fiamma_drakon (
fiamma_drakon) wrote2020-08-19 09:07 pm
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Grown Up
Titolo: Grown up
Rating: Verde
Genere: Comico, Fluff, Generale
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 5049 (wordcounter)
Prompt: Tuono per la Introweek di "Esploratori del Polyverso" @ Lande Di Fandom
Timeline: Ambientata dopo questa.
Note: Yaoi implied
La porta d’ingresso del Riposo dell’Avventuriero si aprì e l’imponente figura di Tharazar si materializzò nel varco, proiettando la propria ombra nel fango. Rimase per un attimo fermo sullo stipite, giusto il tempo necessario a tirar su il cappuccio del mantello malconcio che indossava sopra i suoi abiti.
Con una smorfia stanca e disgustata insieme, si chiuse la porta alle spalle e si incamminò sotto la pioggia, che di colpo si fece più intensa.
Un tuono riecheggiò non troppo lontano dalla città, segno che il tempo non sarebbe andato migliorando nel corso della nottata.
«Grandioso…! Un bel diluvio era proprio quello che mi serviva dopo essermi esibito in quel porcile…!» brontolò a mezza voce Tharazar in tono esasperato, scoccando un’occhiataccia al cielo.
L’autunno stava volgendo rapidamente al termine, lasciando il posto all’inverno. Le giornate temperate iniziavano ad essere sempre più rigide ed uscire all’aperto dopo il tramonto del sole significava coprirsi con ben più di un misero strato di abiti.
Alla Rocca di Helm, l’inverno incalzante portava molte più precipitazioni di quanto preventivato quando Tharazar aveva supplicato il suo compagno di viaggio Patria di fermarsi in un insediamento per i mesi freddi dell’anno. Il Mezzorco già non era avvezzo a luoghi che non fossero sfarzosi e dotati di tutti gli agi del caso; figurarsi se era preparato alle gelate notturne e alle piogge costanti.
Ambientarsi alla Rocca era stato quasi traumatico per lui, complice senz’altro la brutta esperienza della prima notte che avevano trascorso alloggiando presso il Riposo dell’Avventuriero: la mancanza di preparazione culinaria di chiunque fosse stato assunto in qualità di cuoco, la stanza dotata del minimo indispensabile affinché qualcuno potesse soggiornare al suo interno e senza neppure un bagno privato avevano spinto Tharazar ad insistere con Patria perché trovassero una sistemazione migliore.
Come ebbero tristemente modo di verificare l’indomani mattina, quella era l’unica locanda in tutta la città. Ciò mise Tharazar dinanzi ad una scelta che per lui fu drammatica: abbassare i propri standard e accontentarsi della mediocre sistemazione finché l’inverno non fosse terminato, oppure trovare la maniera di sistemarsi presso un’abitazione.
Patria aveva immaginato che non avesse intenzione di faticare per riuscire ad avere una casa decente, specialmente considerato che si trattava solo di una cosa temporanea. Aveva pensato che avrebbe cercato di seppellire il suo orgoglio e le sue pretese ambiziose e avrebbe cercato di accontentarsi di quello che aveva da offrire il Riposo dell’Avventuriero - che persino lui che si teneva alla larga dai centri abitati come focolai di malattie mortali non trovava altro modo di etichettare se non come “pessimo”.
Tharazar era riuscito a sorprenderlo, proponendogli di cercare cittadini che avessero bisogno di aiuto per poter racimolare denaro sufficiente a prendere una casa, anche solo in affitto. Lui aveva ancora dei soldi con sé, per cui almeno in parte erano coperti per le prime spese.
Il giorno successivo si erano rimboccati le maniche e si erano messi in cerca di qualcuno che potesse dar loro un tetto sulla testa. Per fortuna Tharazar era molto più persuasivo di quanto Patria avrebbe mai potuto sperare di diventare, per cui chiedendo a destra e a manca riuscirono a trovare un’anziana signora disposta ad affittare loro la casa della sorella defunta da poco. Era piccola e non certo dotata di tutti i comfort che il Mezzorco desiderava, però era vicino alle mura esterne, lontana dal mercato centrale abbastanza da far sì che le paranoie del Tiefling riguardo il contatto con altre razze non costituissero un problema insormontabile.
I risparmi di Tharazar andarono tutti nell’acquisto delle provviste e del necessario per il vivere quotidiano, per cui il passo successivo era stato per forza andare in cerca di un qualche impiego che consentisse loro di pagare l’affitto.
Il buio della notte era sopraggiunto piuttosto presto nel pomeriggio, un evento che era ormai diventato la norma, per cui a quell’ora tarda le tenebre erano terribilmente fitte. Come se non bastasse, si era messo a piovigginare.
La porta d’ingresso del Riposo dell’Avventuriero si aprì e l’imponente figura di Tharazar si materializzò nel varco, proiettando la propria ombra nel fango. Rimase per un attimo fermo sullo stipite, giusto il tempo necessario a tirar su il cappuccio del mantello malconcio che indossava sopra i suoi abiti.
Con una smorfia stanca e disgustata insieme, si chiuse la porta alle spalle e si incamminò sotto la pioggia, che di colpo si fece più intensa.
Un tuono riecheggiò non troppo lontano dalla città, segno che il tempo non sarebbe andato migliorando nel corso della nottata.
«Grandioso…! Un bel diluvio era proprio quello che mi serviva dopo essermi esibito in quel porcile…!» brontolò a mezza voce Tharazar in tono esasperato, scoccando un’occhiataccia al cielo. Se l’acido sarcasmo delle sue parole fosse stato tangibile avrebbe potuto utilizzarlo come un’arma contro eventuali delinquenti, se solo qualcuno di loro fosse stato talmente idiota da tentare di sbarcare il lunario con quel tempo orribile.
Ancora non riusciva a credere di essere riuscito ad abbassarsi a tal punto da andare ad offrire la propria arte ai pezzenti che gestivano quella sottospecie di locanda. Il disgusto che provava ripensando alla terribile notte trascorsa presso di essa era ancora forte in lui, abbastanza da costringerlo a sfruttare tutta la sua capacità recitativa e il suo autocontrollo per riuscire in quella che per lui era un’epica impresa. Forse avrebbe dovuto accompagnare Patria in cerca di qualcuno bisognoso dell’intervento di qualche avventuriero, anche se la sola idea di ritornare in prossimità della foresta prima dell’arrivo della primavera metteva a dura prova la sua capacità di decidere quale dei due fosse il male minore.
«Dovrò abituarmi a venire a lavorare qui per i prossimi mesi...» rifletté amaramente, cercando di tenersi almeno il cappuccio sulla testa, giusto per non ritrovarsi coi capelli lunghi fradici. Per il resto, non poteva fare granché: aveva già gli stivali inzaccherati di fango fino a metà polpaccio e il vento che trascinava la pioggia gli tirava via il mantello, esponendo i suoi vestiti tutt'altro che adeguati alla stagione alle intemperie. La camicia leggera e il panciotto che indossava sopra di essa erano già impregnati di acqua, facendolo tremare visibilmente. I pantaloni di cuoio lavorato almeno per il momento stavano resistendo, anche se dubitava che sarebbero riusciti ad arrivare sani e salvi al termine della stagione.
Era consapevole che avrebbe dovuto provvedere ad un cambio di guardaroba, ma doveva prima di tutto riuscire a racimolare denaro a sufficienza per le necessità basilari della vita quotidiana.
L'esperimento di convivenza con Patria lo stava mettendo dinanzi al fatto che nella sua ingenuità dava per scontate molte cose, troppe addirittura. Il lavoro che c'era dietro la preparazione del cibo andava oltre la semplice manualità ai fornelli, così come per avere l'acqua necessaria a farsi il bagno ogni giorno doveva andare a recuperarla quasi ogni volta dai pozzi disseminati per la città. Almeno per avere i vestiti puliti poteva arrangiarsi con la magia, anche se non gli davano la stessa sensazione piacevole dell'indossare abiti profumati e stirati di fresco.
Era impegnativo, ma doveva farcela. Voleva farcela. Ormai erano trascorsi mesi da quando era partito da Neverwinter, abbandonando i fasti della sua vecchia vita da gladiatore. Patria gli aveva insegnato a sopravvivere nella foresta, per cui non poteva lasciarsi sopraffare dalle difficoltà della vita quotidiana in un centro abitato, non quando il suo compagno ce la stava mettendo tutta per superare le sue paure e i suoi traumi nel convivere in presenza di Umani.
