Ritorno alla civiltà
Apr. 20th, 2020 12:53 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Ritorno alla civiltà
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of Life
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 8565 (wordcounter)
Timeline: Ambientata in seguito a questa.
Note: Yaoi
«Non puoi dirmi che non è vero! Ho rischiato più volte la vita io qui dentro di quante catastrofi possano mai essere accadute a questa foresta dacché esiste!» aggiunse «Che male può esserci nell'andare a trascorrere la stagione fredda dove non rischiamo di morire congelati nella notte?».
«Io...» esordì Patria con voce incerta. Stava iniziando a cedere e Tharazar cominciava già ad assaporare la vittoria e la prospettiva di una vera cena dopo più di un mese.
«Non serve andare lontano. Ci sarà una città o un villaggio vicino alla foresta, no?» disse, scrollando le spalle.
Era metà pomeriggio, ma già il sole iniziava a spostarsi verso il limite dell'orizzonte, al di là delle chiome degli alberi che delimitavano il paesaggio boschivo ovunque Tharazar posasse gli occhi.
Come sempre ormai da un paio di mesi, aveva camminato per tutta la giornata per la foresta assieme al suo compagno di viaggio Patria, e benché stesse iniziando ad abituarsi a vedere alberi attorno a sé senza alcuna variazione, continuava a covare la remota speranza di riuscire un giorno ad arrivare finalmente fuori da essa.
La sua apprensione di uscire dal bosco aveva iniziato a farsi più intensa solo di recente, con l'arrivo delle prime gelate notturne: già quando era partito da Neverwinter alla vigilia dell'autunno non gli piaceva dover trascorrere la notte all'aperto, senza niente che potesse usare per scaldarsi o per dormire comodo. Adesso però il freddo aveva cominciato a farsi più pungente, tanto da spingerlo a chiedere con insistenza a Patria di poter stare vicini per godere anche del suo seppur misero calore corporeo.
Era una fortuna che non molto tempo prima lui e il suo compagno di viaggio avessero messo in chiaro che c'era qualcosa tra di loro; o almeno, Patria aveva ammesso di amarlo. Tharazar non aveva ancora dichiarato niente a voce alta. Il fatto che non lo avesse rifiutato su due piedi però al suo partner pareva bastare a consentirgli di assumere un atteggiamento più rilassato in sua presenza e soprattutto di non inalberarsi quando il Mezzorco gli chiedeva di fare cose che appartenevano ad una sfera di comportamenti un po' più intima, come il dormire vicini e in costante contatto.
Tharazar non sopportava il freddo, probabilmente perché quando si esibiva come gladiatore nell'arena di Neverwinter doveva sempre indossare solo braghe e scarpe. Anche tra i vestiti che aveva nei suoi alloggi presso l'arena non c'era niente di abbastanza pesante che avrebbe potuto prendere prima di fuggire, per cui i suoi indumenti attuali erano buoni soltanto a impedire al mondo di ammirare il suo magnifico corpo. Al massimo, il farsetto leggermente rigido avrebbe potuto proteggerlo se qualcuno avesse cercato di dargli un pugno nello stomaco.
Una folata di vento si levò tra gli alberi, facendo frusciare le chiome folte e spazzando il sottobosco. La brezza s'insinuò agilmente sotto il sottile tessuto della camicia del Mezzorco, che rabbrividì emettendo un grugnito.
«Patria? Pensi che... arriveremo fuori dalla foresta... prima che arrivi l'inverno?» chiese quest'ultimo, stringendosi nelle ampie spalle e cercando di riscaldarsi strofinandosi le mani sulle braccia.
Non aveva mai posto il quesito prima di allora. Il suo senso dell'orientamento era pessimo e si era affidato in tutto e per tutto a Patria nella speranza di riuscire a vedere l'uscita dalla foresta in tempi ragionevoli; tuttavia, il sopraggiungere del gelo stava mettendo a dura prova la sua pazienza in tal senso.
L'interpellato si aprì un varco in un cespuglio poco più avanti utilizzando i guanti di piastre della sua armatura, ma si fermò prima di attraversarlo per voltarsi verso l'altro.
Gli occhi neri e vuoti di Patria, pur somigliando a pozzi di pece, erano molto espressivi. Le sue sopracciglia, nere e sottili, si aggrottarono in un cipiglio confuso mentre domandava a sua volta: «Ti sei mai domandato perché pur indossando un'armatura così ingombrante viaggi per la foresta senza passare per i sentieri principali...?».
Tharazar rimase per un attimo interdetto dal quesito, che non si aspettava minimamente. Sperava piuttosto in una risposta infastidita o in qualche informazione per lui del tutto inutile sulla direzione in cui stavano proseguendo.
In effetti, non si era mai soffermato a chiedersi perché Patria indossasse un'armatura così pesante, né gli aveva mai chiesto cosa ci facesse di passaggio nella foresta e dove fosse diretto. Era stato troppo impegnato a pensare alla sua brillante carriera da gladiatore distrutta e a mettere quanta più distanza poteva tra sé stesso e Neverwinter nel minor tempo possibile.
Non voleva tornare alla sua vecchia vita e non voleva neanche rimanere in zona per sentire voci su chi avesse preso il suo posto come effettivo Signore dell'Arena.
Improvvisamente si sentì in colpa per essere stato così poco attento alle motivazioni che avevano spinto il suo compagno ad addentrarsi in un posto del genere.
«... perché sul sentiero è più facile essere aggrediti dai banditi...?» azzardò, facendo spallucce.
Patria si fermò e si girò verso di lui, cacciando un lugubre sospiro carico di esasperazione. Ancora faticava a credere di essersi innamorato di qualcuno così ignaro delle persone che lo circondavano. L'amore era davvero cieco, e nel suo caso probabilmente anche stupido.
«Perché sono un paladino» rispose in tono estremamente paziente «E ho prestato giuramento agli Antichi di vegliare sulla Natura e preservarne l'equilibrio».
Sperava di essere stato sufficientemente chiaro e che le sue parole avessero illuminato Tharazar circa le sue intenzioni per il futuro; tuttavia, a giudicare dall'espressione smarrita con cui lo fissava, era più logico supporre che il suo cervello fosse rimasto bloccato nell'interpretazione del termine "paladino".
Patria si massaggiò il ponte del naso, pregando gli Antichi di dargli la forza necessaria ad affrontare le conseguenze di ciò che si accingeva a dire - e che era certo ci sarebbero state.
«Devo proteggere la Natura, Tharazar, come quella che si trova attorno a noi... la Foresta di Neverwinter» Patria allargò le braccia, indicando l'ambiente circostante «E per farlo devo rimanere qui. Al suo interno».
Il Mezzorco sgranò gli occhi all'improvviso, così tanto che Patria per un secondo temette che stesse avendo un malore. Lo vide aprire e chiudere la bocca un paio di volte senza dire niente e solo al terzo tentativo riuscì a dire: «Come sarebbe "la Foresta di Neverwinter"?! Abbiamo viaggiato verso l'interno per tutto questo tempo! Non possiamo essere ancora così vicini!».
Ricordava di aver visto alcune cartine della Costa della Spada quando era ancora in arena, perlopiù stampate nella parte interna delle copertine di alcuni dei libri che teneva nelle sue stanze, e la Foresta di Neverwinter non solo era dannatamente vicina alla città che gli dava il nome, ma copriva anche una porzione di territorio molto misera in paragone al resto.
Il Tiefling inspirò a fondo prima di replicare: «Io pattuglio la foresta, Tharazar. Siamo ancora qui perché abbiamo girato qui dentro per tutto questo tempo».
Le ultime parole le pronunciò facendo eco al tono scandalizzato del suo interlocutore col chiaro intento di prenderlo per i fondelli.
Tharazar sorrise con espressione tesa e si passò le mani sul viso, poi si guardò attorno come se fosse in cerca di qualcosa ed infine tornò a fissare Patria. Pareva arrabbiato, confuso e smarrito insieme.
«Quando pensavi di informarmi?! Tra un anno?» esplose con vigore tale che la sua voce riecheggiò tra gli alberi. Ansimava palesemente e sembrava che stesse per dare spettacolo con una scenata di rabbia plateale.
Patria non l’aveva mai visto così arrabbiato; tuttavia, non accettava un simile comportamento nei suoi confronti, non quando lui non aveva la benché minima colpa per l’attuale situazione. Aggrottò le sopracciglia e camminò verso Tharazar, fermandosi a pochissima distanza dal suo petto. Il Mezzorco svettava di tutta la testa sopra di lui e nemmeno con le sue corna ritorte era in grado di colmare il divario di altezza tra di loro; ciononostante, non si sarebbe fatto intimorire dalla sua stazza.
«Sei tu che mi hai trovato. Tu mi hai chiesto di poter viaggiare insieme… senza neanche chiedermi che cosa ci facessi e se avessi una direzione!» gli fece presente Patria, esibendo i denti acuminati con fare minaccioso «Non penso che te ne sia mai neanche importato di chiedermelo fino ad ora che senti l’impellente bisogno di uscire da qui!».
Vide le guance grigio-verde del suo interlocutore tingersi improvvisamente di rosso mentre il cipiglio furibondo di Tharazar veniva mitigato da un’ondata di imbarazzo. L'aveva colto alla sprovvista, era palese. Non aveva mai davvero pensato di informarsi circa le sue intenzioni per il futuro.
Patria non era arrabbiato per l'atteggiamento di assoluto egoismo di Tharazar nei confronti degli obiettivi che perseguiva. Ormai ci aveva fatto l'abitudine e non pretendeva sicuramente che di punto in bianco cambiasse comportamento. Quello che lo irritava era il fatto che desse per scontato che tutto ruotasse attorno a lui e ai suoi bisogni senza doversi curare di farlo presente o di chiedere.
Il Tiefling intrecciò le braccia sul petto e rimase a fissare il suo interlocutore in silenzio, aspettando la sua risposta.
Tharazar sentiva le guance ardergli letteralmente per la vergogna nell'essere messo dinanzi all'evidenza in maniera tanto brusca. Si sentiva un completo idiota per non aver mai neanche immaginato che Patria potesse avere come fine qualcosa di differente dal semplice transitare per la foresta.
