fiamma_drakon: (Grell_Sutcliffe)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2011-03-30 10:30 pm

Just a secret

Titolo: Just a secret
Rating: Verde
Genere: Sentimentale
Personaggi: Male!Haruhi Fujioka, Tamaki Suou
Wordcount: 1920 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Prompt: Switchgender - 7° settimana del COW-T @ [livejournal.com profile] maridichallenge
Note: Gender Bender, Shonen-ai one-sided
Benché l'ultimo acquisto dell'Host Club, Haruhi Fujioka, fosse un ragazzo, i tratti del suo viso erano decisamente femminei - per non parlare dei suoi enormi ed innocenti occhi castani.
In lui era impossibile non riuscire a vedere almeno vagamente un qualcosa di femminile, e forse era proprio per questa sua peculiarità che Tamaki non riusciva a non provare un sincero sentimento d'attrazione nei suoi confronti.



Benché l'ultimo acquisto dell'Host Club, Haruhi Fujioka, fosse un ragazzo, i tratti del suo viso erano decisamente femminei - per non parlare dei suoi enormi ed innocenti occhi castani.
In lui era impossibile non riuscire a vedere almeno vagamente un qualcosa di femminile, e forse era proprio per questa sua peculiarità che Tamaki non riusciva a non provare un sincero sentimento d'attrazione nei suoi confronti.
Sapeva perfettamente che non era affatto una cosa naturale l’essere infatuato di un altro maschio, però non poteva farci niente: in fondo, sentiva di provare qualcosa di indicibilmente forte nei suoi confronti.
 
«Ehi, Looord! Noi andiamo!».
I gemelli, Kyouya, Mitsukuni e Takashi erano sull'uscio del club, ormai pronti a tornare alle loro case.
«Okay!» replicò il Re, sorridendo loro con fare ingenuo e sincero.
«A domani, Tamaki!» salutò allegramente Mitsukuni, sorridendogli con quel suo solito fare da bambino, stringendosi al petto il suo coniglio di pezza.
«A domani!» salutò in replica.
Alle sue spalle sentì dei lenti passi avvicinarsi e, per riflesso, si voltò indietro, trovandosi a guardare Haruhi, il quale avanzava verso la porta con un'espressione vagamente compiaciuta sul viso.
Il maggiore arrossì un po’ all’incrociare quei grandi occhi castani e colmi d’innocenza e purezza, così limpidi da sembrare specchi.
«Vado anche io: è tardi e devo passare dal supermercato prima che chiuda...» disse, avvicinandosi al biondo e superandolo senza dargli particolari attenzioni, diretto all'uscita.
"Siete soli. Soli senza nessuno. Diglielo, coraggio!".
La voce di quella che il biondo si sarebbe azzardato - anche se con non troppa sicurezza - a definire come la sua coscienza gli rimbombava nella testa senza dargli tregua, come se volesse spingerlo a compiere quel decisivo passo più per farla zittire che per sua propria scelta.
"Coraggio Tamaki! È la tua occasione, adesso non c'è nessuno scocciatore nei paraggi. Fallo, presto! O sei ancora troppo bambino per fare una dichiarazione in piena regola?!" continuò imperitura la sua voce interiore.
Convinto dalle sue parole, il ragazzo fece un passo avanti, l'espressione seria e solo lievemente velata di un infantile imbarazzo.
«Haru...!»
SBAM!
Tamaki rimase a fissare con un certo sconcerto la porta che Haruhi si era chiuso alle spalle con una certa forza, forse non intenzionalmente, senza degnarlo della minima attenzione.
Il giovane Suoh tornò in sé qualche minuto più tardi. A quel punto, sospirò sconsolato e si avviò anche lui verso l'uscio, che varcò con un certo disappunto, chiudendosi alle spalle la porta.
Se solo si fosse sbrigato un po' di più, sarebbe senz'altro riuscito a parlare dei suoi sentimenti ad Haruhi.
Si diede dello stupido, iniziando ad autocommiserarsi per la sua assoluta incapacità di cogliere al volo l'occasione che gli si era presentata praticamente servita su un piatto d'argento.
«E adesso...?» si domandò, mentre attraversava gli ormai quasi deserti corridoi della scuola «Chissà tra quanto tempo troverò di nuovo l'opportunità... e soprattutto SE si presenterà di nuovo...».
Tamaki procedeva a passi lenti, esaminando assorto i vari corridoi che attraversava, pensando ad Haruhi.
Infine, quando raggiunse l'ingresso dell'edificio, era praticamente inebriato dalle immagini del suo piccolo amore e da una profonda necessità di rivederlo.
Attraversò il lungo selciato che conduceva al cancello, davanti al quale era ferma la sua macchina.
«Signorino è in ritardo» gli fece notare subito il suo autista, immobile sul marciapiede al fianco della vettura, non appena il ragazzo gli si fu avvicinato.
«Lo so... mi spiace» asserì quest'ultimo in tono poco convinto, salendo in auto.
Mentre il conducente partiva, Tamaki si addossò afflitto contro lo schienale del sedile, reclinando all'indietro il capo, socchiudendo stancamente gli occhi per poi spostarli su ciò che c'era fuori del finestrino.
«... devo passare dal supermercato prima che chiuda...».
Tamaki si "ridestò" all'improvviso, spalancando di scatto gli occhi e drizzandosi nuovamente: forse non era tutto perduto. Lui sapeva dove Haruhi andava a far la spesa, per cui avrebbe potuto fare un altro tentativo.
Non aveva niente da perdere, in fin dei conti.
Sì, poteva riuscire: più ci ragionava più si convinceva.
«Ehi» esclamò, sporgendosi in avanti, verso l'autista.
Gli riferì la sua nuova meta, raccomandandosi anche di fare il più in fretta possibile.
L'autista semplicemente acconsentì e deviò dalla strada che portava verso la dimora della famiglia Suoh - non che avesse molta scelta, dato che lui doveva sottostare agli ordini che gli venivano impartiti dai membri della famiglia, se voleva vedere arrivare il suo stipendio.
Tamaki iniziò ad aprirsi la giacca dell'uniforme e toglierla, darsi un aspetto un po' più "da plebeo": non voleva certo dare più di tanto nell'occhio.
 
