Febbre - e chi ha bisogno delle medicine?
Oct. 18th, 2010 04:13 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Febbre - e chi ha bisogno delle medicine?
Rating: Verde
Genere: Comico, Generale
Personaggi: Elliot Nightray, Reo
- Bene... signorino, ora deve prendere la sua medicina - esclamò lei in tono rigido.
A quell’affermazione, le guance di Eliot divamparono ancor di più.
- Io non ho bisogno di nessuna medicina...! - obiettò, mettendo su un broncio che era una bellezza a vedersi e al quale Reo dovette impegnarsi a fondo per non ridere.
Sentiva scottare le guance e una stanchezza diffusa in tutto il corpo, che gli rendeva davvero difficoltoso muoversi.
La testa gli faceva tremendamente male e riusciva a reggersi in piedi solo per puro e semplice miracolo, o forse una fortuita e fortunata coincidenza.
Si aggrappava alla parete del corridoio, cercando di rimanere fermo sulle gambe, nonostante queste tremassero convulsamente, un po’ per lo sforzo a cui le stava sottoponendo e che non erano in grado di reggere in quella circostanza, un po’ per il freddo che gli accapponava la pelle.
La vista confusa e stanca si affievoliva e tornava a frequenza irregolare.
Se l’avessero visto fuori del letto in quelle condizioni, era certo che lo avrebbero incatenato al materasso pur di non farlo più scappare, ma era disposto a rischiare: non aveva assolutamente intenzione di mancare alla sua lezione di musica di quel pomeriggio per colpa di quella dannatissima febbre.
Non gl’importava quanto debole fosse: lui avrebbe comunque impugnato il suo violino e avrebbe partecipato alla sua lezione, come tutte le volte.
Si trascinò lungo il corridoio di qualche altro passo, ansimando: perché aveva l’impressione che anche l’aria che respirava fosse incandescente?
Sbatté le palpebre per rischiarare la vista, lievemente offuscata da una lacrimazione spontanea degli occhi affaticati.
Giunse infine, e con sua somma gioia, dinanzi alla porta della stanza adibita alla sua musica.
Gli bastava attraversare il piccolo incrocio privo di sostegni per arrivare finalmente alla sua meta.
Si staccò dalla parete e fece qualche piccolo passo, prima di cadere in avanti sul pavimento, esanime, bollente di febbre.
Alzò debolmente il capo verso la porta e fece per trascinarsi verso di essa, ma non ce la faceva.
- Oddio! Signorino Eliot! Signorino Eliot! -.
Una cameriera di passaggio vide il corpo del bambino steso a terra e corse in suo aiuto, chinandosi e raccogliendolo, prendendolo in grembo.
Gli pose una mano sulla fronte, allarmata.
- Scotta... - mormorò, quindi corse via con Eliot in grembo, sull’orlo di svenire.
Gli occhi, corrugati in un’espressione debolmente seria, assunsero uno sguardo mite e innocuo.
Osservava il soffitto e lo vedeva lontano, più di quanto fosse in realtà.
Quella corsa, quei movimenti ripetuti e regolari, erano come una culla, e con essa si lasciò lentamente avviluppare dalla stanchezza della malattia.
Quando si risvegliò, la prima cosa che avvertì fu una pezza bagnata poggiatagli sulla fronte, che gli forniva un piacevole refrigerio.
Inoltre, non sentiva più freddo, il che era un bene.
Si decise ad infrangere il dolce buio che regnava nelle sue palpebre, aprendole, incrociando il tessuto viola del baldacchino.
- Ti sei svegliato... -.
Una voce familiare gli fece distogliere lo sguardo e spostarlo sul bordo destro del letto, vicino al quale era seduta la persona a lui più familiare in tutta la casa.
- Reo...? - chiamò con un fil di voce, perplesso.
Questo continuò a fissarlo, quindi si allungò su di lui e gli sfiorò una guancia.
- La temperatura sembra essere calata, fortunatamente... -.
L’altro rimase in silenzio, imbarazzato da tanta premura.
Reo distese allora le labbra in un accenno di sorriso.
- Hai fatto preoccupare le cameriere... - puntualizzò.