«Solo perché a me stare qui dentro non piace, non significa che sia così anche per lui...!» si ritrovò a pensare, storcendo le labbra in una smorfia di puro e semplice disagio.
Odiava ammetterlo - o anche solo pensarlo - ma era nel torto. La cosa peggiore era che adesso era persino costretto a farlo presente a voce alta.
Con un incredibile sforzo di volontà, esclamò: «Va bene. Ho sbagliato! Avrei dovuto... chiederti cosa ci facevi nella foresta».
A giudicare dal suo colorito paonazzo, Patria temette per un momento che stesse per svenire per l'impegno profuso nell'ammettere di aver commesso un errore. Nel caso era pronto ad intervenire per evitare che si facesse male accasciandosi sul terreno. Pareva però che avesse altro da aggiungere e Patria non gli avrebbe sicuramente alleggerito il compito intervenendo: doveva essere in grado di riconoscere i suoi sbagli e prendersi le sue responsabilità come ogni persona "normale". Gladiatore o no che fosse stato, adesso era come chiunque altro e quindi doveva imparare a fare i conti con le conseguenze della sua sconsideratezza.
«Comunque rimane il fatto che adesso sta cominciando a fare davvero freddo qui fuori, specialmente durante la notte, e credo che dovremmo cercare un luogo dove trascorrere i mesi freddi dell'anno...» soggiunse il Mezzorco, cercando di riacquistare una certa sicurezza «D'altra parte, un posto caldo e accogliente dove poter dormire sarebbe anche l'ideale per toglierti quell'armatura di dosso... e magari rilassarci un po'... insieme».
Il tono inizialmente sicuro si fece rapidamente audace e poi lascivo. Calcò particolarmente sull'ultima parola, sorridendo accattivante al suo interlocutore ed intrecciando a sua volta le possenti braccia rivestite unicamente dal sottile strato di tessuto della sua camicia.
Fu il turno di Patria di arrossire. Dato il suo incarnato già rosso, l'effetto fu di vedere le sue guance scurirsi fino a diventare quasi del tutto violacee.
La sua mente ritornò alla notte in locanda, al piacere del contatto fisico diretto tra di loro. Sentì la pelle formicolargli laddove Tharazar lo aveva accarezzato quella volta e percepì il suo corpo reagire positivamente alla prospettiva di poter sperimentare di nuovo la cosa.
«S-scordatelo!» esclamò di getto, impaurito dall'ondata di desiderio che minacciava di travolgerlo «Devo rimanere a sorvegliare la foresta!».
Il Mezzorco grugnì con evidente disappunto e si allontanò di qualche passo da lui. Immaginava che la promessa del sesso potesse convincere chiunque, ma evidentemente Patria non era così incline a cedere neanche dopo aver ammesso di amarlo. In altre circostanze avrebbe trovato la sua ostinata timidezza quasi tenera, ma adesso l'unica cosa di cui aveva bisogno era sapere che avrebbe potuto dormire al caldo nel prossimo futuro.
«Andiamo! Da quando ci siamo incontrati è mai successo qualcosa che possa farti credere che ci siano dei pericoli per la foresta?!» sbottò, voltandosi di scatto verso Patria «Gli unici che sono stati aggrediti qui siamo noi, ma non credo tu consideri i predatori dei pericoli per gli alberi!».
Non sapeva neanche lui perché stava dicendo quelle cose. Non aveva altre argomentazioni che considerasse valide abbastanza da riuscire a convincerlo a cambiare idea. A quel punto sperava di farlo incazzare soltanto per sentirsi meno solo nella sua rabbia; eppure, alla sua affermazione notò un barlume di cambiamento nell'espressione del Tiefling che fece sbocciare una nuova speranza nel suo cuore. Continuare su quella strada forse l'avrebbe condotto ad un qualche risultato.
«Non puoi dirmi che non è vero! Ho rischiato più volte la vita io qui dentro di quante catastrofi possano mai essere accadute a questa foresta dacché esiste!» aggiunse «Che male può esserci nell'andare a trascorrere la stagione fredda dove non rischiamo di morire congelati nella notte?».
«Io...» esordì Patria con voce incerta. Stava iniziando a cedere e Tharazar cominciava già ad assaporare la vittoria e la prospettiva di una vera cena dopo più di un mese.
«Non serve andare lontano. Ci sarà una città o un villaggio vicino alla foresta, no?» disse, scrollando le spalle «Solo per questi mesi. Poi se vorrai tornare a "pattugliare" non ti fermerò. Promesso» era assolutamente sincero in questo. Non si sarebbe opposto se col ritorno della bella stagione avesse chiesto di tornare nel bosco; anzi, molto probabilmente l'avrebbe persino accompagnato. Le sue prospettive per il futuro non erano né rosee né ampie e Patria era l'unico che l'avesse aiutato quando tutto il mondo pareva insensibile alla sua sofferenza e al suo bisogno di supporto. Non l'avrebbe lasciato andare via da solo dopo tutto quello che aveva fatto per lui.
Il Tiefling non poteva negare che la richiesta di Tharazar fosse quantomeno ragionevole: la notte era diventato difficile persino riuscire a mantenere acceso il fuoco, figurarsi riuscire a scaldarsi con esso. Benché non fosse un amante dei centri abitati, un breve soggiorno volto al solo scopo di sopravvivere alle intemperie della stagione fredda non avrebbe potuto fargli poi così male.
«Inoltre non sarò da solo... ci sarà Tharazar con me...» fece presente a se stesso, e il pensiero lo rassicurò talmente tanto da convincerlo in maniera definitiva.
«D'accordo! Andremo a cercare un posto dove passare il periodo freddo» annunciò «So che c'è un posto non molto lontano dalla foresta... se partiamo adesso da qui dovremmo arrivare non molto dopo il tramonto...».
Il Mezzorco saltellò sul posto, incapace di trattenere il suo entusiasmo per la riuscita dell'impresa.
«Fai strada! Da che parte andiamo?» domandò con trepidazione, guardandosi attorno in cerca di qualche segnale che gli indicasse la giusta direzione.
Patria sospirò, ma non poté fare a meno di sorridere per la sua reazione così infantile e genuina: era tipico di Tharazar manifestare in maniera così palese e inequivocabile la sua gioia per qualcosa.
«Da questa parte...».
Patria abbandonò il cespuglio che si stava accingendo a valicare prima che tutta quella discussione avesse luogo per dirigersi verso sinistra, tra gli alberi. Il Mezzorco lo seguì alla svelta, senza produrre nemmeno un lamento per il terreno di colpo più accidentato a causa delle nodose radici superficiali che tappezzavano il suolo.
Nelle ore successive la luce del sole iniziò a dissiparsi e lasciare spazio alle tenebre della notte e la temperatura iniziò ad abbassarsi.
Tharazar cominciò a sentire i primi brividi che annunciavano l’arrivo della sera. La pelle accapponata sotto la camicia era molto sensibile a qualsiasi stimolazione esterna ma il pensiero della notte piacevole che avrebbe trascorso riusciva a farlo concentrare abbastanza da far passare in secondo piano il suo disagio fisico.
Patria camminava avanti a lui senza fermarsi né guardarsi intorno. Pareva sicuro della strada per giungere a destinazione e dopo la conversazione che avevano avuto il Mezzorco era certo che non l’avrebbe portato ancora in giro per la foresta a suo piacimento.
La sua armatura era sporca di terra in svariati punti e Tharazar si focalizzò nell’osservare tutte le macchie, per tenere la mente impegnata.
Come facesse a non sentire il freddo pungente che c’era nell’aria non lo sapeva. Sapeva che di norma il metallo era particolarmente suscettibile agli sbalzi di temperatura, per cui a rigor di logica avrebbe dovuto sentire le piastre gelide a contatto con il suo corpo; invece sembrava del tutto insensibile.
«Forse è abituato… o forse non gli interessa congelarsi il culo qui fuori...» si ritrovò a ponderare tra sé e sé il Mezzorco.
L’armatura rendeva il suo fisico molto più massiccio di quanto fosse in realtà. Probabilmente era anche il fatto che il suo “guscio” fosse un po’ sproporzionato rispetto alla sua corporatura effettiva a proteggerlo dal freddo.
Tharazar era talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorse di una radice particolarmente sporgente che Patria aveva appena scavalcato, col risultato che ci inciampò platealmente cadendo in avanti.
Il Tiefling, che ormai aveva i sensi in allerta per simili incidenti anche quando non sembrava, catturò con la coda dell’occhio il movimento brusco del suo compagno. Piantò gli zoccoli bene a terra e ruotò fulmineo sul posto, protendendosi con le braccia aperte verso il Mezzorco per afferrarlo. La sua esperienza in fatto di tempestivi soccorsi riuscì a fargli prendere il suo partner prima che andasse a terra; tuttavia, il contraccolpo riuscì a metterlo in ginocchio.
Capitombolarono sul terreno entrambi, anche se più dolcemente di quanto Tharazar immaginasse. Si ritrovò con il viso schiacciato contro la spalla metallica di Patria, avvinto tra le sue braccia.
Un brivido lo scosse dalla punta dei piedi a quella dei capelli: il ferro era terribilmente freddo attraverso il sottile strato dei suoi vestiti. Era come trovarsi in una morsa di ghiaccio.
«Sta’ attento a dove metti i piedi, Tharazar! Per te non vale la scusa che sta facendo bu...» il Tiefling lo stava rimproverando ma si zittì subito quando percepì l’intensa vibrazione nel corpo del suo compagno di viaggio «… tremi di già?».
Dal suo tono traspariva una chiara nota di preoccupazione e turbamento. Durante la notte non era insolito che Tharazar si accostasse a lui in cerca di calore, ma adesso non era ancora neppure tramontato il sole.
«L’a-a-armatura… è ge-e-gelata...» rispose balbettando il Mezzorco, senza però allontanarsi da lui.
Patria lo liberò dal suo abbraccio in fretta, guardandolo in viso: nonostante non ci fosse ormai più molta luce, riuscì a vedere le sue guance ardere come tizzoni e le sue labbra quasi livide che tremavano. La sua espressione sofferente la diceva lunga sul suo stato attuale anche senza essere accompagnata - strano ma vero - da alcuna lamentela di sorta.