«Siamo arrivati, signorino» fu l’impassibile annuncio che giunse dai sedili anteriori.
Un quarto d'ora più tardi, l'auto si fermò davanti al supermercato che Tamaki aveva indicato.
Il biondo scese dalla vettura con un naturale movimento elegante, quasi melodrammatico.
Adesso, dal suo aspetto, qualsiasi persona avrebbe potuto scambiarlo per un ragazzo "povero" - se nessuno si fosse fermato ad osservare la qualità dei suoi vestiti, tutt'altro che scadente.
La camicia era leggermente aperta sul petto e fuori dei pantaloni, un po' stropicciata in fondo e i capelli erano scarmigliati con una maestria particolare. Sembrava che avesse impiegato tutta o quasi la sua attenzione e cura per apparire il meno ricco possibile senza la possibilità materiale di cambiarsi i vestiti.
Rimase lì fermo un momento, osservando l'edificio innanzi a sé, poi si avviò verso la porta, mentre la macchina si allontanava alle sue spalle.
Attraversò a passo rapido il parcheggio ed entrò.
Il primo pensiero che formulò fu come riuscire a trovare Haruhi tra tutta quella gente: era così piccolo da passare facilmente inosservato in mezzo a tante persone.
Ricordò il suo visino e i suoi occhioni ed ebbe di nuovo l’impellente necessità di trovarlo e di stargli vicino, molto vicino.
Iniziò a girare tra le varie corsie, guardandosi di continuo intorno, cercando con lo sguardo il suo obiettivo, al tempo stesso esaminando i dintorni. Quando entrava in un posto del genere era sempre curioso di vedere tutto.
Mentre camminava, girando continuamente lo sguardo attorno, improvvisamente sbatté contro qualcuno. Indietreggiò di qualche passo per reazione e mormorò: «Mi dis...».
«Tamaki...?».
Il biondo s'interruppe al notare che davanti a sé c'era proprio la persona di cui era andata in cerca.
«Oh, Haruhi...» disse lui semplicemente, inarcando le sopracciglia, sorpreso: voleva vederlo ad ogni costo, ma in fondo, inconsciamente, sperava quasi di non trovarlo, forse perché nel profondo non si sentiva ancora pronto a rivelargli i suoi sentimenti.
«Che cosa ci fai qui?» chiese il più giovane, stupito.
«Ah, be' ecco... io...» balbettò il biondo, arrossendo tutto.
Non riusciva a trovare una scusa decente. Dirglielo semplicemente, di getto, con tutte quelle persone intorno, non gli riusciva.
Alla fine optò per la prima - ed anche l'unica - giustificazione che gli balenò alla mente, per quanto banale fosse.
«Ecco... io... volevo venire a darti una mano con le compere...!».
Haruhi lo guardò con una certa diffidenza.
«Ma tu non sai fare la spesa...» gli fece notare in tono sospettoso.
Un silenzio imbarazzato dilagò tra di loro, ma resistette solo pochi attimi, il tempo che Tamaki impiegò a pensare la sua risposta.
«Infatti avevo intenzione di aiutarti a portare le buste» aggiunse, dandosi un certo contegno, come se quella mansione fosse di vitale importanza.
Haruhi inarcò ampiamente le sopracciglia, assumendo un'eloquente espressione colma di evidente stupore.
Tamaki mantenne per qualche istante il suo sguardo, guardando il più giovane dritto in quei suoi grandi e innocenti occhi castani. Si sentì ardere il viso, ma cercò di non badarvi.
Dopo alcuni minuti, il minore mandò un sospiro pieno di rassegnazione.
«E va bene, se proprio vuoi...» disse, e gli porse la busta che fino ad un momento prima teneva in mano.
Il biondo la prese con un certo sollievo, in parte anche evidente: avrebbe potuto stare in sua compagnia ancora per un po', così da poter anche tentare di rivelargli i suoi sentimenti.
Seguì Haruhi per tutto il supermercato, cercando di cogliere l'occasione adatta per cominciare una conversazione che potesse portarlo dove voleva arrivare, ma non riusciva a farcela, un po' perché si vergognava della sua infatuazione fuori della norma, un po' perché l’altro deviava di volta in volta dall'argomento della discussione, portandosi appresso anche il suo interlocutore.
Quando uscirono dal supermercato - sì e no quaranta minuti più tardi - Tamaki insistette per accompagnare il più giovane fino a casa.
