Exhibitionist
Oct. 4th, 2019 08:08 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Exhibitionist
Rating: Giallo
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 3205 (wordcounter)
Prompt: 1. Malinconia per il Leaftober 2019 @ Lande Di Fandom
Note: Het Implied
«Accetto le sue scuse… ma la invito a moderare il suo atteggiamento finché si trova qui» lo ammonì la proprietaria.
Tharazar non riusciva a credere di essere riuscito nell’impresa. Be’, era avvezzo ad ottenere sempre ciò che voleva ma non lo era altrettanto nel faticare tanto nel processo.
Si inchinò di nuovo e poi tornò a sedersi, fissando la sua cena con un blando sorriso che si tramutò in fretta in una smorfia di autocommiserazione. Lui, il grande Tharazar, costretto a scusarsi con una locandiera qualsiasi per poter avere un pasto e un letto assicurati per la notte. Quanto era caduto in basso…!
L’estate volgeva al termine. Il tempo delle giornate lunghe e calde aveva già da qualche settimana ceduto il posto a tramonti precoci e serate più fresche.
Il sole era da poco scomparso al di sotto della linea dell’orizzonte e presso la locanda One-Eyed Jax si erano già radunati molti dei cittadini e dei forestieri che fino a poche ore prima invadevano le strade di Luskan.
Dall’interno iniziava già a fuoriuscire l’aroma tipico del cibo caldo e buono che per chiunque transitasse in zona non poteva in alcun modo passare inosservato… eccetto per coloro che erano abituati a standard più elevati.
Un Mezzorco che fino all’ingresso della locanda era andato a passo spedito, esitò un momento poco prima di varcare la soglia, come se non fosse più molto convinto sulla sua iniziale decisione di entrare. Annusò l’aria e si produsse in uno sbuffo non molto entusiasta, seguito a distanza di pochi secondi da un rumoroso brontolio del suo stomaco in evidente disaccordo con lui.
Per essere un Mezzorco era vestito in maniera piuttosto ricercata, quasi raffinata. Portava una camicia bianca che calzava aderente al suo fisico tonico, asciutto e muscoloso e sopra di essa indossava un gilet blu scuro con degli arabeschi ricamati sopra. Entrambi i capi avevano una profonda scollatura a “V” - quella del gilet era molto più accentuata rispetto all’altra - in modo da far trapelare un piccolo ciuffetto di peluria dei pettorali.
La camicia era fermata in vita da una spessa cintura con la fibbia dorata che recava incisa al centro una grossa “T” e che sorreggeva i pantaloni di cuoio neri e aderenti che gli abbracciavano le cosce toniche e i polpacci massicci, proporzionati ai due metri di statura del proprietario.
Un paio di alti stivali dello stesso colore coprivano dalle ginocchia in giù, terminando in un leggero tacco e scarpe appuntite.
I capelli erano neri e lunghi, raccolti in una modesta coda di cavallo alla base del cranio. Un piercing faceva bella mostra di sé all’estremità del sopracciglio destro.
Gli zigomi sporgevano appena sotto gli occhi, tracciando un profilo snello delle guance ricoperte di rada peluria. Gli occhi azzurri esprimevano tutta la stanchezza di qualcuno che aveva camminato a lungo e che non vedeva l’ora di riposarsi, sebbene il suo atteggiamento denotasse una straordinaria baldanza.
Il Mezzorco prese un profondo respiro e raddrizzò per bene le ampie spalle muscolose prima di varcare a passo sicuro la porta d’ingresso della locanda.
L’interno era modesto sia in larghezza sia in qualità degli arredi. C’erano numerosi piccoli tavoli di legno disseminati per tutta la sala e la maggior parte di essi erano già occupati da persone intente a riempirsi lo stomaco di cibo e alcol.
Ad un’estremità si trovava il bancone, molto più disabitato di quanto ci si aspetterebbe a quell’ora della sera; sul lato diametralmente opposto si trovava invece un palco su cui attualmente nessuno stava esibendosi.
Molte teste si girarono verso l’ingresso e rimasero a squadrare l’imponente figura del Mezzorco, il quale sogghignò soddisfatto prima di avanzare verso il bancone. Pareva lieto di aver attirato su di sé l’attenzione degli altri avventori.
Si chinò sul bancone - piuttosto basso per uno grosso come lui - e picchiò un colpo sul piano per farsi notare dalla locandiera. Il gesto non risultò molto gradito alla stessa e nemmeno necessario: la donna che si trovava oltre il bancone si era lentamente spostata verso di lui quando era entrato e stava pulendo alcuni boccali vicino al suo posto.
Era una semplice Umana coi capelli bruni e gli occhi grigi, piuttosto giovane e senza alcun tratto particolare. Udendo il colpo in mezzo al chiasso degli altri clienti, sollevò lo sguardo fino ad incrociare quello del nuovo arrivato con aria velatamente scocciata.
«Buonasera. Desidera da mangiare o da bere?» domandò secca, senza tante cerimonie né in tono particolarmente garbato.
«Vorrei il miglior piatto che c’è nel menù e la birra più pregiata… e anche una stanza dove dormire stanotte» rispose il nuovo arrivato, prima di ruotare su se stesso e andare a sedersi ad uno dei pochi tavoli ancora vuoti. Così facendo si perse completamente l’occhiata scettica e infastidita della locandiera.