Tharazar affrettò il passo, incurante delle suole degli stivali che affondavano nel fango e lo sollevavano in schizzi consistenti diretti un po' ovunque. Non vedeva l'ora di arrivare a casa, sperando che a quell'ora Patria fosse già rientrato e che gli avesse almeno lasciato qualcosa di caldo per cena.
Il freddo pungente che gli stava penetrando fino nelle ossa riusciva a distrarlo dalla voragine che aveva al posto dello stomaco in quel momento. Benché il menù del Riposo dell'Avventuriero non fosse di suo gradimento, esibirsi in una locanda all'ora di cena non era esattamente il massimo per lui.
Un altro tuono rimbombò nell'aria, molto più vicino e terrificante rispetto a poco prima. Il Mezzorco sobbalzò leggermente e udì da una stradina alla sua destra provenire un miagolio spaventato. Era già fermo, per cui si volse a guardare, incuriosito dal rumore. La pioggia battente gli impediva di vedere con nitidezza assoluta, anche se la sua Scurovisione lo rendeva in grado di ignorare il buio entro poca distanza da lui.
Nonostante tutto, riuscì a notare un movimento a ridosso di una delle due pareti del vicolo: si trattava di un gatto rimasto invischiato in una pozzanghera di fango. Miagolava e si agitava, cercando di uscire dalla melma da cui affiorava il muso e poco altro.
Un altro tuono riempì l'aria, e i miagolii del felino si fecero più disperati. Tharazar si avvicinò, mosso da una pietà misera e fin troppo dolorosa: quel gattino non sarebbe riuscito a sopravvivere alla nottata tutto solo viste le sue condizioni... un po' come lui l'indomani della sua fuga da Neverwinter. Ricordava bene la paura della sua prima notte all'aperto, da solo e affamato, con la prospettiva di un futuro talmente incerto che non sapeva se ce ne sarebbe davvero stato uno per lui. Nessuno era giunto in suo soccorso. Aveva dovuto farsi coraggio da solo, a prescindere da tutto.
In quel frangente invece, lui poteva fare qualcosa. Poteva fare la differenza per il futuro di quel micio, esattamente come più tardi aveva fatto Patria con lui.
Si piegò vicino alla creatura e senza pensarci due volte infilò le mani nel fango per estrarla. Il gatto si rivelò essere più grosso del previsto e soprattutto più peloso. Era stata la pelliccia ricoperta di densa fanghiglia a impedirgli di liberarsi.
Solo in un secondo momento, quando quel tenero gomitolo di pelo e sporcizia era ormai tra le sue mani, il Mezzorco realizzò di aver appena messo le mani in quella che da asciutta era terra che solo gli Dei sapevano cosa aveva visto da parte di cittadini, mendicanti e guardie. Il pensiero lo fece impallidire e una sensazione di nausea gli attanagliò lo stomaco.
Il gatto miagolò ancora e si mosse per leccare il dito del Mezzorco più vicino al suo muso.
«Fermo, cosa fai!» lo brontolò il diretto interessato, allontanandogli la falange con uno scatto «Che schifo, non leccare quella roba!».
Un fulmine illuminò il cielo, e la pioggia iniziò a trasformarsi in grandine mentre un ennesimo tuono risuonava tutt'attorno, facendo quasi tremare le case. Il gatto fremette nell'udire il rombo, cercando di liberarsi dalla sua presa. Tharazar lo strinse lesto al petto, ignorando la macchia di fango che dipinse sul panciotto. Comunque quella roba avrebbe dovuto lavarla, in un modo o nell'altro.
«Stai calmo, non ti lascio qui da solo. Adesso andiamo all'asciutto» disse rivolto al gatto; dopodiché, iniziò a correre.
Le suole degli stivali affondavano e si appiccicavano al fango, opponendo resistenza ad ogni suo passo, costringendolo ad un andamento goffo, rallentato e faticoso. Cercò di rimanere chino sul micio per evitare che la grandine gli facesse del male, col risultato che si ritrovò la schiena bombardata di piccolissimi proiettili.
Durante la corsa, sentì il gattino armeggiare con i bottoni del suo gilet; tuttavia, l'urgenza di giungere a destinazione lo dissuase dal fermarsi per brontolarlo.
In quelle condizioni gli occorse una buona quindicina di minuti per riuscire a raggiungere casa. Si fermò dinanzi alla porta e picchiò con forza un pugno contro il battente, sperando di riuscire a superare il frastuono del temporale.
Rimase per alcuni secondi immobile, pregando che Patria non fosse ancora fuori e che l'avesse udito. Stava per colpire ancora la porta quando sentì cigolare i cardini e nella cornice dello stipite comparve il suo compagno di viaggio, che indossava degli abiti semplici e comodi al posto della sua solita tunica rinforzata con piastre metalliche.
La sua espressione era piuttosto preoccupata mentre esaminava il nuovo arrivato da capo a piedi.
«Mi fai entrare per favore?!» gemette il Mezzorco con tono stanco ed esasperato.
Patria parve uscire da una momentanea trance e si affrettò a farsi da parte per lasciarlo entrare.
«Speravo tu fossi rimasto alla locanda ancora un po'...» ammise il Tiefling, osservandolo sfrecciare all'interno della sala.
La casa non aveva molto spazio e nemmeno molte stanze: quella principale funzionava da soggiorno, sala da pranzo e cucina. Un piccolo angolo cottura con un caminetto era tutto ciò che avevano a disposizione per riscaldare loro stessi e il cibo. Vicino ad esso - ma non troppo - era sistemato un rozzo tavolo di legno che in quel momento era apparecchiato per due persone.
In un angolo, dall'altra parte della stanza, si trovava una grossa tinozza vuota, approntata per i bagni di Tharazar. Vicino ad essa si trovavano alcuni secchi di acqua, raccolta per ogni evenienza.
L'unica parete interna all'edificio serviva a separare quella stanza da un'altra, molto più piccola, in cui si trovava un vecchio letto con il materasso abbastanza duro da rivaleggiare senza difficoltà con la comodità di dormire sul pavimento. L'unico pregio era quello di essere sufficientemente largo da poter accogliere entrambi durante le freddi notti invernali, in modo da potersi riscaldare a vicenda col calore corporeo. Le coperte già presenti facevano poco per aiutare in tal senso, tanto che Tharazar aveva già messo in conto di comprarne di nuove non appena ne avessero avuta l'opportunità.
«E-e-e rischiare d-di rimanere bloccato l-lì per la notte?» brontolò il Mezzorco, fremendo per il freddo in maniera ancora più intensa di prima «N-non esiste!».
«E allora rischia di prenderti un malanno per tornare a casa!» sbottò Patria per contro, avvicinandosi a lui per togliergli il mantello di dosso «Almeno spogliati, sei fradicio».
Tharazar si ritrasse al contatto e sollevò un braccio per tenerlo lontano.
«Fe-fermo... prima dobbiamo pensare a lui» e così dicendo si raddrizzò a dispetto dei brividi e mostrò il gatto che aveva in braccio.
Patria aggrottò le sopracciglia e poi lanciò un'occhiata interrogativa al suo compagno.
«L-l'ho rac-colto per strada... era rimasto bloccato i-in una pozzanghera...» spiegò, quindi fece per muoversi in direzione della tinozza.
«Fermo dove sei!» Patria gli girò intorno per bloccargli la strada. Senza pensarci due volte, si liberò della camicia di lino grezzo che indossava, gettandola a terra in un angolo prima di tendere le braccia verso il suo partner, che lo guardò con cipiglio visibilmente confuso.
«T-ti pare il mo-mo-momento per le coccole?» chiese quest'ultimo.
L'incarnato già rosso del Tiefling si fece violaceo in corrispondenza delle sue guance.
«Cosa hai capito, stupido!» brontolò indignato «Dai a me quel gatto, ci penso io a sistemarlo! Tu spogliati e mettiti vicino al fuoco prima di ammalarti sul serio!».
«O-ooh...» il Mezzorco parve rilassarsi per un istante prima di protendere verso l'altro il braccio su cui il felino si era abbarbicato.
Un altro tuono rombò all'esterno, facendo tremare le vecchie imposte di legno bloccate alla bell'e meglio per l'occasione. Il gatto schizzò via dall'arto di Tharazar in reazione al rumore, saltando verso Patria, che lo afferrò al volo affondando le mani in mezzo al fango che lo rivestiva.
La coppia si separò, dirigendosi verso le due estremità opposte della stanza.