Ormai aveva perso la speranza di riuscire a trovare il coraggio di rivelargli i suoi sentimenti; nonostante ciò, non aveva intenzione di andarsene: avvertiva come un bisogno psico-fisico di stargli vicino.
Accanto a lui si sentiva meglio.
La sera era scesa in modo ormai definitivo: anche gli ultimi labili sprazzi di sole erano spariti oltre l'orizzonte, così come il violaceo del primo crepuscolo aveva lasciato il posto all'inchiostro della notte vera e propria.
Tamaki e Haruhi camminavano fianco a fianco lungo una stradina oramai deserta illuminata ad intervalli regolari dalle abbaglianti luci dei lampioni.
Dalle braccia del biondo pendevano le quattro buste della spesa, che portava senza apparente sforzo; il castano, invece, trasportava una sola busta, più piccola, contenente della verdura.
Dall'espressione che portava dipinta in viso pareva essere stanco, al contrario del compagno, il quale gli lanciava frequenti occhiate, animate da un evidente nervosismo: doveva raccogliere il coraggio e dirglielo.
Anche se aveva ancora timore, era consapevole del fatto che erano completamente soli adesso. Nessun possibile spettatore in giro.
Quel particolare lo rese un poco più tranquillo: provare a dire una cosa del genere con del pubblico - di qualsiasi tipo fosse - lo metteva molto più in agitazione.
«Okay, adesso o mai più...!».
Inspirò profondamente e fece per parlare, quando Haruhi ruppe il silenzio, precedendolo: «Tamaki... adesso basta. So perché sei qui, per cui se devi dirmelo, fallo. Smettila di aspettare...».
«C-cosa...?» domandò il biondo, sorpreso, fermandosi.
Il più giovane si fermò a propria volta qualche passo più in là e si volse indietro a fissarlo.
«Lo so che ti piaccio» affermò con totale naturalezza, come se fosse la cosa più normale del mondo «E che sei venuto a cercarmi per dirmelo».
Tamaki si sentì crollare il mondo addosso per la semplicità con cui aveva asserito il tutto e per la sua totale mancanza di una qualsivoglia reazione, che poteva essere di disgusto nello stargli persino vicino o di sorpresa.
«Come l'hai scoperto?» chiese, in tono lamentoso e sgomento, curvando sconsolato le spalle, come se fosse schiacciato fisicamente dal peso del suo stesso sconforto.
«È stato semplice. Lasci capire tante cose dal tuo atteggiamento...» esclamò Haruhi in tono abbastanza ovvio.
«Davvero...?» chiese lui, depresso.
«Sì... davvero» confermò l'altro, sospirando.
Cadde uno strano silenzio che si perpetuò per dei minuti. Da un lato c'era Tamaki ed il suo triste sconcerto; dall'altro c'era Haruhi, pacato e sereno, forse un po' annoiato.
«Non hai niente da dire...?» domandò il biondo, curioso.
Haruhi fece spallucce.
«Dovrei...?»
«Awww, come sei cariiiino!» esclamò Tamaki, abbracciandolo.
«Attento alla spesa...» fece notare il castano, senza particolari inflessioni nella voce.
«Era meglio se stavo zitto...» mormorò poi, svincolandosi malamente dalla stretta del più grande.
«Allora... ti piaccio anche io?» domandò quest'ultimo, speranzoso: adesso che l'argomento era ormai aperto non aveva più motivo di essere così riservato.
«Ovviamente no» fu la secca risposta che ottenne, che lo lasciò palesemente deluso.
«Ma perché...?» insistette, osservando il suo interlocutore, che nel frattempo si stava allontanando.
«Ho detto che non ti amo... però non mi pare d’aver detto di avere problemi ad essere abbracciato da  chi mi ama... anche se deve saper cogliere il momento adatto» puntualizzò, voltando leggermente il viso nella sua direzione, per poi riprendere a camminare.
Non l’aveva detto perché effettivamente non gl’importasse d’essere stritolato e coccolato, ma perché non voleva essere troppo duro con lui: dopotutto, viveva in una realtà sua personale - e poi perché sapeva che se gliel’avesse vietato avrebbe assunto quell’espressione da cucciolo bastonato che lo faceva sentire uno schifosissimo verme.
Essere abbracciato perciò era il male minore.
«E-ehi, Haruhi aspettami!» lo richiamò Tamaki, correndogli appresso per cercare di riprenderlo.
Nel suo incedere era ben percepibile una nuova esaltazione, una profonda gioia.
Haruhi non lo amava, ma poco importava: aveva ancora tanto tempo per tentare di sedurlo.