Il Tiefling si sentì in colpa per la prima volta in settimane intere per quella situazione. Non aveva mai capito fino in fondo quanto l’altro soffrisse il freddo. Andare in cerca di contatto per trascorrere meglio la notte era un conto; tremare come una foglia già nel tardo pomeriggio era tutt’altro. Sicuramente il fatto che non avesse un abbigliamento adeguato all’occasione non era per niente d’aiuto.
«Non manca ancora molto. Tra poco saremo fuori della foresta… e vedremo il villaggio» disse, sperando di riuscire a rincuorarlo e soprattutto a dargli la forza per continuare.
Tharazar annuì con un impercettibile cenno del capo, quindi si rialzò tremando e con un po’ di fatica.
Patria gli rimase accanto per sorreggerlo in caso di necessità, ma non ci fu bisogno fortunatamente.
In effetti le sue parole erano vere: nel giro di poco riuscirono a raggiungere il limitare della foresta. In lontananza, Tharazar vide stagliarsi contro il cielo violaceo il profilo della città da cui così ardentemente aveva cercato di allontanarsi e che sperava di non dover mai più vedere in vita sua.
Neverwinter.
Il cuore gli mancò un battito al ricordo della gloria e della fama raggiunti combattendo nell’Arena come gladiatore e di come tutto è andato in pezzi quando i suoi “addestratori” - ciò che di più simile aveva ad una famiglia - gli aveva voltato le spalle preferendo a lui un Orco purosangue.
Nonostante tutti i suoi sforzi, era ancora così vicino a quella che fino a non molto tempo prima aveva considerato casa sua. Faceva quasi male guardarla e il suo cuore era oppresso dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla delusione di non essere considerato all’altezza da coloro che lo avevano allevato senza dargli altro scopo nella vita che quello di esibirsi per il pubblico.
Tutti i suoi problemi ad adattarsi alla vita “da avventuriero” - o anche ad una parvenza di vita quantomeno normale - nascevano da loro.
Sentì Patria stringergli un braccio e solo allora il Mezzorco si rese conto di essere rimasto fermo al limitare del bosco mentre il Tiefling cercava di condurlo avanti.
«Tharazar? Andiamo, siamo quasi arrivati… dobbiamo sbrigarci prima che faccia buio davvero» lo avvisò Patria, guardandolo con cipiglio preoccupato e quasi compassionevole.
Probabilmente si vedeva dalla sua faccia ciò che gli era passato per la mente.
«Dove è il villaggio?» domandò senza pensare il suo compagno, cercando di dirottare il discorso su qualcosa di più concreto e immediato. Non voleva che Patria iniziasse a fargli domande sul suo passato, non quando esso incombeva così terribilmente vicino a lui.
Il Tiefling gli rivolse un'occhiata perplessa, come se non capisse il perché della domanda; tuttavia, si volse e gli indicò con la mano la loro destinazione.
Tharazar era stato talmente preso dallo "spettacolo" di Neverwinter sull'orizzonte da perdere completamente di vista ogni altra cosa si trovasse nel resto del paesaggio, per cui non aveva notato l’insediamento cinto di mura leggermente a sinistra, arroccato su una collinetta abbastanza distante dal punto in cui si trovavano e molto più vicino della capitale fino a che il suo compagno di viaggio non gliel'aveva indicato.
Si sentiva un idiota, ma almeno l'altro si era guardato dal farglielo notare a sua volta.
«Quella è la Fortezza di Helm» spiegò Patria senza tanti giri di parole «L'unico posto sicuro lungo tutta la periferia della foresta...».
Dal tono pareva saperne molto in merito a ciò che si trovava nei dintorni del bosco e che probabilmente la maggior parte era composta di luoghi poco piacevoli da visitare. Tharazar non si sentiva molto incline ad approfondire tale conoscenza, per cui si limitò a muoversi verso il suo accompagnatore.
Il prato che separava la foresta dal villaggio era alta abbastanza da arrivare fino alle cosce del Mezzorco, il quale si ritrovò a procedere molto più lentamente di quanto la sua impazienza di giungere a destinazione gli suggerisse. Il vento freddo che spazzava il prato senza alcun impedimento lo rallentava sensibilmente, così come la mancanza di visuale sul terreno dove si accingeva a mettere i piedi.
La foresta gli aveva insegnato che non c'era da fidarsi neanche del terreno che riusciva a vedere, figurarsi di quello che non vedeva. Il terrore di inciampare da qualche parte, finire a sguazzare nel fango o sprofondare oltre un dislivello nascosto lo frenava più di quanto non avesse mai fatto all'interno del bosco.
Patria procedeva accanto a lui, trattenendolo saldamente con una mano e trascinandolo un poco in avanti dato il suo modo di incedere restio e timoroso. Sulla cima delle mura c'erano già le prime torce accese e lungo la strada principale si intravedevano le figure dei viandanti che si apprestavano a varcare il portone in previsione della notte.
Il Tiefling non era per niente entusiasta all'idea di rinchiudersi all'interno di quelle mura enormi, però capiva anche che Tharazar non era nelle condizioni di rimanere a dormire all'aperto nemmeno per un'altra notte.
«Se non ci sbrighiamo però ci chiuderanno fuori...» ponderò tra sé e sé Patria con un po' di apprensione «Tharazar, meglio se ci muoviamo... stanno iniziando a prepararsi per la notte».
«I-in che senso?» balbettò l'altro, confuso, cercando di cogliere cosa stesse facendo preoccupare così tanto il suo accompagnatore.
«Nei borghi così fortificati, per la notte chiudono i cancelli. Chi rimane fuori...» spiegò il Tiefling con un sospiro, guardandolo con espressione eloquente.
Vide la consapevolezza negli occhi del Mezzorco e seppe che aveva capito quanto bastava della situazione.
Con uno strattone, Tharazar si liberò della sua presa e cominciò ad arrancare verso l’enorme porta come se si fosse accorto di essere inseguito dalla morte stessa. Patria rimase momentaneamente stordito dalla sua pronta reazione prima di accingersi a seguirlo più rapidamente che poteva.
L'erba alta e l'armatura non gli permettevano di muoversi liberamente come voleva ma anche il suo partner aveva i suoi problemi a procedere. Nella fretta di arrivare a destinazione, inciampò e rischiò più di una volta di cadere, ma riuscì sempre a riacquistare l'equilibrio appena in tempo per evitare il disastro.
Arrivarono sulla strada principale - un sentiero lastricato di pietre grandi e lisce affondate nel fango - e si precipitarono verso le porte che ormai era già crepuscolo inoltrato.
«Aspettate!» gridò Patria, rimasto un poco più indietro. Il suo compagno, d'altro canto, una volta fuori dell'erba alta, non aveva più niente che gli impedisse di fatto di correre a perdifiato verso la meta. Si arrampicò su per la salita più velocemente che poté, cercando di evitare di scivolare sul selciato del sentiero: essendo le pietre lisce, non consentivano di far presa sulla superficie con le suole.
Le guardie, che si stavano accingendo a chiudere le porte dietro gli ultimi viandanti, si bloccarono udendo la voce del Tiefling. Ciò diede il tempo a Tharazar di colmare i metri che lo separavano da loro e accasciarsi contro il battente, impedendo loro fisicamente di chiuderlo - o almeno era ciò che sperava. Mai come in quel momento aveva desiderato essere abbastanza pesante da costituire un intralcio ragionevole per qualcuno.
Da quel che poté vedere, la maggior parte erano Umani, per cui era ovvio che fossero sorpresi di veder apparire qualcuno dalla strada ormai buia.
«Fateci entrare... per favore...» boccheggiò stravolto. Era sicuro di non essere nel migliore stato possibile e non faceva fatica a credere che avesse un aspetto terribile e di certo non proprio raccomandabile.
«Sei solo ed è tardi. Non possiamo aspettare chiunque sia con te in viaggio. Abbiamo degli ordini da eseguire!» abbaiò un Umano particolarmente corpulento, facendosi leggermente da parte per farlo passare, anche se non pareva avesse molta voglia di "ammetterlo" nella fortezza.
«Ma la porta non è ancora chiusa...» fece presente Tharazar, piantandosi di peso contro il margine del battente. Se avessero cercato di chiuderla avrebbe opposto resistenza fino alla fine. Non aveva intenzione di abbandonare Patria fuori da solo.
L'Umano che aveva parlato poco prima stava per aggiungere qualcos'altro - e dall'espressione pareva piuttosto seccato - quando da dietro, Tharazar si sentì toccare da qualcuno.
«Le guardie devono chiudere il portone... ormai è tardi, andiamo...».
Patria si manifestò al fianco del Mezzorco, pacato e con un sorriso leggero di accondiscendenza sul viso. Tharazar non l'aveva mai visto con un cipiglio così docile prima di allora.
«Entrate, su! Non ho intenzione di perdere altro tempo con voi!» li redarguì la guardia, togliendosi dalla strada e indicando loro di entrare con fare spiccio e poco garbato.
Il Tiefling non fece una piega dinanzi al suo tono irritato e lo superò senza degnarlo della benché minima attenzione. Per l'altro essere trattato in quella maniera era ancora tutto fuorché accettabile ed era pronto a mettersi a litigare con lui finché non l'avesse spuntata. Le torce accese all’interno del breve corridoio che separava il portone esterno da quello interno emanavano un tepore piacevole che era riuscito a riscaldarlo a sufficienza da rendere il freddo molto più sopportabile.
Prima che potesse attaccar briga col suo interlocutore, Patria allungò la coda con uno scatto e gli cinse il polso con presa ferrea, quindi se lo trascinò appresso in direzione della strada più stabile e meglio lastricata che si proseguiva oltre le mura.
«Non metterti a protestare, altrimenti la notte la passi in una cella... invece che al caldo con me» lo redarguì il Tiefling in tono piuttosto piatto una volta messi alcuni metri di distanza tra loro e le guardie cittadine.
«Comunque non è giusto che le guardie ci trattino così. Siamo in cerca di un posto dove pernottare come qualunque altro viandante...» ribatté irritato l'altro.
«Ma... non siamo del tutto Umani...» fece presente Patria per contro, e stavolta il tono era molto più tetro di prima.