Fu con immenso sollievo che il Mezzorco sistemò il suo deretano sulla sedia. Il viaggio fino a Luskan era stato lungo e doveva ammettere che non aveva previsto che ci potessero essere così tanti imprevisti e ostacoli lungo il cammino; soprattutto, non aveva immaginato che ci fossero così poche locande lungo una strada principale.
Aveva dovuto dormire all’aperto in più di un’occasione, proprio lui, Tharazar il Magnifico, il Signore dell’Arena di Neverwinter, che aveva sempre dormito all’asciutto e su un comodissimo letto a più piazze, servito e riverito da tutti.
Aveva dovuto saltare pasti in mancanza di taverne ed espletare i suoi bisogni fisiologici in mezzo ai cespugli, come una bestia.
Ora che era di nuovo in una città vera e propria, sperava di riuscire a trovare il modo di racimolare denaro e ricominciare a lavorare. Era un gladiatore famoso e uno spadaccino impareggiabile ed era certo che per uno con le sue doti ci fosse un futuro anche al di fuori dell’Arena di Neverwinter.
Il suo stomaco brontolò di nuovo e lui si portò un braccio all’addome per cercare di mascherarlo, attendendo con impazienza la sua cena. Moriva dalla voglia di mangiare qualcosa di buono e soprattutto caldo.
Le razioni da viaggio lo avevano già stancato.
Per la sua gioia, non dovette attendere molto, anche se il risultato lo lasciò a desiderare: la locandiera in persona si presentò al suo tavolo con una scodella di stufato in cui galleggiavano bocconi di carne di dubbia provenienza è un boccale di pessima fattura pieno di birra, pura e semplice. Dall’odore non sembrava niente di particolare.
La cena apparentemente pessima, unita alla fatica del viaggio e alla mancanza più assoluta dei suoi abituali agi, gli fece perdere del tutto il controllo.
«Cos’è, uno scherzo?! Ho chiesto il meglio che la cucina ha da offrire e questo è ciò che mi porta?! Spero che si renda conto di chi ha di fronte!» sbottò irritato.
La locandiera per tutta risposta sbatté ambedue le mani sul suo tavolo e si piegò su di lui, puntandogli addosso uno sguardo di fuoco.
«Sarà bene che moderi i termini e abbassi la cresta se intende pernottare qui, signor damerino. La locanda è di mia proprietà e non intendo ricevere insulti insensati da un forestiero che vedo per la prima volta nella mia vita» ribatté a tono, prendendo piatto e boccale e facendo per portarli via «Se non è di suo gradimento il luogo, le consiglio vivamente di andare a cercarsi una stanza e del cibo alle Sette Vele, sicuramente più adatta ai suoi standard così pretenziosi!».
La diatriba aveva attirato l’attenzione di quasi tutti i presenti, che avevano cessato di fare rumore appositamente per poter seguire lo svolgersi degli eventi.
Tharazar, seppur punto sul vivo dalla sua risposta tagliente, si morse la lingua per lo scatto brusco.
«Non puoi permetterti di scialacquare i risparmi nelle locande di lusso! Non finché non troverai di che mantenerti!» disse a se stesso.
Doveva correre ai ripari, prima di rimanere di nuovo a digiuno.
Con un incredibile sforzo di autocontrollo, sotterrò il suo orgoglio e sfoderò il più convincente sorriso colpevole e di scuse di cui era capace.
«I-io le chiedo perdono» esclamò, cercando di sembrare il più sincero possibile. Addirittura si alzò in piedi e si inchinò all’Umana nella speranza di riuscire a sistemare la situazione.
«È la stanchezza del lungo viaggio ad avermi fatto perdere le staffe… le chiedo perdono e la prego di… farmi l’onore di rimanere per la notte presso la sua locanda» soggiunse nel tono più affabile e cortese possibile.
Vide l’espressione sprezzante e irosa che la locandiera gli rivolse e temette di non essere riuscito a convincerla. Improvvisamente il suo stomaco brontolò ancora, a volume spiacevolmente alto e reso ancor più forte dal silenzio che era calato tra gli spettatori della discussione.
Tharazar non era abituato ad essere al centro dell’attenzione per qualcosa di differente dalle sue esibizioni in arena e men che meno lo era a patire la fame. La strana combinazione di eventi di quel momento lo mise drammaticamente a disagio, spingendolo a manifestare un nervoso sorriso colmo di imbarazzo alla sua interlocutrice.
Quest’ultima lo squadrò ancora per un istante, poi sospirò e poggiò nuovamente le vettovaglie sul tavolo.
«Accetto le sue scuse… ma la invito a moderare il suo atteggiamento finché si trova qui» lo ammonì la proprietaria.
Tharazar non riusciva a credere di essere riuscito nell’impresa. Be’, era avvezzo ad ottenere sempre ciò che voleva ma non lo era altrettanto nel faticare tanto nel processo.
Si inchinò di nuovo e poi tornò a sedersi, fissando la sua cena con un blando sorriso che si tramutò in fretta in una smorfia di autocommiserazione. Lui, il grande Tharazar, costretto a scusarsi con una locandiera qualsiasi per poter avere un pasto e un letto assicurati per la notte. Quanto era caduto in basso…!
La fama che si era guadagnato negli anni combattendo per il pubblico non lo stava minimamente aiutando da quando era fuggito da Neverwinter. Era come se per il resto del mondo non esistesse, come se fosse una persona qualunque.
