Sei un idiota... perché te ne sei andato...?».
Iniziò a tirarlo verso il basso con strattoni sempre più forti ai quali America si opponeva con vigore per non cadergli addosso.
Arthur cominciò a piangere a dirotto.
«Idiota! Rimani qui!!» esclamò quasi gridando.
Afferrò il minore nel mezzo della camicia e lo tirò giù. Alfred si piegò e, con immensa sorpresa, sentì la bocca dell’ex madrepatria unirsi con impeto alla sua. Arrossì per il gesto tutt’altro che prevedibile: non aveva mai immaginato che Inghilterra avesse certe tendenze sessuali!
Il britannico pareva languire e consumarsi per quel bacio. Le guance erano ancora più rosse di quanto già fossero. Le labbra umide passavano su quelle dell’americano con un trasporto ed un sentimento tali da riuscire a raggiungere persino la scarsa sensibilità del più giovane.
Quando Alfred si rese conto che Arthur stava cercando di dimostrargli che ancora provava affetto nei suoi confronti - addirittura provava qualcosa, a giudicare dall’intensità del bacio, che l’americano osò definire “amore” - iniziò per riflesso a rispondere alle sue labbra insistenti.
Lo afferrò per le spalle e si inginocchiò davanti a lui, addossandosi contro il suo petto.
Non aveva personalmente idea del perché si stesse impegnando tanto: semplicemente, si sentiva in dovere di dargli un po’ di soddisfazione.
La presa del Kirkland si fece più lenta sulla camicia del più giovane finché la mano cadde.
Inghilterra perse i sensi e rimase come un corpo morto tra le braccia di America. Quest’ultimo separò le proprie labbra dalle sue continuando a sorreggerlo.
Alfred lo guardò in faccia: alla luce dei primi raggi del sole alle sue spalle il viso dell’inglese appariva ancor più stanco e tirato, l’espressione più innocente.
Si vedeva chiaramente che aveva passato la notte in bianco; poi, alla stanchezza della nottataccia si era aggiunto l’effetto dell’alcol, che l’aveva messo KO definitivamente.
Davanti all’americano si aprivano due strade: poteva andarsene e lasciarlo lì, oppure sistemarlo in un posto comodo dove potesse riposare un po’. Alla luce dei recenti sviluppi della loro relazione, non gli sembrava molto corretto abbandonarlo sul pavimento; così lo raccolse come una bambolina e lo portò nella sua camera, dove lo mise a letto completamente vestito: non aveva intenzione di spogliarlo. Avrebbe dovuto mettere le mani in posti dove non voleva.
Dalla finestra si scorgeva il sole che si ergeva sopra le montagne.
Era la prima alba della sua indipendenza. La prima alba in cui Inghilterra e America non erano più fratelli ma... altro.
Rating: Verde
Genere: Romantico, Sentimentale
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (Inghilterra)
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Prompt: Momenti / Alba per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @
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Timeline: Subito dopo la Rivoluzione Americana
Note: Shonen-ai
Erano ore che aveva rinunciato a cercare di prendere sonno: era inutile e serviva solo ad innervosirlo.
Inghilterra, seduto al tavolo della sua sala da pranzo, contemplava con sguardo confuso e sostanzialmente assente il ghiaccio all’interno del bicchiere, immerso nel gin.
Aveva svuotato una intera bottiglia di gin, che adesso giaceva abbandonata sul piano innanzi a sé, accanto a quella che stava svuotando in quel momento.
Le guance rosse simili a fuochi, gli occhi socchiusi e brillanti e l’atteggiamento alquanto poco cosciente di sé davano bene ad intendere quanto il gin avesse avuto effetto su di lui.
Inghilterra, completamente ed irrimediabilmente ubriaco, tracannò tutto d’un fiato la bevanda, sbattendo il bicchiere sul tavolo con veemenza, accasciandocisi poi sopra, esausto.
«Maledetto America...! Hic! America ma perché...? Hic! Maledizione! Dopo tutto quello che ho fat... hic!... to per lui, quel... quel vigliacco!».
Non era riuscito a chiudere occhio tutta la notte.
Poteva fingere quanto voleva d’essere forte e di aver assorbito il colpo senza riportare conseguenze, ma la verità era che lo sentiva eccome il cambiamento.
Non riusciva a credere che l’indipendenza di America potesse segnarlo al punto di distruggerlo.
Erano ore che aveva rinunciato a cercare di prendere sonno: era inutile e serviva solo ad innervosirlo.
Inghilterra, seduto al tavolo della sua sala da pranzo, contemplava con sguardo confuso e sostanzialmente assente il ghiaccio all’interno del bicchiere, immerso nel gin.
