fiamma_drakon: (p0rn...?)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2012-03-26 09:07 pm

Le cene congiunte non sempre sono una buona idea

Titolo: Le cene congiunte non sempre sono una buona idea
Rating: Giallo
Genere: Comico, Romantico, Slice of life
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Feliciano Veneziano Vargas (Nord Italia), Lovino Romano Vargas (Sud Italia), Ludwig (Germania)
Wordcount: 3036 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Note: Linguaggio, Shonen-ai
«Italia... ma sei sicuro?»
Germania non si fidava del tutto, nonostante le molteplici rassicurazioni dell'italiano. La sua esperienza personale gli aveva insegnato a diffidare il giusto di quanto gli diceva, specie quando si trattava di inviti all'improvviso.
«Il fratellone mi ha invitato a cena stasera qui a casa sua» spiegò con tono ovvio, come se ciò giustificasse il perché avevano fatto irruzione in casa di Romano senza nemmeno metterlo a parte della cosa.
Il tedesco mandò un sospiro di rassegnazione, esordendo con un paziente: «L'invito era rivolto solo a te. Dubito che tuo fratello sia felice di ved...».
«Ah, stasera il fratellone prepara la pizza! La sua è sempre così buona...!» lo interruppe Veneziano, sospirando un esaltato "ve".


«Italia... ma sei sicuro?»
Germania non si fidava del tutto, nonostante le molteplici rassicurazioni dell'italiano. La sua esperienza personale gli aveva insegnato a diffidare il giusto di quanto gli diceva, specie quando si trattava di inviti all'improvviso.
Feliciano lo stava praticamente trascinando lungo il corridoio, le dita ancorate saldamente attorno al suo polso, quasi avesse paura che scappasse nonostante il biondo ricambiasse la sua stretta stringendo le dita attorno al suo polso magrolino - anche se più debolmente, onde evitare che scoppiasse a piangere per il dolore. Veneziano si girò verso di lui con la sua solita, fanciullesca espressione sorridente ed un po' ebete che solo qualche mese addietro aveva fatto capitolare Ludwig innanzi all'inequivocabile certezza d'essere innamorato del suo sciocco alleato.
Il castano annuì con un vigoroso cenno della testa.
«Il fratellone mi ha invitato a cena stasera qui a casa sua» spiegò con tono ovvio, come se ciò giustificasse il perché avevano fatto irruzione in casa di Romano senza nemmeno metterlo a parte della cosa.
Germania si era chiesto perché il più giovane Vargas tenesse con sé una copia delle chiavi della casa del maggiore, ma non aveva osato porgli verbalmente il quesito: non era certo di voler sapere il motivo e comunque immaginava che, qualsiasi esso fosse, non sarebbe stato molto intelligente né sensato, dato il soggetto in questione. Però, a lui Feliciano piaceva esattamente così com'era.
Il tedesco mandò un sospiro di rassegnazione, esordendo con un paziente: «L'invito era rivolto solo a te. Dubito che tuo fratello sia felice di ved...».
«Ah, stasera il fratellone prepara la pizza! La sua è sempre così buona...!» lo interruppe Veneziano, sospirando un esaltato "ve".
Ludwig se l'era aspettato. Dopotutto, quando mai Italia aveva prestato attenzione ai suoi reclami...?
Solo quando dimostrava d'aver polso e prendeva in mano la situazione. Infatti...
«Ascoltami, Italia! Tuo fratello ha invitato te da solo! Non mi vuole tra i piedi, chiaro?!» esclamò a voce alta, marcando sul suo miglior tono autoritario perché lo percepisse chiaramente. Per rendere ancora più incisiva la sua protesta, oppose una vera e propria resistenza fisica alla guida dell'italiano.
Quest'ultimo sobbalzò per l'improvvisa contrapposizione di forza e si volse a guardare Germania storcendo le labbra in una tenera espressione colma di tristezza.