Afferrò disperato il suo boccale di birra e se lo scolò tutto d’un fiato, sperando di riuscire ad affogare l’improvvisa depressione che lo stava sopraffacendo; dopodiché iniziò a mangiare. Il cibo non era cattivo ma aveva mangiato di meglio; essendo l’unica cosa a disposizione per riempirsi la pancia, non poteva reclamare in alcun modo.
Fermò una cameriera di passaggio e chiese altro cibo e altra birra. Stavolta si premurò di usare le buone maniere, cercando di ingraziarsi la fanciulla con modi educati e persino qualche sorriso accattivante. Sperava di riuscire ad avere compagnia per la notte, dato che al di fuori dell’arena le donne non cadevano ai suoi piedi ad un suo ordine. Addirittura alcune volevano essere pagate per giacere in sua compagnia.
Il secondo giro di stufato e di birra arrivò piuttosto in fretta considerato il quantitativo di clienti e altrettanto velocemente svanì.
Tharazar impilò le scodelle in un angolo del tavolo, sazio, e si dedicò alla sua birra. L’alcol di solito lo aiutava quando era di cattivo umore e in quel frangente specifico dire che il suo morale era a terra era eufemistico.
Continuava a pensare a tutto ciò che aveva lasciato alle sue spalle, alla vita agiata da campione che aveva abbandonato dopo essere stato tradito dai suoi sostenitori e da coloro che fin da che aveva memoria lo avevano cresciuto è allenato per essere un gladiatore fatto e finito.
I suoi pensieri andavano indietro negli anni e poi volavano agli ultimi giorni, trascorsi da solo in viaggio senza una vera e propria destinazione né uno scopo.
Avvinto in un vortice di sconforto e malinconia, il Mezzorco continuò a tracannare alcol come se fosse un’ancora di salvezza in mezzo ad un oceano in tempesta. Ogni volta che la cameriera passava vicino al suo tavolo le faceva un cenno, misero e quasi timido inizialmente e poi sempre più audace, chiedendole di portargli altra birra. Alla fine la ragazza cominciò a precedere la sua richiesta, portandogli da bere prima ancora che la chiamasse.
Tharazar continuò a bere senza alcun ritegno, accettando di buon grado ogni boccale che gli veniva portato. Nel suo attuale stato, non gli importava della spesa che avrebbe comportato consumare tutta quella birra e non gli importava di cosa gli sarebbe accaduto una volta che fosse stato completamente ubriaco. Voleva soltanto scacciare la spiacevole sensazione di vuoto dentro di lui e il fatto di sentirsi al momento del tutto inutile.
«Il grande Tharazar ridotto… a questo… un vagabondo senza nessuno scopo… tutto per conservare l’onore e la gloria in Arena...» borbottò affranto ad un certo punto, fissando con espressione vuota il fondo del boccale che aveva appena svuotato.
Scosse la testa, facendo oscillare appena la coda di capelli lunghi, per poi buttare da parte il boccale e prenderne uno ancora pieno.
Rise nervosamente, scrollando le spalle.
«Che schifo...» sibilò prima di occupare la bocca con altra birra.
Il suo tavolo si riempì in fretta di boccali vuoti. La sua tempra in quanto Mezzorco gli impediva una sbornia facile e dovette insistere parecchio prima di riuscire a percepire un qualche effetto.
Visto dall’esterno, lo spettacolo della sua disfatta psicologica era palese: spesso si afflosciava sul tavolo, parlottando da solo ed esibendo tutta una serie di smorfie che andavano dal malinconico all’autocommiserevole.
Dopo la scenata con la locandiera, nessuno osava avvicinarglisi né tantomeno degnarlo di attenzioni, con l’unica eccezione della cameriera che continuava a servirgli birra.
Col trascorrere della serata, gli spettatori del suo deprimente teatrino andarono scemando, finché non rimasero che pochi avventori, la maggior parte dei quali era più o meno nelle sue stesse pietose condizioni.
A loro fu riservato di vedere il tipo di trasformazione indotta nel Mezzorco da una buona sbronza fatta come di dovere. Non sembrava più uno a cui era stata strappata ogni ragione di vita. Era allegro e ogni tanto scoppiava a ridere senza nessuna particolare ragione. Era quasi inquietante.
Dato che i clienti se ne erano andati quasi tutti, la cameriera non era più indaffarata a portare cibo e birra a destra e a manca e Tharazar ad un certo punto la fermò afferrandola per un braccio.
Contrariamente a quanto si sarebbe detto dalla sua mole, la sua presa fu inaspettatamente delicata.
La ragazza istintivamente si volse di scatto nella sua direzione e cominciò a rispondere: «Penso che abbia bevuto abb…!».
«Il palco è libero…?» la interruppe senza tante cerimonie l’ubriaco, non badando affatto a ciò che stava dicendo.
La cameriera gli rivolse un’occhiata perplessa e confusa e gettò una rapida occhiata in direzione di ciò che interessava tanto al Mezzorco in quel momento. Come si era aspettata dalla mancanza di musica e di canzoni, non c’era anima viva ad allietare la serata.
«Nessuno si è esibito questa sera» replicò in tono ovvio. Era realmente così ubriaco da non riuscire a vederlo con i suoi occhi? Sarebbe stata la prima volta nella sua vita che incontrava un cliente che da ubriaco accusava un deficit visivo tanto spiccato.
