fiamma_drakon: (America)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2013-04-01 10:26 am

Vizi di famiglia

Titolo: Vizi di famiglia
Rating: Verde
Genere: Fluff, Generale, Slice of life
Personaggi: Feliciano Veneziano Vargas (Nord Italia), Ludwig (Germania), Stefano Vargas
Wordcount: 1095 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Prompt: Kidfic, Fluff e AU per la uovachallenge e Cioccolato di [livejournal.com profile] xel1980 per la Notte Bianca #9 @ [livejournal.com profile] maridichallenge
Note: Kidfic, Scrittori!AU, Shonen-ai
«Italia!» chiamò a voce alta, afferrando il Vargas per le spalle e scuotendolo in modo abbastanza veemente.
Feliciano si destò di colpo e cominciò a piagnucolare spaventato.
«Non farmi male, per favore! Farò qualsiasi cosa, non picchiarmi!» frignò dimenandosi, al che il tedesco semplicemente rispose: «Italia, sono io!».
Il castano aprì gli occhi e lo fissò con le iridi castane. La sua espressione da spaventata tornò improvvisamente tranquilla.
«Germania!» esclamò, mettendosi seduto ed abbracciandolo.
Un po' il gesto mise in imbarazzo quest'ultimo, ma fu una sensazione che durò soltanto pochi attimi.
«Dov'è Stefano? Non lo trovo da nessuna parte...».


Da quando Germania e Italia avevano avuto un bambino, difficilmente si assentavano a lungo da casa, per di più assieme - anche se quando accadeva lasciavano il pargoletto alle cure di Lovino, che manifestava un certo affetto nei confronti del nipotino.
Ludwig aveva accolto come una benedizione il parto di Feliciano, poiché durante la gravidanza aveva avuto così tanti sbalzi d'umore da fargli desiderare di lasciarlo da solo ad affrontare la cosa per rispetto ai suoi poveri nervi. Per fortuna quel supplizio era terminato con il parto, che aveva visto Veneziano oggetto di una operazione di cesario perché il piccolo potesse uscire dal suo ventre.
Al bambino avevano messo nome Stefano, Stefano Vargas, ed era quasi del tutto la copia della sua "mamma": capelli castani ed occhi ambrati. Le uniche cose che sembrava aver preso da lui erano la carnagione pallida e la corporatura discretamente robusta.
Era passato poco più di un anno da quando era avvenuta la nascita e ancora Germania e Italia avevano bisogno di adattarsi alla vita da genitori.

