A long-awaited night at the inn
Nov. 30th, 2019 08:05 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: A long-awaited night at the inn
Rating: Rosso
Genere: Comico, Erotico, Introspettivo, Slice of Life
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 9399 (wordcounter)
Timeline: Ambientata dopo questa.
Note: First time, Lemon, Yaoi
«Voglio tutto il menù!».
Il brusio diffuso si ridusse a silenzio all’udire la sua affermazione e stavolta a catalizzare l’attenzione generale fu lui e non il suo compagno di viaggio, il quale peraltro era rimasto scioccato quanto gli altri.
«C-come prego?» la Mezzelfa si ritrovò a balbettare con fare confuso, non sapendo come comportarsi nei riguardi della sua richiesta.
«Ho chiesto l’intero menù» ripeté il Mezzorco, scandendo meglio le parole «È tanto strano?».
Non capiva cosa ci fosse di anormale in una persona affamata che chiedeva del cibo, specialmente in un posto come una locanda.
La risposta gli arrivò in forma di un poco delicato calcio nei polpacci che lo fece sobbalzare e gli strappò un gemito. Era la prima volta in vita sua che gli davano un calcio con qualcosa di tanto duro e doloroso.
Era quasi il tramonto. Il cielo era rosso come il sangue e la luce aranciata del sole che stava scomparendo oltre l’orizzonte riusciva a penetrare la vegetazione del bosco insolitamente rada.
Tharazar, nonostante i continui sbadigli e i cupi gorgoglii dello stomaco, guidava la strada. Era ancora abbastanza lucido da riuscire a distinguere una strada sicura da una potenziale trappola e Patria - che camminava alle sue spalle - pareva sufficientemente tranquillo nel lasciarlo andare in testa.
Gli ultimi giorni di viaggio erano stati molto più proficui delle prime settimane. Dopo quello che di comune accordo avevano ribattezzato col nome in codice “incidente dei funghi”, Tharazar aveva iniziato a prestare seriamente attenzione a come si muoveva nella foresta e agli avvertimenti che Patria gli impartiva, oltre alle basilari nozioni di distinzione tra flora nociva e innocua.
Il suo umore instabile pareva essere quello che aveva tratto più giovamento dall’incidente e dal notevole cambio di atteggiamento del Mezzorco: Patria lo aveva visto molto più presente a se stesso e i suoi episodi di depressione erano divenuti soltanto sporadici. Se capitavano, erano per lo più durante la notte, quando non avevano niente per tenersi impegnati.
Aveva imparato a parlare con Tharazar durante i suoi momenti bui, scoprendo parecchie cose su di lui e su ciò che gli era capitato in passato. Aveva appreso della sua vita agiata e lussuosa e di come il sistema che lo aveva adulato ed eletto a Signore dell’Arena di Neverwinter gli avesse poi di colpo voltato le spalle non appena si era presentata l’occasione, cercando di costringerlo a perdere di proposito contro un Orco purosangue. Tharazar si era rifiutato di sottomettersi alla richiesta e lo aveva sconfitto, per poi darsi alla fuga. Aveva vissuto dentro una bolla di cristallo per tutta la vita, e Patria aveva iniziato a capire perché sembrasse così spaesato di fronte alle difficoltà della vita.
«Camminiamo ancora un po’...? Finché c’è luce… forse più avanti riusciremo a trovare una radura per accamparci...» esclamò Tharazar all’improvviso, rompendo il silenzio.
L’altro alzò lo sguardo dal terreno e lo posò su di lui. Sembrava sfinito ma determinato.
«Mi pare un’ottima linea d’azione. Avremo bisogno di spazio per sistemarci e poterci difendere al meglio nella notte» annuì il Tiefling.
Patria aveva scoperto per esperienza diretta quanto potesse essere proficuo elogiare Tharazar ogni volta che ne aveva l’opportunità, anche per piccolezze. Il Mezzorco pareva talmente suscettibile ai complimenti da migliorare concretamente il suo atteggiamento e i suoi comportamenti. Adularlo non serviva solo a rigonfiare il suo ego a pezzi quando era depresso, era una sorta di “energia positiva” che lo rendeva in grado di affrontare nel migliore dei modi le difficoltà del viaggio.
Il Mezzorco annuì e riprese a camminare con passo leggermente più svelto.
La camminata non durò molto: dopo pochi minuti, Patria vide il suo compagno fermarsi di colpo tra due cespugli, come paralizzato.
«E-ehi? Tutto bene? Non ti sei fatto male, vero?!» chiese il Tiefling subito, affiancandolo senza perdere tempo per controllare con i suoi stessi occhi. Stava andando tutto così bene che ci mancava solo che si facesse del male inavvertitamente per rovinare tutto.
Nel farlo vide ciò che con ogni probabilità aveva bloccato Tharazar: attraverso i radi tronchi che si paravano davanti a loro si riusciva ad intravedere quella che senza ombra di dubbio era una locanda. Alzando lo sguardo, Patria riuscì a scorgere anche una colonna di fumo chiaro alzarsi verso il cielo, prodotta probabilmente dalla cucina.
«Quella… è...» Patria non riusciva a credere ai suoi occhi: come poteva esserci un edificio là in mezzo? Avrebbero dovuto essere ancora distanti alcuni giorni dal limitare della foresta!
«… è una locanda!» esultò Tharazar. La sua voce possente tremava appena, tradendo la sua emozione. Era evidentemente più scioccato del suo compagno di viaggio, ma in senso nettamente positivo.
D’un tratto balzò in avanti, per poi girarsi verso Patria con gli occhi scintillanti d’energia e gioia allo stato puro.
«Sai cosa significa?! Un letto comodo! Un tetto sopra la testa!» fece una breve pausa per dare maggiore enfasi all’ultima parte della frase «… cibo caldo!».
Patria aggrottò le sopracciglia al suo ultimo commento e si appuntò le mani affusolate dalle dita lunghe sui fianchi, sbuffando sonoramente dalle narici.
«L’ultima volta che ho controllato mi è sembrato di preparare cibo caldo...» replicò in tono offeso.
«Non era questo ciò che intendevo!» si affrettò ad obiettare il Mezzorco indignato «Non puoi negare che mangiare in una locanda sia nettamente meglio rispetto al farlo seduti nella boscaglia...» soggiunse.
Patria gli scoccò un’occhiata di blando rimprovero. Non voleva rovinare ciò che era riuscito a raggiungere con Tharazar, ma era una questione di vitale importanza per lui.
«Te lo ricordi quello che ti ho raccontato dopo l’incidente coi funghi… vero?» chiese Patria in tono retorico.
«Sì, certo. Ma qui non ci sono bambini dispettosi che cercano di toglierti di mezzo. È una locanda! È fatta per accogliere i viaggiatori!» replicò il Mezzorco in tono convinto, voltandosi poi a dargli le spalle.
«Tharazar non cred...» esordì il Tiefling ma non riuscì a terminare la frase che già l’altro si era incamminato verso l’edificio «Oh, al diavolo!» sbuffò, frustrato dalla sua fretta, correndogli appresso.
Non aveva per niente voglia di incontrare altre persone, sconosciuti che l’avrebbero visto solo per quello che era esteriormente: un mezzo demone. Preferiva di gran lunga la foresta alla civiltà; tuttavia, si sentiva in dovere di sorvegliare Tharazar per evitare che la sua stessa ignoranza del mondo gli si ritorcesse contro.
«Sei troppo tenero, Patria» rifletté tra sé e sé mentre pedinava il suo compare.
Giunsero rapidamente in vista della porta principale della locanda. Tharazar aveva una tale fretta di entrare che pareva avesse il diavolo alle calcagna - e no, Patria non contava come tale.
Quest’ultimo avrebbe voluto fermarlo ma il Mezzorco superò la porta con tale velocità da non lasciargli modo di intervenire. Patria sollevò gli occhi al cielo, raccogliendo tutta la pazienza di cui era a disposizione prima di varcare l’ingresso a sua volta.
L’interno della locanda era piuttosto spazioso nonostante le dimensioni modeste dell’edificio. C’erano diversi tavoli e un lungo bancone dietro il quale una Mezzorca si stava occupando di pulire alcuni boccali, assistita da un paio di Umani piuttosto giovani. Una Mezzelfa e una Nana si stavano occupando di servire la cena ai tavoli, facendo continuamente avanti e indietro dalla cucina.
A far apparire il luogo più ampio di quanto in realtà fosse molto probabilmente era la scarsa clientela sparsa qua e là.
Nessuno dei pochi avventori parve far caso all’ingresso di Tharazar, il quale si fermò solo per un istante a contemplare il luogo prima di andare a sedersi ad uno dei tavoli ancora liberi. Quando la sua imponente stazza ebbe lasciato campo libero a quella un po’ più minuta di Patria, molte più teste si voltarono verso la porta e il Tiefling si ritrovò ad essere osservato con cipigli curiosi e diffidenti da quasi tutti coloro che si trovavano nella locanda.
Rimase paralizzato dove si trovava per diversi secondi, ponderando sull’eventualità di andarsene senza neanche dare una chance al luogo.
«Patria! Che fai lì impalato sulla porta?! Vieni a sederti che ho fame!».
La “soave” bassa voce di Tharazar ruppe la sua linea di pensieri, riportandolo bruscamente alla realtà. Scosse leggermente il capo e si diresse con non poco disagio verso il compagno di viaggio, accomodandosi con movimenti rigidi accanto a lui.
«Non credo sia una buona idea rimanere q…» Patria sollevò lo sguardo dalle assi di legno del tavolo e aggrottò le sopracciglia vedendo che Tharazar stava agitando un braccio per attirare l’attenzione di qualcuno oltre di lui «Che stai facendo?!».
Il Mezzorco lo guardò di traverso con aria perplessa.
«Vorrei mangiare prima di crollare addormentato sul tavolo!» replicò indispettito.
«Non mi parevi così stanco poco fa...» gli fece notare l’altro.
«Era prima di trovarmi di fronte alla prospettiva di dormire in un letto vero!» sbottò il Mezzorco con convinzione.
La discussione fu interrotta dall’arrivo della Mezzelfa, la quale si rivolse direttamente a Tharazar, ignorando il Tiefling in maniera deliberata e palese - almeno per il diretto interessato.
«Buonasera, cosa posso portarle? Questa sera il menù prevede...» esordì la giovane ma Tharazar non volle neanche sentirla.
Picchiò con forza un pugno sul tavolo, facendolo vibrare appena, per poi esclamare con voce chiara e forte: «Voglio tutto il menù!».
Il brusio diffuso si ridusse a silenzio all’udire la sua affermazione e stavolta a catalizzare l’attenzione generale fu lui e non il suo compagno di viaggio, il quale peraltro era rimasto scioccato quanto gli altri.
«C-come prego?» la Mezzelfa si ritrovò a balbettare con fare confuso, non sapendo come comportarsi nei riguardi della sua richiesta.
«Ho chiesto l’intero menù» ripeté il Mezzorco, scandendo meglio le parole «È tanto strano?».
Non capiva cosa ci fosse di anormale in una persona affamata che chiedeva del cibo, specialmente in un posto come una locanda.
La risposta gli arrivò in forma di un poco delicato calcio nei polpacci che lo fece sobbalzare e gli strappò un gemito. Era la prima volta in vita sua che gli davano un calcio con qualcosa di tanto duro e doloroso.
«Vogliate perdonare il mio compagno di viaggio. Non ha il senso della misura» intervenne Patria con una voce particolarmente suadente «Basta una porzione del piatto del giorno».
«Non è vero! Voglio tutto il menù. Patria non ti intromettere!» ribatté stizzito il Mezzorco, al che l’altro lo fissò con sguardo rabbioso e gli chiese: «Hai idea di quanto costi? Pensi davvero di potertelo permettere?!».
Tharazar raddrizzò le spalle e sogghignò con l’aria di chi sapeva qualcosa che ad altri era negato.
«In verità sì» e così dicendo staccò dalla sua cintura una piccola scarsella di pelle e ne estrasse cinque monete d’oro, che buttò sul tavolo come se niente fosse, sotto gli sguardi attoniti di Patria e della cameriera «Bastano per avere tutto il menù?» chiese, rivolto alla Mezzelfa.
La faccia dell’interpellata mutò immediatamente espressione, abbandonando lo stupore in un goffo tentativo di ricomporsi. Era evidente che prima di allora non avesse mai avuto occasione di vedere così tanto denaro tutto insieme.
«S-sì! Ma certo!» disse precipitosamente, raccogliendo il denaro e portandolo di corsa alla Mezzorca dietro il bancone.
Le due confabularono tra di loro a bassa voce per alcuni minuti. La Mezzorca sgranò gli occhi e saggiò la veridicità dell’oro cercando di mordere una moneta e piegarla, fallendo nel tentativo. Decisamente emozionata per l’evento, bisbigliò qualcosa alla Mezzelfa e la rispedì al tavolo da cui era arrivata mentre si recava personalmente in cucina.
«Il suo ordine arriverà il prima possibile» disse trafelata la cameriera, le guance ancora arrossate per l’emozione «Posso intanto portarvi qualcosa da bere? Gradite della birra?».
«Ma certo! Due pinte!» accettò di buon grado Tharazar.
La Mezzelfa annuì e andò lesta a preparargli le birre, quindi gliele portò al tavolo e poi tornò a seguire gli altri clienti nel mentre che la loro cena veniva approntata.
Il Mezzorco afferrò il suo boccale e tracannò metà del contenuto in un sorso solo, appoggiandosi poi contro lo striminzito schienale della sedia su cui si trovava, facendolo scricchiolare leggermente.
Patria non toccò il boccale che era stato posato davanti a lui, fissandolo piuttosto con cipiglio cupo e diffidente.
«Dove hai trovato tutti quei soldi?» chiese poi al suo compagno di viaggio, sollevando lo sguardo verso di lui.
«In che senso? Quelli sono i miei soldi! Li ho presi quando sono andato via dall’Arena» spiegò Tharazar con tono naturale, come se fosse normale viaggiare avendo in tasca così tanto oro «Te l’avevo detto che sono il miglior gladiatore che Neverwinter abbia mai visto» aggiunse con un sogghigno tronfio, prima di finire di svuotare il suo boccale.
«Me l’hai detto, sì» Patria cercò di mantenere il controllo, giusto per non mettersi a gridare e attirare ulteriore attenzione su di loro «Ma quelli… quelli sono davvero un sacco di soldi».
Tharazar fece spallucce con assoluta nonchalance.
«Ne ho presi solo un po’ prima di partire...» minimizzò con aria estremamente compiaciuta «Quello non lo vuoi?» domandò poco dopo, accennando al boccale ancora pieno dinanzi a Tiefling.
Quest’ultimo lo allontanò leggermente da sé, porgendoglielo, quindi estrasse dal suo zaino una borraccia e bevve un piccolo sorso da essa.
Il Mezzorco lo seguì con curiosità per l’intera azione, poi fece spallucce in silenzio e cominciò a bere dal suo boccale.
L’attesa per la cena fu inferiore al previsto, anche perché i piatti dalla cucina cominciarono ad uscire un po’ per volta a cominciare da un paio di scodelle di primi piatti.
Tharazar si lanciò sul cibo come se fosse digiuno da giorni, premurandosi soltanto di ordinare prima altra birra per buttar giù il tutto. Nonostante il suo evidente entusiasmo per una cena che si prospettava molto più abbondante di quelle consumate di recente, il Mezzorco si trattenne dall’abbandonarsi ad esibizioni d’inciviltà: mangiava servendosi esclusivamente delle posate e benché si ingozzasse a velocità impressionante, masticava e inghiottiva a bocca chiusa, pulendosi il mento più spesso di quanto qualsiasi persona avrebbe fatto in un frangente simile; inoltre si tratteneva dal ruttare apertamente dopo ogni sorso di birra, tappandosi la bocca con il pugno chiuso.