Eliot distolse gli occhi, a disagio.
- Non è affar loro se vado in giro: questa è casa mia - ribatté, cercando di non mostrarsi imbarazzato, cosa in cui peraltro fallì.
- Però è loro compito curarti quando sei ammalato... - lo riprese Reo in tono pacato.
- Non posso saltare la lezione di musica - controbatté ancora il piccolo Nightray.
- Se era solo per questo... ormai sono le sette e mezza di sera... -
- Cosa?! -.
Eliot scattò seduto, allibito: quanto diamine aveva dormito?!
La pezza gli cadde in grembo.
In quell’istante fece irruzione nella stanza la sua governante, lo sguardo che mandava scintille di autentica, pura ira.
- Signorino Eliot!! Quante volte le ho detto che non deve alzarsi dal suo letto?! Ma lei come al solito non ascolta!! - lo rimproverò severamente.
Eliot sostenne il suo sguardo senza mai cedere, finché non fu lei a distoglierlo, per puntarlo su Reo.
- E tu, perché non l’hai fermato?! -.
- Mi spiace, non ero con lui quando è uscito: ero andato a prendergli un bicchier d’acqua... - cercò di giustificarsi Reo, ma inutilmente.
- Non voglio sentire nessuna scusa!! -.
Fece per schiaffeggiare il servitore, ma Eliot si protese sul letto gridando: - NO!! Non è stata colpa sua! -.
La governante lo fissò e lui la scrutò a sua volta, negli occhi una chiarissima scintilla di fermezza, anche se lievemente affievolita dalla febbre.
Nonostante ciò, fu lui ad averla vinta e la donna si affrettò a ricomporsi.
- Bene... signorino, ora deve prendere la sua medicina - esclamò lei in tono rigido.
A quell’affermazione, le guance di Eliot divamparono ancor di più.
- Io non ho bisogno di nessuna medicina...! - obiettò, mettendo su un broncio che era una bellezza a vedersi e al quale Reo dovette impegnarsi a fondo per non ridere.
Tuttavia, la governante non si lasciò turbare: si avvicinò al letto del bambino e prese dal comodino a lato un flaconcino contenente un liquido bianco.
Eliot si scostò istantaneamente.
- Non ne ho bisogno! - ribadì, più deciso.
- Non voglio sentire storie! Lei, signorino, sta male e, volente o nolente, dovrà prendere le sue medicine. Vuole guarire presto, sì o no? - lo riprese la governante in tono severo.
A quel rimprovero neppure Eliot seppe trovare una sola obiezione: essere malato gli faceva schifo.
Non poteva andare da nessuna parte senza essere oggetto di perenni attenzioni da parte di tutti.
No, decisamente non gli piaceva, però neppure prendere le sue medicine era un’opzione che lo allettava molto: non aveva mai avuto molta simpatia per quelle robe.
La maggior parte avevano un sapore orribile e chissà di che sapeva quella... no, non voleva saperlo.
- Avanti... la prenda senza fare storie: è per il suo bene - gli disse la governante, porgendogli un cucchiaio pieno di quella sostanza bianca.
Eliot si ritrasse spontaneamente, fino a che, spazientito da quella forzatura, colpì il cucchiaio, scaraventandolo lontano, rovesciando il suo contenuto sulla coperta.
- Ah! Basta! Non ce la faccio più! - esclamò la donna, esasperata.
Sotto gli sguardi allibiti dei due bambini, girò sui tacchi e se ne andò sbattendo l’uscio.
A quel punto, Eliot si ridistese.
- Non avresti dovuto reagire a quel modo... - mormorò Reo dopo pochi minuti di silenzio, pacato.
- Lo sai che non mi piacciono le medicine... -
- Ma servono a farti guarire più in fretta... -.
Il piccolo Nightray tacque: odiava trovarsi in difficoltà.
- Be’... non gliel’ha chiesto nessuno aiutarmi a guarire... -.
Reo, nascosto alla vista del suo padroncino dalle coperte, si aprì in un mite sorriso: Eliot era in difficoltà, era palese.
Quando non sapeva che ribattere andava sempre a pescare frasi che ci combinavano relativamente poco con il punto focale della questione.