«Ma io voglio mangiare con te stasera...!» obiettò in tono capriccioso e deluso «E poi tu la pizza del fratellone non l'hai mai assaggiata!» aggiunse, gonfiando le guance in un moto d'evidente indignazione, fissando il biondo dritto negli occhi azzurri con tale intensità che quest'ultimo arrossì, profondamente a disagio.
«Però tuo fratello non mi ha molto in sim...» cominciò il biondo, ma la frase si perse in un sonoro scalpiccio proveniente da una delle stanze davanti a loro. Al rumore fece seguito l'apparizione di una testa castana ed un viso parecchio familiari ad entrambi.
«Ohi, cos'è tutto questo casin...?!» iniziò a lamentarsi Romano, ma si bloccò nel vedere chi c'era al fianco di Veneziano.
A quel punto uscì dalla stanza e si avvicinò ai due calcando ferocemente i passi sul pavimento.
Per come lo conosceva, Germania poteva asserire con assoluta tranquillità che era arrabbiato - anzi, furioso.
Lovino quella sera indossava una camicia rosa ed un paio di pantaloni neri ed in vita portava un grembiule bianco macchiato di farina e pomodoro.
Il meridionale si fermò davanti alla coppia, in mezzo al corridoio, piantando i pugni chiusi sui propri fianchi e gli occhi carichi d'ira sul povero Ludwig.
«Cosa ci fai qui anche te, bastardo mangiapatate?!» l'aggredì.
Veneziano si frappose, cercando di difendere l'uno e calmare l'altro: «Dai, fratellone non fare così...».
«E te?! Perché te lo porti sempre dietro, ovunque vai?!» lo rimproverò Lovino, facendolo sobbalzare e arretrare per lo spavento.
«Ehi, Romanooo...!».
Spagna si materializzò sullo stipite da cui poco prima il maggiore dei due Vargas era apparso.
«Devi finire di preparare l'impas... ah!».
S'interruppe nel notare la piccola "folla" nel corridoio, alla quale si affrettò ad unirsi.
«Ita-chan! Sei già arrivato!» salutò cordialmente con uno dei suoi soliti, caldi sorrisi, carezzando con fare premuroso la testa di Veneziano.
«E sei pure in compagnia» aggiunse, sorridendo a Germania.
«Sei venuto anche te, Spagna?».
Feliciano sembrava veramente felice di vederlo, tanto che Ludwig percepì una spina infinitesimale di gelosia pungerlo al cuore.
Antonio cinse le spalle di Lovino con un braccio, stringendolo calorosamente a sé.
«Certo! Io ceno sempre con Romano!» spiegò. A quelle parole, la radice di gelosia che era comparsa nell'animo del tedesco svanì totalmente e improvvisamente, così come era arrivata.
Romano arrossì imbarazzato e si scostò d'un passo.
Germania dovette constatare che era la stessa cosa che facevano anche lui e Veneziano. Dall'intimità palese nel contatto che aveva Fernandez con l'italiano del meridione, il biondo immaginava che tra i due ci fosse qualcosa di più profondo di una banale conoscenza di lunga data - che poteva anche essere chiamata più comunemente amicizia. A Germania, in effetti, non riusciva particolarmente difficile immaginare una situazione del genere, dato che era un legame affettivo di natura identica a quello tra lui e l'italiano del settentrione.
«È meglio se torniamo in cucina adesso, altrimenti le pizze si rovineranno!» interloquì Carriedo, prendendo per mano Lovino e tirandolo via.
«Voi due perché non andate in soggiorno ad aspettare che sia pronto?» propose lo spagnolo, strattonando via il più grande dei due Vargas prima che riuscisse a ribattere, in qualsiasi senso.
Appena furono in cucina, Lovino si svincolò dalla presa di Antonio e fissò quest'ultimo con sguardo truce: «Perché li lasci insieme, idiota?! Non voglio quel bastardo mangiapatate in giro per casa!!».