Vide un luccichio bizzarro nei suoi occhi lucidi mentre il Mezzorco si alzava dalla sedia, barcollando leggermente una volta in posizione completamente eretta. Si aggrappò al bordo del tavolo giusto in tempo per non cadere.
«Vorrei esibirmi io… sempre che alla signora locandiera non dispiaccia...» commentò Tharazar, continuando a fissare la cameriera, minuscola a confronto con lui.
Quest’ultima non riusciva a capire che tipo di problema avesse e perché stesse rivolgendo proprio a lei tutte quelle domande quando gli sarebbe bastato arrivare al bancone e chiedere direttamente alla proprietaria. A pensarci meglio, dato che non pareva avere molto equilibrio al momento, immaginò che forse era meglio così: non osava neppure immaginare cosa le sarebbe toccato affrontare se uno con la sua stazza e con una sbronza simile fosse finito a terra.
La ragazza scoccò una rapida occhiata in direzione del bancone e vide che la locandiera stava seguendo le sue vicissitudini nel mentre che terminava di pulire i boccali. Notò anche un cenno d’assenso appena percepibile.
«Va bene, si esibisca pure» sospirò la giovane in tono piuttosto esasperato.
Tharazar sogghignò trionfante e si avviò con passo malfermo verso la breve scala che portava sul piccolo palco rialzato. Un paio di volte rischiò di inciampare nei gradini ma riuscì a mantenere per miracolo l’equilibrio e a raggiungere la sua destinazione tutto intero.
Si piazzò al centro del palco e sollevò le braccia, allargandole come per catalizzare su di sé tutta l’attenzione dei presenti.
La cameriera continuava ad osservarlo, preoccupata di ciò che poteva succedere se quell’uomo avesse perso il controllo. Era abbastanza grosso e muscoloso per poter dare il via ad una rissa coi fiocchi ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno per concludere il turno di lavoro per la serata.
«Avventori del One-Eyed Jax!» declamò con voce potente, riuscendo a superare persino lo stato di torpore di alcuni tra i più ubriachi in sala «Io, il grande Tharazar, Signore dell’Arena di Neverwinter, allieterò ciò che resta di questa serata narrandovi uno dei miei più memorabili incontri!» annunciò.
La cameriera lo fissò con perplessità mentre il Mezzorco si lanciava nell’avvincente narrazione di uno scontro tra gladiatori. Era incredibile la parlantina sciolta e a tratti persino forbita di cui disponeva pur essendo palesemente ubriaco. Le sue guance erano paonazze e i suoi occhi azzurri dardeggiavano in diverse direzioni senza alcun apparente significato.
Solitamente la ragazza non amava intrattenersi troppo con i racconti dei clienti né tantomeno mostrarsi attratta o incline a trascorrere del tempo con uno di loro piuttosto che con altri: attaccare discorso con loro poteva condurre a situazioni spiacevoli e persino pericolose e col tempo aveva imparato a mantenere le distanze.
Quel Mezzorco costituiva un’eccezione a questa sua regola. La ragazza trovava assurdo come il suo modo di parlare fluente e persino il suo umore evidentemente instabile riuscissero a sortire in lei una specie di attrazione magnetica. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso né a distogliere l’attenzione dal suo racconto. Si accomodò sulla sedia che quel Tharazar aveva occupato fino a poco tempo prima e rimase ad ascoltarlo, rapita, per tutta la durata del suo racconto.
A giudicare dalla reazione del resto della clientela, che adesso non aveva occhi che per lui e che di quando in quando interveniva anche con ovazioni e commenti, non era la sola ad essere attratta dalla sua magica parlantina.
L’essere su un palco ad esibirsi, seppur in maniera drasticamente differente rispetto al suo solito, riuscì ad avere un effetto positivo sull’umore di Tharazar. Si sentiva di nuovo vivo, di nuovo… utile. Era una sensazione così gratificante sapere di avere tutti gli occhi puntati addosso, che lo esaminavano, studiavano, perquisivano. Ogni sua azione era sotto gli occhi del pubblico, ogni suo errore ma anche ogni suo trionfo.
Quello era il suo scopo nella vita: intrattenere il pubblico con le sue gesta, le sue parole… con le sue esibizioni.
Parlò a lungo, fin quando la sbronza colossale che si era preso e la stanchezza del lungo viaggio non ebbero la meglio sulla sua resistenza fisica. Le sue corde vocali sfinite cominciarono a cedere e la sua voce tonante e possente iniziò a farsi meno vigorosa. L’equilibrio iniziò a mancargli e quando rischiò di capitombolare oltre il bordo del palco seppe che era ora di ritirarsi dalla scena.
La cameriera gli andò incontro, aiutandolo a non vacillare troppo mentre scendeva i gradini.
«È… è stato uno spettacolo molto bello» si complimentò con fare imbarazzato la ragazza, cercando di cingergli il torace con un braccio per sorreggerlo «Posso accompagnarla alla sua stanza...?».
La domanda fu posta piano, in un sussurro timido e quasi impercettibile.
Tharazar in un primo momento le rivolse un’occhiata confusa, poi notò lo strano scintillio di emozione mista a desiderio e tra i fumi dell’alcol il suo cervello riuscì ad intuire cosa celasse la sua domanda.
Un sorrisetto sghembo si dipinse sul suo volto, molto più audace e seducente del suo normale repertorio da sobrio.
«Certo. Sarebbe un vero piacere...» rispose.