Patria non pareva minimamente interessato alla cena: non appena le portate gli venivano messe davanti, lui le spingeva lentamente nel raggio d’azione di Tharazar, molto più ampio di quanto potesse sembrare ad un primo sguardo.
Non era certo un segreto il fatto che il Mezzorco avesse sempre un gran appetito: il suo stomaco era più puntuale di un orologio quando si trattava di essere riempito; tuttavia, era la prima volta in assoluto che il Tiefling lo vedeva ingurgitare così tanta roba tutta in una sola volta. Nella foresta, ovviamente, non aveva avuto modo di presentargli porzioni tanto abbondanti.
«Tu non mangi?» chiese Tharazar dopo un po’, quando ormai delle prime portate non era rimasto quasi niente sul tavolo se non le stoviglie sporche e quasi del tutto vuote.
Se non altro si era accorto del suo digiuno, anche se un po’ in ritardo, ma meglio tardi che mai.
«Te l’ho già spiegato...» brontolò a mezza voce il suo compagno, scoccando un’occhiata di sbieco alla Mezzelfa che stava arrivando al loro tavolo con le braccia cariche di altre portate «Non mi fido del cibo preparato da altri...».
I secondi presero il posto dei primi e l’aroma di carne prese il sopravvento sul vago profumo di zuppa calda che era rimasto a permeare l’aria.
Diversi tagli di carni di non proprio chiara provenienza furono posizionati dinanzi al Mezzorco, il quale sgranò gli occhi chiari con improvvisa ammirazione mista a quella che poteva quasi passare per eccitazione. Un sottile rivolo di saliva gli scivolò sul mento e solo Patria si accorse della sua presenza.
Con rinnovata voracità, portò a sé il piatto più vicino e si avventò sul povero pezzo di carne che giaceva su di esso, ricoperto di sugo e circondato da un letto di patate cotte.
Se con la prima ondata di pietanze Tharazar era riuscito a mantenere un certo decoro nel modo di porsi, ogni suo sforzo in tal senso venne completamente meno di fronte all’apparizione dei piatti più consistenti. Laddove era richiesto, non si peritò affatto ad afferrare il cibo con le mani e addentarlo selvaggiamente, strappandone bocconi grossi persino per la sua bocca.
Patria era quasi ipnotizzato dallo spettacolo. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: il suo cervello continuava a mettere a confronto “quel” Tharazar con quello con cui aveva viaggiato sino ad allora. Non c’era più nessuna traccia del Mezzorco emotivamente fragile e incline alla depressione e all’avvilimento con cui aveva imparato ad avere a che fare. Era come se il trovarsi in un luogo civilizzato tirasse fuori il lato migliore di lui, quello più allegro e più tendente alla positività.
Guardandolo in quel momento, mentre si ingozzava felice in mezzo alla locanda, sotto gli occhi di tutti, Patria si sentì improvvisamente come se fosse di nuovo solo e fuori luogo, come quando ancora Tharazar non aveva fatto irruzione nella sua vita.
Il Tiefling scosse il capo, abbassando lo sguardo cupo verso il suo piccolo spazio di tavolo vuoto - l’unico rimasto tale.
«Perché mi sento inutile qui? In fin dei conti… è soltanto una semplice tappa...» ponderò tra sé e sé, cercando di placare la sua crescente inquietudine.
All’improvviso Patria vide arrivargli sotto il naso quello che aveva tutta l’aria di essere un cosciotto di pollo, stretto nella mano di Tharazar per la parte inferiore, dove si trovava l’osso.
Il diretto interessato alzò gli occhi neri sul suo compagno, che vide intento a terminare di deglutire un bel boccone con un sorso di birra.
«Vuoi mangiare? Non dovresti andare a dormire digiuno...» esclamò quest’ultimo, una volta che ebbe di nuovo la bocca libera «… altrimenti domani come facciamo a ripartire se non sei in forze?».
Patria percepì qualcosa muoversi e mutare in profondità nel suo animo, anche se non avrebbe saputo identificarlo con certezza assoluta. Fu una sensazione strana e piacevole al tempo stesso.
«Non voglio mangiarlo. Chissà cosa...» esordì, ma le sue parole si spensero vedendo la mano di Tharazar ruotare leggermente, mostrando il lato nascosto della coscia di pollo, che esibiva le tracce di un bel morso.
«Sono ancora vivo» il Mezzorco sollevò gli occhi al cielo con fare innocuo e pensoso, raddrizzando di colpo le ampie spalle «… oh, sì che lo sono. E sono ancora splendido per giunta…!» a quel punto si abbassò, sporgendosi verso Patria per sussurrargli: «… quindi non può farti del male, giusto...?».
Il cuore di Patria ebbe un tuffo nel sentire Tharazar bisbigliare vicino al suo orecchio con voce bassa e morbida, in un tono talmente eloquente e persuasivo che non riusciva a capacitarsi di come potesse opporsi alla sua proposta.
Con le mani che tremavano appena per l’imbarazzo, Patria prese il pezzo di pollo e lo addentò timidamente, masticando la carne piano piano. Non era come la sua cucina, però era abbastanza buona. Quantomeno commestibile.
Iniziò a mangiare in silenzio e lentamente, rimanendo composto sulla sua sedia, quasi volesse sparire mimetizzato con essa.
Vedendolo mangiare, Tharazar gli spinse vicino il resto del piatto da cui proveniva la sua coscia e - dopo averne assaggiato appena il contenuto - anche un boccale di birra.
Era contento di vederlo nutrirsi.
Patria si ritrovò a pensare a come Tharazar si stesse prendendo cura di lui e lo stesse aiutando coi suoi problemi in quel frangente particolare. Di solito accadeva l’esatto contrario tra loro; tuttavia, essere oggetto di preoccupazioni altrui lo metteva a disagio ma al tempo stesso gli faceva piacere. Significava che c’era qualcuno che teneva a lui e alla sua salute, in fin dei conti.
Era stupefacente pensare che tra tutti quanti, proprio Tharazar fosse colui che pareva interessarsi maggiormente delle sue condizioni. Più ci pensava e più il suo cuore palpitava frenetico nel suo petto.
«Patria stai fantasticando troppo…» sospirò tra sé e sé, cercando di smorzare il proprio entusiasmo; eppure, Tharazar continuò a porgergli piatti di cui aveva assaggiato il contenuto per dimostrargli che era al sicuro e Patria continuò a mangiarli. Fece la stessa cosa pure con alcuni boccali di birra, di modo che potesse bere tranquillo senza rischiare di soffocare.
Per fortuna non erano previsti dolci sul menù: il Tiefling solo con la sua piccola parte di secondi piatti si sentiva così pieno che gli sembrava di essere sul punto di esplodere. Non immaginava in che condizioni fosse Tharazar, che al termine dell’ultimo piatto si addossò allo schienale ricacciando indietro solo per metà un poderoso rutto carico di soddisfazione.
Con gran sorpresa del suo compagno, dopo aver dato sfogo a diversi rutti in fila, più o meno smorzati, il Mezzorco si alzò in piedi e camminò sicuro fino al bancone. Patria, intontito dallo stomaco pieno, si chiese come facesse ad avere ancora tanta energia per riuscire ad alzarsi con tale naturalezza.
Lo vide confabulare con la Mezzorca ma non udì lo scambio di battute: incredibilmente, Tharazar era anche capace di bisbigliare a volume impercettibile. La femmina dopo poco annuì e gli indicò qualcosa con la mano, situato in lontananza alla sua sinistra.
Volgendo gli occhi nella stessa direzione, Patria vide che lungo la parete all’estremità della locanda si trovava un piccolo palco sopraelevato, ad ora vuoto.
Tharazar si diresse verso di esso spavaldo e sicuro di sé e per un momento Patria pensò che volesse mettersi a cantare. Le sue abilità canore non erano del tutto pessime, c’era del buon margine di miglioramento; tuttavia, quando cominciava a cantare, la sua voce cambiava nettamente, assumendo connotati femminili. Il Tiefling non osava pensare a come ne sarebbe uscito il suo fragile ego sé tutta la locanda si fosse messa a ridergli in faccia per la sua vocetta tutt’altro che virile; tuttavia, il Mezzorco pareva sicuro di sé e ancora in possesso delle sue facoltà mentali.
Non poteva mettersi a cantare. Doveva pur ricordarsi della reazione che Patria stesso aveva avuto quando era accaduto la prima e ultima volta.
«Ma perché mi trovo sempre a preoccuparmi così per lui…?» brontolò tra sé e sé, appoggiandosi allo schienale mentre contemplava con un certo imbarazzo la birra rimasta nel suo boccale. Tornò a seguire Tharazar con lo sguardo, sorseggiando la bevanda.
Il suo compagno di viaggio era salito sul palco. Persino nei suoi logori vestiti un tempo sfarzosi sembrava stonare in quella modesta locanda sperduta nel bosco.
Patria attendeva col fiato sospeso di sapere cosa stesse macchinando di fare. Se davvero si fosse messo a cantare, sarebbe dovuto intervenire per evitare che le conseguenze lo spingessero in un abisso di disperazione e autocommiserazione. Contro ogni sua aspettativa in merito, il Mezzorco mise mano alla sua sacca e ne estrasse un piccolo strumento di metallo lucente. A Patria occorsero alcuni istanti per capire che si trattava di una fisarmonica. Tharazar la portò alle labbra e cominciò a suonare.
Durante tutto il viaggio fin lì, Patria non lo aveva mai visto tirare fuori uno strumento musicale, men che mai l’aveva sentito suonarlo. Rispetto alla sua mediocre prova come cantante, si vedeva chiaramente che quel tipo di esibizione era molto più nelle sue corde. Doveva essersi allenato molto nell’uso dello strumento per la bravura con cui riusciva a suonarlo.
Il Tiefling rimase ad ascoltarlo per tutto il tempo, rapito dal crescendo di complessità della musica che stava suonando, e come lui il resto della locanda.
Per come Tharazar si muoveva sul palco - limitato in ampiezza se paragonato alla sua stazza - doveva aver avuto modo di esibirsi in simili ambienti anche in passato. Pareva completamente a suo agio, come se fosse nato per quello.
Alla fine dell’esibizione, il silenzio che gravava nella locanda fu spezzato da uno scroscio di applausi. I clienti non erano molti ma dal chiasso che producevano, chiunque fosse passato fuori in quel momento avrebbe detto che fossero almeno il doppio. Patria su unì con calore agli applausi, stupito dalla bravura del proprio compagno, che si stava inchinando al suo pubblico con un sorriso smagliante e orgoglioso stampato in viso.
Il Mezzorco scese dal palco poco dopo, quando gli applausi cominciarono a scemare, e il Tiefling si alzò per andargli incontro; tuttavia, quest’ultimo notò che l’altro non stava venendo verso di lui, bensì andando di nuovo al bancone.
Patria si fermò sul posto, incuriosito, osservando la scena: la Mezzorca sorrise al suo simile non appena giunse dinanzi a lei e annuì prima ancora che Tharazar avesse modo di chiederle qualsivoglia cosa, quindi si chinò a prendere qualcosa da sotto il bancone. Poggiò nel palmo aperto del Mezzorco quella che senza ombra di dubbio era una chiave di bronzo, poi gli fece un cenno indicando le scale che si trovavano dal lato opposto rispetto al palco.
Patria non riusciva a capire che cosa fosse appena accaduto e il fatto che fosse sazio e reduce da una lunga giornata di viaggio non aiutavano a renderlo più lucido. Per sua fortuna il suo compare non pareva intenzionato a mantenere a lungo il segreto, dato che si stava già dirigendo verso di lui.
Il Tiefling rimase fermo dove si trovava, ad aspettarlo. Quando furono abbastanza vicini, Tharazar esclamò: «Che ci fai ancora lì impalato? Andiamo a dormire. C'è una stanza per noi di sopra».
«Eh?» fece l'altro, corrugando le sopracciglia con cipiglio confuso «I-in che senso? Non hai pagato solo per la cena?».
«Infatti» Tharazar sorrise di sghembo in maniera stranamente seducente, tanto che Patria arrossì senza neanche accorgersene del tutto «La camera è offerta dalla locandiera per la mia splendida esibizione».
«Da-davvero?» il Tiefling era stupito. Non poteva negare che il suo spettacolo fosse stato superbo, ma tra quello e l'avere alloggio gratis c'era un po' di differenza - almeno a parere suo.
Anziché rispondergli, Tharazar gli agitò la chiave appena ricevuta davanti al viso.
«Questa altrimenti come l'avrei avuta?» domandò a sua volta in tono retorico «Vogliamo andare ora? Comincio ad essere stanco per davvero...» esclamò poi, abbandonandosi ad uno sbadiglio poderoso che contagiò pure Patria.
«Va bene... sono stanco anche io» ammise quest'ultimo, incamminandosi lentamente verso le scale, tenendosi una mano sull'addome «... era davvero necessario che tu ordinassi tutto quel cibo...?» chiese poi, abbassando la voce affinché solo il suo interlocutore potesse udirlo.
Tharazar inarcò un sopracciglio con aria scettica, come se non riuscisse a credere a ciò che stava sentendo.
«Mi pare che anche tu abbia mangiato a sufficienza...» ed emise un sonoro sbuffo dalle narici «In realtà, non ho ancora sentito un "grazie" da parte tua...» soggiunse, guardando l'altro di traverso, assumendo un contegno quasi offeso.
La faccia di Patria divenne quasi viola per l'imbarazzo nel sentirsi accusare di essere un ingrato.
«Mangiare a sufficienza non significa rimpinzarsi fino a scoppiare» brontolò indignato, iniziando ad inerpicarsi pian piano su per le scale, aggrappandosi con la mano ancora libera alla ringhiera.
«Io sto ancora aspettando» puntualizzò Tharazar, rallentando per rimanere alla sua stessa velocità di salita. Un sorrisetto impertinente aleggiava ancora sulle sue labbra ma Patria non era nelle condizioni fisiche né tantomeno mentali per farlo sparire; pertanto dovette concedergli ciò che desiderava così tanto.
«... grazie» esalò in tono non troppo convinto, distogliendo lo sguardo da lui per concentrarsi sui gradini che lo separavano dal piano superiore.
Il Mezzorco non era pienamente soddisfatto del risultato, ma immaginava che non sarebbe riuscito ad ottenere altro e che quindi avrebbe dovuto accontentarsi.
«Ti aspetto in camera» e così dicendo superò il suo compagno, risalendo l'ultimo tratto di scale due gradini per volta.
Il Tiefling lo vide scomparire oltre l'angolo sulla sinistra, e a niente valse esclamare un piccato: «Tharazar! Aspettami!».
Rimase da solo ad avanzare incerto su per le scale, con la pancia piena e il sonno che minacciava di travolgerlo da un momento all'altro. Cercò di stringere più forte la presa sulla ringhiera, come se fosse un'ancora che lo manteneva collegato al mondo reale, e continuò la sua pesante ascesa.
Quando arrivò finalmente in cima, si incamminò nella direzione in cui aveva visto andare Tharazar, chiedendosi come avrebbe fatto a riconoscere la loro stanza senza avere un riferimento di sorta: la chiave l'aveva sempre tenuta il Mezzorco e anche se gliel'aveva mostrata una volta, era stato per pochissimo e il Tiefling non aveva avuto la prontezza di riflessi necessaria a memorizzare il numero che era inciso su di essa. Per sua fortuna, il suo compagno di viaggio era un individuo abbastanza eccentrico da riuscire a dare nell'occhio anche quando non era nei paraggi: tra le porte che correvano lungo la parete destra, Patria scorse senza difficoltà una camicia bianca piuttosto raffinata e logora che penzolava dalla maniglia.