Tharazar utilizzò Prestidigitazione per ripulirsi dal fango le mani e la chiazza sul panciotto, quindi si accovacciò vicino al camino e cominciò a denudarsi. Sfilò gli stivali e li mise in disparte per non seminare altra melma in giro, quindi tolse il mantello e poi passò al resto degli abiti. Una volta tolti anche quelli, si sedette a tavola completamente nudo, avendo cura di posizionarsi con la schiena rivolta verso il camino per cercare di riscaldarsi ulteriormente.
Anche senza abiti continuava a tremare per il freddo, benché la situazione fosse drasticamente migliorata rispetto a poco prima.
Adesso che le sue condizioni non erano più così pessime, i suoi sensi stavano riprendendo a funzionare normalmente, e la prima cosa che recepirono fu il profumo del cibo che si trovava poco distante da lui. Patria aveva preparato quello che dall'odore e dall'aspetto sembrava a tutti gli effetti del brodo. A giudicare dal leggero alone di fumo che stava ancora sollevandosi dalla sua superficie, il suo compagno l'aveva messo in tavola non molto tempo prima del suo effettivo arrivo.
Tharazar si morse il labbro inferiore, combattuto tra la necessità di mettere qualcosa sotto i denti e la buona educazione di aspettare che anche Patria potesse sedersi con lui a mangiare.
Si risolse ad aspettare, visto che il suo partner era stato tanto carino da attendere quell'ora tarda della sera per mettersi a cucinare.
In silenzio e crogiolandosi nel tepore del fuoco, rimase ad osservarlo mentre riempiva la tinozza con l'acqua dei secchi e si inginocchiava sul pavimento per mettersi al lavoro.
Patria ebbe il suo bel da fare a cercare di evitare che il gatto sfuggisse dalla tinozza mentre lui la riempiva di acqua. Era consapevole della naturale avversione della bestiola nei confronti dell'acqua, ma non era certo per torturarla che stava facendo tutto ciò: lo spesso strato di fango che era rimasto sulla sua pelliccia gli impediva di muoversi liberamente.
Appellandosi a buona parte della stessa pazienza cui aveva attinto per riuscire a gestire Tharazar durante il primo periodo della loro "convivenza" nella foresta, il Tiefling cercò di utilizzare il bordo della vasca per trattenervi contro il micio mentre con l'altra mano gli spingeva contro l'acqua.
Il gatto miagolava e soffiava cercando di aggrapparsi con gli artigli alla parete di legno per scalarla e liberarsi, ma era evidentemente debole per riuscire ad ottenere dei risultati. Patria lo sentiva tremare contro il palmo della sua mano.
Sicuramente il temporale che infuriava a pieno regime all'esterno non lo aiutava: i tuoni sembravano spaventare profondamente la creaturina, rendendola ancora più difficile da controllare.
«Almeno Tharazar non ho mai dovuto costringerlo a lavarsi il fango da dosso...» ponderò tra sé e sé mentre cercava di strofinare il pelo del gatto.
Man mano che l'acqua ammorbidiva lo spesso strato di fango, consentendo alle dita del Tiefling di asportarlo con relativa semplicità, gli risultò evidente il motivo per cui faceva tanta fatica a muoversi: la sua pelliccia era incredibilmente folta e lunga, per cui i grumi di melma avevano avuto un'ampia area cui attecchire. Sotto tutta quella fanghiglia c'era quasi più pelo che gatto.
Una mezz'ora abbondante più tardi, ormai sul punto di abbioccarsi a dispetto dello stomaco che si stava ribellando al digiuno autoimposto, Tharazar vide Patria alzarsi da vicino la vasca e voltarsi nella sua direzione.
Il Mezzorco si affrettò a raddrizzarsi, sollevando il viso - che già stava scivolando dal sostegno offerto dal palmo della mano - per rivolgere al suo partner una finta espressione sveglia.
Notò che tra le braccia dell'altro si trovava un fagotto fatto col telo che solitamente utilizzava per asciugarsi, e tra le pieghe del tessuto affiorava il musetto bianco e pulito del gatto.
«Adesso che è bello pulito va molto meglio...» esclamò Patria, avvicinandosi al tavolo «Anche se non mi aspettavo fosse così grosso...».
Tharazar aggrottò le sopracciglia con espressione confusa.
«Grosso?» ripeté con voce leggermente impastata. Non gli era sembrato certo un cucciolo a prima vista, però non aveva nemmeno avuto l'impressione che si trattasse di una bestia così vasta.
Patria aprì il fagotto una volta giunto in prossimità della tavola, in modo che la creatura all'interno potesse scendere sul piano.
Tharazar sgranò gli occhi alla vista del micio finalmente pulito: effettivamente, era piuttosto voluminoso, anche se la maggior parte della sua massa era costituita dal pelo bianco-rossiccio. Il corpo era allungato e la coda - che da sola costituiva metà della lunghezza complessiva - somigliava più ad un piumino per la polvere che ad altro.
Il felino fece alcuni passi sul tavolo, annusando le assi con curiosità e spingendosi fino verso il Mezzorco, che istintivamente abbassò un braccio per avvicinare le dita al suo muso. Il gatto si parcheggiò vicino ad esse ed iniziò a leccargli le unghie, scoccandogli di quando in quando delle lunghe occhiate con i suoi penetranti occhi verde smeraldo.
Tharazar rimase affascinato dal particolare colore delle sue iridi. Come in trance, continuò a studiarlo in ogni suo dettaglio.
Se avesse dovuto scegliere un singolo aggettivo per descriverlo, "maestoso" sarebbe stato quello più appropriato. Il pelo folto dava l'impressione di un gatto che doveva essere stato - almeno in passato - molto ben tenuto e curato. Il suo sguardo dava l'idea di una bestia avvezza ad essere riverita e trattata come si confà a qualcuno di rango elevato.
Non aveva collare o medaglietta che dichiarasse la sua appartenenza a qualcuno, il che non aveva alcun senso per lui: come poteva una creatura così splendida essere finita abbandonata in quella pozzanghera di fango senza che nessuno si accorgesse di lei?
Tharazar si sentì stringere alla bocca dello stomaco da rinnovata ondata di compassione nei confronti di quel gatto nel quale si rispecchiava così tanto.
«Sembra proprio che tu gli piaccia» commentò divertito Patria, accomodandosi sulla sedia rimasta vuota.
«Così pare» rispose l'altro, ricacciando indietro i ricordi del suo passato che minacciavano di tornare a travolgerlo.
Il suo stomaco riprese a brontolare. Mai come in quel momento era stato contento di sentire il gorgogliare delle sue viscere vuote, talmente reali da riuscire a riportarlo al presente.
Il micio agitò la coda nell'udire il rumore, quindi si alzò e ricominciò ad esplorare il tavolo.
«Potevi mangiare mentre sistemavo il tuo nuovo amichetto» lo redarguì bonariamente Patria, impugnando il suo cucchiaio «Avevo aspettato a preparare per farti trovare la cena calda... soprattutto considerato che sei tornato sotto la pioggia...».
Le guance di Patria si tinsero di una intensa sfumatura violacea mentre abbassava lo sguardo sulla sua scodella.
«Ormai il brodo si sarà raffreddato...» brontolò con voce sommessa.
Il suo imbarazzo nell'ammettere di preoccuparsi per lui era davvero tenero. Per quanto semplici e talvolta banali, le premure di Patria riuscivano ancora a far sentire Tharazar apprezzato e ben accetto, anche se erano ben diverse dalle attenzioni che gli avevano riservato per anni all'Arena di Neverwinter.
«Non volevo lasciarti mangiare da solo» ammise il Mezzorco, prima di schioccare leggermente le dita. In risposta al gesto, la zuppa di Patria riprese ad esalare vapore.
Subito dopo ripeté l'incantesimo per il suo piatto.
«Non sarà gratificante come l'averlo riscaldato normalmente... ma sempre meglio di niente» disse, stringendosi nelle spalle.
Patria abbozzò un sorriso, prima di iniziare a mangiare. Il suo compagno lo imitò subito dopo.
Il gatto, che continuava a passeggiare in mezzo a loro ispezionando con curiosità ciò che si trovava a portata, si fermò e sollevò il musetto per annusare l'aria nel momento stesso in cui il brodo di entrambi riprese a fumare. Senza indugio, si diresse verso Tharazar e cercò di infilare il nasino dentro la sua ciotola.
«N-no, fermo...! Questo è mio» il Mezzorco cercò di allontanarlo con il braccio, con delicatezza e senza essere troppo rude. Purtroppo, come lo lasciava libero quello tornava da lui lesto a cercare di leccare il contenuto della sua scodella.