E insieme cominciarono a muoversi verso le scale che conducevano ai piani superiori.
Rating: Giallo
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 3205 (wordcounter)
Prompt: 1. Malinconia per il Leaftober 2019 @ Lande Di Fandom
Note: Het Implied
«Accetto le sue scuse… ma la invito a moderare il suo atteggiamento finché si trova qui» lo ammonì la proprietaria.
Tharazar non riusciva a credere di essere riuscito nell’impresa. Be’, era avvezzo ad ottenere sempre ciò che voleva ma non lo era altrettanto nel faticare tanto nel processo.
Si inchinò di nuovo e poi tornò a sedersi, fissando la sua cena con un blando sorriso che si tramutò in fretta in una smorfia di autocommiserazione. Lui, il grande Tharazar, costretto a scusarsi con una locandiera qualsiasi per poter avere un pasto e un letto assicurati per la notte. Quanto era caduto in basso…!
L’estate volgeva al termine. Il tempo delle giornate lunghe e calde aveva già da qualche settimana ceduto il posto a tramonti precoci e serate più fresche.
Il sole era da poco scomparso al di sotto della linea dell’orizzonte e presso la locanda One-Eyed Jax si erano già radunati molti dei cittadini e dei forestieri che fino a poche ore prima invadevano le strade di Luskan.
Dall’interno iniziava già a fuoriuscire l’aroma tipico del cibo caldo e buono che per chiunque transitasse in zona non poteva in alcun modo passare inosservato… eccetto per coloro che erano abituati a standard più elevati.
Un Mezzorco che fino all’ingresso della locanda era andato a passo spedito, esitò un momento poco prima di varcare la soglia, come se non fosse più molto convinto sulla sua iniziale decisione di entrare. Annusò l’aria e si produsse in uno sbuffo non molto entusiasta, seguito a distanza di pochi secondi da un rumoroso brontolio del suo stomaco in evidente disaccordo con lui.
Per essere un Mezzorco era vestito in maniera piuttosto ricercata, quasi raffinata. Portava una camicia bianca che calzava aderente al suo fisico tonico, asciutto e muscoloso e sopra di essa indossava un gilet blu scuro con degli arabeschi ricamati sopra. Entrambi i capi avevano una profonda scollatura a “V” - quella del gilet era molto più accentuata rispetto all’altra - in modo da far trapelare un piccolo ciuffetto di peluria dei pettorali.
La camicia era fermata in vita da una spessa cintura con la fibbia dorata che recava incisa al centro una grossa “T” e che sorreggeva i pantaloni di cuoio neri e aderenti che gli abbracciavano le cosce toniche e i polpacci massicci, proporzionati ai due metri di statura del proprietario.
Un paio di alti stivali dello stesso colore coprivano dalle ginocchia in giù, terminando in un leggero tacco e scarpe appuntite.
I capelli erano neri e lunghi, raccolti in una modesta coda di cavallo alla base del cranio. Un piercing faceva bella mostra di sé all’estremità del sopracciglio destro.
Gli zigomi sporgevano appena sotto gli occhi, tracciando un profilo snello delle guance ricoperte di rada peluria. Gli occhi azzurri esprimevano tutta la stanchezza di qualcuno che aveva camminato a lungo e che non vedeva l’ora di riposarsi, sebbene il suo atteggiamento denotasse una straordinaria baldanza.
Il Mezzorco prese un profondo respiro e raddrizzò per bene le ampie spalle muscolose prima di varcare a passo sicuro la porta d’ingresso della locanda.
L’interno era modesto sia in larghezza sia in qualità degli arredi. C’erano numerosi piccoli tavoli di legno disseminati per tutta la sala e la maggior parte di essi erano già occupati da persone intente a riempirsi lo stomaco di cibo e alcol.
Ad un’estremità si trovava il bancone, molto più disabitato di quanto ci si aspetterebbe a quell’ora della sera; sul lato diametralmente opposto si trovava invece un palco su cui attualmente nessuno stava esibendosi.
Molte teste si girarono verso l’ingresso e rimasero a squadrare l’imponente figura del Mezzorco, il quale sogghignò soddisfatto prima di avanzare verso il bancone. Pareva lieto di aver attirato su di sé l’attenzione degli altri avventori.
Si chinò sul bancone - piuttosto basso per uno grosso come lui - e picchiò un colpo sul piano per farsi notare dalla locandiera. Il gesto non risultò molto gradito alla stessa e nemmeno necessario: la donna che si trovava oltre il bancone si era lentamente spostata verso di lui quando era entrato e stava pulendo alcuni boccali vicino al suo posto.
Era una semplice Umana coi capelli bruni e gli occhi grigi, piuttosto giovane e senza alcun tratto particolare. Udendo il colpo in mezzo al chiasso degli altri clienti, sollevò lo sguardo fino ad incrociare quello del nuovo arrivato con aria velatamente scocciata.
«Buonasera. Desidera da mangiare o da bere?» domandò secca, senza tante cerimonie né in tono particolarmente garbato.
«Vorrei il miglior piatto che c’è nel menù e la birra più pregiata… e anche una stanza dove dormire stanotte» rispose il nuovo arrivato, prima di ruotare su se stesso e andare a sedersi ad uno dei pochi tavoli ancora vuoti. Così facendo si perse completamente l’occhiata scettica e infastidita della locandiera.