Tharazar gli si affiancò, appoggiandogli la mano ancora trattenuta dalla coda al centro della schiena. Il metallo era ancora freddo a contatto con il suo palmo nudo, però sentiva che doveva tenerla lì.
«E quindi? Non ho comunque intenzione di massacrare o rapire nessuno... e pagherò la locanda per il vitto e l'alloggio come chiunque altro» sbuffò, guardandosi attorno in cerca di un'insegna che segnalasse loro la presenza di un'effettiva locanda.
Per il momento vedeva solamente case e svariate botteghe. Sperava che non dovessero addentrarsi troppo nelle strade secondarie della fortezza, poiché lì non erano nella foresta e non aveva idea di quanto potesse affidarsi all'orientamento di Patria. Per quanto concerneva lui, il suo senso dell’orientamento era pressoché inesistente e dubitava fortemente che potesse migliorare.
Il Tiefling non si sottrasse al contatto con il suo compagno; anzi, si accostò leggermente al suo fianco, continuando a lanciare occhiate nervose verso la periferia.
Tharazar notò il suo atteggiamento di colpo così insicuro senza dover fare alcuno sforzo. Era semplicemente non da Patria comportarsi in quella maniera. Seguì la traiettoria dei suoi sguardi, intercettando la sommità delle mura, talmente alte da soverchiare del tutto i piccoli edifici all'interno.
Lasciò scivolare la mano dalla sua schiena verso il basso, andando ad intrecciare le dita con le sue.
«Non ti piacciono le mura...?» bisbigliò Tharazar, piegandosi vicino al suo orecchio perché solo lui lo sentisse.
«Non mi piacciono i recinti» rispose frettolosamente Patria, serrando la presa con la mano mentre continuava a far vagare freneticamente lo sguardo attorno a sé «Sono innaturali... e così... soffocanti».
La sua voce si ridusse ad un sibilo strozzato e terrorizzato. La coda e la sua mano si strinsero con forza per un istante attorno all’estremità del Mezzorco, il quale capì che doveva fare qualcosa per evitare che il panico lo soverchiasse.
«Sono con te. Non sei da solo qui dentro» gli fece presente, rinforzando a sua volta la stretta sulle sue dita.
Arrivarono finalmente ad una piccola e spoglia piazza che, data l’ora, era ovvio fosse deserta. Dall'altro lato della stessa si trovava la locanda, facilmente distinguibile dalle normali dimore per le dimensioni. Era ancora illuminata all'interno e dalle finestre si vedeva che c'era molta gente intenta a rinfrancarsi e gozzovigliare.
L'insegna appesa sull'ingresso esibiva il nome "Venturer's Rest".
«Andiamo via... c'è troppa gente...» Patria pareva fremere dal desiderio di allontanarsi da quel luogo affollato, ma Tharazar lo trattenne.
«Non abbiamo visto altre locande nei paraggi... ed è buio ormai. Non è sicuro andare in giro adesso, con quelle guardie di pattuglia...» gli fece presente il Mezzorco in tono insolitamente pacato e logico «Inoltre sei con me. Non serve che tu consideri le altre persone» e gli sorrise con fare seducente, ammiccando.
Vide Patria assumere un contegno decisamente impacciato e imbarazzato. Rispetto a poco prima, era di certo un piacevole miglioramento e gioì interiormente per la consapevolezza di esserne lui la causa.
Prima che potesse sfuggire alla sua presa, Tharazar lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé attraverso la piazza e verso la locanda.
«Andrà bene, vedrai» gli garantì con tono convinto, e il Tiefling non oppose che una minima resistenza, molto probabilmente allettato all’idea di riposarsi in un luogo sicuro.
Varcarono l'ingresso assieme. La sala era gremita di persone e il baccano era tale che probabilmente per sentire ciò che qualcuno vicino diceva serviva urlarsi nelle orecchie. L'odore di cibo caldo aggredì le narici del Mezzorco come fosse un pugno in pieno viso, anche se per fortuna il chiasso impedì di sentire il suo stomaco che cominciava a protestare per essere riempito.
La maggior parte degli avventori continuò ad attendere ai fatti propri, e soltanto in pochi si girarono a guardare nella loro direzione. Peccato che quelle eccezioni rimasero a fissarli più a lungo di quanto la buona creanza richiedeva.
Patria si irrigidì al fianco del suo accompagnatore, a disagio per le occhiate che stava ricevendo: essere al centro dell'attenzione non gli era mai piaciuto e continuava a dargli fastidio, essendo particolarmente suscettibile riguardo il suo aspetto "esotico". Tharazar inspirò a fondo e si incamminò di fronte a lui, percorrendo la locanda con la schiena dritta e vagliando il locale alla chiara ricerca di un tavolo libero. Sembrava non importargli niente delle occhiate che attirava su di sé, una cosa che Patria gli invidiava moltissimo; inoltre, col suo atteggiamento spavaldo pareva voler catalizzare tutta l’attenzione su se stesso. Il suo partner sperò fosse per cercare di farlo sentire più a suo agio.
Ci volle un po' prima che il Mezzorco riuscisse ad individuare un paio di sedie libere. Purtroppo erano abbastanza centrate nella sala, ma non essendoci alternative, si fece strada fino ad esse assieme al suo partner.
Si sedettero l'uno accanto all'altro, anche se non potevano dare impressioni più diverse: mentre il Tiefling pareva stare cercando di scomparire nella sedia tanto si stava rannicchiando su di essa, il Mezzorco se ne stava con la schiena ben eretta ed il collo teso, ispezionando i dintorni con l'aria di qualcuno che cerca qualcosa di particolare.
«Possibile che non ci siano camerieri in giro...? Come fanno a mandare avanti questo posto senza dipendenti...!» brontolò Tharazar indignato.
«Forse l'ora di cena è finita...» ponderò Patria a mezza voce, visibilmente a disagio.
«Non finché io non avrò mangiato!» replicò indispettito l'altro, picchiando un pugno sul tavolo con relativa forza.
Come ad un segnale convenuto, non appena ebbe colpito il legno udì da dietro le sue spalle una voce giovane e maschile esclamare: «Buonasera! Cosa posso portarvi?».
Tharazar sobbalzò leggermente per la sorpresa; Patria saltò sulla sedia come se si fosse accorto di essere seduto su un letto di aghi. Ad aver parlato era stato un Mezzelfo apparso improvvisamente alle loro spalle. Indossava una semplice camicia bianca con le maniche arrotolate sui gomiti e un grembiulino nero legato in vita. Aveva i capelli biondo chiaro raccolti in una pratica coda sulla nuca e li fissava in attesa di risposta. A giudicare dai segni scuri sotto i suoi occhi verdi, doveva essere stato un turno lungo e difficile.
«Due porzioni abbondanti di qualsiasi cosa ci sia per cena qui e... del vino se lo avete» chiese il Mezzorco, esitando solo sull'ultima parte. Adorava bere vino ed era da tantissimo tempo che non ne assaggiava un po', anche se dubitava fortemente di riuscire ad averne di anche solo lontanamente paragonabile a quelli pregiati che era solito consumare presso Neverwinter.
Domandare in fondo non costava niente e comunque avrebbe dovuto adeguarsi a standard molto bassi per quanto riguardava cibi e bevande, per cui tanto valeva iniziare sin da subito.
«Vino?» ripeté confuso il cameriere, guardandolo come se non avesse mai sentito prima quella parola in vita sua «Non... so se ne abbiamo...» ponderò esitante, lanciando un'occhiata fugace verso il bancone, quasi sperando nell’arrivo di soccorsi di qualche tipo. Purtroppo per lui, il locandiere era attualmente impegnato a servire a sua volta.
«Se non c'è allora va bene un qualsiasi alcolico...» il Mezzorco liquidò la faccenda senza tante cerimonie né pretese «L'importante è che la cena sia calda... oh, giusto! Vorremmo anche una stanza per due».
«Per la camera dovrete chiedere al mio capo, direttamente al bancone...» replicò il giovanotto, un po' a disagio «Per il resto, tornerò a breve».
Così dicendo si dileguò in un lampo tra i tavoli, come se non vedesse l’ora di mettere quanta più distanza possibile tra se stesso e quei pretenziosi clienti.
«Tch! Speravo di non doverti lasciare da solo per la faccenda della camera...» sibilò il Mezzorco a denti stretti, chinandosi visibilmente irritato verso il suo compagno.
Le guance di quest'ultimo si fecero di colpo di un intenso color porpora tendente al violaceo: era la prima volta che lo vedeva preoccuparsi così palesemente per lui e la cosa - oltre a metterlo un po' in imbarazzo - gli faceva anche stranamente piacere.
«Davvero speravi di poter trovare del vino qui...?» chiese Patria per contro, incapace di ringraziarlo apertamente per l’interesse dimostrato nei suoi confronti.
«Era solo una speranza...» Tharazar fece spallucce «Be' almeno la birra dovrebbero averla... mi pare ci sia troppa allegria per un posto del tutto privo di alcol...» aggiunse, lanciandosi un'occhiata rapida attorno.
Ciò detto, si alzò in piedi.
«Vado a prenotarci una camera, sperando non sia già troppo tardi... torno subito» comunicò a Patria, prima di allontanarsi di gran carriera in direzione del bancone.
Il Tiefling lo seguì con gli occhi finché poté, poi abbassò lo sguardo e rimase a fissare il tavolo dinanzi a sé. Cercò di focalizzarsi su di esso e di ignorare tutto ciò che c'era attorno a lui. Percepiva l'impellenza di assicurarsi che nessuno lo stesse fissando o stesse parlando di lui alle sue spalle, ma sapeva anche che così facendo sarebbe stato sopraffatto da una nuova ondata di ansia e di panico che voleva ad ogni costo evitare.
«Tharazar tornerà presto... tra poco sarà di nuovo qui...» si disse, cercando di convincersi a non guardare nei paraggi.
Invece del suo compagno, ad arrivare da lui fu il Mezzelfo di poco prima con un vassoio contenente due scodelle e due boccali. Servì la cena e se ne andò lesto ad occuparsi di altri clienti in silenzio.
Patria rimase immobile per qualche altro momento prima di gettarsi sul boccale che aveva davanti. Lo annusò per sincerarsi che il contenuto non emanasse odori strani che potessero far pensare ad aggiunte di sostanze strane o nocive. Profumava di semplice birra, forse non proprio del tipo migliore, però non pareva essere stata in alcun modo adulterata.