- Però... volevi comunque andare a lezione di musica, quindi penso che tu sia ansioso di guarire quanto prima... o sbaglio? -.
- Smettila di stare dalla parte di lei! Sei sempre contro di me! - sbottò l’altro, mettendo di nuovo il broncio, ma stavolta senza che Reo potesse vederlo.
- Oh, scusami se non sono un servitore all’altezza del compito. Se ti disturbo tanto, posso anche andarmene -.
Così dicendo, il servo si alzò e fece per avviarsi alla porta.
- Aaaah! No, non volevo dire questo!! - si affrettò ad aggiungere Eliot, allarmato, schizzando di nuovo seduto, facendo così cadere di nuovo la pezza, che si era sistemato di nuovo in fronte prima di stendersi.
Quando Reo si volse di nuovo verso di lui, quest’ultimo notò che aveva in mano un cucchiaio colmo di medicinale.
- Allora prendi la medicina - esclamò Reo, avvicinandosi al suo padroncino.
Eliot si ritrovò così con le spalle al muro.
- N-no! - affermò, tuttavia iniziava già a vacillare.
- Un servitore deve prendersi cura del suo padrone, no? -
- Sì, ma... -
- Allora, prendi -.
Mentre Eliot stava per ribattere di nuovo, Reo gli infilò il cucchiaio in bocca a tradimento.
Mancò poco che il bambino soffocasse per la dose di medicina infilatagli in bocca senza preavviso, ma infine buttò giù.
Reo gli sorrise.
- È stato così tremendo? - chiese.
Eliot distolse lo sguardo, a disagio.
- N-no... - ammise, e odiava ammettere di avere torto.
- Allora domani sera non farai così tante storie, spero - lo prese bonariamente in giro il servitore.
Eliot riportò gli occhi su Reo e con uno sforzo per lui immane pronunziò quell’unica parola che significava andare contro tutti quegli anni passati a fare il perenne bastian contrario e ubbidire solo a ciò che gli diceva il suo cervello: - No... -.
Il sorriso di Reo si allargò ancor di più.
- Ne sono felice... -.
Rating: Verde
Genere: Comico, Generale
Personaggi: Elliot Nightray, Reo
- Bene... signorino, ora deve prendere la sua medicina - esclamò lei in tono rigido.
A quell’affermazione, le guance di Eliot divamparono ancor di più.
- Io non ho bisogno di nessuna medicina...! - obiettò, mettendo su un broncio che era una bellezza a vedersi e al quale Reo dovette impegnarsi a fondo per non ridere.
Sentiva scottare le guance e una stanchezza diffusa in tutto il corpo, che gli rendeva davvero difficoltoso muoversi.
La testa gli faceva tremendamente male e riusciva a reggersi in piedi solo per puro e semplice miracolo, o forse una fortuita e fortunata coincidenza.
Si aggrappava alla parete del corridoio, cercando di rimanere fermo sulle gambe, nonostante queste tremassero convulsamente, un po’ per lo sforzo a cui le stava sottoponendo e che non erano in grado di reggere in quella circostanza, un po’ per il freddo che gli accapponava la pelle.
La vista confusa e stanca si affievoliva e tornava a frequenza irregolare.
Se l’avessero visto fuori del letto in quelle condizioni, era certo che lo avrebbero incatenato al materasso pur di non farlo più scappare, ma era disposto a rischiare: non aveva assolutamente intenzione di mancare alla sua lezione di musica di quel pomeriggio per colpa di quella dannatissima febbre.
Non gl’importava quanto debole fosse: lui avrebbe comunque impugnato il suo violino e avrebbe partecipato alla sua lezione, come tutte le volte.
Si trascinò lungo il corridoio di qualche altro passo, ansimando: perché aveva l’impressione che anche l’aria che respirava fosse incandescente?
Sbatté le palpebre per rischiarare la vista, lievemente offuscata da una lacrimazione spontanea degli occhi affaticati.
Giunse infine, e con sua somma gioia, dinanzi alla porta della stanza adibita alla sua musica.