«Non prendertela, Romano. Ita-chan ci sarebbe rimasto male se l'avessi mandato via»
«Non me ne importa! Deve smettere di stargli ap... ihih... chigi...».
Non riuscì a finire di lamentarsi: Spagna gli aveva preso il ricciolo ribelle e glielo stava toccando con una certa insistenza e dolcezza insieme.
Romano arrossì e tremò da capo a piedi, cominciando a mugolare, evidentemente soddisfatto e allietato dal tocco, benché volesse inveire contro Antonio.
Quest'ultimo gli si avvicinò, sorridendogli. Era così bello osservarlo mentre subiva, impotente, il piacere che gli veniva dal tocco di quel suo ricciolo.
Senza essere fermato, lo spagnolo gli circondò il bacino con una mano e premette il suo corpo contro il proprio. Sentì che l'italiano si stava eccitando e, dato che non era quello il momento per certi intrattenimenti, Fernandez lasciò perdere il capello e baciò il Vargas con forza e passione.
Quest'ultimo ebbe bisogno di qualche momento per riprendersi e tornare a comportarsi come di consueto. Una volta di nuovo completamente padrone di se stesso e delle proprie azioni posò le mani sul petto di Spagna e lo spinse via.
«C-c-c-che cazzo fai, bastardo?!» balbettò con voce acuta e stridula, agitato ed indignato, rosso in viso per la rabbia e la frustrazione dell'essere stato sopraffatto.
Antonio si limitò a guardarlo, sorridendo: anche se Romano era solito insultarlo, Fernandez sapeva che in realtà lo amava.
Il Vargas gli volse le spalle e si avvicinò nuovamente ai banconi della cucina cosparsi di farina, vassoi contenenti impasto fresco e ciotole colme di sugo di pomodoro.
Fernandez lo guardò tornare a lavorare senza cercare di fermarlo né di terminare il bacio, anzi lo imitò, rimettendosi anche lui al lavoro.
«Spagna, sei un idiota...!» borbottò il meridionale, lavorando l'impasto senza alzare gli occhi.

Nel frattempo, Ludwig e Feliciano si erano sistemati in soggiorno, come era stato loro suggerito.
Il tedesco non riusciva a concepire il perché del fatto che, un momento dopo essersi seduto sulla poltrona, l'italiano si fosse accomodato sulle sue gambe, accoccolandosi contro il suo torace ampio. Non che la cosa lo infastidisse particolarmente, solo che trovava strano che stesse accadendo in un luogo che non era casa sua o di Feliciano.
«Italia... non puoi sederti sul divano...?» chiese.
«Perché...?» domandò il Vargas perplesso e sconsolato, alzando lo sguardo verso il biondo.
Quest'ultimo si sentì un verme nel cercare nuovamente di scacciarlo; per questo semplicemente lo cinse e lo tenne stretto a sé.
Veneziano parve gradire, perché cominciò a sospirare placido con quel suo adorabile tic verbale, quel suo caratteristico "ve".
Ludwig ogni tanto alzava una mano e la infilava tra i capelli di Italia, accarezzandolo con maniere che si sforzava di far essere delicate ed affettuose, anche se sapeva perfettamente d'essere un poco "brutale" per questo tipo di cose.
L'italiano si lasciava coccolare piacevolmente, strofinando la testa contro la sua spalla e l'incavo del suo collo. Anche se spesso Germania era duro con lui e si arrabbiava per cose che lui trovava assolutamente normali, il Vargas stava più che volentieri assieme a lui.
L'ultima volta che si era trovato in grembo al tedesco era stata per atti non propriamente pudici. Ricordava ancora bene la percezione fisica di cosa ci fosse sotto di sé, duro e dritto, sensazione che quella volta, invece, mancava completamente.
All'improvviso avvertì le dita del suo compagno scendere e soffermarsi sul suo riccioletto, impegnandosi nell'accarezzarlo ed arricciarlo attorno all'indice.