Stava per assaggiarla quando vide Tharazar apparire di fronte a lui reggendo due boccali di birra a sua volta. Dalla sua espressione sembrava contento.
«Sono felice di vedere che ti stai rilassando un po'...» annuì, prendendo posto di nuovo al suo fianco, appoggiando un boccale sul tavolo e sorseggiando un po' dell'altro «Immaginavo che non sarebbe arrivato il vino...» soggiunse poco dopo con tono deluso.
Mise da parte la bevanda e studiò per un lungo momento la scodella che aveva davanti, contenente una specie di densa zuppa in cui galleggiavano letteralmente bocconi di carne piuttosto miseri e pezzetti di verdure.
Storse le labbra, evidentemente scontento del menù, però si accinse a mangiare senza esplicitare il suo disappunto.
Patria era sollevato di vedere che almeno aveva smesso di lamentarsi ogni volta che doveva mangiare qualcosa che non era esattamente nelle sue corde. Senza dir niente, lo imitò.
In effetti, persino lui aveva mangiato di meglio nella foresta, con quel poco che era in grado di raccogliere dei frutti della Natura. La brodaglia non era molto saporita, la carne era talmente cotta da risultare molliccia e le verdure sembravano aver perso tutto il loro sapore durante la preparazione.
L'unico pregio del piatto era di essere bollente, nonché il motivo per cui Tharazar riusciva ad ignorare le vivaci proteste del suo palato sopraffino e trangugiarlo senza fare alcuna smorfia. Il suo stomaco pareva invece desideroso di ribellarsi per quella violenza, a giudicare dalla vaga sensazione di nausea che gli attanagliò le viscere e che pareva destinata a perdurare.
Era contento di aver preso della birra extra: seppur neanche quella fosse di prima qualità, era sempre meglio che mangiare quella zuppa terribile senza avere niente per buttarla giù e mascherarne un po' il sapore pessimo.
«Sono riuscito a prendere una camera» annunciò dopo un po'. Aveva la voce strozzata per il tentativo di ricacciare indietro un leggero rigurgito, al quale fece seguito un generoso sorso di birra.
«Quindi dopo cena possiamo andare a sistemarci».
«Non vuoi esibirti qui...?» domandò Patria con una punta di timore. In realtà era ben lungi dal volerlo spingere a lasciarlo di nuovo da solo, però sapeva anche quanto piacesse a Tharazar far mostra delle sue innegabili ed eccelse doti di musicista.
«Neanche per sogno» borbottò il Mezzorco con aria disgustata, osservando titubante un gelatinoso boccone di carne che aveva appena pescato con il cucchiaio «Anche se così potrei evitare di pagare per questo schifo di cena, non reputo nessuno di questi zotici contadini in grado di apprezzare le mie doti artistiche».
Inghiottì un’altra cucchiaiata di zuppa con l’espressione di qualcuno estremamente infelice. Si stava sacrificando per introdurre qualcosa di caldo e sostanzioso in corpo, anche se adesso era convinto che ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Sempre che tu non voglia sentirmi suonare...» soggiunse prima di bere ancora.
Patria lo guardò arrossendo e scosse la testa.
«Penso che non sia il luogo adatto» ammise, continuando a mangiare mesto.
«Vuoi aspettare di essere noi due da soli?» azzardò con tono audace il Mezzorco, sorridendogli di sghembo.
Il primo impulso dell’altro fu tirargli un calcio sotto il tavolo ma decise di non farlo semplicemente perché rimanere da solo con lui era esattamente ciò che desiderava, anche se non per il suo stesso motivo. Gli bastava potersi allontanare dalla folla chiassosa piena di ubriachi.
Non era comunque disposto ad ammettere la sua necessità con tale leggerezza, neanche sapendo che era probabile fosse già sufficientemente ovvia soltanto a guardarlo. Piuttosto, si chinò sul tavolo e con un leggero sogghigno disse: «Immagino che preferiresti non tirare fuori il violino adesso...».
Vide il colorito grigio-verde di Tharazar farsi un po’ più pallido in risposta alla sua affermazione.
Dopo la loro “scampagnata” in una foresta fatata al di fuori del Piano Materiale, Tharazar aveva iniziato ad utilizzare il suo amato violino con molta frequenza, soprattutto alla sera, per allietare e rasserenare entrambi dopo le lunghe e sfiancanti giornate di viaggio. Patria aveva potuto così constatare quanto la sua bravura con la fisarmonica - l’unico altro strumento che gli aveva sentito suonare fino a quel momento - impallidisse a confronto con la maestria con cui si esibiva col violino, la delicatezza del suo archetto nel muoversi sulle corde, la potenza evocativa delle note e dei suoi brani.
Patria era giunto alla conclusione che quello strumento fosse un’estensione stessa di Tharazar, e la paranoia con cui quest’ultimo lo accordava e lo riponeva dopo ogni esecuzione non faceva che rendere il Tiefling sempre più certo della questione.
Il Mezzorco deglutì la porzione di zuppa senza curarsi di masticare il disgustoso boccone di carne rammollita, colto di sorpresa dalle parole del Tiefling.
«Vuoi sentirmi suonare… proprio quello?» domandò con voce strozzata, prima di afferrare un boccale e tracannare della birra nel tentativo di non soffocare con la carne.
Si ritrovò a sentirsi nervoso e al tempo stesso trepidante per la risposta che avrebbe ricevuto. Non pensava che Patria potesse apprezzare così tanto le sue esibizioni di violino, che lui stesso reputava forse troppo femminili ed effimere per poter essere comprese da altri al di fuori di se stesso.
Vedere l’espressione imbarazzata ma speranzosa del Mezzorco spinse Patria a procedere in quella direzione: «Non ti sto chiedendo di suonare qui… possiamo pure andare in camera...».
Parlò con voce inspiegabilmente suadente, tanto che Tharazar per la prima volta in vita sua sperimentò cosa dovessero provare le fanciulle che aveva corteggiato in passato, un misto di disagio e lusinga accompagnato dalla pulsione ad esaudire quanto prima la richiesta ricevuta.
Deglutì di nuovo, stavolta a vuoto, mentre percepiva le sue guance andare letteralmente a fuoco.
«Mantieni la calma! Riprendi il controllo!» si impose mentalmente con convinzione. Non si sarebbe lasciato sopraffare dall’emozione e dal desiderio di assecondare Patria a prescindere da quanto il suo ego si sentisse lusingato.
«E la cena?» domandò. Si morse la lingua con odio sentendo la sua voce incrinarsi, anche se fu sollevato di essere riuscito a non balbettare come un completo idiota.
«Sono certo che sei quasi più contento di me di allontanarti da quella brodaglia insapore» lo rimbeccò il Tiefling, inarcando un sopracciglio con aria eloquente.
Tharazar non poteva che dargli ragione, anche se si sentiva schiacciato dal suo sguardo improvvisamente così seducente. Possibile che non si fosse mai reso conto di quanto potesse essere attraente Patria…?
L’altro stava mettendo a dura prova tutto il suo carisma e la sua capacità recitativa. Era impegnativo mostrarsi così audace persino con Tharazar, ma era consapevole che così facendo sarebbe riuscito a mettere fine a quel pasto pietoso molto prima del tempo.
«Prima… posso almeno lavarmi?» chiese frettolosamente l’altro. Se doveva esibirsi, voleva essere al meglio.
Normalmente, Patria si sarebbe detto contrario al fomentare l’ossessione di Tharazar per la propria igiene personale; in quel momento, era disposto a passare sopra qualsiasi suo principio in proposito pur di andarsene da quella maledetta sala gremita di sconosciuti.
«Mi sembra il minimo… così potrai anche riscaldarti un po’» disse il Tiefling, accennando un sorriso sghembo che fece mancare un battito al suo interlocutore.
Quest’ultimo si affrettò a tracannare il resto della sua birra - che era quasi finita - prima di alzarsi di scatto dal tavolo pregando in cuor suo che l’alcol non rovinasse la sua performance. Era ancora sobrio, capace di pensare e di muoversi seguendo il libero arbitrio, anche se sentiva la testa un po’ leggera.
«Andiamo» decretò, abbandonando la cena e dirigendosi con passo svelto in direzione delle scale.
Patria sorrise trionfante e lo seguì lesto. Tremava leggermente per lo sforzo recitativo ma era certo che la tensione accumulata si sarebbe allentata non appena fosse stato in un ambiente più tranquillo.
Insieme si incamminarono su per le scale, quindi si diressero lungo lo stretto corridoio su cui si affacciavano le numerose porte che conducevano alle varie camere da letto.
Tharazar fece del suo meglio per trattenere la cena all’interno del suo stomaco. Neanche il mediocre sapore della birra riusciva a mascherare il retrogusto orribile che gli permeava le papille gustative. Sicuramente era grato di essere riuscito a riempirsi lo stomaco con qualcosa di caldo, però non poteva neanche immaginare in che stato sarebbe arrivato al termine della stagione fredda se quello fosse diventato il suo menù abituale.
«Urge trovare un’altra sistemazione» rifletté deciso, ricacciando indietro un leggero conato.
Controllò il numero della stanza che era appeso alla chiave che aveva ricevuto, quindi accelerò il passo notando che erano quasi arrivati. Si sarebbe vergognato da morire se avesse vomitato la cena in mezzo al corridoio, specialmente considerando che avrebbero dovuto trascorrere in quel villaggio i mesi a venire; inoltre, aveva veramente bisogno di farsi un bagno per calmarsi prima di suonare per Patria.
Quest’ultimo lo seguiva dappresso e non si era reso conto della pressione che aveva posto sulle sue spalle, impegnato com’era ad accertarsi che nessuno dalla sala principale fosse salito dietro di loro.
Quando giunsero a destinazione, il Mezzorco armeggiò per qualche secondo con la serratura per poi aprire la porta ed infilarsi all’interno. Il Tiefling lo spinse senza tante cerimonie per poter entrare a sua volta, non appena assicuratosi con un’ennesima occhiata nervosa che non fossero pedinati.