Non poteva che essere quella di Tharazar, se non altro perché nessun altro avrebbe avuto l'idea di appendere un proprio abito fuori della porta della propria camera, men che mai di toglierselo di dosso in mezzo ad un corridoio, dove chiunque avrebbe potuto vederlo.
«Il solito narcisista...» commentò il Tiefling sospirando rassegnato, dirigendosi senza indugio verso la porta "contrassegnata".
Quando arrivò dinanzi ad essa, notò che oltre ad aver lasciato fuori la camicia, il Mezzorco aveva "dimenticato" la porta aperta, molto probabilmente per farlo entrare in autonomia.
Patria raccolse il suo indumento e spinse l'uscio quel tanto che bastava a fare capolino all'interno: voleva assicurarsi che l'altro non fosse nudo. Con suo sommo sollievo vide che la stanza era vuota e percepì che dalla porticina laterale proveniva un chiaro ed inequivocabile rumore di acqua in movimento. Tharazar si stava lavando.
«Mi pareva strano che non avesse ancora accennato alla cosa...» ponderò tra sé e sé il Tiefling, avanzando verso il centro della camera. Questa era invero di dimensioni piuttosto modeste, con un piccolo tavolo rotondo in un angolo - provvisto di una singola sedia - e un solo letto.
Patria si avvicinò ad esso e rabbrividì notando che oltre ad essere uno solo, era un letto di dimensioni sufficienti ad ospitare due persone insieme. Tharazar pareva inoltre aver già decretato quale metà fosse la sua, a giudicare dai suoi abiti appoggiati tutti lungo un fianco del materasso, anziché gettati alla rinfusa ovunque.
«Non esiste. Non dividerò il letto con lui!» dichiarò a se stesso con fermezza. C'era un limite ai compromessi cui poteva scendere e quello era senz'altro fuori discussione.
Durante i suoi solitari turni di guardia aveva avuto modo di osservare molte volte Tharazar mentre dormiva e sinceramente non aveva alcuna intenzione di sperimentare cosa si provasse a dormirgli accanto: si muoveva continuamente nel sonno, ruotandosi spesso da prono a supino e viceversa, anche in maniera piuttosto brusca e violenta; inoltre, russava terribilmente forte.
Patria aggirò il letto, andando a sedersi sul lato opposto - l'unico rimasto libero. Ascoltò per qualche momento il rumore di acqua proveniente dal bagno, per essere certo che il Mezzorco fosse ancora impegnato con la sua ossessione per l'igiene personale, quindi iniziò a spogliarsi della propria armatura. Non era un processo semplice né breve. Gli occorreva tempo per riuscire a staccare ogni piastra che teneva sulla sua persona e sperava di averne abbastanza da trascorrere da solo. Iniziò dai paraspalle e da lì scese metodico verso le zone basse della sua tunica rinforzata. Quando arrivò il momento di rimuovere la tunica vera e propria - rimasta completamente sguarnita di metallo ad eccezione della gonna - si prese un momento di pausa: rimanere nudo era una cosa che non amava particolarmente, soprattutto se c'erano altre persone nei paraggi. Pur essendo Tharazar ancora rinchiuso in bagno - e i rumori di acqua spostata confermavano che non sarebbe uscito troppo presto - Patria viveva con disagio le occasioni in cui doveva denudarsi, principalmente a causa del suo aspetto non del tutto umanoide. Sfilando la tunica infatti, venne allo scoperto la metà inferiore del suo corpo: pelosa e con gambe caprine, munite persino di zoccoli alle estremità. Patria odiava il suo aspetto fisico, odiava quegli zoccoli e quelle gambe e preferiva di gran lunga tenerle il più possibile nascoste, nella speranza che potessero dissolversi da sole se le avesse ignorate abbastanza.
Togliersi l'armatura gli faceva bene ogni tanto: tutto quel metallo perennemente attaccato addosso gli intorpidiva i muscoli e gli impediva di rilassarsi. Rimanere nudo gli strappò un gemito di sollievo che si accentuò quando fece un po' di stretching per le spalle, facendo scricchiolare le articolazioni; poi passò a farsi dei massaggi alle braccia e alle gambe.
Patria era talmente concentrato nell'occuparsi dei suoi poveri muscoli doloranti che non si accorse che i rumori dal bagno erano cessati; inoltre, era seduto sul letto dando le spalle alla porticina, per cui non si avvide nemmeno del Mezzorco che dopo poco l'aprì, riversando una leggera nube di vapore nella stanza principale.
Era completamente nudo e ancora bagnato. I lunghi capelli neri gli aderivano al cranio e al collo e terminavano come neri tentacolini disegnati sulle sue enormi spalle. Aveva un'espressione completamente rilassata stampata in viso e le sue guance arrossate contribuivano a dargli un'aria beata.
Notò dopo un momento che Patria era arrivato ed era seduto nudo sul letto. Immaginò che volesse darsi una lavata a sua volta, per cui esclamò tranquillo: «Se vuoi farti un bagno accomodati, è rimasta ancora dell'acqua calda».
Udendo la sua voce, il Tiefling scattò in piedi come se si fosse bruciato. La reazione fu istintiva e arrivò prima che potesse realizzare che così facendo non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto impedire a Tharazar di vedere le sue "zampe".
«Chi ti ha detto che potevi uscire?!» esordì furioso, voltandosi a guardarlo in faccia. Se tanto non c'era modo di evitare che lo vedesse, almeno poteva riversare su di lui la sua rabbia senza problemi.
«Non mi serve il tuo permesso per uscire dal bagno della stanza che ho comprato io!» sbuffò il Mezzorco, abbassando gli occhi verso le gambe di Patria.
Quest'ultimo immaginava che avrebbe fatto qualche commento su di esse, qualcosa che lo avrebbe fatto sentire ancora più in imbarazzo di quanto già non fosse; invece, tutto ciò che Tharazar si limitò a dire fu: «Hai degli zoccoli lì in fondo, vero? Diamine, ecco perché quel calcio di prima ha fatto così male...».
Patria serrò le labbra per trattenersi dal ridere di fronte alla sua espressione dolorante mentre si massaggiava il retro del polpaccio che lui gli aveva colpito prima di cena. Non voleva ridere, il fatto stesso che Tharazar lo avesse visto nudo per intero doveva bastare a farlo incazzare piuttosto che ridere, eppure in quel frangente non si sentiva infuriato come avrebbe dovuto. La naturalezza del commento del Mezzorco era quasi rassicurante invero, come se fosse perfettamente normale vedere un Tiefling con il corpo per metà caprino, tanto che Patria si sentì come se si fosse appena tolto un grosso peso dalla coscienza.
«N-non ti disgusta scoprire che sono mezzo capra?» domandò il Tiefling, con un tono di ribrezzo piuttosto marcato sulle ultime due parole.
Il Mezzorco corrugò le sopracciglia in un cipiglio confuso, continuando a fissarlo.
«Perché dovrebbe?» chiese con tono quasi ingenuo «Per la verità, lo trovo piuttosto… esotico… e con un suo fascino...».
Era la prima volta in assoluto che vedeva Patria senza l’armatura indosso e non si aspettava che il suo fisico fosse così asciutto e longilineo. Nonostante i muscoli addominali tonici ed evidentemente allenati, era piuttosto magrolino, quasi smunto, come se non si prendesse abbastanza cura di sé stesso. L’imponenza che c’era di solito nel suo aspetto era quasi del tutto imputabile alle piastre della sua armatura.
Era carino, non c’erano dubbi, anzi era addirittura bello, seppur secondo canoni differenti da quelli che Tharazar prendeva in considerazione per la sua persona. Pareva talmente inerme senza il suo involucro di metallo che il Mezzorco percepì l’impulso irrefrenabile di stringerlo e di proteggerlo. Non ne capiva la ragione fino in fondo, ma non gliene importava. Pur non avendo tracannato birra a sufficienza per essere del tutto sbronzo, ne aveva bevuta abbastanza perché la sua già bassa soglia inibitoria scendesse ulteriormente. L’urgenza dell’impulso prevalse sul raziocinio.
«Che carino...» commentò Tharazar, cominciando a muoversi verso il letto.
Il Tiefling rimase paralizzato dal suo commento, la faccia rossastra che pareva essere sul punto di incendiarsi completamente: gli aveva appena detto di essere… carino?!
Prima che avesse modo di reagire, il Mezzorco cambiò traiettoria e invece di andare verso i suoi vestiti aggirò il letto per andare da Patria, il quale si ritrovò ghermito dalle sue nerborute braccia grigiastre.
«C-cosa fai?!» gemette il Tiefling, cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
Il suo corpo all’improvviso gli risultava enorme e al contatto era non solo umido, ma anche dannatamente caldo.
«Sembri così indifeso senza la tua armatura...» commentò il Mezzorco vicino al suo orecchio.
Patria sgranò gli occhi, oltraggiato dalla sua affermazione. Tentò di nuovo di divincolarsi, ma Tharazar lo teneva particolarmente stretto e non riuscì a liberarsi. L’altro si prese la libertà di allungare una mano ad accarezzargli i capelli, dietro la grossa base delle corna.
Patria emise un gemito strozzato e i suoi tentativi di ribellione cessarono all’istante. Si abbandonò contro il petto di Tharazar, affondando la faccia nella sua spalla, sospirando piano mentre l’altro sogghignava tronfio: nelle sue passate esperienze coi Tiefling, non era strano che fossero particolarmente sensibili nella zona delle corna. Più di una volta le signorine con cui si accompagnava all’Arena erano cadute fra le sue braccia come bambole per l’effetto di quel tocco.
Era stato più forte di lui: doveva vedere se riusciva a rendere Patria docile come un agnellino. Se non l’avesse fatto adesso che era privo dell’armatura non ci sarebbe più stata occasione per chissà quanto tempo. Sentiva l’impulso irrefrenabile di andare a fondo della questione: non si era mai sentito così attratto da un altro maschio come in quel momento. Nonostante avesse sperimentato una vasta gamma di rapporti con le donne, non aveva mai provato niente che fosse paragonabile a ciò che lo stava spingendo inesorabilmente a scatenare la libido del Tiefling che aveva dinanzi a sé. Doveva dimostrarsi dominante nei suoi confronti, farlo cadere ai suoi piedi, riuscire a valicare quel muro che Patria pareva volersi ostinare a mantenere alzato tra di loro. Per quanto avesse cercato di trattenersi dal farlo, non ne sarebbe stato in grado.
«N-non lo fare...» sospirò Patria, la voce ovattata contro la sua spalla. Dal tono con cui l’aveva detto pareva voler intendere l’esatto opposto.
Tharazar serrò le labbra, in un ultimo sforzo di contenersi. Lottò contro l’impulso di trattenerlo ancora e alla fine perse del tutto il controllo quando sentì qualcosa di inconcepibilmente liscio e duro premergli contro l’interno della coscia, laddove fino ad un attimo prima non c’era alcun tipo di ingombro.
«Non mi sembra la reazione di qualcuno che vuole che smetta...» sussurrò lascivo al suo orecchio, continuando a grattare gentilmente la zona intorno alle sue corna.
Patria iniziò a fremere, come se avesse freddo. In realtà stava solo cercando di frenare i suoi bassi istinti. Non doveva perdere il controllo. Non poteva. Se lo avesse fatto, non sarebbe stato niente più di un demone della selva, una bestia degli Inferi. Odiava il suo sangue misto e qualsiasi comportamento lo facesse somigliare ai demoni suoi consanguinei lo disgustava.
«No… fermo… non voglio...» il Tiefling continuava a cercare di convincere non solo Tharazar ma anche se stesso, negando ciò che il suo corpo invece manifestava in maniera piuttosto chiara.
Il Mezzorco trovava tutto ciò attraente. I suoi futili tentativi di ripudiare i suoi desideri erano divertenti e teneri allo stesso tempo. Lui stesso non faceva sesso da così tanto tempo da risultare indifferente alla sessualità del suo partner.
Aveva vissuto abbastanza peripezie insieme a Patria da poterlo definire più di un’avventura da una sola notte e ciò lo qualificava già ben oltre tutte le donne con cui era stato in passato. Non poteva fermarsi, doveva fare un tentativo.
Con incredibile delicatezza, sollevò il mento del suo partner in modo da poterlo guardare negli occhi. Quei pozzi neri che per così tanti giorni gli avevano rivolto solo sguardi di biasimo e di rimprovero adesso apparivano carichi di debolezza e tacite suppliche.
Tharazar passò la lingua sul versante interno della sua zanna sinistra, che protrudeva dall’estremità inferiore della sua bocca mentre contemplava il modo migliore di fare ciò che aveva in mente. Alla fine decise che qualsiasi maniera avesse adottato, sarebbe stata quella perfetta: poteva avere poca esperienza della vita fuori dell’Arena, ma non in questo.
Si curvò sul viso di Patria e annullò semplicemente la distanza tra le loro labbra. Quelle del suo compagno erano così sottili e piccole rispetto alle sue che era difficile riuscire a mantenere il contatto solo con quelle; tuttavia, Tharazar si sforzò di farlo, almeno in un primo momento.
Patria non si aspettava un simile gesto da parte sua e inizialmente rimase interdetto, immobile contro la bocca del Mezzorco che cercava di scatenare una reazione di qualche tipo in lui. Quando Tharazar tentò di penetrare nella sua bocca con la lingua, qualcosa scattò nel suo animo, una sorta di impulso primitivo che Patria - negli ultimi attimi di “lucidità” - paragonò ai suoi momenti di furia cieca.
Tharazar sentì il corpo del Tiefling tendersi e irrigidirsi nella sua presa e le sue labbra aprirsi alle sue insistenze; tuttavia, fu la lingua di Patria ad uscire anziché la sua ad entrare. Freneticamente si infilò nel suo cavo orale, dibattendosi tra i denti e passando in rassegna l’intera cavità come una bestia in trappola che cercava una via di fuga per aver salva la vita.
Tharazar fu sorpreso della sua improvvisa reattività, in senso positivo, almeno finché non si sentì ghermire i fianchi con forza per essere scaraventato sul materasso. Il gesto lo colse di sorpresa, tanto che non riuscì ad opporre alcuna resistenza.
Patria salì in ginocchio su di lui. Nella luce della stanza, il suo viso pareva aver assunto connotati ancor più demoniaci del solito e i suoi occhi esprimevano una specie di follia selvaggia. Aveva le labbra schiuse sulle due fila di denti affilati come rasoi e la lingua passava ripetutamente su di esse.
«Vuoi davvero giocare con me?» domandò, e Tharazar rabbrividì udendo di nuovo la stessa voce ultraterrena che già una volta Patria aveva adottato nella foresta, quando aveva perso il controllo perché pensava che lui volesse avvelenarlo con dei funghi di cui ignorava la pericolosità. Il suo tono però non era aggressivo e furioso come quella volta, bensì divertito e lascivo.
«Che cosa ho scatenato…?» domandò a sé stesso il Mezzorco, cominciando a dubitare delle sue azioni «Non è proprio... un gioco quello che avevo in mente...» disse poi a voce alta. Era percepibile una buona dose di incertezza nel suo tono: non sapeva quanto poteva spingersi in là con quella “versione” di Patria senza peggiorare ulteriormente la situazione.
Il Tiefling rise e scese dal letto, continuando a fissarlo con una strana luce negli occhi, un misto di desiderio e di pietà per colui che aveva dinanzi.
Nonostante l’istinto di sopravvivenza gli gridasse di non tentare mosse azzardate con “quel” Patria, il suo orgoglio prevalse: nessuno poteva guardarlo in quella maniera. Tharazar il Magnifico non doveva suscitare pietà in nessuno, solo ammirazione e timore reverenziale.