Gli bastava attraversare il piccolo incrocio privo di sostegni per arrivare finalmente alla sua meta.
Si staccò dalla parete e fece qualche piccolo passo, prima di cadere in avanti sul pavimento, esanime, bollente di febbre.
Alzò debolmente il capo verso la porta e fece per trascinarsi verso di essa, ma non ce la faceva.
- Oddio! Signorino Eliot! Signorino Eliot! -.
Una cameriera di passaggio vide il corpo del bambino steso a terra e corse in suo aiuto, chinandosi e raccogliendolo, prendendolo in grembo.
Gli pose una mano sulla fronte, allarmata.
- Scotta... - mormorò, quindi corse via con Eliot in grembo, sull’orlo di svenire.
Gli occhi, corrugati in un’espressione debolmente seria, assunsero uno sguardo mite e innocuo.
Osservava il soffitto e lo vedeva lontano, più di quanto fosse in realtà.
Quella corsa, quei movimenti ripetuti e regolari, erano come una culla, e con essa si lasciò lentamente avviluppare dalla stanchezza della malattia.
Quando si risvegliò, la prima cosa che avvertì fu una pezza bagnata poggiatagli sulla fronte, che gli forniva un piacevole refrigerio.
Inoltre, non sentiva più freddo, il che era un bene.
Si decise ad infrangere il dolce buio che regnava nelle sue palpebre, aprendole, incrociando il tessuto viola del baldacchino.
- Ti sei svegliato... -.
Una voce familiare gli fece distogliere lo sguardo e spostarlo sul bordo destro del letto, vicino al quale era seduta la persona a lui più familiare in tutta la casa.
- Reo...? - chiamò con un fil di voce, perplesso.
Questo continuò a fissarlo, quindi si allungò su di lui e gli sfiorò una guancia.
- La temperatura sembra essere calata, fortunatamente... -.
L’altro rimase in silenzio, imbarazzato da tanta premura.
Reo distese allora le labbra in un accenno di sorriso.
- Hai fatto preoccupare le cameriere... - puntualizzò.
Eliot distolse gli occhi, a disagio.
- Non è affar loro se vado in giro: questa è casa mia - ribatté, cercando di non mostrarsi imbarazzato, cosa in cui peraltro fallì.
- Però è loro compito curarti quando sei ammalato... - lo riprese Reo in tono pacato.
- Non posso saltare la lezione di musica - controbatté ancora il piccolo Nightray.
- Se era solo per questo... ormai sono le sette e mezza di sera... -
- Cosa?! -.
Eliot scattò seduto, allibito: quanto diamine aveva dormito?!
La pezza gli cadde in grembo.
In quell’istante fece irruzione nella stanza la sua governante, lo sguardo che mandava scintille di autentica, pura ira.
- Signorino Eliot!! Quante volte le ho detto che non deve alzarsi dal suo letto?! Ma lei come al solito non ascolta!! - lo rimproverò severamente.
Eliot sostenne il suo sguardo senza mai cedere, finché non fu lei a distoglierlo, per puntarlo su Reo.
- E tu, perché non l’hai fermato?! -.
- Mi spiace, non ero con lui quando è uscito: ero andato a prendergli un bicchier d’acqua... - cercò di giustificarsi Reo, ma inutilmente.
- Non voglio sentire nessuna scusa!! -.
Fece per schiaffeggiare il servitore, ma Eliot si protese sul letto gridando: - NO!! Non è stata colpa sua! -.
La governante lo fissò e lui la scrutò a sua volta, negli occhi una chiarissima scintilla di fermezza, anche se lievemente affievolita dalla febbre.
Nonostante ciò, fu lui ad averla vinta e la donna si affrettò a ricomporsi.
- Bene... signorino, ora deve prendere la sua medicina - esclamò lei in tono rigido.
A quell’affermazione, le guance di Eliot divamparono ancor di più.
- Io non ho bisogno di nessuna medicina...! - obiettò, mettendo su un broncio che era una bellezza a vedersi e al quale Reo dovette impegnarsi a fondo per non ridere.
Tuttavia, la governante non si lasciò turbare: si avvicinò al letto del bambino e prese dal comodino a lato un flaconcino contenente un liquido bianco.