La camera era molto spartana nell’arredamento, per non dire estremamente povera. C’era un letto a due piazze dall’aspetto non molto solido dirimpetto rispetto alla porta d’ingresso e poco distante da esso, sul pavimento, si trovava una tinozza di media grandezza in legno. Lungo la parete sinistra c’era un armadio che pareva aver visto giorni migliori ed una porticina che molto probabilmente dava accesso al bagno.
La temperatura là dentro era quasi bassa quanto quella all’esterno, a dispetto delle finestre chiuse e delle mura che li proteggevano.
Tharazar rabbrividì palesemente.
«Ho… davvero speso i miei soldi… per questo?!» esclamò, cercando di riscaldarsi strofinandosi le mani contro le braccia. Il suo respiro si condensò in una densa nuvoletta dinanzi ai suoi occhi, quasi a denigrarlo ulteriormente.
Sentì l’ira montargli dentro come il mare in tempesta, gonfiargli il petto e caricarlo di un’inspiegabile desiderio di violenza, molto probabilmente complice anche la cafonaggine delle guardie all’ingresso. Non tollerava di essere trattato in maniera così rude e priva di accortezze. Cacciò un ululato di rabbia, e si girò per uscire con l’espressione più cupa, selvaggia e incazzata che Patria gli avesse mai visto.
«Fermo, fermo! Dove pensi di andare?!» esclamò il Tiefling, parandosi tra lui e l’uscio ancora aperto. La sua voce fremeva appena, e in effetti non era del tutto sicuro di poter fare qualcosa per placare il suo compagno di viaggio.
«Non crederai che possa accettare questo!» sibilò il Mezzorco fuori di sé, cercando di spostarlo per arrivare al corridoio «Non dopo quella porcheria che spacciano per cena! Questa è una rapina!».
«Tharazar calmati… troveremo una una soluzione» cercò di tranquillizzarlo l’altro, appoggiandogli le mani sul petto per trattenerlo.
«Ho io la soluzione...» ruggì l’altro, facendo scricchiolare le nocche con fare minaccioso «Forse ci penseranno due volte prima di truffarmi di nuovo...».
«Non puoi… e-e l’esibizione?» balbettò frettolosamente il Tiefling «Mi hai promesso uno spettacolo, ricordi?».
Tharazar gli spostò le mani dal suo petto con fare brusco.
Allarmato dalla fermezza della sua posizione e completamente a corto di alternative, Patria gli allacciò la coda attorno alla caviglia e lo strattonò di lato.
Il Mezzorco, colto alla sprovvista, perse l’equilibrio e cadde all’indietro sbattendo dolorosamente la testa sul pavimento.
«Mi dispiace, ma non ti lascerò uscire a fare il pazzo» Patria chiuse la porta, trattenendo ancora l’altro con la coda, per poi avvicinarsi a lui «Non ora che siamo finalmente da soli e in santa pace...».
Il diretto interessato si mise seduto e ringhiò verso di lui cercando di tirargli un pugno circa all’altezza della rotula; peccato che non aveva fatto i conti con la tunica rinforzata di Patria. Le sue nocche impattarono contro il solido metallo delle sue placche e di scatto ritrasse la mano con un latrato di dolore.
«Hai finito di fare il ragazzino capriccioso?» sospirò il Tiefling, piegandosi su di lui e porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Tharazar rimase a fissarlo per un lungo istante, massaggiandosi le dita intorpidite dal colpo.
«Volevo trascorrere la notte… al caldo. In una bella stanza… insieme a te...» brontolò a mezza voce, distogliendo lo sguardo da quello del suo interlocutore «… non in un posto del genere...».
«La fortuna delle locande è che paghi di volta in volta per ogni notte che affitti la stanza» il Tiefling gli sorrise con fare incoraggiante «Per stavolta è andata così. Domani, con la luce del giorno, potremo metterci a cercare un posto migliore».
Il Mezzorco non pareva ancora del tutto convinto. La sua espressione ferita e sconsolata si fece poco per volta più spenta e Patria colse i segnali di un’imminente ondata di depressione.
«Dai, almeno puoi farti il bagno…!» tentò di incoraggiarlo ancora l’altro, in un estremo tentativo di salvarlo da se stesso.
Tharazar scoccò un’occhiata alla triste e malconcia tinozza e abbozzò un sorriso.
«Sicuramente l’acqua sarà fredda… come tutta la stanza...» borbottò.
«Ma a differenza del resto, quella puoi riscaldarla con la magia!» gli fece notare il Tiefling.
Il suo partner afferrò la mano che gli stava tendendo già da un po’ e si rimise in piedi. Sembrava ancora deluso e anche rassegnato, ma almeno non era più incazzato come poco prima. Una volta di nuovo in posizione eretta, si diresse verso la tinozza e sospirò pesantemente guardandone l’interno.
«Sarà il bagno più scomodo della mia vita...» commentò amaramente, iniziando a spogliarsi.
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of Life
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 8565 (wordcounter)
Timeline: Ambientata in seguito a questa.
Note: Yaoi
«Non puoi dirmi che non è vero! Ho rischiato più volte la vita io qui dentro di quante catastrofi possano mai essere accadute a questa foresta dacché esiste!» aggiunse «Che male può esserci nell'andare a trascorrere la stagione fredda dove non rischiamo di morire congelati nella notte?».
«Io...» esordì Patria con voce incerta. Stava iniziando a cedere e Tharazar cominciava già ad assaporare la vittoria e la prospettiva di una vera cena dopo più di un mese.
«Non serve andare lontano. Ci sarà una città o un villaggio vicino alla foresta, no?» disse, scrollando le spalle.
Era metà pomeriggio, ma già il sole iniziava a spostarsi verso il limite dell'orizzonte, al di là delle chiome degli alberi che delimitavano il paesaggio boschivo ovunque Tharazar posasse gli occhi.
Come sempre ormai da un paio di mesi, aveva camminato per tutta la giornata per la foresta assieme al suo compagno di viaggio Patria, e benché stesse iniziando ad abituarsi a vedere alberi attorno a sé senza alcuna variazione, continuava a covare la remota speranza di riuscire un giorno ad arrivare finalmente fuori da essa.
La sua apprensione di uscire dal bosco aveva iniziato a farsi più intensa solo di recente, con l'arrivo delle prime gelate notturne: già quando era partito da Neverwinter alla vigilia dell'autunno non gli piaceva dover trascorrere la notte all'aperto, senza niente che potesse usare per scaldarsi o per dormire comodo. Adesso però il freddo aveva cominciato a farsi più pungente, tanto da spingerlo a chiedere con insistenza a Patria di poter stare vicini per godere anche del suo seppur misero calore corporeo.
Era una fortuna che non molto tempo prima lui e il suo compagno di viaggio avessero messo in chiaro che c'era qualcosa tra di loro; o almeno, Patria aveva ammesso di amarlo. Tharazar non aveva ancora dichiarato niente a voce alta. Il fatto che non lo avesse rifiutato su due piedi però al suo partner pareva bastare a consentirgli di assumere un atteggiamento più rilassato in sua presenza e soprattutto di non inalberarsi quando il Mezzorco gli chiedeva di fare cose che appartenevano ad una sfera di comportamenti un po' più intima, come il dormire vicini e in costante contatto.
Tharazar non sopportava il freddo, probabilmente perché quando si esibiva come gladiatore nell'arena di Neverwinter doveva sempre indossare solo braghe e scarpe. Anche tra i vestiti che aveva nei suoi alloggi presso l'arena non c'era niente di abbastanza pesante che avrebbe potuto prendere prima di fuggire, per cui i suoi indumenti attuali erano buoni soltanto a impedire al mondo di ammirare il suo magnifico corpo. Al massimo, il farsetto leggermente rigido avrebbe potuto proteggerlo se qualcuno avesse cercato di dargli un pugno nello stomaco.
Una folata di vento si levò tra gli alberi, facendo frusciare le chiome folte e spazzando il sottobosco. La brezza s'insinuò agilmente sotto il sottile tessuto della camicia del Mezzorco, che rabbrividì emettendo un grugnito.
«Patria? Pensi che... arriveremo fuori dalla foresta... prima che arrivi l'inverno?» chiese quest'ultimo, stringendosi nelle ampie spalle e cercando di riscaldarsi strofinandosi le mani sulle braccia.
Non aveva mai posto il quesito prima di allora. Il suo senso dell'orientamento era pessimo e si era affidato in tutto e per tutto a Patria nella speranza di riuscire a vedere l'uscita dalla foresta in tempi ragionevoli; tuttavia, il sopraggiungere del gelo stava mettendo a dura prova la sua pazienza in tal senso.
L'interpellato si aprì un varco in un cespuglio poco più avanti utilizzando i guanti di piastre della sua armatura, ma si fermò prima di attraversarlo per voltarsi verso l'altro.
Gli occhi neri e vuoti di Patria, pur somigliando a pozzi di pece, erano molto espressivi. Le sue sopracciglia, nere e sottili, si aggrottarono in un cipiglio confuso mentre domandava a sua volta: «Ti sei mai domandato perché pur indossando un'armatura così ingombrante viaggi per la foresta senza passare per i sentieri principali...?».
Tharazar rimase per un attimo interdetto dal quesito, che non si aspettava minimamente. Sperava piuttosto in una risposta infastidita o in qualche informazione per lui del tutto inutile sulla direzione in cui stavano proseguendo.
In effetti, non si era mai soffermato a chiedersi perché Patria indossasse un'armatura così pesante, né gli aveva mai chiesto cosa ci facesse di passaggio nella foresta e dove fosse diretto. Era stato troppo impegnato a pensare alla sua brillante carriera da gladiatore distrutta e a mettere quanta più distanza poteva tra sé stesso e Neverwinter nel minor tempo possibile.
Non voleva tornare alla sua vecchia vita e non voleva neanche rimanere in zona per sentire voci su chi avesse preso il suo posto come effettivo Signore dell'Arena.
Improvvisamente si sentì in colpa per essere stato così poco attento alle motivazioni che avevano spinto il suo compagno ad addentrarsi in un posto del genere.
«... perché sul sentiero è più facile essere aggrediti dai banditi...?» azzardò, facendo spallucce.