Veneziano cominciò a sospirare e le sue guance s'infiammarono di colpo mentre iniziava ad agitarsi. Era come quando Germania lo toccava nelle sue parti intime, solo che era un qualcosa di molto più facile da raggiungere.
Ludwig lo vide aprire leggermente la bocca ed ansimare mentre si stringeva nelle spalle spingendosi contro il suo corpo. Sembrava supplicasse perché l'altro continuasse ed il tedesco lo esaudì, in quanto continuò a giocherellare con il suo ciuffo con assoluta disinvoltura, come se eccitare sessualmente qualcuno toccandogli un capello fosse una cosa totalmente nella norma.
In quel preciso momento, Romano varcò la soglia del soggiorno, spinto dalle insistenze di Spagna, il quale l'aveva pregato con insistenza di andare lui stesso a chiamare gli ospiti per la cena. Antonio l'aveva fatto in buona fede, credendo di riuscire con ciò a farlo comportare da bravo bambino e fargli iniziare perlomeno a sopportare la presenza di Germania nella sua stessa casa; tuttavia, non aveva considerato alcune... variabili tutt’altro che prevedibili - come, ad esempio, che il fratello minore potesse farsi deliberatamente e volontariamente toccare dal tedesco per ingannare l'attesa.
Quando si trovò davanti ai due e vide il ciuffo ribelle del suo fratellino arricciato attorno al dito del biondo - per non parlare dell'espressione di puro godimento di quest'ultimo - Lovino semplicemente esplose.
«Che cosa stai facendo, bastardo pervertito?!» gridò, correndo imbestialito verso la coppia, che sobbalzò per lo spavento di quell’interruzione tutt’altro che prevedibile.
Germania lasciò cadere le mani all'istante e Italia si alzò in piedi, farfugliando imbarazzato: «Fr-fratellone...! N-noi...».
Era palese che si trovasse in difficoltà.
Romano l'aggredì letteralmente, stringendogli le mani attorno alla gola. Feliciano lanciò un acuto gridolino di terrore e afferrò gli avambracci del più grande in un vano tentativo di bloccarlo.
«Fratel... fratelloneee! N-non res... piro...!» boccheggiò il più piccolo, frignando.
«Perché ti fai toccare da quel bastardo mangiapatate?!» lo accusò furioso l'altro.
Vedendo Veneziano in difficoltà, Germania non esitò ad alzarsi per soccorrerlo. Nello stesso momento, Spagna - attirato dalla confusione - entrò nella stanza.
«Romano!» esclamò allarmato nell'accorgersi di cosa stava accadendo, accorrendo verso i due fratelli.
Da una parte Antonio afferrò Lovino e cominciò a strattonarlo, dall'altra Ludwig cercò di riprendersi Feliciano; tuttavia, la stretta del meridionale sul collo del settentrionale era dannatamente stoica.
Allora Fernandez decise di passare alle "maniere forti": con indice e pollice prese nuovamente il ricciolo che fiero si ergeva sulla capigliatura di Lovino ed iniziò a tirarlo piano, arricciandolo e palpandolo.
L'effetto fu immediato: Romano sospirò un lungo "chigi" e lasciò crollare inerti le braccia lungo i fianchi, stringendosi piacevolmente nelle spalle, avvampando rapidamente.
Germania prese il minore e lo tirò via prima che l'altro tentasse nuovamente di compiere un fratricidio.
«Coraggio, Romano andiamo...!» disse il Carriedo, portandosi via il ragazzo «Venite, è pronto in tavola» soggiunse poi, rivolto ai due ospiti.
Germania e Italia li seguirono a distanza, ambedue un po' intimoriti dalla possibilità che Lovino potesse nuovamente attentare alla vita del fratellino.
In un clima di generale tensione, il gruppetto si spostò nella sala da pranzo, dove il tavolo era già apparecchiato di tutto punto per quattro persone.