Approfittando della evidente disparità di stazza tra di loro e dei suoi lunghi anni di addestramento nel muoversi più velocemente dei suoi avversari, il Mezzorco scattò come una molla dal letto. Prima che Patria lo realizzasse, l’aveva ghermito di nuovo per i polsi e l’aveva spinto prono contro il materasso, invertendo le posizioni reciproche e immobilizzandolo. Più che sulla sua forza fisica - che non era proprio la sua carta vincente - Tharazar fece leva sul suo peso non indifferente per mantenere la sua posizione di vantaggio. Si sedette a cavallo del suo deretano, bloccandogli con ambo le mani i polsi dietro la schiena.
«Sono io che comando il ritmo, qui» dichiarò deciso «Quindi… ehm… restituiscimi Patria!».
L’altro scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Non c’è nessuno oltre a me, stupido Mezzorco. Sono sempre io… migliorato» sibilò con disprezzo.
L’altro liberò una delle sue mani per tornare ad accarezzargli i capelli dietro uno dei corni.
«Smettila!» ruggì il Tiefling, cercando di divincolarsi «Smetti immediata… mente… ah!».
L’eco ultraterrena cominciò a scemare, perdendosi in una miriade di mugolii che riportarono Patria al suo tono di voce originario - e probabilmente anche alla sua vera personalità.
«Patria?» chiese il Mezzorco, cessando di toccarlo.
L’altro ansimò piano contro le coperte, poi cominciò a tremare di nuovo, proprio come stava facendo all'inizio - se non addirittura peggio.
«Tharazar… s-scendi per favore… non r-resisto… più...» rantolò con tono supplichevole. Pareva star quasi soffrendo.
Tharazar rimase per un attimo fermo dove si trovava, per vedere se era soltanto una finta della versione "malvagia" del suo compagno di viaggio per cercare di liberarsi e poterlo soverchiare di nuovo oppure no.
«Prima mi fai... eccitare... e poi mi lasci così...?» gemette ancora Patria, vibrando in maniera incontrollabile «... fa' qualcosa...» lo implorò con voce appena stridula.
Non c'erano più dubbi in merito. Non poteva non essere sincero in quel momento.
Il Mezzorco smontò da lui e sorridendo esclamò: «Se me lo chiedi così... chi sono io per negarti un tale piacere?».
Patria non aggiunse altro, limitandosi a mettersi carponi rivolgendo il deretano stretto e peloso nella direzione del suo partner, esibendo non solo la sua metà caprina ma anche il suo pene, che appariva decisamente fuori luogo: oltre ad essere piuttosto notevole in lunghezza, era anche insolitamente glabro. La pelle era nero-violacea come il suo pelo e l'erezione era gonfia alla base e più stretta verso l'apice, completamente eretta.
Tharazar non si focalizzò troppo a lungo su di essa, anche se gli sarebbe piaciuto indagare oltre in merito alla sua particolare anatomia. I suoi occhi azzurri si concentrarono sulla sottile fessura che separava le natiche del Tiefling.
Non aveva esperienza in merito a come funzionasse un rapporto sessuale tra maschi, almeno non per sperimentazione diretta. Sapeva tuttavia che c'erano delle "regole" basilari e fondamentali che valevano per entrambe le tipologie di sesso, primo tra tutto il fatto che gli orifizi dovevano essere lubrificati a dovere.
Pur essendo di una forma fallica convenzionale, l'erezione di Tharazar era proporzionata alla sua stazza - se non addirittura più grande - per cui senza le dovute precauzioni rischiava di fare del male al culetto di Patria.
Solitamente per le femmine non servivano interventi esterni differenti dai semplici preliminari, dato che il loro apparato riproduttivo era fatto appositamente per agevolare l'ingresso del pene. Tharazar dubitava fortemente che un culo fosse dotato della stessa capacità di lubrificazione autonoma.
Tharazar si portò il medio alla bocca e lo ricoprì di un abbondante strato di saliva, quindi lo spinse delicatamente tra le chiappe del Tiefling, cercando di forzargli l’apertura per prepararlo a qualcosa di ben più grosso. Sentì il suo corpo fremere più intensamente e tendersi mentre lui ansimava come se gli mancasse il fiato.
«Rilassati. Se ti agiti così tanto sarà più doloroso» gli suggerì a bassa voce, con tono suadente «Lascia fare a me. Sono un vero esperto in questo».
Seguirono alcuni attimi di silenzio in cui tutto ciò che Patria si limitò a fare fu cercare di respirare normalmente, per poi mettersi a ridacchiare.
«Spero non... quanto… lo eri nel bosco...» boccheggiò divertito.
Tharazar spinse piano il dito più all’interno, premendo gentilmente il polpastrello umido contro le pareti del condotto, strappando un gemito spezzato al suo partner.
«… ti basta come risposta?» domandò, compiaciuto del risultato. Vide l’altro agitare la testa debolmente in segno d’assenso, al che continuò.
Tharazar diede tutto se stesso in quel momento. Desiderava che Patria sperimentasse qualcosa di piacevole e che si ricordasse di quella notte per molti anni a venire, anche nel caso in cui si fossero divisi. Si impegnò per lubrificare e per preparare il suo culo all'ingresso di un'erezione che avrebbe infinitamente apprezzato le sue attenzioni ma che - almeno per adesso - pendeva rigida ma abbandonata.
I continui versi a stento trattenuti del Tiefling lo eccitavano e lo compiacevano al tempo stesso, convincendolo a tutti gli effetti del fatto che stava mettendo correttamente a frutto le sue conoscenze in materia. Era eufemistico definire soltanto "appagante" la sensazione di riuscire a dimostrare di essere capace di fare qualcosa a qualcuno che è sicuro tu sia un completo incompetente - per quanto Patria recentemente avesse smesso di farglielo pesare di continuo.
L'altro non riusciva a capacitarsi di come le sue enormi mani di solito così goffe e dai modi bruschi fossero anche in grado di essere tanto delicate. Nonostante il bruciore iniziale e la continua impressione di dover serrare le chiappe per cercare di spingere fuori le sue dita invadenti, uno strano piacere si era insinuato in lui man mano che i polpastrelli del Mezzorco sondavano l'interno del suo ano.
Ignorare la sua erezione fu la parte davvero difficile. I suoi impulsi sopiti erano stati risvegliati con tale irruenza che adesso anelava l'orgasmo con ogni fibra del suo essere; tuttavia, le braccia gli servivano libere per potersi mantenere in equilibrio carponi sul letto.
La scena proseguì per diversi minuti, fino a che Patria non percepì i suoi polpastrelli - dopo un po' di lavoro era riuscito ad infilarne fino a tre insieme - essere rimossi. Il Tiefling ansimò e rimase in silenzio, tremante, in nervosa attesa del prossimo passo.
«Girati. Voglio guardarti in faccia mentre lo facciamo» sentì dire a Tharazar con un tono che non era di comando «Deve essere una cosa che piace a entrambi».
Patria abbassò timidamente le natiche e si ruotò, mettendosi seduto davanti all'altro.
«Mi avresti chiesto di farlo se davvero fosse così» brontolò con fare remissivo, fissando ostinatamente negli occhi il Mezzorco.
«La tua reazione a quelle carezze dietro le corna mi sembrava piuttosto esplicita...» replicò quest'ultimo «... ma se vuoi tirarti indietro, sei ancora in tempo. Quelli erano solo preliminari» e gli lanciò un sorriso accattivante.
Patria ci rifletté per qualche istante e sentì che, nel profondo, quello era esattamente ciò che voleva. Negarlo gli avrebbe soltanto fatto male.
Imbarazzato, aprì le gambe e si mise sdraiato supino, per poi lanciare un'occhiata al suo partner.
«... così va bene?» chiese, non senza arrossire. Si sentiva così stupido e così inerme in quel momento. Erano anni che non provava una cosa del genere, eppure una parte di sé era sollevata poiché conscia di poterselo permettere in sua presenza.
Tharazar si spostò in ginocchio tra le sue cosce, sollevandole appena per appoggiarle poco sotto il suo bacino. La sua erezione svettava dritta e vogliosa, piegata leggermente verso il basso. Quella di Patria era ribaltata sul suo addome ed arrivava senza problemi ad accarezzargli l'orlo dell'ombelico.
«Perfetto» annuì il Mezzorco, piegandosi appena su di lui «Ora solleva il sedere facendo leva su di me con le gambe» spiegò, picchiettandogli il polpaccio sinistro con la mano mentre con l'altra andava a stringere il suo pene.
Patria eseguì. Era abbastanza allenato perché una tale prova non comportasse eccessivo sforzo da parte sua. Allacciò le gambe attorno al bacino di Tharazar e lo utilizzò come supporto per muoversi. Il suo corpo era incredibilmente solido e il Tiefling riuscì a spostare in alto il culo senza che perdesse l'equilibrio. Era inamovibile, come una montagna.
«Visto che è la prima volta... farò piano» Tharazar sospirò e Patria poté sentire un lieve tremito nella sua voce, che durò solo un attimo «Se ti faccio male, troppo male, dillo. Subito. Chiaro?».
L'altro annuì e rimase a guardarlo, in trepidante attesa. Il Mezzorco si prese il suo tempo per calibrare a dovere l'angolazione. Con le donne era più semplice, dato che in quella particolare posizione la vagina era naturalmente rivolta in obliquo, per agevolare al massimo l'amplesso.
«Non puoi farti sconfiggere da un ostacolo così banale! Forza! Dimostragli di cosa sei capace!» si incitò tra sé e sé mentre sondava con la cima dell'erezione la linea tra le natiche pelose di Patria.
Quando finalmente ritrovò l'incavo, vi spinse appena dentro la punta e alzò lo sguardo per incrociare gli occhi del suo partner. Quest'ultimo aveva serrato per un attimo le gambe con più forza attorno alle sue, per poi rilasciarle.
Al suo cenno successivo, Tharazar guidò più a fondo la propria erezione, facendo entrare l'intera cappella e una piccola porzione retrostante. A quel gesto, entrambi reagirono in maniera palese e quasi contrapposta: il Tiefling gemette con tono di voce quasi strozzato, inarcando appena la schiena; il Mezzorco sgranò gli occhi e serrò le labbra con tale forza che ambedue le sue grosse zanne sporgenti dalla metà inferiore della bocca si conficcarono abbastanza violentemente nella sua carne, vicino alle narici.
Rimasero muti a guardarsi per diversi secondi, del tutto immobili, senza neanche respirare, come se il mondo si fosse fermato di colpo; dopodiché, all'unisono, iniziarono ad ansimare.
«Sei davvero... stretto» commentò Tharazar «È... fantastico...» sospirò.
«È-è stato... inatteso» boccheggiò Patria di contro «Bello... dolente... ma inatteso».
«Posso entrare ancora?» chiese l'altro, e stavolta nel suo tono di voce c'era non solo esitazione ma anche una decisa nota speranzosa.
«Non vedo... perché dovrei fermarti» replicò piano il Tiefling.
Il suo partner sorrise entusiasta e diede un lieve colpo col bacino, quindi continuò ad inserirsi nel suo corpo lentamente. La sua espressione era di impagabile godimento ed era tutt'altro che seducente. Patria dovette sforzarsi molto per non ridere.
Rimase focalizzato sul lasciarlo passare, tentando di non stringere le chiappe. Era difficile farlo con qualcosa di così ingombrante nel mezzo, ma riuscì nell'impresa con sua stessa sorpresa e soddisfazione.
Quando Tharazar fu completamente all'interno, fu il turno di Patria di manifestare piacere: la cima della sua erezione premeva contro un punto dannatamente bello. Non aveva idea di cosa fosse ma non gliene importava: la sola pressione faceva sì che il dolore sordo al fondoschiena che aveva accompagnato tutta l'operazione fosse relegato ad una priorità talmente bassa per i suoi sensi da scomparire quasi del tutto.
Gemette con voce acuta e chiese: «Puoi... spingere ancora... lì?».
Nonostante il velo di estasi che avvolgeva i sensi di Tharazar, la voce del suo compare riuscì a far breccia e raggiungerlo.
«Oh, sì...» rispose. Estrasse in piccola parte la sua erezione - e lo sfregamento contro quelle pareti così strette contribuì non poco a dargli altro piacere - e poi la spinse di nuovo a fondo. Il verso incoerente ma inequivocabilmente positivo che Patria emise gli fece capire che era quella la maniera corretta di proseguire.
Tharazar ripeté il movimento di bacino una terza volta, poi una quarta e una quinta. Prese il ritmo e iniziò a farlo a ripetizione, quasi meccanicamente, senza più badare né alla forza né all'angolazione, che gli venivano spontanei.
I gemiti di Patria si tramutarono in un unico mugolio continuo mentre con una mano cominciava finalmente a masturbarsi, incapace di trattenersi oltre. Era stato fin troppo bravo a resistere fino ad allora.
Tharazar ansimava pesantemente, piegandosi sul suo partner sempre di più, fino a che non fu alla distanza giusta per potergli strappare un altro bacio. Il contatto fu bollente, carico di passione e di desiderio da ambedue le parti.
In quel preciso momento, Patria arrivò all'orgasmo. Continuò a muovere la mano sulla sua erezione, accelerando il ritmo per eiaculare fino all'ultima goccia, schizzando completamente l'addome nudo del suo partner. L'estasi del momento lo colse del tutto alla sprovvista: grugnì contro la bocca di Tharazar, agitando frenetico il braccio libero per cercare di staccarsi da lui e poter respirare liberamente ma il Mezzorco si rifiutò di lasciarlo andare. L'apice del piacere perdurò per alcuni secondi, per poi scemare assieme alle improvvise "convulsioni" di Patria, lasciandolo esanime sul materasso.
Soltanto allora l'altro si decise a spezzare il bacio.
«Credevo... non ce l'avresti fatta...» lo canzonò con voce spezzata il Mezzorco, raddrizzando il busto.
L'altro sogghignò guardandolo: «Dovresti... vedere la tua faccia... non ti ho mai visto tanto... paonazzo... prima. Nemmeno quando hai... cantato».
Tharazar ignorò la frecciatina e rispose: «Ci sono quasi anche io...».
Fece appena in tempo a dirlo che Patria sentì il suo seme riversarglisi dentro. Cacciò una specie di grido a stento soffocato e poi giacque inerte sotto il Mezzorco, attendendo che terminasse di eiaculare.
«Ugh... finalmente...» gemette Tharazar «Non ne potevo più... stavo per esplodere...».
Seguì un momento di silenzio in cui entrambi ripresero fiato e si ricomposero, almeno un briciolo. L'esperienza li aveva alquanto scombussolati, seppur in maniere differenti.
«Presumo... ti sia piaciuto...» fu il Mezzorco a rompere il silenzio, rimanendo fermo dove si trovava, con il pene - ormai non più eretto - ancora dentro il culo di Patria.
Quest'ultimo rivolse lo sguardo al soffitto.
«È... stato bello, sì» confermò con tono di sufficienza, per poi tornare a fissare il suo partner. Pareva non volergli dare la soddisfazione che si meritava per il suo lavoro, ma Tharazar non ci fece caso. Sapeva di essere stato bravo: Patria non lo aveva respinto, non aveva protestato e recalcitrato quando era entrato e non aveva voluto fermarsi. Gli aveva chiesto addirittura lui di muoversi nel suo corpo ancora prima che potesse essere lui a impostare un ritmo di qualche tipo.
Definirsi solo “bravo” era eufemistico. Perfetto, eccezionale.
Superlativo.
«Sai cos'altro è bello?» chiese, tendendo una mano al Tiefling «Un bagno caldo post-sesso».
Patria arrossì e si puntellò sui gomiti per sollevarsi un po', rifiutando il suo aiuto.
«Suppongo che mi tocchi provare anche questo» commentò con fare rassegnato «... ma soltanto se lo fai con me» aggiunse. Voleva apparire spavaldo ma l'ultima frase suonò molto più imbarazzata di quanto avesse desiderato.
Tharazar schiuse le labbra in un sorriso smagliante e audace al tempo stesso mentre gonfiava le spalle e mostrava i pettorali scolpiti.