Fu con immenso sollievo che il Mezzorco sistemò il suo deretano sulla sedia. Il viaggio fino a Luskan era stato lungo e doveva ammettere che non aveva previsto che ci potessero essere così tanti imprevisti e ostacoli lungo il cammino; soprattutto, non aveva immaginato che ci fossero così poche locande lungo una strada principale.
Aveva dovuto dormire all’aperto in più di un’occasione, proprio lui, Tharazar il Magnifico, il Signore dell’Arena di Neverwinter, che aveva sempre dormito all’asciutto e su un comodissimo letto a più piazze, servito e riverito da tutti.
Aveva dovuto saltare pasti in mancanza di taverne ed espletare i suoi bisogni fisiologici in mezzo ai cespugli, come una bestia.
Ora che era di nuovo in una città vera e propria, sperava di riuscire a trovare il modo di racimolare denaro e ricominciare a lavorare. Era un gladiatore famoso e uno spadaccino impareggiabile ed era certo che per uno con le sue doti ci fosse un futuro anche al di fuori dell’Arena di Neverwinter.
Il suo stomaco brontolò di nuovo e lui si portò un braccio all’addome per cercare di mascherarlo, attendendo con impazienza la sua cena. Moriva dalla voglia di mangiare qualcosa di buono e soprattutto caldo.
Le razioni da viaggio lo avevano già stancato.
Per la sua gioia, non dovette attendere molto, anche se il risultato lo lasciò a desiderare: la locandiera in persona si presentò al suo tavolo con una scodella di stufato in cui galleggiavano bocconi di carne di dubbia provenienza è un boccale di pessima fattura pieno di birra, pura e semplice. Dall’odore non sembrava niente di particolare.
La cena apparentemente pessima, unita alla fatica del viaggio e alla mancanza più assoluta dei suoi abituali agi, gli fece perdere del tutto il controllo.
«Cos’è, uno scherzo?! Ho chiesto il meglio che la cucina ha da offrire e questo è ciò che mi porta?! Spero che si renda conto di chi ha di fronte!» sbottò irritato.
La locandiera per tutta risposta sbatté ambedue le mani sul suo tavolo e si piegò su di lui, puntandogli addosso uno sguardo di fuoco.
«Sarà bene che moderi i termini e abbassi la cresta se intende pernottare qui, signor damerino. La locanda è di mia proprietà e non intendo ricevere insulti insensati da un forestiero che vedo per la prima volta nella mia vita» ribatté a tono, prendendo piatto e boccale e facendo per portarli via «Se non è di suo gradimento il luogo, le consiglio vivamente di andare a cercarsi una stanza e del cibo alle Sette Vele, sicuramente più adatta ai suoi standard così pretenziosi!».
La diatriba aveva attirato l’attenzione di quasi tutti i presenti, che avevano cessato di fare rumore appositamente per poter seguire lo svolgersi degli eventi.
Tharazar, seppur punto sul vivo dalla sua risposta tagliente, si morse la lingua per lo scatto brusco.
«Non puoi permetterti di scialacquare i risparmi nelle locande di lusso! Non finché non troverai di che mantenerti!» disse a se stesso.
Doveva correre ai ripari, prima di rimanere di nuovo a digiuno.
Con un incredibile sforzo di autocontrollo, sotterrò il suo orgoglio e sfoderò il più convincente sorriso colpevole e di scuse di cui era capace.
«I-io le chiedo perdono» esclamò, cercando di sembrare il più sincero possibile. Addirittura si alzò in piedi e si inchinò all’Umana nella speranza di riuscire a sistemare la situazione.
«È la stanchezza del lungo viaggio ad avermi fatto perdere le staffe… le chiedo perdono e la prego di… farmi l’onore di rimanere per la notte presso la sua locanda» soggiunse nel tono più affabile e cortese possibile.
Vide l’espressione sprezzante e irosa che la locandiera gli rivolse e temette di non essere riuscito a convincerla. Improvvisamente il suo stomaco brontolò ancora, a volume spiacevolmente alto e reso ancor più forte dal silenzio che era calato tra gli spettatori della discussione.
Tharazar non era abituato ad essere al centro dell’attenzione per qualcosa di differente dalle sue esibizioni in arena e men che meno lo era a patire la fame. La strana combinazione di eventi di quel momento lo mise drammaticamente a disagio, spingendolo a manifestare un nervoso sorriso colmo di imbarazzo alla sua interlocutrice.
Quest’ultima lo squadrò ancora per un istante, poi sospirò e poggiò nuovamente le vettovaglie sul tavolo.
«Accetto le sue scuse… ma la invito a moderare il suo atteggiamento finché si trova qui» lo ammonì la proprietaria.
Tharazar non riusciva a credere di essere riuscito nell’impresa. Be’, era avvezzo ad ottenere sempre ciò che voleva ma non lo era altrettanto nel faticare tanto nel processo.
Si inchinò di nuovo e poi tornò a sedersi, fissando la sua cena con un blando sorriso che si tramutò in fretta in una smorfia di autocommiserazione. Lui, il grande Tharazar, costretto a scusarsi con una locandiera qualsiasi per poter avere un pasto e un letto assicurati per la notte. Quanto era caduto in basso…!
La fama che si era guadagnato negli anni combattendo per il pubblico non lo stava minimamente aiutando da quando era fuggito da Neverwinter. Era come se per il resto del mondo non esistesse, come se fosse una persona qualunque.