«Italia?».
Germania si fermò dietro al divano dove l'italiano era intento a sonnecchiare placidamente, le mani intrecciate sulla pancia lasciata scoperta dalla camicia sbottonata - grazie al cielo per una qualche svista aveva dimenticato di toglierla prima del pisolino - e le labbra aperte in una piccola "o" dalla quale uscivano labili respiri regolari.
Ludwig si bloccò un momento, arrossendo nel vedere la serenità sul suo viso. Avrebbe voluto lasciarlo dormire, magari anche sedersi vicino a lui per osservarlo, come spesso faceva quando andavano a dormire a letto; invece, quella volta avrebbe dovuto svegliarlo.
«Italia!» chiamò a voce alta, afferrando il Vargas per le spalle e scuotendolo in modo abbastanza veemente.
Feliciano si destò di colpo e cominciò a piagnucolare spaventato.
«Non farmi male, per favore! Farò qualsiasi cosa, non picchiarmi!» frignò dimenandosi, al che il tedesco semplicemente rispose: «Italia, sono io!».
Il castano aprì gli occhi e lo fissò con le iridi castane. La sua espressione da spaventata tornò improvvisamente tranquilla.
«Germania!» esclamò, mettendosi seduto ed abbracciandolo.
Un po' il gesto mise in imbarazzo quest'ultimo, ma fu una sensazione che durò soltanto pochi attimi.
«Dov'è Stefano? Non lo trovo da nessuna parte...» chiese il tedesco all'improvviso. In realtà era quello ciò per cui aveva interrotto il suo pisolino: era preoccupato per il figlioletto, dato che non lo trovava da nessuna parte.
Era piccolo ed aveva timore che facesse qualcosa di pericoloso, per questo aveva l'ossessione di sapere sempre dove si trovava e cosa stesse facendo.
Nell'ultima ora era stato impegnato a scrivere. Essendo uno scrittore che aveva abbastanza seguito, doveva dedicarsi ai suoi romanzi, specialmente se servivano a guadagnare il denaro per mantenere tutta la famiglia.
Peccato che per lavorare avesse bisogno del più totale ed assoluto silenzio. Era una pecca che gli riusciva odiosa, soprattutto in quel periodo, nel quale avrebbe voluto tenere sotto strettissima sorveglianza Stefano, che era diventato abbastanza grandicello da decidere autonomamente cosa fare e dove andare. Per quanto riguardava tale frangente, Germania avrebbe voluto che il pargolo rimanesse incapace di camminare.
Italia assunse una tenera aria pensosa che mantenne per alcuni momenti, prima di rispondere: «Prima di addormentarmi l'ho visto andare in cucina...».
«IN CUCINA?!».
La reazione di Germania fu fin troppo veemente per gli standard di Feliciano, che squittì spaventato ritraendosi dal tedesco.
«C-c-cosa ho fatto?!» piagnucolò.
«L'hai lasciato andare in cucina da solo?!» sbottò Ludwig, alzandosi in piedi subito «È pericoloso per lui!».
«Come...?» fece Veneziano a mezza voce, perplesso: per lui la cucina era - quasi - il luogo più bello di tutta la casa ed il più innocuo. Non riusciva a capire come potesse essere considerato da Germania un luogo pericoloso.
Per lui cucinare era una delle attività che impegnavano più piacevolmente il suo tempo libero, pertanto la stanza dove cucinava non poteva avere niente di nocivo o pericoloso. Diverso - e più obiettivo - era il punto di vista del tedesco.
Quest'ultimo non fece neppure in tempo a replicare che dalla cucina arrivò un rumore di metallo che cozzava contro altro metallo ed il grido di Stefano.
Subito entrambi i genitori corsero verso la cucina, aprendo di scatto la porta. Qui si bloccarono: «Cosa diavolo...?».
Il commento di Germania fu spezzato dalla vista di Stefano sdraiato supino sul pavimento mentre si metteva seduto con le lacrime agli occhi, massaggiandosi la testa.
Feliciano gli fu subito accanto: gli si inginocchiò accanto e lo abbracciò forte, accarezzandogli il punto leso e borbottandogli parole che Ludwig non riusciva a sentire ma che dovevano evidentemente avere lo scopo di calmarlo.
Il biondo, invece, si avvicinò alla costruzione che era comparsa davanti al bancone dove si trovava il lavabo e che era con tutta probabilità costruita da Stefano. Il bambino aveva accatastato in modo molto precario diverse sedie con lo scopo di arrivare alla credenza pensile - che aveva aperto prima di cadere, a giudicare dall'anta rimasta aperta - che si trovava troppo in alto per la sua bassa statura. Con ogni probabilità la sedia che si trovava più in alto - e che adesso era stesa sul pavimento - era stata la causa della caduta del bambino.
All'interno della credenza - e Ludwig grazie alla sua notevole statura poté vederlo bene - c'erano i barattoli di cacao amaro e le tavolette di cioccolato.
Suo figlio era tale e quale all'altro suo padre: quando si trattava di cibo avrebbe fatto qualsiasi stupidaggine pur di averlo. Ludwig ricordava bene le innumerevoli volte che aveva beccato Feliciano mentre cercava di prendere del gelato di nascosto e poteva confermare con una certa inquietudine che Stefano stava seguendo le orme del padre. Doveva essere un vizio di famiglia. A suo favore, tuttavia, Germania poteva dire che mai Italia aveva cercato di conseguire il proprio obiettivo aiutato da un qualcosa come quello che Stefano aveva invece costruito. Sarebbe diventato un ragazzo molto intelligente, ne era sicuro.
Il tedesco gli rivolse uno sguardo: vederlo stretto tra le braccia dell'italiano lo inteneriva a tal punto che non se la sentì di sgridarlo. Era educativamente sbagliato, ma non riusciva a farlo, perché gli ricordava troppo il suo compagno.
Così, semplicemente, si allungò a prendere una tavoletta di cioccolato e ne staccò un pezzetto.
«Tieni» disse, chinandosi vicino a Veneziano e Stefano.
Quest'ultimo osservò prima il pezzetto di cioccolato e poi, presolo con la manina, abbracciò il tedesco senza prestare molta attenzione all'eventualità di sporcargli i vestiti.
«Grazie, papà» esclamò con quel suo curioso modo di parlare misto tra italiano ed accento tedesco.
Germania sorrise, così come Italia.
«Solo, non fare più una cosa del genere, intesi? È pericoloso» lo riprese, accennando alle sedie in precario equilibrio poco distanti.
Stefano lo fissò dritto negli occhi con le sue grandi iridi ambrate ancora umide ed annuì con il capo; quindi addentò finalmente il suo cioccolato.