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Titolo: Down the stairs
Rating: Verde
Genere: Slice of Life
Personaggi: Elathriel Sunstriker, Peone
Wordcount: 2610 (wordcounter)
Prompt: Cadere e farsi male per il team Ahm-Gi per la Missione 2 della Settimana 4 del COW-T #9 @ Lande Di Fandom
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Battle for Azeroth".
Note: Het, Hurt/Comfort
«Morso! Cattiva bestiolina! Tu no corre via!» lo rimproverò il Peone, correndo nella sua direzione in tutta fretta, evidentemente terrorizzato alla prospettiva che mettesse troppa distanza tra loro due.
Complici l'apprensione, la stanchezza e la fretta, l'Orco finì con l'inciampare nei suoi stessi piedi maldestri mentre raggiungeva la cima della gradinata, cadendo di fatto oltre di essa.


«Mi raccomando stai attento… e non solamente a Morso!».
Elathriel Sunstriker era in piedi sulla porta del piccolo monolocale in cui lei e suo marito abitavano da quando si erano trasferiti presso Dazar’alor insieme agli altri membri dell’Orda impegnati nella campagna di guerra in territorio Zandalari. Lei lavorava presso la locanda all’interno del Gran Sigillo e il suo adorato Peone invece lavorava al porto della grande capitale Troll insieme ad altri Orchi richiamati appositamente da Durotar.
Era sera ed entrambi erano stanchi dopo una lunga giornata di lavoro; eppure le cose da fare non erano ancora finite. Solo poche settimane prima l’Orco era tornato a casa portando un piccolo Raptor raccolto lungo la strada e apparentemente abbandonato. Lo aveva portato a casa e aveva chiesto di poterlo adottare. Elathriel non si era sentita in grado di negargli la richiesta, tanto più che pareva che i due avessero già instaurato una specie di legame; così erano diventati i “genitori” di un piccolo Raptor.
Aveva sempre avuto la sensazione che la loro relazione sarebbe stata decisamente inusuale e adesso ne aveva avuto ulteriore prova. La cosa però non la disturbava affatto, soprattutto considerando che tra loro non sarebbe mai potuto nascere un figlio a causa dell’incompatibilità tra le loro razze.
Il piccolo Morso aveva preso il posto del bambino che non avrebbero mai potuto avere naturalmente.
Il Peone si era affezionato al cucciolo di predatore come se fosse davvero un figlio suo e si era preso ogni responsabilità per quanto riguardava le piccole incombenze quotidiane, tra cui rientrava anche l'accompagnare il Raptor fuori casa ad espletare i suoi bisognini. Non erano riusciti a trovare niente che potesse funzionare anche da lettiera, in maniera da non doverlo accompagnare fuori. Piccolo com'era, Elathriel temeva sempre di perderlo di vista e date le condizioni pietose in cui il Peone l'aveva trovato - solo e affamato a girovagare per le immense strade di Dazar'alor - era diventata paranoica nell'accertarsi che fosse sempre dove poteva tenerlo d'occhio e che non gli mancasse mai il cibo.
«Io sta sempre attento!» esclamò il Peone mentre agitava un grosso braccio nerboruto per salutarla mentre si allontanava attraverso la modesta piazza su cui il loro "appartamento" si affacciava. Al suo fianco c'era il loro piccolo Morso, che sgambettava felice verso la libertà.
Era inutile negare che quei due insieme erano dannatamente teneri. Una volta che fosse cresciuto, quel Raptor avrebbe dato del filo da torcere all'Orco in quanto a mole di cibo che riusciva a ingurgitare. Sicuramente, Elathriel avrebbe avuto il suo bel da fare a trovare abbastanza carne per sfamare entrambi.
Con un sorriso dolce ad incurvarle le labbra morbide, l'Elfa del Sangue rientrò in casa chiudendo alle sue spalle il pesante drappo di stoffa che faceva le veci della porta. Aveva ancora le stoviglie sporche della cena da lavare dopotutto.
Il Peone passeggiava quieto, lanciando frequenti occhiate al suo cucciolo per non perderlo di vista. Morso era piuttosto attivo durante le uscite serali. Come faceva anche in casa, scorrazzava ovunque ed era di indole palesemente curiosa, tanto che in più di un'occasione la coppia - rientrando dopo le infinite ore di lavoro - l'aveva trovato nascosto nei posti più impensati, non ultima la dispensa, che avevano dovuto cominciare a chiudere bene per riuscire a tenerlo lontano dalle riserve di carne cruda.