Dato il suo solito comportamento, Ludwig non avrebbe mai immaginato che Romano fosse in grado di preparare una tavola a quel modo. Al massimo se l'era immaginato intento a mangiare in maniera piuttosto rozza seduto ad un tavolo senza né tovaglia né stoviglie. Invece, sul piano del tavolo era adagiata una tovaglia bianca ricamata con un intricato motivo floreale, sulla quale erano sistemate stoviglie in porcellana bianca con fiori arancioni, calici di vetro, posate d'argento brillanti e - posti nello spazio centrale - due candelabri a tre bracci portanti candele dello stesso colore dei petali dei fiori disegnati sui piatti.
Qualcosa - probabilmente la reazione di completo stupore e meraviglia di Feliciano - suggerì a Ludwig che d'apparecchiare e sistemare nel modo più bello e presentabile possibile la sala da pranzo si era occupato interamente Spagna.
Quest’ultimo si andò a posizionare dietro una sedia e si volse all'indirizzo del Vargas più grande, il quale si stava avviando in silenzio verso la cucina.
«Romano, ci pensi tu a portare i piatti in tavola o devo aiutarti?» chiese in tono estremamente gentile.
«Faccio io, non ho bisogno del tuo aiuto» fu la brusca replica dell'italiano, prima che sparisse oltre lo stipite della porta per la cucina.
Fernandez sospirò e scrollò le spalle, sedendosi.
Ludwig si accomodò dirimpetto a lui, lasciando a Feliciano "l'onore" di sedere davanti al fratello.
Lovino fece ritorno dalla cucina dopo pochi minuti.
Antonio non poté non notare quanto fosse carino: l'insieme del suo abbigliamento e dell'espressione leggermente infastidita che recava in viso lo faceva sembrare più fanciullo e gli riportava alla memoria l’espressione imbronciata che aveva sempre in viso quand’era bambino.
Il meridionale entrò nella stanza portando due grossi e spessi piatti in ceramica sui quali erano adagiate due grosse pizze ancora fumanti, evidentemente appena uscite dal forno. Con il grembiule che indossava, in quel momento somigliava in tutto e per tutto ad un cameriere.
Posò i piatti al centro della tavola e si affrettò a prendere posto accanto a Spagna.
Il primo ad avventarsi letteralmente sulla pizza fu Feliciano, che divise in svariati spicchi quella a lui più vicina. Ne prese uno e vi diede un morso con voracità sorprendente, come se fosse a digiuno da giorni.
Fernandez e Romano si servirono a loro volta, ma Ludwig rimase perfettamente immobile per qualche momento: si sentiva in un certo senso fuori luogo. Era stato invitato da Veneziano, era vero, però non era affatto ben voluto dal padrone di casa - in aggiunta al fatto che, in quel preciso momento, tutti lo stavano perfettamente ignorando, presi totalmente dalla cena.
Oltre a ciò c’era anche il fatto che lui era l’unico tra i quattro ad avere una dieta quotidiana nettamente differente da quella cui gli altri tre erano abituati, pertanto anche il semplice fatto di non essere abituato a mangiare la pizza era per lui fonte di un certo imbarazzo.
Con movimenti leggermente meccanici il tedesco si portò nel piatto una fetta di pizza e cominciò a tagliarla in piccoli pezzi con il coltello, accostandoli alla bocca con la forchetta.
Non aveva mai assaggiato la pizza prima di allora. L'unico cibo tipicamente italiano che aveva mangiato fino ad allora era, per ovvie ragioni, la pasta.
Il sapore della pizza comprendeva una intensa base di pomodoro - chissà perché tutto ciò non lo sorprendeva più di tanto, considerato chi l’aveva cucinata - ed un più spiccato sapore di formaggio - mozzarella, se non andava errato.
Doveva ammettere che era un cibo delizioso.
Dopo alcuni minuti, Germania iniziò a provare l'opprimente sensazione di essere osservato, cosa che lo mise decisamente a disagio.