Eliot si scostò istantaneamente.
- Non ne ho bisogno! - ribadì, più deciso.
- Non voglio sentire storie! Lei, signorino, sta male e, volente o nolente, dovrà prendere le sue medicine. Vuole guarire presto, sì o no? - lo riprese la governante in tono severo.
A quel rimprovero neppure Eliot seppe trovare una sola obiezione: essere malato gli faceva schifo.
Non poteva andare da nessuna parte senza essere oggetto di perenni attenzioni da parte di tutti.
No, decisamente non gli piaceva, però neppure prendere le sue medicine era un’opzione che lo allettava molto: non aveva mai avuto molta simpatia per quelle robe.
La maggior parte avevano un sapore orribile e chissà di che sapeva quella... no, non voleva saperlo.
- Avanti... la prenda senza fare storie: è per il suo bene - gli disse la governante, porgendogli un cucchiaio pieno di quella sostanza bianca.
Eliot si ritrasse spontaneamente, fino a che, spazientito da quella forzatura, colpì il cucchiaio, scaraventandolo lontano, rovesciando il suo contenuto sulla coperta.
- Ah! Basta! Non ce la faccio più! - esclamò la donna, esasperata.
Sotto gli sguardi allibiti dei due bambini, girò sui tacchi e se ne andò sbattendo l’uscio.
A quel punto, Eliot si ridistese.
- Non avresti dovuto reagire a quel modo... - mormorò Reo dopo pochi minuti di silenzio, pacato.
- Lo sai che non mi piacciono le medicine... -
- Ma servono a farti guarire più in fretta... -.
Il piccolo Nightray tacque: odiava trovarsi in difficoltà.
- Be’... non gliel’ha chiesto nessuno aiutarmi a guarire... -.
Reo, nascosto alla vista del suo padroncino dalle coperte, si aprì in un mite sorriso: Eliot era in difficoltà, era palese.
Quando non sapeva che ribattere andava sempre a pescare frasi che ci combinavano relativamente poco con il punto focale della questione.
- Però... volevi comunque andare a lezione di musica, quindi penso che tu sia ansioso di guarire quanto prima... o sbaglio? -.
- Smettila di stare dalla parte di lei! Sei sempre contro di me! - sbottò l’altro, mettendo di nuovo il broncio, ma stavolta senza che Reo potesse vederlo.
- Oh, scusami se non sono un servitore all’altezza del compito. Se ti disturbo tanto, posso anche andarmene -.
Così dicendo, il servo si alzò e fece per avviarsi alla porta.
- Aaaah! No, non volevo dire questo!! - si affrettò ad aggiungere Eliot, allarmato, schizzando di nuovo seduto, facendo così cadere di nuovo la pezza, che si era sistemato di nuovo in fronte prima di stendersi.
Quando Reo si volse di nuovo verso di lui, quest’ultimo notò che aveva in mano un cucchiaio colmo di medicinale.
- Allora prendi la medicina - esclamò Reo, avvicinandosi al suo padroncino.
Eliot si ritrovò così con le spalle al muro.
- N-no! - affermò, tuttavia iniziava già a vacillare.
- Un servitore deve prendersi cura del suo padrone, no? -
- Sì, ma... -
- Allora, prendi -.
Mentre Eliot stava per ribattere di nuovo, Reo gli infilò il cucchiaio in bocca a tradimento.
Mancò poco che il bambino soffocasse per la dose di medicina infilatagli in bocca senza preavviso, ma infine buttò giù.
Reo gli sorrise.
- È stato così tremendo? - chiese.
Eliot distolse lo sguardo, a disagio.
- N-no... - ammise, e odiava ammettere di avere torto.
- Allora domani sera non farai così tante storie, spero - lo prese bonariamente in giro il servitore.
Eliot riportò gli occhi su Reo e con uno sforzo per lui immane pronunziò quell’unica parola che significava andare contro tutti quegli anni passati a fare il perenne bastian contrario e ubbidire solo a ciò che gli diceva il suo cervello: - No... -.
Il sorriso di Reo si allargò ancor di più.
- Ne sono felice... -.