«Patria! Cosa devo fare per allontanarlo? Aiutami!» brontolò dopo alcuni tentativi con il tono lamentoso che avrebbe potuto utilizzare un ragazzino capriccioso.
«Ha solo fame... è normale» il Tiefling cercò di rassicurarlo «Non credo abbia potuto mangiare qualcosa sotto il temporale».
«Capisco che sia attirato dalla tua cucina... ma questo è il mio piatto!» replicò stizzito il suo interlocutore.
Il suo compagno emise un lungo sospiro esasperato, quindi si alzò e andò a recuperare una terza ciotola, che appoggiò accanto al gomito del Mezzorco.
«Prova a metterne un po' qui dentro» disse.
Tharazar fece una smorfia all'idea di separarsi da una parte della sua mesta cena, però lo fece comunque: depose un paio di cucchiaiate all'interno della ciotola vuota e rimase in attesa di vedere se il suo "sacrificio" sarebbe stato accettato.
Il micio seguì con il muso il cucchiaio del Mezzorco nel suo ultimo tragitto. Quando tolse l'utensile dalla ciotola, il gatto ci infilò la testa e lì rimase, senza spostarsi. Nel giro di qualche secondo, il suo corpo iniziò ad emettere una serie di rumori bassi e ripetitivi, simili al grattare di una sedia su una superficie ruvida.
Tharazar aggrottò le sopracciglia e si sporse verso di lui, piegando leggermente il capo per ascoltare meglio.
«Non lo senti anche tu questo rumore che fa? Forse sta male?» chiese a Patria, e dal tono pareva seriamente preoccupato «Forse ha preso il raffreddore sotto la pioggia...? Anche i gatti possono prenderlo, no? ... credo».
Patria rischiò di strozzarsi con il brodo mentre una risata gli sbocciava spontanea in risposta alle sue domande.
«Non hai mai sentito un gatto fare le fusa?» chiese incredulo.
A giudicare dall'espressione attonita dell'altro, la replica doveva essere "no".
«Quel rumore che fa... significa che è contento. A suo agio» spiegò il Tiefling.
«O-oh!» Tharazar si fece paonazzo in volto, scoccando un'occhiata prima al suo interlocutore e poi alla fonte della sua perplessità - ancora intenta a leccare il brodo dal fondo della ciotola «Allora significa che il tuo brodo piace anche a lui!».
«Già, a quanto pare...» constatò Patria con un sorriso, tornando a consumare la sua cena.
Il terzetto terminò la cena senza ulteriori indugi. Ogni tanto un tuono si faceva sentire, allertando e spaventando il gatto. Le carezze di Tharazar riuscivano a rabbonirlo e tranquillizzarlo, anche se per poco: il temporale sembrava deciso a rendere la nottata del micio indimenticabile.
Finito che ebbero di cenare, Patria si occupò di togliere le stoviglie sporche mentre il suo compagno si dava una sciacquata veloce con la poca acqua che era rimasta. Anche riscaldandola con la magia, non era sufficiente a contrastare gli spifferi gelidi che entravano dalla finestrella bloccata.
Infreddolito, Tharazar abbandonò i secchi vuoti in un angolo e decise di andare a nascondersi sotto le leggere e inadeguate coperte di cui disponevano, in attesa dell'arrivo di Patria.
Il gatto gli trotterellò tra le gambe e montò sul letto assieme a lui, esplorandone il fondo rapidamente per poi dirigersi verso i cuscini.
Si acciambellò accanto alla spalla del Mezzorco, accarezzandogli il braccio con la coda. La sua presenza era in qualche modo confortevole, soprattutto considerato che il suo pelo gli stava riscaldando la pelle con cui era in contatto.
Quando Patria li raggiunse, trovò i due ancora vicini. Il Mezzorco era disteso su un fianco e stava giocherellando con le zampine anteriori della bestiolina, cercando di trattenerle tra le dita. Quando gli sfuggiva, il gatto cercava di "catturarlo" a sua volta, spostando entrambe le zampe sui polpastrelli con cui aveva tentato di imprigionarlo poco prima.
Era una scena dolcissima che Patria non si sarebbe mai sognato di veder accadere, soprattutto considerato quanto in quel frangente apparisse sereno e beato il suo partner. Persino la sua compagnia spesso non riusciva a sortirgli un tale effetto.
«Domani dovremo cercare il suo proprietario...» fece presente il Tiefling senza il minimo tatto, colto da una punta di gelosia per le eccessive attenzioni che l'altro stava rivolgendo al nuovo arrivato.
Sgusciò sotto le coperte a sua volta, ma rimase seduto anziché distendersi. Voleva affrontare l'argomento senza rischiare che la stanchezza avesse il sopravvento, e soprattutto prima che diventasse ancor più doloroso per Tharazar separarsi dal suo nuovo amico.
«Come sarebbe a dire? L'ho raccolto io... e non ha alcuna medaglietta!» sbottò l'altro per contro, improvvisamente irritato «Se davvero aveva un proprietario, è stato un irresponsabile a permettere che finisse in quella pozza di fango!».
«Lo so... ma non possiamo tenerlo con noi» cercò di farlo ragionare Patria «Un gatto ha bisogno di attenzioni, di cibo adeguato... e non abbiamo ancora soldi sufficienti nemmeno per noi stess...».
«Non m'importa!» Tharazar scattò seduto, facendo spaventare il micio, che schizzò via verso il fondo del letto alla velocità della luce «Se non vuoi occupartene tu, va bene! Lo farò io!».
«Fai ancora fatica ad abituarti ad una vita normale, come puoi pensare di occuparti di qualcuno al di fuori di te stesso?!» lo redarguì in tono più duro Patria, iniziando ad infervorarsi a sua volta «Oppure stai cercando una scusa per non andare più al Riposo dell'Avventuriero?».
«Sono andato ad esibirmi in quel tugurio di locanda questa sera, come ho fatto ieri e i giorni ancora prima! Non smetterò di farlo per badare a Tuono!» protestò il Mezzorco, digrignando leggermente i denti con fare determinato e minaccioso al tempo stesso «Anzi, se sarà necessario per tenerlo con noi, sono disposto anche a cercarmi un altro impiego!» soggiunse, battendosi un pugno chiuso sul petto nudo.
Patria socchiuse gli occhi, assumendo un cipiglio diffidente che perdurò sul suo viso solo pochi secondi, prima di lasciare spazio ad un sorriso orgoglioso.
Poggiò una mano sulla sua spalla e disse: «Non immaginavo che avessi raggiunto un tale livello di maturità in questi pochi giorni...».
Tharazar arrossì, abbassando lo sguardo.
«Non voglio abbandonarlo nelle mani di chi non lo merita...» ponderò a bassa voce il Mezzorco, prima di lanciare un'occhiata in direzione del micio, intento al leccarsi le parti basse sul fondo del letto.
A giudicare dal suo tono, Patria comprese che a legarli c'era una motivazione più profonda della semplice compassione verso una creatura in difficoltà. Non voleva insistere con Tharazar per avere subito una spiegazione. Sapeva che quando si fosse sentito pronto avrebbe parlato da solo, senza alcuna sollecitazione. Era soltanto questione di portare pazienza.
«... davvero l'hai chiamato Tuono?» domandò, cambiando argomento di punto in bianco con un sorrisetto stampato in viso.
Un rombo di tuono più debole dei precedenti giunse dall'esterno, e il felino reputò più sicuro tornare nell'incavo che separava la coppia piuttosto che rimanere da solo sul fondo del materasso. Si appiattì sull'addome, allungandosi per occupare tutto l'esiguo spazio che c'era a disposizione.
«Mi pare appropriato, non credi?» chiese per contro Tharazar, gli occhi azzurri che spaziavano con fare vago tutt'attorno «O-oppure... volevi dire che è una lei?».
Patria ridacchiò, sdraiandosi su un fianco e girandosi a dare le spalle agli altri due, senza rispondere.
Tharazar assunse un cipiglio costernato mentre si sdraiava rivolto verso il centro del letto. Stava per mettersi ad esplorare le parti basse di Tuono nella speranza di capire da solo il suo sesso quando udì Patria dire: «Se provi a toccargli il pisellino, ci penserà due volte prima di tornare a farsi coccolare da te...».
Paonazzo in volto, il Mezzorco si affrettò a distendersi supino sotto le coperte, chiudendo gli occhi e rimanendo immobile. Di fianco a sé percepì Tuono alzarsi per andare ad acciambellarsi sopra la sua pancia.
Tharazar sorrise e lo accarezzò con il dorso della mano, lasciando l'arto lì vicino mentre scivolava nel sonno, cullato dal rumore della pioggia che finalmente iniziava ad affievolirsi.