Afferrò disperato il suo boccale di birra e se lo scolò tutto d’un fiato, sperando di riuscire ad affogare l’improvvisa depressione che lo stava sopraffacendo; dopodiché iniziò a mangiare. Il cibo non era cattivo ma aveva mangiato di meglio; essendo l’unica cosa a disposizione per riempirsi la pancia, non poteva reclamare in alcun modo.
Fermò una cameriera di passaggio e chiese altro cibo e altra birra. Stavolta si premurò di usare le buone maniere, cercando di ingraziarsi la fanciulla con modi educati e persino qualche sorriso accattivante. Sperava di riuscire ad avere compagnia per la notte, dato che al di fuori dell’arena le donne non cadevano ai suoi piedi ad un suo ordine. Addirittura alcune volevano essere pagate per giacere in sua compagnia.
Il secondo giro di stufato e di birra arrivò piuttosto in fretta considerato il quantitativo di clienti e altrettanto velocemente svanì.
Tharazar impilò le scodelle in un angolo del tavolo, sazio, e si dedicò alla sua birra. L’alcol di solito lo aiutava quando era di cattivo umore e in quel frangente specifico dire che il suo morale era a terra era eufemistico.
Continuava a pensare a tutto ciò che aveva lasciato alle sue spalle, alla vita agiata da campione che aveva abbandonato dopo essere stato tradito dai suoi sostenitori e da coloro che fin da che aveva memoria lo avevano cresciuto è allenato per essere un gladiatore fatto e finito.
I suoi pensieri andavano indietro negli anni e poi volavano agli ultimi giorni, trascorsi da solo in viaggio senza una vera e propria destinazione né uno scopo.
Avvinto in un vortice di sconforto e malinconia, il Mezzorco continuò a tracannare alcol come se fosse un’ancora di salvezza in mezzo ad un oceano in tempesta. Ogni volta che la cameriera passava vicino al suo tavolo le faceva un cenno, misero e quasi timido inizialmente e poi sempre più audace, chiedendole di portargli altra birra. Alla fine la ragazza cominciò a precedere la sua richiesta, portandogli da bere prima ancora che la chiamasse.
Tharazar continuò a bere senza alcun ritegno, accettando di buon grado ogni boccale che gli veniva portato. Nel suo attuale stato, non gli importava della spesa che avrebbe comportato consumare tutta quella birra e non gli importava di cosa gli sarebbe accaduto una volta che fosse stato completamente ubriaco. Voleva soltanto scacciare la spiacevole sensazione di vuoto dentro di lui e il fatto di sentirsi al momento del tutto inutile.
«Il grande Tharazar ridotto… a questo… un vagabondo senza nessuno scopo… tutto per conservare l’onore e la gloria in Arena...» borbottò affranto ad un certo punto, fissando con espressione vuota il fondo del boccale che aveva appena svuotato.
Scosse la testa, facendo oscillare appena la coda di capelli lunghi, per poi buttare da parte il boccale e prenderne uno ancora pieno.
Rise nervosamente, scrollando le spalle.
«Che schifo...» sibilò prima di occupare la bocca con altra birra.
Il suo tavolo si riempì in fretta di boccali vuoti. La sua tempra in quanto Mezzorco gli impediva una sbornia facile e dovette insistere parecchio prima di riuscire a percepire un qualche effetto.
Visto dall’esterno, lo spettacolo della sua disfatta psicologica era palese: spesso si afflosciava sul tavolo, parlottando da solo ed esibendo tutta una serie di smorfie che andavano dal malinconico all’autocommiserevole.
Dopo la scenata con la locandiera, nessuno osava avvicinarglisi né tantomeno degnarlo di attenzioni, con l’unica eccezione della cameriera che continuava a servirgli birra.
Col trascorrere della serata, gli spettatori del suo deprimente teatrino andarono scemando, finché non rimasero che pochi avventori, la maggior parte dei quali era più o meno nelle sue stesse pietose condizioni.
A loro fu riservato di vedere il tipo di trasformazione indotta nel Mezzorco da una buona sbronza fatta come di dovere. Non sembrava più uno a cui era stata strappata ogni ragione di vita. Era allegro e ogni tanto scoppiava a ridere senza nessuna particolare ragione. Era quasi inquietante.
Dato che i clienti se ne erano andati quasi tutti, la cameriera non era più indaffarata a portare cibo e birra a destra e a manca e Tharazar ad un certo punto la fermò afferrandola per un braccio.
Contrariamente a quanto si sarebbe detto dalla sua mole, la sua presa fu inaspettatamente delicata.
La ragazza istintivamente si volse di scatto nella sua direzione e cominciò a rispondere: «Penso che abbia bevuto abb…!».
«Il palco è libero…?» la interruppe senza tante cerimonie l’ubriaco, non badando affatto a ciò che stava dicendo.
La cameriera gli rivolse un’occhiata perplessa e confusa e gettò una rapida occhiata in direzione di ciò che interessava tanto al Mezzorco in quel momento. Come si era aspettata dalla mancanza di musica e di canzoni, non c’era anima viva ad allietare la serata.
«Nessuno si è esibito questa sera» replicò in tono ovvio. Era realmente così ubriaco da non riuscire a vederlo con i suoi occhi? Sarebbe stata la prima volta nella sua vita che incontrava un cliente che da ubriaco accusava un deficit visivo tanto spiccato.