«Tu fa cacca veloce, Morso. Ora cominciare freddo...» esclamò l'Orco in tono di blando rimprovero, cercando di riscaldarsi un poco le braccia nude strofinandole con le mani. Non era una grande idea uscire dopo il tramonto con indosso solamente un paio di braghe corte di tela e una canotta - che erano anche la sua divisa da lavoro. D'altro canto, non aveva altri vestiti oltre a quelli. L'unica vera alternativa - e un brivido gli corse lungo la schiena nel considerare l'opzione - erano gli abiti eleganti e dannatamente scomodi che sua moglie aveva comprato per lui e che continuava a portare ovunque andassero. Erano un'ombra che lo perseguitava ovunque.
Il Raptor saltellò davanti all'Orco emettendo un ruggito simile ad uno stridio, come al solito, poi corse rapido verso uno dei parapetti che delimitavano la terrazza e si acquattò sulle zampette posteriori. Sollevò la minuscola coda triangolare e defecò pacificamente in attesa che il suo padrone lo raggiungesse.
Quest'ultimo tirò fuori un piccolo sacchetto di plastica da una tasca posteriore dei pantaloni e ci mise dentro una mano, indossandolo a mo' di guanto.
«Tu brava bestiolina» disse il Peone con un sorriso, avvicinandosi e piegandosi a raccogliere le feci dell'animaletto con la mano "protetta", per poi estrarre la mano mentre chiudeva dalla parte opposta il sacchetto, girandolo al contrario. Era una cosa che gli aveva insegnato a fare Elathriel quando una delle Guardie Rastari aveva sorpreso Morso a lasciare la cacca in un piccolo appezzamento d'erba mentre era con lui e lo aveva minacciato di uccidere il piccolo se avesse osato insozzare di nuovo la loro città.
Per evitare ulteriori incidenti, la sua compagna gli aveva suggerito di togliere di mezzo gli escrementi.
Una volta terminato di evacuare, il Raptor saltellò via stridendo verso le più prossime scale, sulla cui cima svolazzava quieta una farfalla dalle ali azzurre.
«Morso? Tu no andare via solo!» esclamò l'Orco, affrettandosi a chiudere il sacchetto con un nodo per poter poi inseguire la creaturina «Noi fuori così tu fare cacca... tu finito, noi tornare da Elathriel ora».
Il cucciolo pareva tutt'altro che incline ad ascoltare l'ordine del Peone, preso come era ad inseguire la farfalla, che svolazzava poco fuori dalla sua portata. Il Raptor sembrava determinato a morderla, poiché continuava a saltellare e azzannare l'aria, spingendosi sempre di più verso il bordo delle scale che davano sulla terrazza sottostante della piramide.
«Morso! Cattiva bestiolina! Tu no corre via!» lo rimproverò il Peone, correndo nella sua direzione in tutta fretta, evidentemente terrorizzato alla prospettiva che mettesse troppa distanza tra loro due.
Complici l'apprensione, la stanchezza e la fretta, l'Orco finì con l'inciampare nei suoi stessi piedi maldestri mentre raggiungeva la cima della gradinata, cadendo di fatto oltre di essa.
Un attimo di puro e semplice panico precedette un dolore atroce e pulsante in ogni parte del suo grosso corpo mentre rotolava malamente giù per quella scala apparentemente infinita. L'Orco grugnì e serrò la mandibola, cercando di sopportare il dolore e pregando silenziosamente che terminasse in fretta. Purtroppo così non fu, e quando giunse alla fine, era talmente malconcio che il dolore pareva perpetrarsi ancora e ancora, come se stesse ancora cadendo.
Per fortuna era un Peone e quindi era avvezzo in un certo senso a sopportare ciò che Orchi normali non riuscivano, per cui non ne uscì con alcunché di rotto. Il dolore però era reale e talmente forte che rischiò di perdere i sensi.
Sull'orlo dell'incoscienza però, arrivò in suo soccorso nientemeno che Morso, il quale balzò sulla sua faccia e gli azzannò il grosso naso verde.
Il dolore acuto e localizzato fece breccia nella nebbia di sofferenza generale e l'Orco si portò le braccia al viso con uno scatto fin troppo brusco per le sue attuali condizioni. Lacrime cominciarono a pungergli ai lati degli occhi, schiarendogli la vista offuscata.
Lentamente si mise seduto, con la testa che sembrava sul punto di esplodergli come se fosse reduce dalla peggiore sbronza della sua vita e con le mani a coppa sulla faccia cercò di strappare via il Raptor dal suo naso.
«Morso... tu lasciare me... io vivo...» mormorò con un poco di affanno l'Orco. Era ancora provato dalla rovinosa caduta ma capiva anche che non poteva rimanere lì.