Aveva svuotato una intera bottiglia di gin, che adesso giaceva abbandonata sul piano innanzi a sé, accanto a quella che stava svuotando in quel momento.
Le guance rosse simili a fuochi, gli occhi socchiusi e brillanti e l’atteggiamento alquanto poco cosciente di sé davano bene ad intendere quanto il gin avesse avuto effetto su di lui.
Inghilterra, completamente ed irrimediabilmente ubriaco, tracannò tutto d’un fiato la bevanda, sbattendo il bicchiere sul tavolo con veemenza, accasciandocisi poi sopra, esausto.
«Maledetto America...! Hic! America ma perché...? Hic! Maledizione! Dopo tutto quello che ho fat... hic!... to per lui, quel... quel vigliacco!» esclamò biascicando.
Aveva cresciuto America come fosse stato il suo fratellino e adesso lui si era ribellato. Se ne era andato.
Arthur riempì di nuovo il bicchiere e bevve mentre ricordava i momenti di quiete familiare che aveva vissuto con Alfred.
Rievocò alla memoria i ricordi dell’America bambino che aveva cresciuto con amore, le vicissitudini domestiche. Sprazzi di vita vissuta gli comparvero come ombre opache innanzi agli occhi, sfuocate dalla sbornia.
Lacrime di nostalgia gli comparvero spontaneamente ai lati degli occhi smeraldini mentre si ricordava dell’americano in uniforme da battaglia.
Non riusciva più a vederlo come il suo fratellino, ma come un qualcuno di estraneo ma indispensabile.
I primi raggi di sole dell’alba gli ferirono gli occhi entrando dalla finestra davanti a lui. Alla fine, aveva passato tutta la notte alzato.
Tracannò l’ennesimo bicchiere di gin spostando lo sguardo sul tavolo: America era un chiodo fisso nel suo cervello annebbiato dall’alcol. Doveva riuscire a trovare il modo di riprenderlo con sé. Era troppo importante per lui.
«Tornerai, sicuro come l’Inferno... hic!» sbottò, sorridendo sprezzante a nessuno in particolare, versandosi dell’altro gin.
Cominciavano a tremargli le mani e la sua presa era più debole del normale.
Afferrò il bicchiere e, nell’atto di portarselo alla bocca, gli sfuggì dalle dita. Il contenitore si infranse sulla superficie del tavolo, andando in mille pezzi. I cubetti di ghiaccio e la bevanda si sparsero sul tavolo, mischiandosi con i pezzi di vetro.
Inghilterra si lasciò sfuggire un’imprecazione biascicata a mezza voce mentre si alzava e, malfermo sulle gambe, andava a cercare un pezzo di carta per pulire.
In quel momento suonò il campanello di casa. Il suono, benché lontano, riecheggiò amplificato centinaia di volte nella testa del britannico, stordendolo.
Cambiò direzione di avanzamento, dirigendosi verso la porta d’ingresso costeggiando una delle pareti del corridoio per evitare di cadere.
Il campanello suonò una seconda volta e più a lungo, provocando una fitta di dolore alle tempie ad Arthur.
«Smettetela di suonare... cazz... hic!» sbottò irritato, aggrappandosi ad uno dei mobili.
Raggiunta la porta di casa, si aggrappò alla maniglia della porta e l’aprì di getto con veemenza.
«Inghilterra! Devi firmare il trattato!».
Kirkland venne letteralmente accecato dalla luce del sole che spuntava dietro la figura di America, in piedi davanti all’uscio, in controluce.
Aveva completamente cambiato abbigliamento. Di anche solo lontanamente britannico non c’era più niente: indossava una camicia bianca con i primi due bottoni aperti, un paio di pantaloni grigio scuro ed un paio di bretelle nere.
Un abbigliamento del genere era completamente privo d’eleganza per i parametri dell’inglese.
Alfred - che si era aspettato una sfuriata senza pari per l’ora inadeguata ed il ritorno improvviso neanche ventiquattr’ore dopo essersi conquistato l’indipendenza - si sorprese enormemente di quel che si trovò davanti: Arthur aveva i capelli in condizione pietose e i vestiti spiegazzati. L’espressione con cui lo fissava era descrivibile solo con un termine: ebete. Gli occhi smeraldini erano cerchiati da occhiaie scure che facevano paura e le guance erano tanto rosse da sembrare fiamme.
Con la mano ancora stretta sulla maniglia, sembrava sul punto di cadere da un momento all’altro se solo avesse cercato di mollare la presa.
A completare il quadro, un tanfo d’alcol tale da soffocare.
America sapeva che l’ex madrepatria era un bevitore abbastanza accanito, ma per ridursi in quello stato pietoso doveva averci dato dentro parecchio.