Rating: Verde
Genere: Comico, Fluff, Generale
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 5049 (wordcounter)
Prompt: Tuono per la Introweek di "Esploratori del Polyverso" @ Lande Di Fandom
Timeline: Ambientata dopo questa.
Note: Yaoi implied
La porta d’ingresso del Riposo dell’Avventuriero si aprì e l’imponente figura di Tharazar si materializzò nel varco, proiettando la propria ombra nel fango. Rimase per un attimo fermo sullo stipite, giusto il tempo necessario a tirar su il cappuccio del mantello malconcio che indossava sopra i suoi abiti.
Con una smorfia stanca e disgustata insieme, si chiuse la porta alle spalle e si incamminò sotto la pioggia, che di colpo si fece più intensa.
Un tuono riecheggiò non troppo lontano dalla città, segno che il tempo non sarebbe andato migliorando nel corso della nottata.
«Grandioso…! Un bel diluvio era proprio quello che mi serviva dopo essermi esibito in quel porcile…!» brontolò a mezza voce Tharazar in tono esasperato, scoccando un’occhiataccia al cielo.
L’autunno stava volgendo rapidamente al termine, lasciando il posto all’inverno. Le giornate temperate iniziavano ad essere sempre più rigide ed uscire all’aperto dopo il tramonto del sole significava coprirsi con ben più di un misero strato di abiti.
Alla Rocca di Helm, l’inverno incalzante portava molte più precipitazioni di quanto preventivato quando Tharazar aveva supplicato il suo compagno di viaggio Patria di fermarsi in un insediamento per i mesi freddi dell’anno. Il Mezzorco già non era avvezzo a luoghi che non fossero sfarzosi e dotati di tutti gli agi del caso; figurarsi se era preparato alle gelate notturne e alle piogge costanti.
Ambientarsi alla Rocca era stato quasi traumatico per lui, complice senz’altro la brutta esperienza della prima notte che avevano trascorso alloggiando presso il Riposo dell’Avventuriero: la mancanza di preparazione culinaria di chiunque fosse stato assunto in qualità di cuoco, la stanza dotata del minimo indispensabile affinché qualcuno potesse soggiornare al suo interno e senza neppure un bagno privato avevano spinto Tharazar ad insistere con Patria perché trovassero una sistemazione migliore.
Come ebbero tristemente modo di verificare l’indomani mattina, quella era l’unica locanda in tutta la città. Ciò mise Tharazar dinanzi ad una scelta che per lui fu drammatica: abbassare i propri standard e accontentarsi della mediocre sistemazione finché l’inverno non fosse terminato, oppure trovare la maniera di sistemarsi presso un’abitazione.
Patria aveva immaginato che non avesse intenzione di faticare per riuscire ad avere una casa decente, specialmente considerato che si trattava solo di una cosa temporanea. Aveva pensato che avrebbe cercato di seppellire il suo orgoglio e le sue pretese ambiziose e avrebbe cercato di accontentarsi di quello che aveva da offrire il Riposo dell’Avventuriero - che persino lui che si teneva alla larga dai centri abitati come focolai di malattie mortali non trovava altro modo di etichettare se non come “pessimo”.
Tharazar era riuscito a sorprenderlo, proponendogli di cercare cittadini che avessero bisogno di aiuto per poter racimolare denaro sufficiente a prendere una casa, anche solo in affitto. Lui aveva ancora dei soldi con sé, per cui almeno in parte erano coperti per le prime spese.
Il giorno successivo si erano rimboccati le maniche e si erano messi in cerca di qualcuno che potesse dar loro un tetto sulla testa. Per fortuna Tharazar era molto più persuasivo di quanto Patria avrebbe mai potuto sperare di diventare, per cui chiedendo a destra e a manca riuscirono a trovare un’anziana signora disposta ad affittare loro la casa della sorella defunta da poco. Era piccola e non certo dotata di tutti i comfort che il Mezzorco desiderava, però era vicino alle mura esterne, lontana dal mercato centrale abbastanza da far sì che le paranoie del Tiefling riguardo il contatto con altre razze non costituissero un problema insormontabile.
I risparmi di Tharazar andarono tutti nell’acquisto delle provviste e del necessario per il vivere quotidiano, per cui il passo successivo era stato per forza andare in cerca di un qualche impiego che consentisse loro di pagare l’affitto.
Il buio della notte era sopraggiunto piuttosto presto nel pomeriggio, un evento che era ormai diventato la norma, per cui a quell’ora tarda le tenebre erano terribilmente fitte. Come se non bastasse, si era messo a piovigginare.
La porta d’ingresso del Riposo dell’Avventuriero si aprì e l’imponente figura di Tharazar si materializzò nel varco, proiettando la propria ombra nel fango. Rimase per un attimo fermo sullo stipite, giusto il tempo necessario a tirar su il cappuccio del mantello malconcio che indossava sopra i suoi abiti.
Con una smorfia stanca e disgustata insieme, si chiuse la porta alle spalle e si incamminò sotto la pioggia, che di colpo si fece più intensa.
Un tuono riecheggiò non troppo lontano dalla città, segno che il tempo non sarebbe andato migliorando nel corso della nottata.
«Grandioso…! Un bel diluvio era proprio quello che mi serviva dopo essermi esibito in quel porcile…!» brontolò a mezza voce Tharazar in tono esasperato, scoccando un’occhiataccia al cielo. Se l’acido sarcasmo delle sue parole fosse stato tangibile avrebbe potuto utilizzarlo come un’arma contro eventuali delinquenti, se solo qualcuno di loro fosse stato talmente idiota da tentare di sbarcare il lunario con quel tempo orribile.
Ancora non riusciva a credere di essere riuscito ad abbassarsi a tal punto da andare ad offrire la propria arte ai pezzenti che gestivano quella sottospecie di locanda. Il disgusto che provava ripensando alla terribile notte trascorsa presso di essa era ancora forte in lui, abbastanza da costringerlo a sfruttare tutta la sua capacità recitativa e il suo autocontrollo per riuscire in quella che per lui era un’epica impresa. Forse avrebbe dovuto accompagnare Patria in cerca di qualcuno bisognoso dell’intervento di qualche avventuriero, anche se la sola idea di ritornare in prossimità della foresta prima dell’arrivo della primavera metteva a dura prova la sua capacità di decidere quale dei due fosse il male minore.
«Dovrò abituarmi a venire a lavorare qui per i prossimi mesi...» rifletté amaramente, cercando di tenersi almeno il cappuccio sulla testa, giusto per non ritrovarsi coi capelli lunghi fradici. Per il resto, non poteva fare granché: aveva già gli stivali inzaccherati di fango fino a metà polpaccio e il vento che trascinava la pioggia gli tirava via il mantello, esponendo i suoi vestiti tutt'altro che adeguati alla stagione alle intemperie. La camicia leggera e il panciotto che indossava sopra di essa erano già impregnati di acqua, facendolo tremare visibilmente. I pantaloni di cuoio lavorato almeno per il momento stavano resistendo, anche se dubitava che sarebbero riusciti ad arrivare sani e salvi al termine della stagione.
Era consapevole che avrebbe dovuto provvedere ad un cambio di guardaroba, ma doveva prima di tutto riuscire a racimolare denaro a sufficienza per le necessità basilari della vita quotidiana.
L'esperimento di convivenza con Patria lo stava mettendo dinanzi al fatto che nella sua ingenuità dava per scontate molte cose, troppe addirittura. Il lavoro che c'era dietro la preparazione del cibo andava oltre la semplice manualità ai fornelli, così come per avere l'acqua necessaria a farsi il bagno ogni giorno doveva andare a recuperarla quasi ogni volta dai pozzi disseminati per la città. Almeno per avere i vestiti puliti poteva arrangiarsi con la magia, anche se non gli davano la stessa sensazione piacevole dell'indossare abiti profumati e stirati di fresco.
Era impegnativo, ma doveva farcela. Voleva farcela. Ormai erano trascorsi mesi da quando era partito da Neverwinter, abbandonando i fasti della sua vecchia vita da gladiatore. Patria gli aveva insegnato a sopravvivere nella foresta, per cui non poteva lasciarsi sopraffare dalle difficoltà della vita quotidiana in un centro abitato, non quando il suo compagno ce la stava mettendo tutta per superare le sue paure e i suoi traumi nel convivere in presenza di Umani.