«Mi sembrava superfluo sottolinearlo».
Rating: Rosso
Genere: Comico, Erotico, Introspettivo, Slice of Life
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 9399 (wordcounter)
Timeline: Ambientata dopo questa.
Note: First time, Lemon, Yaoi
«Voglio tutto il menù!».
Il brusio diffuso si ridusse a silenzio all’udire la sua affermazione e stavolta a catalizzare l’attenzione generale fu lui e non il suo compagno di viaggio, il quale peraltro era rimasto scioccato quanto gli altri.
«C-come prego?» la Mezzelfa si ritrovò a balbettare con fare confuso, non sapendo come comportarsi nei riguardi della sua richiesta.
«Ho chiesto l’intero menù» ripeté il Mezzorco, scandendo meglio le parole «È tanto strano?».
Non capiva cosa ci fosse di anormale in una persona affamata che chiedeva del cibo, specialmente in un posto come una locanda.
La risposta gli arrivò in forma di un poco delicato calcio nei polpacci che lo fece sobbalzare e gli strappò un gemito. Era la prima volta in vita sua che gli davano un calcio con qualcosa di tanto duro e doloroso.
Era quasi il tramonto. Il cielo era rosso come il sangue e la luce aranciata del sole che stava scomparendo oltre l’orizzonte riusciva a penetrare la vegetazione del bosco insolitamente rada.
Tharazar, nonostante i continui sbadigli e i cupi gorgoglii dello stomaco, guidava la strada. Era ancora abbastanza lucido da riuscire a distinguere una strada sicura da una potenziale trappola e Patria - che camminava alle sue spalle - pareva sufficientemente tranquillo nel lasciarlo andare in testa.
Gli ultimi giorni di viaggio erano stati molto più proficui delle prime settimane. Dopo quello che di comune accordo avevano ribattezzato col nome in codice “incidente dei funghi”, Tharazar aveva iniziato a prestare seriamente attenzione a come si muoveva nella foresta e agli avvertimenti che Patria gli impartiva, oltre alle basilari nozioni di distinzione tra flora nociva e innocua.
Il suo umore instabile pareva essere quello che aveva tratto più giovamento dall’incidente e dal notevole cambio di atteggiamento del Mezzorco: Patria lo aveva visto molto più presente a se stesso e i suoi episodi di depressione erano divenuti soltanto sporadici. Se capitavano, erano per lo più durante la notte, quando non avevano niente per tenersi impegnati.
Aveva imparato a parlare con Tharazar durante i suoi momenti bui, scoprendo parecchie cose su di lui e su ciò che gli era capitato in passato. Aveva appreso della sua vita agiata e lussuosa e di come il sistema che lo aveva adulato ed eletto a Signore dell’Arena di Neverwinter gli avesse poi di colpo voltato le spalle non appena si era presentata l’occasione, cercando di costringerlo a perdere di proposito contro un Orco purosangue. Tharazar si era rifiutato di sottomettersi alla richiesta e lo aveva sconfitto, per poi darsi alla fuga. Aveva vissuto dentro una bolla di cristallo per tutta la vita, e Patria aveva iniziato a capire perché sembrasse così spaesato di fronte alle difficoltà della vita.
«Camminiamo ancora un po’...? Finché c’è luce… forse più avanti riusciremo a trovare una radura per accamparci...» esclamò Tharazar all’improvviso, rompendo il silenzio.
L’altro alzò lo sguardo dal terreno e lo posò su di lui. Sembrava sfinito ma determinato.
«Mi pare un’ottima linea d’azione. Avremo bisogno di spazio per sistemarci e poterci difendere al meglio nella notte» annuì il Tiefling.
Patria aveva scoperto per esperienza diretta quanto potesse essere proficuo elogiare Tharazar ogni volta che ne aveva l’opportunità, anche per piccolezze. Il Mezzorco pareva talmente suscettibile ai complimenti da migliorare concretamente il suo atteggiamento e i suoi comportamenti. Adularlo non serviva solo a rigonfiare il suo ego a pezzi quando era depresso, era una sorta di “energia positiva” che lo rendeva in grado di affrontare nel migliore dei modi le difficoltà del viaggio.
Il Mezzorco annuì e riprese a camminare con passo leggermente più svelto.
La camminata non durò molto: dopo pochi minuti, Patria vide il suo compagno fermarsi di colpo tra due cespugli, come paralizzato.
«E-ehi? Tutto bene? Non ti sei fatto male, vero?!» chiese il Tiefling subito, affiancandolo senza perdere tempo per controllare con i suoi stessi occhi. Stava andando tutto così bene che ci mancava solo che si facesse del male inavvertitamente per rovinare tutto.
Nel farlo vide ciò che con ogni probabilità aveva bloccato Tharazar: attraverso i radi tronchi che si paravano davanti a loro si riusciva ad intravedere quella che senza ombra di dubbio era una locanda. Alzando lo sguardo, Patria riuscì a scorgere anche una colonna di fumo chiaro alzarsi verso il cielo, prodotta probabilmente dalla cucina.
«Quella… è...» Patria non riusciva a credere ai suoi occhi: come poteva esserci un edificio là in mezzo? Avrebbero dovuto essere ancora distanti alcuni giorni dal limitare della foresta!
«… è una locanda!» esultò Tharazar. La sua voce possente tremava appena, tradendo la sua emozione. Era evidentemente più scioccato del suo compagno di viaggio, ma in senso nettamente positivo.
D’un tratto balzò in avanti, per poi girarsi verso Patria con gli occhi scintillanti d’energia e gioia allo stato puro.
«Sai cosa significa?! Un letto comodo! Un tetto sopra la testa!» fece una breve pausa per dare maggiore enfasi all’ultima parte della frase «… cibo caldo!».
Patria aggrottò le sopracciglia al suo ultimo commento e si appuntò le mani affusolate dalle dita lunghe sui fianchi, sbuffando sonoramente dalle narici.
«L’ultima volta che ho controllato mi è sembrato di preparare cibo caldo...» replicò in tono offeso.
«Non era questo ciò che intendevo!» si affrettò ad obiettare il Mezzorco indignato «Non puoi negare che mangiare in una locanda sia nettamente meglio rispetto al farlo seduti nella boscaglia...» soggiunse.
Patria gli scoccò un’occhiata di blando rimprovero. Non voleva rovinare ciò che era riuscito a raggiungere con Tharazar, ma era una questione di vitale importanza per lui.
«Te lo ricordi quello che ti ho raccontato dopo l’incidente coi funghi… vero?» chiese Patria in tono retorico.
«Sì, certo. Ma qui non ci sono bambini dispettosi che cercano di toglierti di mezzo. È una locanda! È fatta per accogliere i viaggiatori!» replicò il Mezzorco in tono convinto, voltandosi poi a dargli le spalle.
«Tharazar non cred...» esordì il Tiefling ma non riuscì a terminare la frase che già l’altro si era incamminato verso l’edificio «Oh, al diavolo!» sbuffò, frustrato dalla sua fretta, correndogli appresso.
Non aveva per niente voglia di incontrare altre persone, sconosciuti che l’avrebbero visto solo per quello che era esteriormente: un mezzo demone. Preferiva di gran lunga la foresta alla civiltà; tuttavia, si sentiva in dovere di sorvegliare Tharazar per evitare che la sua stessa ignoranza del mondo gli si ritorcesse contro.
«Sei troppo tenero, Patria» rifletté tra sé e sé mentre pedinava il suo compare.
Giunsero rapidamente in vista della porta principale della locanda. Tharazar aveva una tale fretta di entrare che pareva avesse il diavolo alle calcagna - e no, Patria non contava come tale.
Quest’ultimo avrebbe voluto fermarlo ma il Mezzorco superò la porta con tale velocità da non lasciargli modo di intervenire. Patria sollevò gli occhi al cielo, raccogliendo tutta la pazienza di cui era a disposizione prima di varcare l’ingresso a sua volta.
L’interno della locanda era piuttosto spazioso nonostante le dimensioni modeste dell’edificio. C’erano diversi tavoli e un lungo bancone dietro il quale una Mezzorca si stava occupando di pulire alcuni boccali, assistita da un paio di Umani piuttosto giovani. Una Mezzelfa e una Nana si stavano occupando di servire la cena ai tavoli, facendo continuamente avanti e indietro dalla cucina.
A far apparire il luogo più ampio di quanto in realtà fosse molto probabilmente era la scarsa clientela sparsa qua e là.
Nessuno dei pochi avventori parve far caso all’ingresso di Tharazar, il quale si fermò solo per un istante a contemplare il luogo prima di andare a sedersi ad uno dei tavoli ancora liberi. Quando la sua imponente stazza ebbe lasciato campo libero a quella un po’ più minuta di Patria, molte più teste si voltarono verso la porta e il Tiefling si ritrovò ad essere osservato con cipigli curiosi e diffidenti da quasi tutti coloro che si trovavano nella locanda.
Rimase paralizzato dove si trovava per diversi secondi, ponderando sull’eventualità di andarsene senza neanche dare una chance al luogo.
«Patria! Che fai lì impalato sulla porta?! Vieni a sederti che ho fame!».
La “soave” bassa voce di Tharazar ruppe la sua linea di pensieri, riportandolo bruscamente alla realtà. Scosse leggermente il capo e si diresse con non poco disagio verso il compagno di viaggio, accomodandosi con movimenti rigidi accanto a lui.
«Non credo sia una buona idea rimanere q…» Patria sollevò lo sguardo dalle assi di legno del tavolo e aggrottò le sopracciglia vedendo che Tharazar stava agitando un braccio per attirare l’attenzione di qualcuno oltre di lui «Che stai facendo?!».
Il Mezzorco lo guardò di traverso con aria perplessa.
«Vorrei mangiare prima di crollare addormentato sul tavolo!» replicò indispettito.
«Non mi parevi così stanco poco fa...» gli fece notare l’altro.
«Era prima di trovarmi di fronte alla prospettiva di dormire in un letto vero!» sbottò il Mezzorco con convinzione.
La discussione fu interrotta dall’arrivo della Mezzelfa, la quale si rivolse direttamente a Tharazar, ignorando il Tiefling in maniera deliberata e palese - almeno per il diretto interessato.
«Buonasera, cosa posso portarle? Questa sera il menù prevede...» esordì la giovane ma Tharazar non volle neanche sentirla.
Picchiò con forza un pugno sul tavolo, facendolo vibrare appena, per poi esclamare con voce chiara e forte: «Voglio tutto il menù!».
Il brusio diffuso si ridusse a silenzio all’udire la sua affermazione e stavolta a catalizzare l’attenzione generale fu lui e non il suo compagno di viaggio, il quale peraltro era rimasto scioccato quanto gli altri.
«C-come prego?» la Mezzelfa si ritrovò a balbettare con fare confuso, non sapendo come comportarsi nei riguardi della sua richiesta.
«Ho chiesto l’intero menù» ripeté il Mezzorco, scandendo meglio le parole «È tanto strano?».
Non capiva cosa ci fosse di anormale in una persona affamata che chiedeva del cibo, specialmente in un posto come una locanda.
La risposta gli arrivò in forma di un poco delicato calcio nei polpacci che lo fece sobbalzare e gli strappò un gemito. Era la prima volta in vita sua che gli davano un calcio con qualcosa di tanto duro e doloroso.
«Vogliate perdonare il mio compagno di viaggio. Non ha il senso della misura» intervenne Patria con una voce particolarmente suadente «Basta una porzione del piatto del giorno».
«Non è vero! Voglio tutto il menù. Patria non ti intromettere!» ribatté stizzito il Mezzorco, al che l’altro lo fissò con sguardo rabbioso e gli chiese: «Hai idea di quanto costi? Pensi davvero di potertelo permettere?!».
Tharazar raddrizzò le spalle e sogghignò con l’aria di chi sapeva qualcosa che ad altri era negato.
«In verità sì» e così dicendo staccò dalla sua cintura una piccola scarsella di pelle e ne estrasse cinque monete d’oro, che buttò sul tavolo come se niente fosse, sotto gli sguardi attoniti di Patria e della cameriera «Bastano per avere tutto il menù?» chiese, rivolto alla Mezzelfa.
La faccia dell’interpellata mutò immediatamente espressione, abbandonando lo stupore in un goffo tentativo di ricomporsi. Era evidente che prima di allora non avesse mai avuto occasione di vedere così tanto denaro tutto insieme.
«S-sì! Ma certo!» disse precipitosamente, raccogliendo il denaro e portandolo di corsa alla Mezzorca dietro il bancone.
Le due confabularono tra di loro a bassa voce per alcuni minuti. La Mezzorca sgranò gli occhi e saggiò la veridicità dell’oro cercando di mordere una moneta e piegarla, fallendo nel tentativo. Decisamente emozionata per l’evento, bisbigliò qualcosa alla Mezzelfa e la rispedì al tavolo da cui era arrivata mentre si recava personalmente in cucina.
«Il suo ordine arriverà il prima possibile» disse trafelata la cameriera, le guance ancora arrossate per l’emozione «Posso intanto portarvi qualcosa da bere? Gradite della birra?».
«Ma certo! Due pinte!» accettò di buon grado Tharazar.
La Mezzelfa annuì e andò lesta a preparargli le birre, quindi gliele portò al tavolo e poi tornò a seguire gli altri clienti nel mentre che la loro cena veniva approntata.
Il Mezzorco afferrò il suo boccale e tracannò metà del contenuto in un sorso solo, appoggiandosi poi contro lo striminzito schienale della sedia su cui si trovava, facendolo scricchiolare leggermente.
Patria non toccò il boccale che era stato posato davanti a lui, fissandolo piuttosto con cipiglio cupo e diffidente.
«Dove hai trovato tutti quei soldi?» chiese poi al suo compagno di viaggio, sollevando lo sguardo verso di lui.
«In che senso? Quelli sono i miei soldi! Li ho presi quando sono andato via dall’Arena» spiegò Tharazar con tono naturale, come se fosse normale viaggiare avendo in tasca così tanto oro «Te l’avevo detto che sono il miglior gladiatore che Neverwinter abbia mai visto» aggiunse con un sogghigno tronfio, prima di finire di svuotare il suo boccale.
«Me l’hai detto, sì» Patria cercò di mantenere il controllo, giusto per non mettersi a gridare e attirare ulteriore attenzione su di loro «Ma quelli… quelli sono davvero un sacco di soldi».
Tharazar fece spallucce con assoluta nonchalance.
«Ne ho presi solo un po’ prima di partire...» minimizzò con aria estremamente compiaciuta «Quello non lo vuoi?» domandò poco dopo, accennando al boccale ancora pieno dinanzi a Tiefling.
Quest’ultimo lo allontanò leggermente da sé, porgendoglielo, quindi estrasse dal suo zaino una borraccia e bevve un piccolo sorso da essa.
Il Mezzorco lo seguì con curiosità per l’intera azione, poi fece spallucce in silenzio e cominciò a bere dal suo boccale.
L’attesa per la cena fu inferiore al previsto, anche perché i piatti dalla cucina cominciarono ad uscire un po’ per volta a cominciare da un paio di scodelle di primi piatti.
Tharazar si lanciò sul cibo come se fosse digiuno da giorni, premurandosi soltanto di ordinare prima altra birra per buttar giù il tutto. Nonostante il suo evidente entusiasmo per una cena che si prospettava molto più abbondante di quelle consumate di recente, il Mezzorco si trattenne dall’abbandonarsi ad esibizioni d’inciviltà: mangiava servendosi esclusivamente delle posate e benché si ingozzasse a velocità impressionante, masticava e inghiottiva a bocca chiusa, pulendosi il mento più spesso di quanto qualsiasi persona avrebbe fatto in un frangente simile; inoltre si tratteneva dal ruttare apertamente dopo ogni sorso di birra, tappandosi la bocca con il pugno chiuso.