Spontaneamente il suo cucciolo lo lasciò libero, cadendo in piedi sulla sua coscia e andando a strusciare il musetto contro il suo fianco con fare affettuoso.
Il Peone accennò un sorriso e poggiò una grossa mano contro il minuscolo corpicino di Morso, accarezzandolo con delicatezza.
«Noi tornare casa... ora...» disse, quindi cercò di alzarsi.
Come era logico, il primo tentativo di mettersi in piedi da parte sua fu un completo fallimento. Ogni muscolo del suo corpo doleva come se non avesse fatto altro che lavorare per giorni senza nemmeno una pausa e per giunta quando aveva cercato di fare leva sul suo piede sinistro, la caviglia si era rifiutata di funzionare.
Goffamente l'Orco si mise carponi e strisciò fino alla base delle scale, seguito a breve distanza da Morso, che pareva di colpo enormemente preoccupato per lui e totalmente dimentico di qualsiasi altra cosa potesse costituire per lui fonte di distrazione o semplice svago.
Con uno sforzo non da poco, il Peone si aggrappò all'estremità del muretto che delimitava uno dei due lati della scala e la utilizzò come appoggio per cercare di mettersi in piedi.
Come poco prima, la caviglia ricominciò a dolere così forte da farlo quasi piangere; tuttavia, doveva tornare a casa con Morso. Stava cominciando a fare davvero freddo e non voleva che il piccolo si ammalasse per colpa del suo incidente.
Così cominciò la più lunga, penosa e dolorosa risalita della sua vita. Il suo corpo si ribellava allo sforzo continuamente; eppure il Peone era determinato a compiere l'impresa e non si arrese mai. Fu esasperante e atroce ma alla fine riuscì ad arrivare in cima, accompagnato dal suo piccolo Raptor, con il quale iniziò a zoppicare verso casa.
Attraversarono insieme la piazza e arrivati a pochi metri dall'ingresso, Morso si distaccò dal suo padrone ferito per correre verso la pesante tenda che fungeva da porta. Dalla sua gola cominciarono a fuoriuscire striduli versi allarmati mentre arrivava a destinazione; dopodiché il Peone lo vide infilarsi strisciando sul pancino sotto la tenda.
Non aveva la forza per richiamarlo ancora. L'importante era che fosse tornato sano e salvo a casa, per cui lui continuò a zoppicare lentamente verso l'ambita meta.
«Morso? Cosa c'è? E... perché sei da solo? Dov'è il mio...».
La voce di Elathriel giunse appena ovattata al di là della tenda giusto un attimo prima che questa venisse scostata di lato e l'Elfa del Sangue si trovasse a guardare il suo Orco che sanguinava dal naso e dal labbro inferiore spaccato, nonché evidentemente claudicante.
La sua espressione curiosa si tramutò in uno sguardo di terrore puro mentre il suo naturale e florido colorito rosato sulle guance sbiadiva di colpo.
«… peoncino?!» gemette con voce acuta e strozzata, lanciandosi fuori di casa per andargli incontro.
«C-che cosa è successo?! Oh, stai sanguinando…!» esclamò, sfiorandogli appena la guancia con una mano esile, temendo di causargli altro dolore «Ti aiuto ad entrare a casa, forza... aggrappati a me» e così dicendo alzò piano un suo braccio per mettersi sotto di esso, sostenendolo.
A dispetto della sua esile figura, Elathriel Sunstriker era una Sin'dorei piuttosto forte. Non era in grado di trasportare i carichi pesanti come un Orco; tuttavia, lo era abbastanza per poter aiutare un povero Peone ferito a zoppicare fino ad un luogo sicuro dove lo attendevano riposo e cure adeguate.
«Io dispiace… io caduto da alta scala…» borbottò suo marito in tono contrito, cercando di appoggiarsi il meno possibile a sua moglie per non appesantirla troppo.
Nelle sue condizioni era troppo difficile farlo. Fu immensamente grato quando assieme varcarono la soglia di casa, dato che finalmente era arrivato dove poteva lasciarsi andare.
«No! No!» lo riprese Elathriel secca, sentendo il corpo di suo marito farsi di colpo pesante e vedendo le sue gambe cedere per farlo sistemare a terra «Aspetta almeno di arrivare sul letto!».
Il loro letto non era niente di eclatante, però era sempre meglio che sdraiarsi sul pavimento duro e freddo.
«Io stanco… io male piede...» mormorò con fare lamentoso l’Orco.
«Non ti abbandono sul pavimento in mezzo alla stanza! Scordatelo!» disse con voce più ferma l’Elfa del Sangue, strattonandolo per un braccio.