Vide un luccichio bizzarro nei suoi occhi lucidi mentre il Mezzorco si alzava dalla sedia, barcollando leggermente una volta in posizione completamente eretta. Si aggrappò al bordo del tavolo giusto in tempo per non cadere.
«Vorrei esibirmi io… sempre che alla signora locandiera non dispiaccia...» commentò Tharazar, continuando a fissare la cameriera, minuscola a confronto con lui.
Quest’ultima non riusciva a capire che tipo di problema avesse e perché stesse rivolgendo proprio a lei tutte quelle domande quando gli sarebbe bastato arrivare al bancone e chiedere direttamente alla proprietaria. A pensarci meglio, dato che non pareva avere molto equilibrio al momento, immaginò che forse era meglio così: non osava neppure immaginare cosa le sarebbe toccato affrontare se uno con la sua stazza e con una sbronza simile fosse finito a terra.
La ragazza scoccò una rapida occhiata in direzione del bancone e vide che la locandiera stava seguendo le sue vicissitudini nel mentre che terminava di pulire i boccali. Notò anche un cenno d’assenso appena percepibile.
«Va bene, si esibisca pure» sospirò la giovane in tono piuttosto esasperato.
Tharazar sogghignò trionfante e si avviò con passo malfermo verso la breve scala che portava sul piccolo palco rialzato. Un paio di volte rischiò di inciampare nei gradini ma riuscì a mantenere per miracolo l’equilibrio e a raggiungere la sua destinazione tutto intero.
Si piazzò al centro del palco e sollevò le braccia, allargandole come per catalizzare su di sé tutta l’attenzione dei presenti.
La cameriera continuava ad osservarlo, preoccupata di ciò che poteva succedere se quell’uomo avesse perso il controllo. Era abbastanza grosso e muscoloso per poter dare il via ad una rissa coi fiocchi ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno per concludere il turno di lavoro per la serata.
«Avventori del One-Eyed Jax!» declamò con voce potente, riuscendo a superare persino lo stato di torpore di alcuni tra i più ubriachi in sala «Io, il grande Tharazar, Signore dell’Arena di Neverwinter, allieterò ciò che resta di questa serata narrandovi uno dei miei più memorabili incontri!» annunciò.
La cameriera lo fissò con perplessità mentre il Mezzorco si lanciava nell’avvincente narrazione di uno scontro tra gladiatori. Era incredibile la parlantina sciolta e a tratti persino forbita di cui disponeva pur essendo palesemente ubriaco. Le sue guance erano paonazze e i suoi occhi azzurri dardeggiavano in diverse direzioni senza alcun apparente significato.
Solitamente la ragazza non amava intrattenersi troppo con i racconti dei clienti né tantomeno mostrarsi attratta o incline a trascorrere del tempo con uno di loro piuttosto che con altri: attaccare discorso con loro poteva condurre a situazioni spiacevoli e persino pericolose e col tempo aveva imparato a mantenere le distanze.
Quel Mezzorco costituiva un’eccezione a questa sua regola. La ragazza trovava assurdo come il suo modo di parlare fluente e persino il suo umore evidentemente instabile riuscissero a sortire in lei una specie di attrazione magnetica. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso né a distogliere l’attenzione dal suo racconto. Si accomodò sulla sedia che quel Tharazar aveva occupato fino a poco tempo prima e rimase ad ascoltarlo, rapita, per tutta la durata del suo racconto.
A giudicare dalla reazione del resto della clientela, che adesso non aveva occhi che per lui e che di quando in quando interveniva anche con ovazioni e commenti, non era la sola ad essere attratta dalla sua magica parlantina.
L’essere su un palco ad esibirsi, seppur in maniera drasticamente differente rispetto al suo solito, riuscì ad avere un effetto positivo sull’umore di Tharazar. Si sentiva di nuovo vivo, di nuovo… utile. Era una sensazione così gratificante sapere di avere tutti gli occhi puntati addosso, che lo esaminavano, studiavano, perquisivano. Ogni sua azione era sotto gli occhi del pubblico, ogni suo errore ma anche ogni suo trionfo.
Quello era il suo scopo nella vita: intrattenere il pubblico con le sue gesta, le sue parole… con le sue esibizioni.
Parlò a lungo, fin quando la sbronza colossale che si era preso e la stanchezza del lungo viaggio non ebbero la meglio sulla sua resistenza fisica. Le sue corde vocali sfinite cominciarono a cedere e la sua voce tonante e possente iniziò a farsi meno vigorosa. L’equilibrio iniziò a mancargli e quando rischiò di capitombolare oltre il bordo del palco seppe che era ora di ritirarsi dalla scena.
La cameriera gli andò incontro, aiutandolo a non vacillare troppo mentre scendeva i gradini.
«È… è stato uno spettacolo molto bello» si complimentò con fare imbarazzato la ragazza, cercando di cingergli il torace con un braccio per sorreggerlo «Posso accompagnarla alla sua stanza...?».
La domanda fu posta piano, in un sussurro timido e quasi impercettibile.
Tharazar in un primo momento le rivolse un’occhiata confusa, poi notò lo strano scintillio di emozione mista a desiderio e tra i fumi dell’alcol il suo cervello riuscì ad intuire cosa celasse la sua domanda.
Un sorrisetto sghembo si dipinse sul suo volto, molto più audace e seducente del suo normale repertorio da sobrio.
«Certo. Sarebbe un vero piacere...» rispose.
E insieme cominciarono a muoversi verso le scale che conducevano ai piani superiori.