Tharazar affrettò il passo, incurante delle suole degli stivali che affondavano nel fango e lo sollevavano in schizzi consistenti diretti un po' ovunque. Non vedeva l'ora di arrivare a casa, sperando che a quell'ora Patria fosse già rientrato e che gli avesse almeno lasciato qualcosa di caldo per cena.
Il freddo pungente che gli stava penetrando fino nelle ossa riusciva a distrarlo dalla voragine che aveva al posto dello stomaco in quel momento. Benché il menù del Riposo dell'Avventuriero non fosse di suo gradimento, esibirsi in una locanda all'ora di cena non era esattamente il massimo per lui.
Un altro tuono rimbombò nell'aria, molto più vicino e terrificante rispetto a poco prima. Il Mezzorco sobbalzò leggermente e udì da una stradina alla sua destra provenire un miagolio spaventato. Era già fermo, per cui si volse a guardare, incuriosito dal rumore. La pioggia battente gli impediva di vedere con nitidezza assoluta, anche se la sua Scurovisione lo rendeva in grado di ignorare il buio entro poca distanza da lui.
Nonostante tutto, riuscì a notare un movimento a ridosso di una delle due pareti del vicolo: si trattava di un gatto rimasto invischiato in una pozzanghera di fango. Miagolava e si agitava, cercando di uscire dalla melma da cui affiorava il muso e poco altro.
Un altro tuono riempì l'aria, e i miagolii del felino si fecero più disperati. Tharazar si avvicinò, mosso da una pietà misera e fin troppo dolorosa: quel gattino non sarebbe riuscito a sopravvivere alla nottata tutto solo viste le sue condizioni... un po' come lui l'indomani della sua fuga da Neverwinter. Ricordava bene la paura della sua prima notte all'aperto, da solo e affamato, con la prospettiva di un futuro talmente incerto che non sapeva se ce ne sarebbe davvero stato uno per lui. Nessuno era giunto in suo soccorso. Aveva dovuto farsi coraggio da solo, a prescindere da tutto.
In quel frangente invece, lui poteva fare qualcosa. Poteva fare la differenza per il futuro di quel micio, esattamente come più tardi aveva fatto Patria con lui.
Si piegò vicino alla creatura e senza pensarci due volte infilò le mani nel fango per estrarla. Il gatto si rivelò essere più grosso del previsto e soprattutto più peloso. Era stata la pelliccia ricoperta di densa fanghiglia a impedirgli di liberarsi.
Solo in un secondo momento, quando quel tenero gomitolo di pelo e sporcizia era ormai tra le sue mani, il Mezzorco realizzò di aver appena messo le mani in quella che da asciutta era terra che solo gli Dei sapevano cosa aveva visto da parte di cittadini, mendicanti e guardie. Il pensiero lo fece impallidire e una sensazione di nausea gli attanagliò lo stomaco.
Il gatto miagolò ancora e si mosse per leccare il dito del Mezzorco più vicino al suo muso.
«Fermo, cosa fai!» lo brontolò il diretto interessato, allontanandogli la falange con uno scatto «Che schifo, non leccare quella roba!».
Un fulmine illuminò il cielo, e la pioggia iniziò a trasformarsi in grandine mentre un ennesimo tuono risuonava tutt'attorno, facendo quasi tremare le case. Il gatto fremette nell'udire il rombo, cercando di liberarsi dalla sua presa. Tharazar lo strinse lesto al petto, ignorando la macchia di fango che dipinse sul panciotto. Comunque quella roba avrebbe dovuto lavarla, in un modo o nell'altro.
«Stai calmo, non ti lascio qui da solo. Adesso andiamo all'asciutto» disse rivolto al gatto; dopodiché, iniziò a correre.
Le suole degli stivali affondavano e si appiccicavano al fango, opponendo resistenza ad ogni suo passo, costringendolo ad un andamento goffo, rallentato e faticoso. Cercò di rimanere chino sul micio per evitare che la grandine gli facesse del male, col risultato che si ritrovò la schiena bombardata di piccolissimi proiettili.
Durante la corsa, sentì il gattino armeggiare con i bottoni del suo gilet; tuttavia, l'urgenza di giungere a destinazione lo dissuase dal fermarsi per brontolarlo.
In quelle condizioni gli occorse una buona quindicina di minuti per riuscire a raggiungere casa. Si fermò dinanzi alla porta e picchiò con forza un pugno contro il battente, sperando di riuscire a superare il frastuono del temporale.
Rimase per alcuni secondi immobile, pregando che Patria non fosse ancora fuori e che l'avesse udito. Stava per colpire ancora la porta quando sentì cigolare i cardini e nella cornice dello stipite comparve il suo compagno di viaggio, che indossava degli abiti semplici e comodi al posto della sua solita tunica rinforzata con piastre metalliche.
La sua espressione era piuttosto preoccupata mentre esaminava il nuovo arrivato da capo a piedi.
«Mi fai entrare per favore?!» gemette il Mezzorco con tono stanco ed esasperato.
Patria parve uscire da una momentanea trance e si affrettò a farsi da parte per lasciarlo entrare.
«Speravo tu fossi rimasto alla locanda ancora un po'...» ammise il Tiefling, osservandolo sfrecciare all'interno della sala.
La casa non aveva molto spazio e nemmeno molte stanze: quella principale funzionava da soggiorno, sala da pranzo e cucina. Un piccolo angolo cottura con un caminetto era tutto ciò che avevano a disposizione per riscaldare loro stessi e il cibo. Vicino ad esso - ma non troppo - era sistemato un rozzo tavolo di legno che in quel momento era apparecchiato per due persone.
In un angolo, dall'altra parte della stanza, si trovava una grossa tinozza vuota, approntata per i bagni di Tharazar. Vicino ad essa si trovavano alcuni secchi di acqua, raccolta per ogni evenienza.
L'unica parete interna all'edificio serviva a separare quella stanza da un'altra, molto più piccola, in cui si trovava un vecchio letto con il materasso abbastanza duro da rivaleggiare senza difficoltà con la comodità di dormire sul pavimento. L'unico pregio era quello di essere sufficientemente largo da poter accogliere entrambi durante le freddi notti invernali, in modo da potersi riscaldare a vicenda col calore corporeo. Le coperte già presenti facevano poco per aiutare in tal senso, tanto che Tharazar aveva già messo in conto di comprarne di nuove non appena ne avessero avuta l'opportunità.
«E-e-e rischiare d-di rimanere bloccato l-lì per la notte?» brontolò il Mezzorco, fremendo per il freddo in maniera ancora più intensa di prima «N-non esiste!».
«E allora rischia di prenderti un malanno per tornare a casa!» sbottò Patria per contro, avvicinandosi a lui per togliergli il mantello di dosso «Almeno spogliati, sei fradicio».
Tharazar si ritrasse al contatto e sollevò un braccio per tenerlo lontano.
«Fe-fermo... prima dobbiamo pensare a lui» e così dicendo si raddrizzò a dispetto dei brividi e mostrò il gatto che aveva in braccio.
Patria aggrottò le sopracciglia e poi lanciò un'occhiata interrogativa al suo compagno.
«L-l'ho rac-colto per strada... era rimasto bloccato i-in una pozzanghera...» spiegò, quindi fece per muoversi in direzione della tinozza.
«Fermo dove sei!» Patria gli girò intorno per bloccargli la strada. Senza pensarci due volte, si liberò della camicia di lino grezzo che indossava, gettandola a terra in un angolo prima di tendere le braccia verso il suo partner, che lo guardò con cipiglio visibilmente confuso.
«T-ti pare il mo-mo-momento per le coccole?» chiese quest'ultimo.
L'incarnato già rosso del Tiefling si fece violaceo in corrispondenza delle sue guance.
«Cosa hai capito, stupido!» brontolò indignato «Dai a me quel gatto, ci penso io a sistemarlo! Tu spogliati e mettiti vicino al fuoco prima di ammalarti sul serio!».
«O-ooh...» il Mezzorco parve rilassarsi per un istante prima di protendere verso l'altro il braccio su cui il felino si era abbarbicato.
Un altro tuono rombò all'esterno, facendo tremare le vecchie imposte di legno bloccate alla bell'e meglio per l'occasione. Il gatto schizzò via dall'arto di Tharazar in reazione al rumore, saltando verso Patria, che lo afferrò al volo affondando le mani in mezzo al fango che lo rivestiva.
La coppia si separò, dirigendosi verso le due estremità opposte della stanza.