Patria si fermò e si girò verso di lui, cacciando un lugubre sospiro carico di esasperazione. Ancora faticava a credere di essersi innamorato di qualcuno così ignaro delle persone che lo circondavano. L'amore era davvero cieco, e nel suo caso probabilmente anche stupido.
«Perché sono un paladino» rispose in tono estremamente paziente «E ho prestato giuramento agli Antichi di vegliare sulla Natura e preservarne l'equilibrio».
Sperava di essere stato sufficientemente chiaro e che le sue parole avessero illuminato Tharazar circa le sue intenzioni per il futuro; tuttavia, a giudicare dall'espressione smarrita con cui lo fissava, era più logico supporre che il suo cervello fosse rimasto bloccato nell'interpretazione del termine "paladino".
Patria si massaggiò il ponte del naso, pregando gli Antichi di dargli la forza necessaria ad affrontare le conseguenze di ciò che si accingeva a dire - e che era certo ci sarebbero state.
«Devo proteggere la Natura, Tharazar, come quella che si trova attorno a noi... la Foresta di Neverwinter» Patria allargò le braccia, indicando l'ambiente circostante «E per farlo devo rimanere qui. Al suo interno».
Il Mezzorco sgranò gli occhi all'improvviso, così tanto che Patria per un secondo temette che stesse avendo un malore. Lo vide aprire e chiudere la bocca un paio di volte senza dire niente e solo al terzo tentativo riuscì a dire: «Come sarebbe "la Foresta di Neverwinter"?! Abbiamo viaggiato verso l'interno per tutto questo tempo! Non possiamo essere ancora così vicini!».
Ricordava di aver visto alcune cartine della Costa della Spada quando era ancora in arena, perlopiù stampate nella parte interna delle copertine di alcuni dei libri che teneva nelle sue stanze, e la Foresta di Neverwinter non solo era dannatamente vicina alla città che gli dava il nome, ma copriva anche una porzione di territorio molto misera in paragone al resto.
Il Tiefling inspirò a fondo prima di replicare: «Io pattuglio la foresta, Tharazar. Siamo ancora qui perché abbiamo girato qui dentro per tutto questo tempo».
Le ultime parole le pronunciò facendo eco al tono scandalizzato del suo interlocutore col chiaro intento di prenderlo per i fondelli.
Tharazar sorrise con espressione tesa e si passò le mani sul viso, poi si guardò attorno come se fosse in cerca di qualcosa ed infine tornò a fissare Patria. Pareva arrabbiato, confuso e smarrito insieme.
«Quando pensavi di informarmi?! Tra un anno?» esplose con vigore tale che la sua voce riecheggiò tra gli alberi. Ansimava palesemente e sembrava che stesse per dare spettacolo con una scenata di rabbia plateale.
Patria non l’aveva mai visto così arrabbiato; tuttavia, non accettava un simile comportamento nei suoi confronti, non quando lui non aveva la benché minima colpa per l’attuale situazione. Aggrottò le sopracciglia e camminò verso Tharazar, fermandosi a pochissima distanza dal suo petto. Il Mezzorco svettava di tutta la testa sopra di lui e nemmeno con le sue corna ritorte era in grado di colmare il divario di altezza tra di loro; ciononostante, non si sarebbe fatto intimorire dalla sua stazza.
«Sei tu che mi hai trovato. Tu mi hai chiesto di poter viaggiare insieme… senza neanche chiedermi che cosa ci facessi e se avessi una direzione!» gli fece presente Patria, esibendo i denti acuminati con fare minaccioso «Non penso che te ne sia mai neanche importato di chiedermelo fino ad ora che senti l’impellente bisogno di uscire da qui!».
Vide le guance grigio-verde del suo interlocutore tingersi improvvisamente di rosso mentre il cipiglio furibondo di Tharazar veniva mitigato da un’ondata di imbarazzo. L'aveva colto alla sprovvista, era palese. Non aveva mai davvero pensato di informarsi circa le sue intenzioni per il futuro.
Patria non era arrabbiato per l'atteggiamento di assoluto egoismo di Tharazar nei confronti degli obiettivi che perseguiva. Ormai ci aveva fatto l'abitudine e non pretendeva sicuramente che di punto in bianco cambiasse comportamento. Quello che lo irritava era il fatto che desse per scontato che tutto ruotasse attorno a lui e ai suoi bisogni senza doversi curare di farlo presente o di chiedere.
Il Tiefling intrecciò le braccia sul petto e rimase a fissare il suo interlocutore in silenzio, aspettando la sua risposta.
Tharazar sentiva le guance ardergli letteralmente per la vergogna nell'essere messo dinanzi all'evidenza in maniera tanto brusca. Si sentiva un completo idiota per non aver mai neanche immaginato che Patria potesse avere come fine qualcosa di differente dal semplice transitare per la foresta.
«Solo perché a me stare qui dentro non piace, non significa che sia così anche per lui...!» si ritrovò a pensare, storcendo le labbra in una smorfia di puro e semplice disagio.
Odiava ammetterlo - o anche solo pensarlo - ma era nel torto. La cosa peggiore era che adesso era persino costretto a farlo presente a voce alta.
Con un incredibile sforzo di volontà, esclamò: «Va bene. Ho sbagliato! Avrei dovuto... chiederti cosa ci facevi nella foresta».
A giudicare dal suo colorito paonazzo, Patria temette per un momento che stesse per svenire per l'impegno profuso nell'ammettere di aver commesso un errore. Nel caso era pronto ad intervenire per evitare che si facesse male accasciandosi sul terreno. Pareva però che avesse altro da aggiungere e Patria non gli avrebbe sicuramente alleggerito il compito intervenendo: doveva essere in grado di riconoscere i suoi sbagli e prendersi le sue responsabilità come ogni persona "normale". Gladiatore o no che fosse stato, adesso era come chiunque altro e quindi doveva imparare a fare i conti con le conseguenze della sua sconsideratezza.
«Comunque rimane il fatto che adesso sta cominciando a fare davvero freddo qui fuori, specialmente durante la notte, e credo che dovremmo cercare un luogo dove trascorrere i mesi freddi dell'anno...» soggiunse il Mezzorco, cercando di riacquistare una certa sicurezza «D'altra parte, un posto caldo e accogliente dove poter dormire sarebbe anche l'ideale per toglierti quell'armatura di dosso... e magari rilassarci un po'... insieme».
Il tono inizialmente sicuro si fece rapidamente audace e poi lascivo. Calcò particolarmente sull'ultima parola, sorridendo accattivante al suo interlocutore ed intrecciando a sua volta le possenti braccia rivestite unicamente dal sottile strato di tessuto della sua camicia.
Fu il turno di Patria di arrossire. Dato il suo incarnato già rosso, l'effetto fu di vedere le sue guance scurirsi fino a diventare quasi del tutto violacee.
La sua mente ritornò alla notte in locanda, al piacere del contatto fisico diretto tra di loro. Sentì la pelle formicolargli laddove Tharazar lo aveva accarezzato quella volta e percepì il suo corpo reagire positivamente alla prospettiva di poter sperimentare di nuovo la cosa.
«S-scordatelo!» esclamò di getto, impaurito dall'ondata di desiderio che minacciava di travolgerlo «Devo rimanere a sorvegliare la foresta!».
Il Mezzorco grugnì con evidente disappunto e si allontanò di qualche passo da lui. Immaginava che la promessa del sesso potesse convincere chiunque, ma evidentemente Patria non era così incline a cedere neanche dopo aver ammesso di amarlo. In altre circostanze avrebbe trovato la sua ostinata timidezza quasi tenera, ma adesso l'unica cosa di cui aveva bisogno era sapere che avrebbe potuto dormire al caldo nel prossimo futuro.
«Andiamo! Da quando ci siamo incontrati è mai successo qualcosa che possa farti credere che ci siano dei pericoli per la foresta?!» sbottò, voltandosi di scatto verso Patria «Gli unici che sono stati aggrediti qui siamo noi, ma non credo tu consideri i predatori dei pericoli per gli alberi!».
Non sapeva neanche lui perché stava dicendo quelle cose. Non aveva altre argomentazioni che considerasse valide abbastanza da riuscire a convincerlo a cambiare idea. A quel punto sperava di farlo incazzare soltanto per sentirsi meno solo nella sua rabbia; eppure, alla sua affermazione notò un barlume di cambiamento nell'espressione del Tiefling che fece sbocciare una nuova speranza nel suo cuore. Continuare su quella strada forse l'avrebbe condotto ad un qualche risultato.
«Non puoi dirmi che non è vero! Ho rischiato più volte la vita io qui dentro di quante catastrofi possano mai essere accadute a questa foresta dacché esiste!» aggiunse «Che male può esserci nell'andare a trascorrere la stagione fredda dove non rischiamo di morire congelati nella notte?».
«Io...» esordì Patria con voce incerta. Stava iniziando a cedere e Tharazar cominciava già ad assaporare la vittoria e la prospettiva di una vera cena dopo più di un mese.
«Non serve andare lontano. Ci sarà una città o un villaggio vicino alla foresta, no?» disse, scrollando le spalle «Solo per questi mesi. Poi se vorrai tornare a "pattugliare" non ti fermerò. Promesso» era assolutamente sincero in questo. Non si sarebbe opposto se col ritorno della bella stagione avesse chiesto di tornare nel bosco; anzi, molto probabilmente l'avrebbe persino accompagnato. Le sue prospettive per il futuro non erano né rosee né ampie e Patria era l'unico che l'avesse aiutato quando tutto il mondo pareva insensibile alla sua sofferenza e al suo bisogno di supporto. Non l'avrebbe lasciato andare via da solo dopo tutto quello che aveva fatto per lui.
Il Tiefling non poteva negare che la richiesta di Tharazar fosse quantomeno ragionevole: la notte era diventato difficile persino riuscire a mantenere acceso il fuoco, figurarsi riuscire a scaldarsi con esso. Benché non fosse un amante dei centri abitati, un breve soggiorno volto al solo scopo di sopravvivere alle intemperie della stagione fredda non avrebbe potuto fargli poi così male.
«Inoltre non sarò da solo... ci sarà Tharazar con me...» fece presente a se stesso, e il pensiero lo rassicurò talmente tanto da convincerlo in maniera definitiva.