Mentre alzava lo sguardo si sentì aggredire il viso da un calore improvviso.
Effettivamente, alzando leggermente gli occhi, notò che quelli dei suoi commensali - tutti, Romano incluso - erano rivolti verso di lui. Il tedesco cercò d'ignorare la cosa, ma lentamente finì con lo smettere completamente di mangiare.
Feliciano lo guardò per qualche istante senza far niente, poi gli sottrasse la forchetta dalla mano e la posò accanto al piatto.
«Germania, la pizza si mangia con le mani» gli fece presente, prendendogli la fetta di pizza dal piatto ed avvicinandogliela alla bocca.
Ludwig arrossì palesemente, da un lato perché trovava che l'italiano fosse particolarmente carino in quel frangente, dall'altro perché era ben consapevole di stare facendo la figura dell'imbranato.
Dacché aveva memoria, quella era la prima volta che era il Vargas ad insegnargli come fare qualcosa e non il contrario.
Spagna, nel vedere il tedesco aprire stentatamente le labbra e farsi imboccare, trovò che la scena nel suo complesso fosse teneramente romantica. Non reputava possibile che Germania potesse scendere a compromessi del genere con il suo orgoglio, soprattutto in presenza di terze persone.
Se per Antonio la scena era dolce, per Romano era qualcosa di disgustoso anche solo da concepire - figurarsi da vedere.
Il suo rifiuto ed odio verso Germania, in quel momento, aveva raggiunto livelli impressionanti. Se non ci fosse stato il tavolo a separarli, probabilmente l'avrebbe picchiato.
Fernandez parve accorgersene, perché si accostò all'italiano, pronto ad intervenire se si fosse avventato contro Ludwig.
Quest'ultimo parve non accorgersi minimamente dei rinnovati intenti omicidi di Romano ai suoi danni: tutta la sua attenzione era rivolta a Veneziano e alla sua espressione quasi beata mentre lo imboccava.
La cena proseguì in un'atmosfera piuttosto tesa, almeno da parte del povero Spagna, il quale rimase all'erta fino a che Romano non si alzò da tavola.
Fu il Carriedo a sparecchiare, ma costrinse il maggiore dei due Vargas a seguirlo in cucina onde evitare ulteriori litigi in sua assenza.
«Io devo andare» sentenziò Germania, facendosi scortare da Veneziano verso la porta d'ingresso. Voleva togliere il disturbo il prima possibile.
Feliciano storse la bocca in una smorfia dispiaciuta.
«Te ne vai già?» chiese.
«Sì, non posso attardarmi troppo» spiegò, cercando di assumere un'espressione abbastanza contrita. In realtà non vedeva l'ora di allontanarsi quanto più possibile da Lovino, anche se gli dispiaceva immensamente separarsi da Veneziano.
Vedendo quest'ultimo così abbattuto, si chinò su di lui e, arrossendo, gli posò un timido bacio sulle labbra.
«È stata una bella serata» constatò. Avrebbe voluto aggiungere un sentito “solo, la prossima volta perché non ceniamo a casa tua?”, ma preferì tenere tale constatazione per sé.
«A domani» salutò cordialmente, uscendo.
«D'accordo... ciao» rispose in modo non troppo entusiastico Feliciano, osservando la porta che si chiudeva alle sue spalle come se l’azione in sé costituisse un vero e proprio addio.
«A domani, Germania» bofonchiò, prima di voltarsi e tornare verso la cucina: suo fratello di certo non avrebbe voluto che rimanesse senza far niente mentre lui doveva occuparsi di riordinare e pulire.
Avrebbe preferito di gran lunga che il tedesco rimanesse fino a che non fosse tornato a casa anche lui: magari sarebbero riusciti anche a scambiarsi qualche altra coccola prima di rincasare.
«Veneziano, dove sei?! Perché non stai facendo niente?!» gli giunse il richiamo del più grande dalla sala da pranzo.
«Sto arrivando, fratellone!».