Malgrado le fitte continue e il desiderio profondo di dormire e risvegliarsi completamente guarito, il Peone decise di non contrariare oltre la sua compagna e di resistere ancora pochi metri.
Quando arrivarono nell’angolo in cui era sistemato il loro letto, ci si sedette con un grugnito di dolore misto ad un verso di inequivocabile sollievo.
Elathriel rimase a fissarlo per qualche istante, grattandosi la fronte mentre rifletteva sul da farsi. Diverse ferite richiedevano azione immediata e per la caviglia forse aveva qualche intruglio da applicare per evitare che gonfiasse troppo a causa della distorsione.
«Dammi un momento che prendo tutto l’occorrente» e ciò detto sparì, andando a trafficare oltre la visuale dell’Orco.
Quest’ultimo si accasciò supino sul materasso, fissando il soffitto con cipiglio assente e sfinito.
Era sul punto di assopirsi del tutto quando sua moglie fece ritorno, sedendosi sul fondo del materasso e dandogli dei piccoli colpetti su una gamba per attirare la sua attenzione.
«Dammi la caviglia ferita, avanti» gli disse in tono piuttosto garbato.
Il Peone eseguì la richiesta, anche se pian piano. Dopo poco sentì qualcosa di freddo che gli veniva spalmato sulla caviglia. Rabbrividì al primo contatto e soffocò un verso di sofferenza quando Elathriel gli girò la gamba per poter mettere la pomata tutt’attorno alla caviglia.
Era consapevole che l’Elfa del Sangue stesse cercando di sistemarlo al meglio per farlo guarire, però il dolore era dolore. Non poteva farci molto a parte fingere di non provarne affatto.
La Sin’dorei gli avvolse una garza resistente attorno alla caviglia, sigillando l’impiastro a contatto con la pelle e allo stesso tempo bloccandogli buona parte dei movimenti che avrebbe potuto fare con la caviglia malconcia, in modo che non potesse farsi male in maniera involontaria.
L’aveva sentito sobbalzare diverse volte mentre lo medicava ma non si era mai lamentato a voce alta. Il suo Peone era diventato davvero grande rispetto a quando si erano conosciuti a Wor’var: allora sarebbe scoppiato a piangere per qualsiasi stupidaggine.
Cambiò posizione, andando a sedersi sul bordo del letto per potersi occupare del labbro rotto e del naso sanguinante.
«Peoncino mio, questo farà parecchio male...» avvisò in tono di scuse mentre imbeveva un panno di un liquido che puzzava terribilmente di alcol e che aveva tirato fuori dalla cassetta del pronto soccorso.
L’Orco la fissò con gli occhi colmi di rassegnazione e tristezza e annuì debolmente, quindi l’Elfa procedette. Il bruciore sulla ferita stavolta portò il Peone a lacrimare e a serrare i denti respirando forte dalle narici per non urlare.
Fu davvero doloroso e - almeno per Elathriel - anche straziante.
Una volta finito con quello, la Sin’dorei portò la sua attenzione sul suo naso, per scoprire che in realtà il sangue non scendeva dall‘interno delle sue narici, bensì da diversi forellini sulla pelle. Sembravano quasi… segni di morsi.
«Questi… non dirmi che ti sei fatto di nuovo mordere dal Raptor?!» esclamò Elathriel, stupita.
«Lui morso perché io no svenire» spiegò l’interpellato «Lui no cattiva bestiolina...» aggiunse.
L’Elfa del Sangue sospirò e scosse il capo mentre frugava nel kit del pronto soccorso. Il suo cipiglio si fece gradualmente più concentrato e poi disse: «Bene, non ci sono più cerotti! Con tutte le volte che ti sei fatto assaggiare da Morso… vediamo se ne ho degli altri da un’altra parte...».
Così dicendo, la Sin’dorei si alzò e se ne andò, lasciando il suo Peone da solo. La situazione rimase così soltanto per poco, dato che Morso si affrettò a rimpiazzare Elathriel.
Si arrampicò sul bordo del letto e poi sul petto dell’Orco, accovacciandosi in mezzo ai suoi pettorali e fissandolo dritto in faccia con i suoi enormi occhi da rettile.
Il Peone gli accarezzò la testolina con un grosso polpastrello calloso.
«Io compra collare con corda… bestiolina no corre più via!» disse in tono deciso, aggrottando la fronte come meglio poteva.
Era come se stesse comunicando al figlioletto la sua punizione per aver causato l’incidente. Morso stridette in risposta e rimase docilmente a farsi accarezzare, abbassando la testolina.

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