Tharazar utilizzò Prestidigitazione per ripulirsi dal fango le mani e la chiazza sul panciotto, quindi si accovacciò vicino al camino e cominciò a denudarsi. Sfilò gli stivali e li mise in disparte per non seminare altra melma in giro, quindi tolse il mantello e poi passò al resto degli abiti. Una volta tolti anche quelli, si sedette a tavola completamente nudo, avendo cura di posizionarsi con la schiena rivolta verso il camino per cercare di riscaldarsi ulteriormente.
Anche senza abiti continuava a tremare per il freddo, benché la situazione fosse drasticamente migliorata rispetto a poco prima.
Adesso che le sue condizioni non erano più così pessime, i suoi sensi stavano riprendendo a funzionare normalmente, e la prima cosa che recepirono fu il profumo del cibo che si trovava poco distante da lui. Patria aveva preparato quello che dall'odore e dall'aspetto sembrava a tutti gli effetti del brodo. A giudicare dal leggero alone di fumo che stava ancora sollevandosi dalla sua superficie, il suo compagno l'aveva messo in tavola non molto tempo prima del suo effettivo arrivo.
Tharazar si morse il labbro inferiore, combattuto tra la necessità di mettere qualcosa sotto i denti e la buona educazione di aspettare che anche Patria potesse sedersi con lui a mangiare.
Si risolse ad aspettare, visto che il suo partner era stato tanto carino da attendere quell'ora tarda della sera per mettersi a cucinare.
In silenzio e crogiolandosi nel tepore del fuoco, rimase ad osservarlo mentre riempiva la tinozza con l'acqua dei secchi e si inginocchiava sul pavimento per mettersi al lavoro.
Patria ebbe il suo bel da fare a cercare di evitare che il gatto sfuggisse dalla tinozza mentre lui la riempiva di acqua. Era consapevole della naturale avversione della bestiola nei confronti dell'acqua, ma non era certo per torturarla che stava facendo tutto ciò: lo spesso strato di fango che era rimasto sulla sua pelliccia gli impediva di muoversi liberamente.
Appellandosi a buona parte della stessa pazienza cui aveva attinto per riuscire a gestire Tharazar durante il primo periodo della loro "convivenza" nella foresta, il Tiefling cercò di utilizzare il bordo della vasca per trattenervi contro il micio mentre con l'altra mano gli spingeva contro l'acqua.
Il gatto miagolava e soffiava cercando di aggrapparsi con gli artigli alla parete di legno per scalarla e liberarsi, ma era evidentemente debole per riuscire ad ottenere dei risultati. Patria lo sentiva tremare contro il palmo della sua mano.
Sicuramente il temporale che infuriava a pieno regime all'esterno non lo aiutava: i tuoni sembravano spaventare profondamente la creaturina, rendendola ancora più difficile da controllare.
«Almeno Tharazar non ho mai dovuto costringerlo a lavarsi il fango da dosso...» ponderò tra sé e sé mentre cercava di strofinare il pelo del gatto.
Man mano che l'acqua ammorbidiva lo spesso strato di fango, consentendo alle dita del Tiefling di asportarlo con relativa semplicità, gli risultò evidente il motivo per cui faceva tanta fatica a muoversi: la sua pelliccia era incredibilmente folta e lunga, per cui i grumi di melma avevano avuto un'ampia area cui attecchire. Sotto tutta quella fanghiglia c'era quasi più pelo che gatto.
Una mezz'ora abbondante più tardi, ormai sul punto di abbioccarsi a dispetto dello stomaco che si stava ribellando al digiuno autoimposto, Tharazar vide Patria alzarsi da vicino la vasca e voltarsi nella sua direzione.
Il Mezzorco si affrettò a raddrizzarsi, sollevando il viso - che già stava scivolando dal sostegno offerto dal palmo della mano - per rivolgere al suo partner una finta espressione sveglia.
Notò che tra le braccia dell'altro si trovava un fagotto fatto col telo che solitamente utilizzava per asciugarsi, e tra le pieghe del tessuto affiorava il musetto bianco e pulito del gatto.
«Adesso che è bello pulito va molto meglio...» esclamò Patria, avvicinandosi al tavolo «Anche se non mi aspettavo fosse così grosso...».
Tharazar aggrottò le sopracciglia con espressione confusa.
«Grosso?» ripeté con voce leggermente impastata. Non gli era sembrato certo un cucciolo a prima vista, però non aveva nemmeno avuto l'impressione che si trattasse di una bestia così vasta.
Patria aprì il fagotto una volta giunto in prossimità della tavola, in modo che la creatura all'interno potesse scendere sul piano.
Tharazar sgranò gli occhi alla vista del micio finalmente pulito: effettivamente, era piuttosto voluminoso, anche se la maggior parte della sua massa era costituita dal pelo bianco-rossiccio. Il corpo era allungato e la coda - che da sola costituiva metà della lunghezza complessiva - somigliava più ad un piumino per la polvere che ad altro.
Il felino fece alcuni passi sul tavolo, annusando le assi con curiosità e spingendosi fino verso il Mezzorco, che istintivamente abbassò un braccio per avvicinare le dita al suo muso. Il gatto si parcheggiò vicino ad esse ed iniziò a leccargli le unghie, scoccandogli di quando in quando delle lunghe occhiate con i suoi penetranti occhi verde smeraldo.
Tharazar rimase affascinato dal particolare colore delle sue iridi. Come in trance, continuò a studiarlo in ogni suo dettaglio.
Se avesse dovuto scegliere un singolo aggettivo per descriverlo, "maestoso" sarebbe stato quello più appropriato. Il pelo folto dava l'impressione di un gatto che doveva essere stato - almeno in passato - molto ben tenuto e curato. Il suo sguardo dava l'idea di una bestia avvezza ad essere riverita e trattata come si confà a qualcuno di rango elevato.
Non aveva collare o medaglietta che dichiarasse la sua appartenenza a qualcuno, il che non aveva alcun senso per lui: come poteva una creatura così splendida essere finita abbandonata in quella pozzanghera di fango senza che nessuno si accorgesse di lei?
Tharazar si sentì stringere alla bocca dello stomaco da rinnovata ondata di compassione nei confronti di quel gatto nel quale si rispecchiava così tanto.
«Sembra proprio che tu gli piaccia» commentò divertito Patria, accomodandosi sulla sedia rimasta vuota.
«Così pare» rispose l'altro, ricacciando indietro i ricordi del suo passato che minacciavano di tornare a travolgerlo.
Il suo stomaco riprese a brontolare. Mai come in quel momento era stato contento di sentire il gorgogliare delle sue viscere vuote, talmente reali da riuscire a riportarlo al presente.
Il micio agitò la coda nell'udire il rumore, quindi si alzò e ricominciò ad esplorare il tavolo.
«Potevi mangiare mentre sistemavo il tuo nuovo amichetto» lo redarguì bonariamente Patria, impugnando il suo cucchiaio «Avevo aspettato a preparare per farti trovare la cena calda... soprattutto considerato che sei tornato sotto la pioggia...».
Le guance di Patria si tinsero di una intensa sfumatura violacea mentre abbassava lo sguardo sulla sua scodella.
«Ormai il brodo si sarà raffreddato...» brontolò con voce sommessa.
Il suo imbarazzo nell'ammettere di preoccuparsi per lui era davvero tenero. Per quanto semplici e talvolta banali, le premure di Patria riuscivano ancora a far sentire Tharazar apprezzato e ben accetto, anche se erano ben diverse dalle attenzioni che gli avevano riservato per anni all'Arena di Neverwinter.
«Non volevo lasciarti mangiare da solo» ammise il Mezzorco, prima di schioccare leggermente le dita. In risposta al gesto, la zuppa di Patria riprese ad esalare vapore.
Subito dopo ripeté l'incantesimo per il suo piatto.
«Non sarà gratificante come l'averlo riscaldato normalmente... ma sempre meglio di niente» disse, stringendosi nelle spalle.
Patria abbozzò un sorriso, prima di iniziare a mangiare. Il suo compagno lo imitò subito dopo.
Il gatto, che continuava a passeggiare in mezzo a loro ispezionando con curiosità ciò che si trovava a portata, si fermò e sollevò il musetto per annusare l'aria nel momento stesso in cui il brodo di entrambi riprese a fumare. Senza indugio, si diresse verso Tharazar e cercò di infilare il nasino dentro la sua ciotola.
«N-no, fermo...! Questo è mio» il Mezzorco cercò di allontanarlo con il braccio, con delicatezza e senza essere troppo rude. Purtroppo, come lo lasciava libero quello tornava da lui lesto a cercare di leccare il contenuto della sua scodella.
«Patria! Cosa devo fare per allontanarlo? Aiutami!» brontolò dopo alcuni tentativi con il tono lamentoso che avrebbe potuto utilizzare un ragazzino capriccioso.