Patria non pareva minimamente interessato alla cena: non appena le portate gli venivano messe davanti, lui le spingeva lentamente nel raggio d’azione di Tharazar, molto più ampio di quanto potesse sembrare ad un primo sguardo.
Non era certo un segreto il fatto che il Mezzorco avesse sempre un gran appetito: il suo stomaco era più puntuale di un orologio quando si trattava di essere riempito; tuttavia, era la prima volta in assoluto che il Tiefling lo vedeva ingurgitare così tanta roba tutta in una sola volta. Nella foresta, ovviamente, non aveva avuto modo di presentargli porzioni tanto abbondanti.
«Tu non mangi?» chiese Tharazar dopo un po’, quando ormai delle prime portate non era rimasto quasi niente sul tavolo se non le stoviglie sporche e quasi del tutto vuote.
Se non altro si era accorto del suo digiuno, anche se un po’ in ritardo, ma meglio tardi che mai.
«Te l’ho già spiegato...» brontolò a mezza voce il suo compagno, scoccando un’occhiata di sbieco alla Mezzelfa che stava arrivando al loro tavolo con le braccia cariche di altre portate «Non mi fido del cibo preparato da altri...».
I secondi presero il posto dei primi e l’aroma di carne prese il sopravvento sul vago profumo di zuppa calda che era rimasto a permeare l’aria.
Diversi tagli di carni di non proprio chiara provenienza furono posizionati dinanzi al Mezzorco, il quale sgranò gli occhi chiari con improvvisa ammirazione mista a quella che poteva quasi passare per eccitazione. Un sottile rivolo di saliva gli scivolò sul mento e solo Patria si accorse della sua presenza.
Con rinnovata voracità, portò a sé il piatto più vicino e si avventò sul povero pezzo di carne che giaceva su di esso, ricoperto di sugo e circondato da un letto di patate cotte.
Se con la prima ondata di pietanze Tharazar era riuscito a mantenere un certo decoro nel modo di porsi, ogni suo sforzo in tal senso venne completamente meno di fronte all’apparizione dei piatti più consistenti. Laddove era richiesto, non si peritò affatto ad afferrare il cibo con le mani e addentarlo selvaggiamente, strappandone bocconi grossi persino per la sua bocca.
Patria era quasi ipnotizzato dallo spettacolo. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: il suo cervello continuava a mettere a confronto “quel” Tharazar con quello con cui aveva viaggiato sino ad allora. Non c’era più nessuna traccia del Mezzorco emotivamente fragile e incline alla depressione e all’avvilimento con cui aveva imparato ad avere a che fare. Era come se il trovarsi in un luogo civilizzato tirasse fuori il lato migliore di lui, quello più allegro e più tendente alla positività.
Guardandolo in quel momento, mentre si ingozzava felice in mezzo alla locanda, sotto gli occhi di tutti, Patria si sentì improvvisamente come se fosse di nuovo solo e fuori luogo, come quando ancora Tharazar non aveva fatto irruzione nella sua vita.
Il Tiefling scosse il capo, abbassando lo sguardo cupo verso il suo piccolo spazio di tavolo vuoto - l’unico rimasto tale.
«Perché mi sento inutile qui? In fin dei conti… è soltanto una semplice tappa...» ponderò tra sé e sé, cercando di placare la sua crescente inquietudine.
All’improvviso Patria vide arrivargli sotto il naso quello che aveva tutta l’aria di essere un cosciotto di pollo, stretto nella mano di Tharazar per la parte inferiore, dove si trovava l’osso.
Il diretto interessato alzò gli occhi neri sul suo compagno, che vide intento a terminare di deglutire un bel boccone con un sorso di birra.
«Vuoi mangiare? Non dovresti andare a dormire digiuno...» esclamò quest’ultimo, una volta che ebbe di nuovo la bocca libera «… altrimenti domani come facciamo a ripartire se non sei in forze?».
Patria percepì qualcosa muoversi e mutare in profondità nel suo animo, anche se non avrebbe saputo identificarlo con certezza assoluta. Fu una sensazione strana e piacevole al tempo stesso.
«Non voglio mangiarlo. Chissà cosa...» esordì, ma le sue parole si spensero vedendo la mano di Tharazar ruotare leggermente, mostrando il lato nascosto della coscia di pollo, che esibiva le tracce di un bel morso.
«Sono ancora vivo» il Mezzorco sollevò gli occhi al cielo con fare innocuo e pensoso, raddrizzando di colpo le ampie spalle «… oh, sì che lo sono. E sono ancora splendido per giunta…!» a quel punto si abbassò, sporgendosi verso Patria per sussurrargli: «… quindi non può farti del male, giusto...?».
Il cuore di Patria ebbe un tuffo nel sentire Tharazar bisbigliare vicino al suo orecchio con voce bassa e morbida, in un tono talmente eloquente e persuasivo che non riusciva a capacitarsi di come potesse opporsi alla sua proposta.
Con le mani che tremavano appena per l’imbarazzo, Patria prese il pezzo di pollo e lo addentò timidamente, masticando la carne piano piano. Non era come la sua cucina, però era abbastanza buona. Quantomeno commestibile.
Iniziò a mangiare in silenzio e lentamente, rimanendo composto sulla sua sedia, quasi volesse sparire mimetizzato con essa.
Vedendolo mangiare, Tharazar gli spinse vicino il resto del piatto da cui proveniva la sua coscia e - dopo averne assaggiato appena il contenuto - anche un boccale di birra.
Era contento di vederlo nutrirsi.
Patria si ritrovò a pensare a come Tharazar si stesse prendendo cura di lui e lo stesse aiutando coi suoi problemi in quel frangente particolare. Di solito accadeva l’esatto contrario tra loro; tuttavia, essere oggetto di preoccupazioni altrui lo metteva a disagio ma al tempo stesso gli faceva piacere. Significava che c’era qualcuno che teneva a lui e alla sua salute, in fin dei conti.
Era stupefacente pensare che tra tutti quanti, proprio Tharazar fosse colui che pareva interessarsi maggiormente delle sue condizioni. Più ci pensava e più il suo cuore palpitava frenetico nel suo petto.
«Patria stai fantasticando troppo…» sospirò tra sé e sé, cercando di smorzare il proprio entusiasmo; eppure, Tharazar continuò a porgergli piatti di cui aveva assaggiato il contenuto per dimostrargli che era al sicuro e Patria continuò a mangiarli. Fece la stessa cosa pure con alcuni boccali di birra, di modo che potesse bere tranquillo senza rischiare di soffocare.
Per fortuna non erano previsti dolci sul menù: il Tiefling solo con la sua piccola parte di secondi piatti si sentiva così pieno che gli sembrava di essere sul punto di esplodere. Non immaginava in che condizioni fosse Tharazar, che al termine dell’ultimo piatto si addossò allo schienale ricacciando indietro solo per metà un poderoso rutto carico di soddisfazione.
Con gran sorpresa del suo compagno, dopo aver dato sfogo a diversi rutti in fila, più o meno smorzati, il Mezzorco si alzò in piedi e camminò sicuro fino al bancone. Patria, intontito dallo stomaco pieno, si chiese come facesse ad avere ancora tanta energia per riuscire ad alzarsi con tale naturalezza.
Lo vide confabulare con la Mezzorca ma non udì lo scambio di battute: incredibilmente, Tharazar era anche capace di bisbigliare a volume impercettibile. La femmina dopo poco annuì e gli indicò qualcosa con la mano, situato in lontananza alla sua sinistra.
Volgendo gli occhi nella stessa direzione, Patria vide che lungo la parete all’estremità della locanda si trovava un piccolo palco sopraelevato, ad ora vuoto.
Tharazar si diresse verso di esso spavaldo e sicuro di sé e per un momento Patria pensò che volesse mettersi a cantare. Le sue abilità canore non erano del tutto pessime, c’era del buon margine di miglioramento; tuttavia, quando cominciava a cantare, la sua voce cambiava nettamente, assumendo connotati femminili. Il Tiefling non osava pensare a come ne sarebbe uscito il suo fragile ego sé tutta la locanda si fosse messa a ridergli in faccia per la sua vocetta tutt’altro che virile; tuttavia, il Mezzorco pareva sicuro di sé e ancora in possesso delle sue facoltà mentali.
Non poteva mettersi a cantare. Doveva pur ricordarsi della reazione che Patria stesso aveva avuto quando era accaduto la prima e ultima volta.
«Ma perché mi trovo sempre a preoccuparmi così per lui…?» brontolò tra sé e sé, appoggiandosi allo schienale mentre contemplava con un certo imbarazzo la birra rimasta nel suo boccale. Tornò a seguire Tharazar con lo sguardo, sorseggiando la bevanda.
Il suo compagno di viaggio era salito sul palco. Persino nei suoi logori vestiti un tempo sfarzosi sembrava stonare in quella modesta locanda sperduta nel bosco.
Patria attendeva col fiato sospeso di sapere cosa stesse macchinando di fare. Se davvero si fosse messo a cantare, sarebbe dovuto intervenire per evitare che le conseguenze lo spingessero in un abisso di disperazione e autocommiserazione. Contro ogni sua aspettativa in merito, il Mezzorco mise mano alla sua sacca e ne estrasse un piccolo strumento di metallo lucente. A Patria occorsero alcuni istanti per capire che si trattava di una fisarmonica. Tharazar la portò alle labbra e cominciò a suonare.
Durante tutto il viaggio fin lì, Patria non lo aveva mai visto tirare fuori uno strumento musicale, men che mai l’aveva sentito suonarlo. Rispetto alla sua mediocre prova come cantante, si vedeva chiaramente che quel tipo di esibizione era molto più nelle sue corde. Doveva essersi allenato molto nell’uso dello strumento per la bravura con cui riusciva a suonarlo.
Il Tiefling rimase ad ascoltarlo per tutto il tempo, rapito dal crescendo di complessità della musica che stava suonando, e come lui il resto della locanda.
Per come Tharazar si muoveva sul palco - limitato in ampiezza se paragonato alla sua stazza - doveva aver avuto modo di esibirsi in simili ambienti anche in passato. Pareva completamente a suo agio, come se fosse nato per quello.
Alla fine dell’esibizione, il silenzio che gravava nella locanda fu spezzato da uno scroscio di applausi. I clienti non erano molti ma dal chiasso che producevano, chiunque fosse passato fuori in quel momento avrebbe detto che fossero almeno il doppio. Patria su unì con calore agli applausi, stupito dalla bravura del proprio compagno, che si stava inchinando al suo pubblico con un sorriso smagliante e orgoglioso stampato in viso.
Il Mezzorco scese dal palco poco dopo, quando gli applausi cominciarono a scemare, e il Tiefling si alzò per andargli incontro; tuttavia, quest’ultimo notò che l’altro non stava venendo verso di lui, bensì andando di nuovo al bancone.
Patria si fermò sul posto, incuriosito, osservando la scena: la Mezzorca sorrise al suo simile non appena giunse dinanzi a lei e annuì prima ancora che Tharazar avesse modo di chiederle qualsivoglia cosa, quindi si chinò a prendere qualcosa da sotto il bancone. Poggiò nel palmo aperto del Mezzorco quella che senza ombra di dubbio era una chiave di bronzo, poi gli fece un cenno indicando le scale che si trovavano dal lato opposto rispetto al palco.
Patria non riusciva a capire che cosa fosse appena accaduto e il fatto che fosse sazio e reduce da una lunga giornata di viaggio non aiutavano a renderlo più lucido. Per sua fortuna il suo compare non pareva intenzionato a mantenere a lungo il segreto, dato che si stava già dirigendo verso di lui.
Il Tiefling rimase fermo dove si trovava, ad aspettarlo. Quando furono abbastanza vicini, Tharazar esclamò: «Che ci fai ancora lì impalato? Andiamo a dormire. C'è una stanza per noi di sopra».
«Eh?» fece l'altro, corrugando le sopracciglia con cipiglio confuso «I-in che senso? Non hai pagato solo per la cena?».
«Infatti» Tharazar sorrise di sghembo in maniera stranamente seducente, tanto che Patria arrossì senza neanche accorgersene del tutto «La camera è offerta dalla locandiera per la mia splendida esibizione».
«Da-davvero?» il Tiefling era stupito. Non poteva negare che il suo spettacolo fosse stato superbo, ma tra quello e l'avere alloggio gratis c'era un po' di differenza - almeno a parere suo.
Anziché rispondergli, Tharazar gli agitò la chiave appena ricevuta davanti al viso.
«Questa altrimenti come l'avrei avuta?» domandò a sua volta in tono retorico «Vogliamo andare ora? Comincio ad essere stanco per davvero...» esclamò poi, abbandonandosi ad uno sbadiglio poderoso che contagiò pure Patria.
«Va bene... sono stanco anche io» ammise quest'ultimo, incamminandosi lentamente verso le scale, tenendosi una mano sull'addome «... era davvero necessario che tu ordinassi tutto quel cibo...?» chiese poi, abbassando la voce affinché solo il suo interlocutore potesse udirlo.
Tharazar inarcò un sopracciglio con aria scettica, come se non riuscisse a credere a ciò che stava sentendo.
«Mi pare che anche tu abbia mangiato a sufficienza...» ed emise un sonoro sbuffo dalle narici «In realtà, non ho ancora sentito un "grazie" da parte tua...» soggiunse, guardando l'altro di traverso, assumendo un contegno quasi offeso.
La faccia di Patria divenne quasi viola per l'imbarazzo nel sentirsi accusare di essere un ingrato.
«Mangiare a sufficienza non significa rimpinzarsi fino a scoppiare» brontolò indignato, iniziando ad inerpicarsi pian piano su per le scale, aggrappandosi con la mano ancora libera alla ringhiera.
«Io sto ancora aspettando» puntualizzò Tharazar, rallentando per rimanere alla sua stessa velocità di salita. Un sorrisetto impertinente aleggiava ancora sulle sue labbra ma Patria non era nelle condizioni fisiche né tantomeno mentali per farlo sparire; pertanto dovette concedergli ciò che desiderava così tanto.
«... grazie» esalò in tono non troppo convinto, distogliendo lo sguardo da lui per concentrarsi sui gradini che lo separavano dal piano superiore.
Il Mezzorco non era pienamente soddisfatto del risultato, ma immaginava che non sarebbe riuscito ad ottenere altro e che quindi avrebbe dovuto accontentarsi.
«Ti aspetto in camera» e così dicendo superò il suo compagno, risalendo l'ultimo tratto di scale due gradini per volta.
Il Tiefling lo vide scomparire oltre l'angolo sulla sinistra, e a niente valse esclamare un piccato: «Tharazar! Aspettami!».
Rimase da solo ad avanzare incerto su per le scale, con la pancia piena e il sonno che minacciava di travolgerlo da un momento all'altro. Cercò di stringere più forte la presa sulla ringhiera, come se fosse un'ancora che lo manteneva collegato al mondo reale, e continuò la sua pesante ascesa.
Quando arrivò finalmente in cima, si incamminò nella direzione in cui aveva visto andare Tharazar, chiedendosi come avrebbe fatto a riconoscere la loro stanza senza avere un riferimento di sorta: la chiave l'aveva sempre tenuta il Mezzorco e anche se gliel'aveva mostrata una volta, era stato per pochissimo e il Tiefling non aveva avuto la prontezza di riflessi necessaria a memorizzare il numero che era inciso su di essa. Per sua fortuna, il suo compagno di viaggio era un individuo abbastanza eccentrico da riuscire a dare nell'occhio anche quando non era nei paraggi: tra le porte che correvano lungo la parete destra, Patria scorse senza difficoltà una camicia bianca piuttosto raffinata e logora che penzolava dalla maniglia.
Non poteva che essere quella di Tharazar, se non altro perché nessun altro avrebbe avuto l'idea di appendere un proprio abito fuori della porta della propria camera, men che mai di toglierselo di dosso in mezzo ad un corridoio, dove chiunque avrebbe potuto vederlo.