«Inghilterra?».
Quest’ultimo lo fissò a vuoto per qualche istante, confuso; poi parve riprendersi.
«Non riesci a farcela da solo? Ti ho protetto da Francia e ti sei ribellato...! Hic! Adesso... torni...?» fece, assumendo una parvenza di cipiglio irritato.
«... torni...?» ripeté, sbattendo le palpebre.
Alfred lo vide iniziare a piangere mentre gli dava le spalle e barcollava all’interno.
Non ce la faceva a sopportare di vederlo ricomparire alla sua porta sapendo che non era più suo e che sarebbe scomparso di nuovo di lì a poco. Il fatto che fosse ubriaco e quasi completamente privo di freni razionali faceva sì che il percepire emozioni come la tristezza, la rabbia e la nostalgia fosse accentuato di molto.
Quand’era ubriaco, Arthur diventava estremamente sensibile e sentimentale.
L’americano varcò esitante l’uscio della casa che aveva considerato come sua fino a non molto tempo prima, muovendo qualche passo verso Inghilterra.
«Inghilterra, devi venire con me! Devi firmare il trat...».
Alfred s’interruppe nel vedere l’oramai ex madrepatria inciampare in una zampa di un mobiletto e rovinare pesantemente a terra.
L’americano scoppiò a ridere nel vederlo cadere come un sacco di patate al suolo, ma poi si zittì di colpo nel sentirlo iniziare a singhiozzare forte.
«America sei un... un idiota! Bastardo...» borbottò.
L’ex colonia gli si avvicinò, fermandosi dietro di lui.
Inaspettatamente, Kirkland si mise in ginocchio e si volse verso Jones, aggrappandosi alla sua cintura.
«Inghilterra?!» esclamò sbalordito il più giovane, sobbalzando.
L’altro gli appoggiò il capo contro il ventre, piangendogli sulla camicia.
«Idiota...» singhiozzò «Sei un idiota... perché te ne sei andato...?».
Iniziò a tirarlo verso il basso con strattoni sempre più forti ai quali America si opponeva con vigore per non cadergli addosso.
Arthur cominciò a piangere a dirotto.
«Idiota! Rimani qui!!» esclamò quasi gridando.
Afferrò il minore nel mezzo della camicia e lo tirò giù. Alfred si piegò e, con immensa sorpresa, sentì la bocca dell’ex madrepatria unirsi con impeto alla sua. Arrossì per il gesto tutt’altro che prevedibile: non aveva mai immaginato che Inghilterra avesse certe tendenze sessuali!
Il britannico pareva languire e consumarsi per quel bacio. Le guance erano ancora più rosse di quanto già fossero. Le labbra umide passavano su quelle dell’americano con un trasporto ed un sentimento tali da riuscire a raggiungere persino la scarsa sensibilità del più giovane.
Quando Alfred si rese conto che Arthur stava cercando di dimostrargli che ancora provava affetto nei suoi confronti - addirittura provava qualcosa, a giudicare dall’intensità del bacio, che l’americano osò definire “amore” - iniziò per riflesso a rispondere alle sue labbra insistenti.
Lo afferrò per le spalle e si inginocchiò davanti a lui, addossandosi contro il suo petto.
Non aveva personalmente idea del perché si stesse impegnando tanto: semplicemente, si sentiva in dovere di dargli un po’ di soddisfazione.
La presa del Kirkland si fece più lenta sulla camicia del più giovane finché la mano cadde.
Inghilterra perse i sensi e rimase come un corpo morto tra le braccia di America. Quest’ultimo separò le proprie labbra dalle sue continuando a sorreggerlo.
Alfred lo guardò in faccia: alla luce dei primi raggi del sole alle sue spalle il viso dell’inglese appariva ancor più stanco e tirato, l’espressione più innocente.
Si vedeva chiaramente che aveva passato la notte in bianco; poi, alla stanchezza della nottataccia si era aggiunto l’effetto dell’alcol, che l’aveva messo KO definitivamente.
Davanti all’americano si aprivano due strade: poteva andarsene e lasciarlo lì, oppure sistemarlo in un posto comodo dove potesse riposare un po’. Alla luce dei recenti sviluppi della loro relazione, non gli sembrava molto corretto abbandonarlo sul pavimento; così lo raccolse come una bambolina e lo portò nella sua camera, dove lo mise a letto completamente vestito: non aveva intenzione di spogliarlo. Avrebbe dovuto mettere le mani in posti dove non voleva.
Dalla finestra si scorgeva il sole che si ergeva sopra le montagne.
Era la prima alba della sua indipendenza. La prima alba in cui Inghilterra e America non erano più fratelli ma... altro.