«Ha solo fame... è normale» il Tiefling cercò di rassicurarlo «Non credo abbia potuto mangiare qualcosa sotto il temporale».
«Capisco che sia attirato dalla tua cucina... ma questo è il mio piatto!» replicò stizzito il suo interlocutore.
Il suo compagno emise un lungo sospiro esasperato, quindi si alzò e andò a recuperare una terza ciotola, che appoggiò accanto al gomito del Mezzorco.
«Prova a metterne un po' qui dentro» disse.
Tharazar fece una smorfia all'idea di separarsi da una parte della sua mesta cena, però lo fece comunque: depose un paio di cucchiaiate all'interno della ciotola vuota e rimase in attesa di vedere se il suo "sacrificio" sarebbe stato accettato.
Il micio seguì con il muso il cucchiaio del Mezzorco nel suo ultimo tragitto. Quando tolse l'utensile dalla ciotola, il gatto ci infilò la testa e lì rimase, senza spostarsi. Nel giro di qualche secondo, il suo corpo iniziò ad emettere una serie di rumori bassi e ripetitivi, simili al grattare di una sedia su una superficie ruvida.
Tharazar aggrottò le sopracciglia e si sporse verso di lui, piegando leggermente il capo per ascoltare meglio.
«Non lo senti anche tu questo rumore che fa? Forse sta male?» chiese a Patria, e dal tono pareva seriamente preoccupato «Forse ha preso il raffreddore sotto la pioggia...? Anche i gatti possono prenderlo, no? ... credo».
Patria rischiò di strozzarsi con il brodo mentre una risata gli sbocciava spontanea in risposta alle sue domande.
«Non hai mai sentito un gatto fare le fusa?» chiese incredulo.
A giudicare dall'espressione attonita dell'altro, la replica doveva essere "no".
«Quel rumore che fa... significa che è contento. A suo agio» spiegò il Tiefling.
«O-oh!» Tharazar si fece paonazzo in volto, scoccando un'occhiata prima al suo interlocutore e poi alla fonte della sua perplessità - ancora intenta a leccare il brodo dal fondo della ciotola «Allora significa che il tuo brodo piace anche a lui!».
«Già, a quanto pare...» constatò Patria con un sorriso, tornando a consumare la sua cena.
Il terzetto terminò la cena senza ulteriori indugi. Ogni tanto un tuono si faceva sentire, allertando e spaventando il gatto. Le carezze di Tharazar riuscivano a rabbonirlo e tranquillizzarlo, anche se per poco: il temporale sembrava deciso a rendere la nottata del micio indimenticabile.
Finito che ebbero di cenare, Patria si occupò di togliere le stoviglie sporche mentre il suo compagno si dava una sciacquata veloce con la poca acqua che era rimasta. Anche riscaldandola con la magia, non era sufficiente a contrastare gli spifferi gelidi che entravano dalla finestrella bloccata.
Infreddolito, Tharazar abbandonò i secchi vuoti in un angolo e decise di andare a nascondersi sotto le leggere e inadeguate coperte di cui disponevano, in attesa dell'arrivo di Patria.
Il gatto gli trotterellò tra le gambe e montò sul letto assieme a lui, esplorandone il fondo rapidamente per poi dirigersi verso i cuscini.
Si acciambellò accanto alla spalla del Mezzorco, accarezzandogli il braccio con la coda. La sua presenza era in qualche modo confortevole, soprattutto considerato che il suo pelo gli stava riscaldando la pelle con cui era in contatto.
Quando Patria li raggiunse, trovò i due ancora vicini. Il Mezzorco era disteso su un fianco e stava giocherellando con le zampine anteriori della bestiolina, cercando di trattenerle tra le dita. Quando gli sfuggiva, il gatto cercava di "catturarlo" a sua volta, spostando entrambe le zampe sui polpastrelli con cui aveva tentato di imprigionarlo poco prima.
Era una scena dolcissima che Patria non si sarebbe mai sognato di veder accadere, soprattutto considerato quanto in quel frangente apparisse sereno e beato il suo partner. Persino la sua compagnia spesso non riusciva a sortirgli un tale effetto.
«Domani dovremo cercare il suo proprietario...» fece presente il Tiefling senza il minimo tatto, colto da una punta di gelosia per le eccessive attenzioni che l'altro stava rivolgendo al nuovo arrivato.
Sgusciò sotto le coperte a sua volta, ma rimase seduto anziché distendersi. Voleva affrontare l'argomento senza rischiare che la stanchezza avesse il sopravvento, e soprattutto prima che diventasse ancor più doloroso per Tharazar separarsi dal suo nuovo amico.
«Come sarebbe a dire? L'ho raccolto io... e non ha alcuna medaglietta!» sbottò l'altro per contro, improvvisamente irritato «Se davvero aveva un proprietario, è stato un irresponsabile a permettere che finisse in quella pozza di fango!».
«Lo so... ma non possiamo tenerlo con noi» cercò di farlo ragionare Patria «Un gatto ha bisogno di attenzioni, di cibo adeguato... e non abbiamo ancora soldi sufficienti nemmeno per noi stess...».
«Non m'importa!» Tharazar scattò seduto, facendo spaventare il micio, che schizzò via verso il fondo del letto alla velocità della luce «Se non vuoi occupartene tu, va bene! Lo farò io!».
«Fai ancora fatica ad abituarti ad una vita normale, come puoi pensare di occuparti di qualcuno al di fuori di te stesso?!» lo redarguì in tono più duro Patria, iniziando ad infervorarsi a sua volta «Oppure stai cercando una scusa per non andare più al Riposo dell'Avventuriero?».
«Sono andato ad esibirmi in quel tugurio di locanda questa sera, come ho fatto ieri e i giorni ancora prima! Non smetterò di farlo per badare a Tuono!» protestò il Mezzorco, digrignando leggermente i denti con fare determinato e minaccioso al tempo stesso «Anzi, se sarà necessario per tenerlo con noi, sono disposto anche a cercarmi un altro impiego!» soggiunse, battendosi un pugno chiuso sul petto nudo.
Patria socchiuse gli occhi, assumendo un cipiglio diffidente che perdurò sul suo viso solo pochi secondi, prima di lasciare spazio ad un sorriso orgoglioso.
Poggiò una mano sulla sua spalla e disse: «Non immaginavo che avessi raggiunto un tale livello di maturità in questi pochi giorni...».
Tharazar arrossì, abbassando lo sguardo.
«Non voglio abbandonarlo nelle mani di chi non lo merita...» ponderò a bassa voce il Mezzorco, prima di lanciare un'occhiata in direzione del micio, intento al leccarsi le parti basse sul fondo del letto.
A giudicare dal suo tono, Patria comprese che a legarli c'era una motivazione più profonda della semplice compassione verso una creatura in difficoltà. Non voleva insistere con Tharazar per avere subito una spiegazione. Sapeva che quando si fosse sentito pronto avrebbe parlato da solo, senza alcuna sollecitazione. Era soltanto questione di portare pazienza.
«... davvero l'hai chiamato Tuono?» domandò, cambiando argomento di punto in bianco con un sorrisetto stampato in viso.
Un rombo di tuono più debole dei precedenti giunse dall'esterno, e il felino reputò più sicuro tornare nell'incavo che separava la coppia piuttosto che rimanere da solo sul fondo del materasso. Si appiattì sull'addome, allungandosi per occupare tutto l'esiguo spazio che c'era a disposizione.
«Mi pare appropriato, non credi?» chiese per contro Tharazar, gli occhi azzurri che spaziavano con fare vago tutt'attorno «O-oppure... volevi dire che è una lei?».
Patria ridacchiò, sdraiandosi su un fianco e girandosi a dare le spalle agli altri due, senza rispondere.
Tharazar assunse un cipiglio costernato mentre si sdraiava rivolto verso il centro del letto. Stava per mettersi ad esplorare le parti basse di Tuono nella speranza di capire da solo il suo sesso quando udì Patria dire: «Se provi a toccargli il pisellino, ci penserà due volte prima di tornare a farsi coccolare da te...».
Paonazzo in volto, il Mezzorco si affrettò a distendersi supino sotto le coperte, chiudendo gli occhi e rimanendo immobile. Di fianco a sé percepì Tuono alzarsi per andare ad acciambellarsi sopra la sua pancia.
Tharazar sorrise e lo accarezzò con il dorso della mano, lasciando l'arto lì vicino mentre scivolava nel sonno, cullato dal rumore della pioggia che finalmente iniziava ad affievolirsi.