«Il solito narcisista...» commentò il Tiefling sospirando rassegnato, dirigendosi senza indugio verso la porta "contrassegnata".
Quando arrivò dinanzi ad essa, notò che oltre ad aver lasciato fuori la camicia, il Mezzorco aveva "dimenticato" la porta aperta, molto probabilmente per farlo entrare in autonomia.
Patria raccolse il suo indumento e spinse l'uscio quel tanto che bastava a fare capolino all'interno: voleva assicurarsi che l'altro non fosse nudo. Con suo sommo sollievo vide che la stanza era vuota e percepì che dalla porticina laterale proveniva un chiaro ed inequivocabile rumore di acqua in movimento. Tharazar si stava lavando.
«Mi pareva strano che non avesse ancora accennato alla cosa...» ponderò tra sé e sé il Tiefling, avanzando verso il centro della camera. Questa era invero di dimensioni piuttosto modeste, con un piccolo tavolo rotondo in un angolo - provvisto di una singola sedia - e un solo letto.
Patria si avvicinò ad esso e rabbrividì notando che oltre ad essere uno solo, era un letto di dimensioni sufficienti ad ospitare due persone insieme. Tharazar pareva inoltre aver già decretato quale metà fosse la sua, a giudicare dai suoi abiti appoggiati tutti lungo un fianco del materasso, anziché gettati alla rinfusa ovunque.
«Non esiste. Non dividerò il letto con lui!» dichiarò a se stesso con fermezza. C'era un limite ai compromessi cui poteva scendere e quello era senz'altro fuori discussione.
Durante i suoi solitari turni di guardia aveva avuto modo di osservare molte volte Tharazar mentre dormiva e sinceramente non aveva alcuna intenzione di sperimentare cosa si provasse a dormirgli accanto: si muoveva continuamente nel sonno, ruotandosi spesso da prono a supino e viceversa, anche in maniera piuttosto brusca e violenta; inoltre, russava terribilmente forte.
Patria aggirò il letto, andando a sedersi sul lato opposto - l'unico rimasto libero. Ascoltò per qualche momento il rumore di acqua proveniente dal bagno, per essere certo che il Mezzorco fosse ancora impegnato con la sua ossessione per l'igiene personale, quindi iniziò a spogliarsi della propria armatura. Non era un processo semplice né breve. Gli occorreva tempo per riuscire a staccare ogni piastra che teneva sulla sua persona e sperava di averne abbastanza da trascorrere da solo. Iniziò dai paraspalle e da lì scese metodico verso le zone basse della sua tunica rinforzata. Quando arrivò il momento di rimuovere la tunica vera e propria - rimasta completamente sguarnita di metallo ad eccezione della gonna - si prese un momento di pausa: rimanere nudo era una cosa che non amava particolarmente, soprattutto se c'erano altre persone nei paraggi. Pur essendo Tharazar ancora rinchiuso in bagno - e i rumori di acqua spostata confermavano che non sarebbe uscito troppo presto - Patria viveva con disagio le occasioni in cui doveva denudarsi, principalmente a causa del suo aspetto non del tutto umanoide. Sfilando la tunica infatti, venne allo scoperto la metà inferiore del suo corpo: pelosa e con gambe caprine, munite persino di zoccoli alle estremità. Patria odiava il suo aspetto fisico, odiava quegli zoccoli e quelle gambe e preferiva di gran lunga tenerle il più possibile nascoste, nella speranza che potessero dissolversi da sole se le avesse ignorate abbastanza.
Togliersi l'armatura gli faceva bene ogni tanto: tutto quel metallo perennemente attaccato addosso gli intorpidiva i muscoli e gli impediva di rilassarsi. Rimanere nudo gli strappò un gemito di sollievo che si accentuò quando fece un po' di stretching per le spalle, facendo scricchiolare le articolazioni; poi passò a farsi dei massaggi alle braccia e alle gambe.
Patria era talmente concentrato nell'occuparsi dei suoi poveri muscoli doloranti che non si accorse che i rumori dal bagno erano cessati; inoltre, era seduto sul letto dando le spalle alla porticina, per cui non si avvide nemmeno del Mezzorco che dopo poco l'aprì, riversando una leggera nube di vapore nella stanza principale.
Era completamente nudo e ancora bagnato. I lunghi capelli neri gli aderivano al cranio e al collo e terminavano come neri tentacolini disegnati sulle sue enormi spalle. Aveva un'espressione completamente rilassata stampata in viso e le sue guance arrossate contribuivano a dargli un'aria beata.
Notò dopo un momento che Patria era arrivato ed era seduto nudo sul letto. Immaginò che volesse darsi una lavata a sua volta, per cui esclamò tranquillo: «Se vuoi farti un bagno accomodati, è rimasta ancora dell'acqua calda».
Udendo la sua voce, il Tiefling scattò in piedi come se si fosse bruciato. La reazione fu istintiva e arrivò prima che potesse realizzare che così facendo non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto impedire a Tharazar di vedere le sue "zampe".
«Chi ti ha detto che potevi uscire?!» esordì furioso, voltandosi a guardarlo in faccia. Se tanto non c'era modo di evitare che lo vedesse, almeno poteva riversare su di lui la sua rabbia senza problemi.
«Non mi serve il tuo permesso per uscire dal bagno della stanza che ho comprato io!» sbuffò il Mezzorco, abbassando gli occhi verso le gambe di Patria.
Quest'ultimo immaginava che avrebbe fatto qualche commento su di esse, qualcosa che lo avrebbe fatto sentire ancora più in imbarazzo di quanto già non fosse; invece, tutto ciò che Tharazar si limitò a dire fu: «Hai degli zoccoli lì in fondo, vero? Diamine, ecco perché quel calcio di prima ha fatto così male...».
Patria serrò le labbra per trattenersi dal ridere di fronte alla sua espressione dolorante mentre si massaggiava il retro del polpaccio che lui gli aveva colpito prima di cena. Non voleva ridere, il fatto stesso che Tharazar lo avesse visto nudo per intero doveva bastare a farlo incazzare piuttosto che ridere, eppure in quel frangente non si sentiva infuriato come avrebbe dovuto. La naturalezza del commento del Mezzorco era quasi rassicurante invero, come se fosse perfettamente normale vedere un Tiefling con il corpo per metà caprino, tanto che Patria si sentì come se si fosse appena tolto un grosso peso dalla coscienza.
«N-non ti disgusta scoprire che sono mezzo capra?» domandò il Tiefling, con un tono di ribrezzo piuttosto marcato sulle ultime due parole.
Il Mezzorco corrugò le sopracciglia in un cipiglio confuso, continuando a fissarlo.
«Perché dovrebbe?» chiese con tono quasi ingenuo «Per la verità, lo trovo piuttosto… esotico… e con un suo fascino...».
Era la prima volta in assoluto che vedeva Patria senza l’armatura indosso e non si aspettava che il suo fisico fosse così asciutto e longilineo. Nonostante i muscoli addominali tonici ed evidentemente allenati, era piuttosto magrolino, quasi smunto, come se non si prendesse abbastanza cura di sé stesso. L’imponenza che c’era di solito nel suo aspetto era quasi del tutto imputabile alle piastre della sua armatura.
Era carino, non c’erano dubbi, anzi era addirittura bello, seppur secondo canoni differenti da quelli che Tharazar prendeva in considerazione per la sua persona. Pareva talmente inerme senza il suo involucro di metallo che il Mezzorco percepì l’impulso irrefrenabile di stringerlo e di proteggerlo. Non ne capiva la ragione fino in fondo, ma non gliene importava. Pur non avendo tracannato birra a sufficienza per essere del tutto sbronzo, ne aveva bevuta abbastanza perché la sua già bassa soglia inibitoria scendesse ulteriormente. L’urgenza dell’impulso prevalse sul raziocinio.
«Che carino...» commentò Tharazar, cominciando a muoversi verso il letto.
Il Tiefling rimase paralizzato dal suo commento, la faccia rossastra che pareva essere sul punto di incendiarsi completamente: gli aveva appena detto di essere… carino?!
Prima che avesse modo di reagire, il Mezzorco cambiò traiettoria e invece di andare verso i suoi vestiti aggirò il letto per andare da Patria, il quale si ritrovò ghermito dalle sue nerborute braccia grigiastre.
«C-cosa fai?!» gemette il Tiefling, cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
Il suo corpo all’improvviso gli risultava enorme e al contatto era non solo umido, ma anche dannatamente caldo.
«Sembri così indifeso senza la tua armatura...» commentò il Mezzorco vicino al suo orecchio.
Patria sgranò gli occhi, oltraggiato dalla sua affermazione. Tentò di nuovo di divincolarsi, ma Tharazar lo teneva particolarmente stretto e non riuscì a liberarsi. L’altro si prese la libertà di allungare una mano ad accarezzargli i capelli, dietro la grossa base delle corna.
Patria emise un gemito strozzato e i suoi tentativi di ribellione cessarono all’istante. Si abbandonò contro il petto di Tharazar, affondando la faccia nella sua spalla, sospirando piano mentre l’altro sogghignava tronfio: nelle sue passate esperienze coi Tiefling, non era strano che fossero particolarmente sensibili nella zona delle corna. Più di una volta le signorine con cui si accompagnava all’Arena erano cadute fra le sue braccia come bambole per l’effetto di quel tocco.
Era stato più forte di lui: doveva vedere se riusciva a rendere Patria docile come un agnellino. Se non l’avesse fatto adesso che era privo dell’armatura non ci sarebbe più stata occasione per chissà quanto tempo. Sentiva l’impulso irrefrenabile di andare a fondo della questione: non si era mai sentito così attratto da un altro maschio come in quel momento. Nonostante avesse sperimentato una vasta gamma di rapporti con le donne, non aveva mai provato niente che fosse paragonabile a ciò che lo stava spingendo inesorabilmente a scatenare la libido del Tiefling che aveva dinanzi a sé. Doveva dimostrarsi dominante nei suoi confronti, farlo cadere ai suoi piedi, riuscire a valicare quel muro che Patria pareva volersi ostinare a mantenere alzato tra di loro. Per quanto avesse cercato di trattenersi dal farlo, non ne sarebbe stato in grado.
«N-non lo fare...» sospirò Patria, la voce ovattata contro la sua spalla. Dal tono con cui l’aveva detto pareva voler intendere l’esatto opposto.
Tharazar serrò le labbra, in un ultimo sforzo di contenersi. Lottò contro l’impulso di trattenerlo ancora e alla fine perse del tutto il controllo quando sentì qualcosa di inconcepibilmente liscio e duro premergli contro l’interno della coscia, laddove fino ad un attimo prima non c’era alcun tipo di ingombro.
«Non mi sembra la reazione di qualcuno che vuole che smetta...» sussurrò lascivo al suo orecchio, continuando a grattare gentilmente la zona intorno alle sue corna.
Patria iniziò a fremere, come se avesse freddo. In realtà stava solo cercando di frenare i suoi bassi istinti. Non doveva perdere il controllo. Non poteva. Se lo avesse fatto, non sarebbe stato niente più di un demone della selva, una bestia degli Inferi. Odiava il suo sangue misto e qualsiasi comportamento lo facesse somigliare ai demoni suoi consanguinei lo disgustava.
«No… fermo… non voglio...» il Tiefling continuava a cercare di convincere non solo Tharazar ma anche se stesso, negando ciò che il suo corpo invece manifestava in maniera piuttosto chiara.
Il Mezzorco trovava tutto ciò attraente. I suoi futili tentativi di ripudiare i suoi desideri erano divertenti e teneri allo stesso tempo. Lui stesso non faceva sesso da così tanto tempo da risultare indifferente alla sessualità del suo partner.
Aveva vissuto abbastanza peripezie insieme a Patria da poterlo definire più di un’avventura da una sola notte e ciò lo qualificava già ben oltre tutte le donne con cui era stato in passato. Non poteva fermarsi, doveva fare un tentativo.
Con incredibile delicatezza, sollevò il mento del suo partner in modo da poterlo guardare negli occhi. Quei pozzi neri che per così tanti giorni gli avevano rivolto solo sguardi di biasimo e di rimprovero adesso apparivano carichi di debolezza e tacite suppliche.
Tharazar passò la lingua sul versante interno della sua zanna sinistra, che protrudeva dall’estremità inferiore della sua bocca mentre contemplava il modo migliore di fare ciò che aveva in mente. Alla fine decise che qualsiasi maniera avesse adottato, sarebbe stata quella perfetta: poteva avere poca esperienza della vita fuori dell’Arena, ma non in questo.
Si curvò sul viso di Patria e annullò semplicemente la distanza tra le loro labbra. Quelle del suo compagno erano così sottili e piccole rispetto alle sue che era difficile riuscire a mantenere il contatto solo con quelle; tuttavia, Tharazar si sforzò di farlo, almeno in un primo momento.
Patria non si aspettava un simile gesto da parte sua e inizialmente rimase interdetto, immobile contro la bocca del Mezzorco che cercava di scatenare una reazione di qualche tipo in lui. Quando Tharazar tentò di penetrare nella sua bocca con la lingua, qualcosa scattò nel suo animo, una sorta di impulso primitivo che Patria - negli ultimi attimi di “lucidità” - paragonò ai suoi momenti di furia cieca.
Tharazar sentì il corpo del Tiefling tendersi e irrigidirsi nella sua presa e le sue labbra aprirsi alle sue insistenze; tuttavia, fu la lingua di Patria ad uscire anziché la sua ad entrare. Freneticamente si infilò nel suo cavo orale, dibattendosi tra i denti e passando in rassegna l’intera cavità come una bestia in trappola che cercava una via di fuga per aver salva la vita.
Tharazar fu sorpreso della sua improvvisa reattività, in senso positivo, almeno finché non si sentì ghermire i fianchi con forza per essere scaraventato sul materasso. Il gesto lo colse di sorpresa, tanto che non riuscì ad opporre alcuna resistenza.
Patria salì in ginocchio su di lui. Nella luce della stanza, il suo viso pareva aver assunto connotati ancor più demoniaci del solito e i suoi occhi esprimevano una specie di follia selvaggia. Aveva le labbra schiuse sulle due fila di denti affilati come rasoi e la lingua passava ripetutamente su di esse.
«Vuoi davvero giocare con me?» domandò, e Tharazar rabbrividì udendo di nuovo la stessa voce ultraterrena che già una volta Patria aveva adottato nella foresta, quando aveva perso il controllo perché pensava che lui volesse avvelenarlo con dei funghi di cui ignorava la pericolosità. Il suo tono però non era aggressivo e furioso come quella volta, bensì divertito e lascivo.
«Che cosa ho scatenato…?» domandò a sé stesso il Mezzorco, cominciando a dubitare delle sue azioni «Non è proprio... un gioco quello che avevo in mente...» disse poi a voce alta. Era percepibile una buona dose di incertezza nel suo tono: non sapeva quanto poteva spingersi in là con quella “versione” di Patria senza peggiorare ulteriormente la situazione.
Il Tiefling rise e scese dal letto, continuando a fissarlo con una strana luce negli occhi, un misto di desiderio e di pietà per colui che aveva dinanzi.
Nonostante l’istinto di sopravvivenza gli gridasse di non tentare mosse azzardate con “quel” Patria, il suo orgoglio prevalse: nessuno poteva guardarlo in quella maniera. Tharazar il Magnifico non doveva suscitare pietà in nessuno, solo ammirazione e timore reverenziale.
Approfittando della evidente disparità di stazza tra di loro e dei suoi lunghi anni di addestramento nel muoversi più velocemente dei suoi avversari, il Mezzorco scattò come una molla dal letto. Prima che Patria lo realizzasse, l’aveva ghermito di nuovo per i polsi e l’aveva spinto prono contro il materasso, invertendo le posizioni reciproche e immobilizzandolo. Più che sulla sua forza fisica - che non era proprio la sua carta vincente - Tharazar fece leva sul suo peso non indifferente per mantenere la sua posizione di vantaggio. Si sedette a cavallo del suo deretano, bloccandogli con ambo le mani i polsi dietro la schiena.
«Sono io che comando il ritmo, qui» dichiarò deciso «Quindi… ehm… restituiscimi Patria!».
L’altro scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Non c’è nessuno oltre a me, stupido Mezzorco. Sono sempre io… migliorato» sibilò con disprezzo.
L’altro liberò una delle sue mani per tornare ad accarezzargli i capelli dietro uno dei corni.
«Smettila!» ruggì il Tiefling, cercando di divincolarsi «Smetti immediata… mente… ah!».
L’eco ultraterrena cominciò a scemare, perdendosi in una miriade di mugolii che riportarono Patria al suo tono di voce originario - e probabilmente anche alla sua vera personalità.
«Patria?» chiese il Mezzorco, cessando di toccarlo.
L’altro ansimò piano contro le coperte, poi cominciò a tremare di nuovo, proprio come stava facendo all'inizio - se non addirittura peggio.
«Tharazar… s-scendi per favore… non r-resisto… più...» rantolò con tono supplichevole. Pareva star quasi soffrendo.
Tharazar rimase per un attimo fermo dove si trovava, per vedere se era soltanto una finta della versione "malvagia" del suo compagno di viaggio per cercare di liberarsi e poterlo soverchiare di nuovo oppure no.
«Prima mi fai... eccitare... e poi mi lasci così...?» gemette ancora Patria, vibrando in maniera incontrollabile «... fa' qualcosa...» lo implorò con voce appena stridula.
Non c'erano più dubbi in merito. Non poteva non essere sincero in quel momento.
Il Mezzorco smontò da lui e sorridendo esclamò: «Se me lo chiedi così... chi sono io per negarti un tale piacere?».
Patria non aggiunse altro, limitandosi a mettersi carponi rivolgendo il deretano stretto e peloso nella direzione del suo partner, esibendo non solo la sua metà caprina ma anche il suo pene, che appariva decisamente fuori luogo: oltre ad essere piuttosto notevole in lunghezza, era anche insolitamente glabro. La pelle era nero-violacea come il suo pelo e l'erezione era gonfia alla base e più stretta verso l'apice, completamente eretta.
Tharazar non si focalizzò troppo a lungo su di essa, anche se gli sarebbe piaciuto indagare oltre in merito alla sua particolare anatomia. I suoi occhi azzurri si concentrarono sulla sottile fessura che separava le natiche del Tiefling.
Non aveva esperienza in merito a come funzionasse un rapporto sessuale tra maschi, almeno non per sperimentazione diretta. Sapeva tuttavia che c'erano delle "regole" basilari e fondamentali che valevano per entrambe le tipologie di sesso, primo tra tutto il fatto che gli orifizi dovevano essere lubrificati a dovere.
Pur essendo di una forma fallica convenzionale, l'erezione di Tharazar era proporzionata alla sua stazza - se non addirittura più grande - per cui senza le dovute precauzioni rischiava di fare del male al culetto di Patria.
Solitamente per le femmine non servivano interventi esterni differenti dai semplici preliminari, dato che il loro apparato riproduttivo era fatto appositamente per agevolare l'ingresso del pene. Tharazar dubitava fortemente che un culo fosse dotato della stessa capacità di lubrificazione autonoma.
Tharazar si portò il medio alla bocca e lo ricoprì di un abbondante strato di saliva, quindi lo spinse delicatamente tra le chiappe del Tiefling, cercando di forzargli l’apertura per prepararlo a qualcosa di ben più grosso. Sentì il suo corpo fremere più intensamente e tendersi mentre lui ansimava come se gli mancasse il fiato.
«Rilassati. Se ti agiti così tanto sarà più doloroso» gli suggerì a bassa voce, con tono suadente «Lascia fare a me. Sono un vero esperto in questo».
Seguirono alcuni attimi di silenzio in cui tutto ciò che Patria si limitò a fare fu cercare di respirare normalmente, per poi mettersi a ridacchiare.
«Spero non... quanto… lo eri nel bosco...» boccheggiò divertito.
Tharazar spinse piano il dito più all’interno, premendo gentilmente il polpastrello umido contro le pareti del condotto, strappando un gemito spezzato al suo partner.
«… ti basta come risposta?» domandò, compiaciuto del risultato. Vide l’altro agitare la testa debolmente in segno d’assenso, al che continuò.
Tharazar diede tutto se stesso in quel momento. Desiderava che Patria sperimentasse qualcosa di piacevole e che si ricordasse di quella notte per molti anni a venire, anche nel caso in cui si fossero divisi. Si impegnò per lubrificare e per preparare il suo culo all'ingresso di un'erezione che avrebbe infinitamente apprezzato le sue attenzioni ma che - almeno per adesso - pendeva rigida ma abbandonata.
I continui versi a stento trattenuti del Tiefling lo eccitavano e lo compiacevano al tempo stesso, convincendolo a tutti gli effetti del fatto che stava mettendo correttamente a frutto le sue conoscenze in materia. Era eufemistico definire soltanto "appagante" la sensazione di riuscire a dimostrare di essere capace di fare qualcosa a qualcuno che è sicuro tu sia un completo incompetente - per quanto Patria recentemente avesse smesso di farglielo pesare di continuo.
L'altro non riusciva a capacitarsi di come le sue enormi mani di solito così goffe e dai modi bruschi fossero anche in grado di essere tanto delicate. Nonostante il bruciore iniziale e la continua impressione di dover serrare le chiappe per cercare di spingere fuori le sue dita invadenti, uno strano piacere si era insinuato in lui man mano che i polpastrelli del Mezzorco sondavano l'interno del suo ano.
Ignorare la sua erezione fu la parte davvero difficile. I suoi impulsi sopiti erano stati risvegliati con tale irruenza che adesso anelava l'orgasmo con ogni fibra del suo essere; tuttavia, le braccia gli servivano libere per potersi mantenere in equilibrio carponi sul letto.
La scena proseguì per diversi minuti, fino a che Patria non percepì i suoi polpastrelli - dopo un po' di lavoro era riuscito ad infilarne fino a tre insieme - essere rimossi. Il Tiefling ansimò e rimase in silenzio, tremante, in nervosa attesa del prossimo passo.
«Girati. Voglio guardarti in faccia mentre lo facciamo» sentì dire a Tharazar con un tono che non era di comando «Deve essere una cosa che piace a entrambi».
Patria abbassò timidamente le natiche e si ruotò, mettendosi seduto davanti all'altro.
«Mi avresti chiesto di farlo se davvero fosse così» brontolò con fare remissivo, fissando ostinatamente negli occhi il Mezzorco.
«La tua reazione a quelle carezze dietro le corna mi sembrava piuttosto esplicita...» replicò quest'ultimo «... ma se vuoi tirarti indietro, sei ancora in tempo. Quelli erano solo preliminari» e gli lanciò un sorriso accattivante.
Patria ci rifletté per qualche istante e sentì che, nel profondo, quello era esattamente ciò che voleva. Negarlo gli avrebbe soltanto fatto male.
Imbarazzato, aprì le gambe e si mise sdraiato supino, per poi lanciare un'occhiata al suo partner.
«... così va bene?» chiese, non senza arrossire. Si sentiva così stupido e così inerme in quel momento. Erano anni che non provava una cosa del genere, eppure una parte di sé era sollevata poiché conscia di poterselo permettere in sua presenza.
Tharazar si spostò in ginocchio tra le sue cosce, sollevandole appena per appoggiarle poco sotto il suo bacino. La sua erezione svettava dritta e vogliosa, piegata leggermente verso il basso. Quella di Patria era ribaltata sul suo addome ed arrivava senza problemi ad accarezzargli l'orlo dell'ombelico.
«Perfetto» annuì il Mezzorco, piegandosi appena su di lui «Ora solleva il sedere facendo leva su di me con le gambe» spiegò, picchiettandogli il polpaccio sinistro con la mano mentre con l'altra andava a stringere il suo pene.
Patria eseguì. Era abbastanza allenato perché una tale prova non comportasse eccessivo sforzo da parte sua. Allacciò le gambe attorno al bacino di Tharazar e lo utilizzò come supporto per muoversi. Il suo corpo era incredibilmente solido e il Tiefling riuscì a spostare in alto il culo senza che perdesse l'equilibrio. Era inamovibile, come una montagna.
«Visto che è la prima volta... farò piano» Tharazar sospirò e Patria poté sentire un lieve tremito nella sua voce, che durò solo un attimo «Se ti faccio male, troppo male, dillo. Subito. Chiaro?».
L'altro annuì e rimase a guardarlo, in trepidante attesa. Il Mezzorco si prese il suo tempo per calibrare a dovere l'angolazione. Con le donne era più semplice, dato che in quella particolare posizione la vagina era naturalmente rivolta in obliquo, per agevolare al massimo l'amplesso.
«Non puoi farti sconfiggere da un ostacolo così banale! Forza! Dimostragli di cosa sei capace!» si incitò tra sé e sé mentre sondava con la cima dell'erezione la linea tra le natiche pelose di Patria.
Quando finalmente ritrovò l'incavo, vi spinse appena dentro la punta e alzò lo sguardo per incrociare gli occhi del suo partner. Quest'ultimo aveva serrato per un attimo le gambe con più forza attorno alle sue, per poi rilasciarle.
Al suo cenno successivo, Tharazar guidò più a fondo la propria erezione, facendo entrare l'intera cappella e una piccola porzione retrostante. A quel gesto, entrambi reagirono in maniera palese e quasi contrapposta: il Tiefling gemette con tono di voce quasi strozzato, inarcando appena la schiena; il Mezzorco sgranò gli occhi e serrò le labbra con tale forza che ambedue le sue grosse zanne sporgenti dalla metà inferiore della bocca si conficcarono abbastanza violentemente nella sua carne, vicino alle narici.
Rimasero muti a guardarsi per diversi secondi, del tutto immobili, senza neanche respirare, come se il mondo si fosse fermato di colpo; dopodiché, all'unisono, iniziarono ad ansimare.
«Sei davvero... stretto» commentò Tharazar «È... fantastico...» sospirò.
«È-è stato... inatteso» boccheggiò Patria di contro «Bello... dolente... ma inatteso».
«Posso entrare ancora?» chiese l'altro, e stavolta nel suo tono di voce c'era non solo esitazione ma anche una decisa nota speranzosa.
«Non vedo... perché dovrei fermarti» replicò piano il Tiefling.
Il suo partner sorrise entusiasta e diede un lieve colpo col bacino, quindi continuò ad inserirsi nel suo corpo lentamente. La sua espressione era di impagabile godimento ed era tutt'altro che seducente. Patria dovette sforzarsi molto per non ridere.
Rimase focalizzato sul lasciarlo passare, tentando di non stringere le chiappe. Era difficile farlo con qualcosa di così ingombrante nel mezzo, ma riuscì nell'impresa con sua stessa sorpresa e soddisfazione.
Quando Tharazar fu completamente all'interno, fu il turno di Patria di manifestare piacere: la cima della sua erezione premeva contro un punto dannatamente bello. Non aveva idea di cosa fosse ma non gliene importava: la sola pressione faceva sì che il dolore sordo al fondoschiena che aveva accompagnato tutta l'operazione fosse relegato ad una priorità talmente bassa per i suoi sensi da scomparire quasi del tutto.
Gemette con voce acuta e chiese: «Puoi... spingere ancora... lì?».
Nonostante il velo di estasi che avvolgeva i sensi di Tharazar, la voce del suo compare riuscì a far breccia e raggiungerlo.
«Oh, sì...» rispose. Estrasse in piccola parte la sua erezione - e lo sfregamento contro quelle pareti così strette contribuì non poco a dargli altro piacere - e poi la spinse di nuovo a fondo. Il verso incoerente ma inequivocabilmente positivo che Patria emise gli fece capire che era quella la maniera corretta di proseguire.
Tharazar ripeté il movimento di bacino una terza volta, poi una quarta e una quinta. Prese il ritmo e iniziò a farlo a ripetizione, quasi meccanicamente, senza più badare né alla forza né all'angolazione, che gli venivano spontanei.
I gemiti di Patria si tramutarono in un unico mugolio continuo mentre con una mano cominciava finalmente a masturbarsi, incapace di trattenersi oltre. Era stato fin troppo bravo a resistere fino ad allora.
Tharazar ansimava pesantemente, piegandosi sul suo partner sempre di più, fino a che non fu alla distanza giusta per potergli strappare un altro bacio. Il contatto fu bollente, carico di passione e di desiderio da ambedue le parti.
In quel preciso momento, Patria arrivò all'orgasmo. Continuò a muovere la mano sulla sua erezione, accelerando il ritmo per eiaculare fino all'ultima goccia, schizzando completamente l'addome nudo del suo partner. L'estasi del momento lo colse del tutto alla sprovvista: grugnì contro la bocca di Tharazar, agitando frenetico il braccio libero per cercare di staccarsi da lui e poter respirare liberamente ma il Mezzorco si rifiutò di lasciarlo andare. L'apice del piacere perdurò per alcuni secondi, per poi scemare assieme alle improvvise "convulsioni" di Patria, lasciandolo esanime sul materasso.
Soltanto allora l'altro si decise a spezzare il bacio.
«Credevo... non ce l'avresti fatta...» lo canzonò con voce spezzata il Mezzorco, raddrizzando il busto.
L'altro sogghignò guardandolo: «Dovresti... vedere la tua faccia... non ti ho mai visto tanto... paonazzo... prima. Nemmeno quando hai... cantato».
Tharazar ignorò la frecciatina e rispose: «Ci sono quasi anche io...».
Fece appena in tempo a dirlo che Patria sentì il suo seme riversarglisi dentro. Cacciò una specie di grido a stento soffocato e poi giacque inerte sotto il Mezzorco, attendendo che terminasse di eiaculare.
«Ugh... finalmente...» gemette Tharazar «Non ne potevo più... stavo per esplodere...».
Seguì un momento di silenzio in cui entrambi ripresero fiato e si ricomposero, almeno un briciolo. L'esperienza li aveva alquanto scombussolati, seppur in maniere differenti.
«Presumo... ti sia piaciuto...» fu il Mezzorco a rompere il silenzio, rimanendo fermo dove si trovava, con il pene - ormai non più eretto - ancora dentro il culo di Patria.
Quest'ultimo rivolse lo sguardo al soffitto.
«È... stato bello, sì» confermò con tono di sufficienza, per poi tornare a fissare il suo partner. Pareva non volergli dare la soddisfazione che si meritava per il suo lavoro, ma Tharazar non ci fece caso. Sapeva di essere stato bravo: Patria non lo aveva respinto, non aveva protestato e recalcitrato quando era entrato e non aveva voluto fermarsi. Gli aveva chiesto addirittura lui di muoversi nel suo corpo ancora prima che potesse essere lui a impostare un ritmo di qualche tipo.
Definirsi solo “bravo” era eufemistico. Perfetto, eccezionale.
Superlativo.
«Sai cos'altro è bello?» chiese, tendendo una mano al Tiefling «Un bagno caldo post-sesso».
Patria arrossì e si puntellò sui gomiti per sollevarsi un po', rifiutando il suo aiuto.
«Suppongo che mi tocchi provare anche questo» commentò con fare rassegnato «... ma soltanto se lo fai con me» aggiunse. Voleva apparire spavaldo ma l'ultima frase suonò molto più imbarazzata di quanto avesse desiderato.
Tharazar schiuse le labbra in un sorriso smagliante e audace al tempo stesso mentre gonfiava le spalle e mostrava i pettorali scolpiti.
«Mi sembrava superfluo sottolinearlo».