«D'accordo! Andremo a cercare un posto dove passare il periodo freddo» annunciò «So che c'è un posto non molto lontano dalla foresta... se partiamo adesso da qui dovremmo arrivare non molto dopo il tramonto...».
Il Mezzorco saltellò sul posto, incapace di trattenere il suo entusiasmo per la riuscita dell'impresa.
«Fai strada! Da che parte andiamo?» domandò con trepidazione, guardandosi attorno in cerca di qualche segnale che gli indicasse la giusta direzione.
Patria sospirò, ma non poté fare a meno di sorridere per la sua reazione così infantile e genuina: era tipico di Tharazar manifestare in maniera così palese e inequivocabile la sua gioia per qualcosa.
«Da questa parte...».
Patria abbandonò il cespuglio che si stava accingendo a valicare prima che tutta quella discussione avesse luogo per dirigersi verso sinistra, tra gli alberi. Il Mezzorco lo seguì alla svelta, senza produrre nemmeno un lamento per il terreno di colpo più accidentato a causa delle nodose radici superficiali che tappezzavano il suolo.
Nelle ore successive la luce del sole iniziò a dissiparsi e lasciare spazio alle tenebre della notte e la temperatura iniziò ad abbassarsi.
Tharazar cominciò a sentire i primi brividi che annunciavano l’arrivo della sera. La pelle accapponata sotto la camicia era molto sensibile a qualsiasi stimolazione esterna ma il pensiero della notte piacevole che avrebbe trascorso riusciva a farlo concentrare abbastanza da far passare in secondo piano il suo disagio fisico.
Patria camminava avanti a lui senza fermarsi né guardarsi intorno. Pareva sicuro della strada per giungere a destinazione e dopo la conversazione che avevano avuto il Mezzorco era certo che non l’avrebbe portato ancora in giro per la foresta a suo piacimento.
La sua armatura era sporca di terra in svariati punti e Tharazar si focalizzò nell’osservare tutte le macchie, per tenere la mente impegnata.
Come facesse a non sentire il freddo pungente che c’era nell’aria non lo sapeva. Sapeva che di norma il metallo era particolarmente suscettibile agli sbalzi di temperatura, per cui a rigor di logica avrebbe dovuto sentire le piastre gelide a contatto con il suo corpo; invece sembrava del tutto insensibile.
«Forse è abituato… o forse non gli interessa congelarsi il culo qui fuori...» si ritrovò a ponderare tra sé e sé il Mezzorco.
L’armatura rendeva il suo fisico molto più massiccio di quanto fosse in realtà. Probabilmente era anche il fatto che il suo “guscio” fosse un po’ sproporzionato rispetto alla sua corporatura effettiva a proteggerlo dal freddo.
Tharazar era talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorse di una radice particolarmente sporgente che Patria aveva appena scavalcato, col risultato che ci inciampò platealmente cadendo in avanti.
Il Tiefling, che ormai aveva i sensi in allerta per simili incidenti anche quando non sembrava, catturò con la coda dell’occhio il movimento brusco del suo compagno. Piantò gli zoccoli bene a terra e ruotò fulmineo sul posto, protendendosi con le braccia aperte verso il Mezzorco per afferrarlo. La sua esperienza in fatto di tempestivi soccorsi riuscì a fargli prendere il suo partner prima che andasse a terra; tuttavia, il contraccolpo riuscì a metterlo in ginocchio.
Capitombolarono sul terreno entrambi, anche se più dolcemente di quanto Tharazar immaginasse. Si ritrovò con il viso schiacciato contro la spalla metallica di Patria, avvinto tra le sue braccia.
Un brivido lo scosse dalla punta dei piedi a quella dei capelli: il ferro era terribilmente freddo attraverso il sottile strato dei suoi vestiti. Era come trovarsi in una morsa di ghiaccio.
«Sta’ attento a dove metti i piedi, Tharazar! Per te non vale la scusa che sta facendo bu...» il Tiefling lo stava rimproverando ma si zittì subito quando percepì l’intensa vibrazione nel corpo del suo compagno di viaggio «… tremi di già?».
Dal suo tono traspariva una chiara nota di preoccupazione e turbamento. Durante la notte non era insolito che Tharazar si accostasse a lui in cerca di calore, ma adesso non era ancora neppure tramontato il sole.
«L’a-a-armatura… è ge-e-gelata...» rispose balbettando il Mezzorco, senza però allontanarsi da lui.
Patria lo liberò dal suo abbraccio in fretta, guardandolo in viso: nonostante non ci fosse ormai più molta luce, riuscì a vedere le sue guance ardere come tizzoni e le sue labbra quasi livide che tremavano. La sua espressione sofferente la diceva lunga sul suo stato attuale anche senza essere accompagnata - strano ma vero - da alcuna lamentela di sorta.
Il Tiefling si sentì in colpa per la prima volta in settimane intere per quella situazione. Non aveva mai capito fino in fondo quanto l’altro soffrisse il freddo. Andare in cerca di contatto per trascorrere meglio la notte era un conto; tremare come una foglia già nel tardo pomeriggio era tutt’altro. Sicuramente il fatto che non avesse un abbigliamento adeguato all’occasione non era per niente d’aiuto.
«Non manca ancora molto. Tra poco saremo fuori della foresta… e vedremo il villaggio» disse, sperando di riuscire a rincuorarlo e soprattutto a dargli la forza per continuare.
Tharazar annuì con un impercettibile cenno del capo, quindi si rialzò tremando e con un po’ di fatica.
Patria gli rimase accanto per sorreggerlo in caso di necessità, ma non ci fu bisogno fortunatamente.
In effetti le sue parole erano vere: nel giro di poco riuscirono a raggiungere il limitare della foresta. In lontananza, Tharazar vide stagliarsi contro il cielo violaceo il profilo della città da cui così ardentemente aveva cercato di allontanarsi e che sperava di non dover mai più vedere in vita sua.
Neverwinter.
Il cuore gli mancò un battito al ricordo della gloria e della fama raggiunti combattendo nell’Arena come gladiatore e di come tutto è andato in pezzi quando i suoi “addestratori” - ciò che di più simile aveva ad una famiglia - gli aveva voltato le spalle preferendo a lui un Orco purosangue.
Nonostante tutti i suoi sforzi, era ancora così vicino a quella che fino a non molto tempo prima aveva considerato casa sua. Faceva quasi male guardarla e il suo cuore era oppresso dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla delusione di non essere considerato all’altezza da coloro che lo avevano allevato senza dargli altro scopo nella vita che quello di esibirsi per il pubblico.
Tutti i suoi problemi ad adattarsi alla vita “da avventuriero” - o anche ad una parvenza di vita quantomeno normale - nascevano da loro.
Sentì Patria stringergli un braccio e solo allora il Mezzorco si rese conto di essere rimasto fermo al limitare del bosco mentre il Tiefling cercava di condurlo avanti.
«Tharazar? Andiamo, siamo quasi arrivati… dobbiamo sbrigarci prima che faccia buio davvero» lo avvisò Patria, guardandolo con cipiglio preoccupato e quasi compassionevole.
Probabilmente si vedeva dalla sua faccia ciò che gli era passato per la mente.
«Dove è il villaggio?» domandò senza pensare il suo compagno, cercando di dirottare il discorso su qualcosa di più concreto e immediato. Non voleva che Patria iniziasse a fargli domande sul suo passato, non quando esso incombeva così terribilmente vicino a lui.
Il Tiefling gli rivolse un'occhiata perplessa, come se non capisse il perché della domanda; tuttavia, si volse e gli indicò con la mano la loro destinazione.
Tharazar era stato talmente preso dallo "spettacolo" di Neverwinter sull'orizzonte da perdere completamente di vista ogni altra cosa si trovasse nel resto del paesaggio, per cui non aveva notato l’insediamento cinto di mura leggermente a sinistra, arroccato su una collinetta abbastanza distante dal punto in cui si trovavano e molto più vicino della capitale fino a che il suo compagno di viaggio non gliel'aveva indicato.
Si sentiva un idiota, ma almeno l'altro si era guardato dal farglielo notare a sua volta.
«Quella è la Fortezza di Helm» spiegò Patria senza tanti giri di parole «L'unico posto sicuro lungo tutta la periferia della foresta...».
Dal tono pareva saperne molto in merito a ciò che si trovava nei dintorni del bosco e che probabilmente la maggior parte era composta di luoghi poco piacevoli da visitare. Tharazar non si sentiva molto incline ad approfondire tale conoscenza, per cui si limitò a muoversi verso il suo accompagnatore.
Il prato che separava la foresta dal villaggio era alta abbastanza da arrivare fino alle cosce del Mezzorco, il quale si ritrovò a procedere molto più lentamente di quanto la sua impazienza di giungere a destinazione gli suggerisse. Il vento freddo che spazzava il prato senza alcun impedimento lo rallentava sensibilmente, così come la mancanza di visuale sul terreno dove si accingeva a mettere i piedi.
La foresta gli aveva insegnato che non c'era da fidarsi neanche del terreno che riusciva a vedere, figurarsi di quello che non vedeva. Il terrore di inciampare da qualche parte, finire a sguazzare nel fango o sprofondare oltre un dislivello nascosto lo frenava più di quanto non avesse mai fatto all'interno del bosco.
Patria procedeva accanto a lui, trattenendolo saldamente con una mano e trascinandolo un poco in avanti dato il suo modo di incedere restio e timoroso. Sulla cima delle mura c'erano già le prime torce accese e lungo la strada principale si intravedevano le figure dei viandanti che si apprestavano a varcare il portone in previsione della notte.
Il Tiefling non era per niente entusiasta all'idea di rinchiudersi all'interno di quelle mura enormi, però capiva anche che Tharazar non era nelle condizioni di rimanere a dormire all'aperto nemmeno per un'altra notte.
«Se non ci sbrighiamo però ci chiuderanno fuori...» ponderò tra sé e sé Patria con un po' di apprensione «Tharazar, meglio se ci muoviamo... stanno iniziando a prepararsi per la notte».
«I-in che senso?» balbettò l'altro, confuso, cercando di cogliere cosa stesse facendo preoccupare così tanto il suo accompagnatore.
«Nei borghi così fortificati, per la notte chiudono i cancelli. Chi rimane fuori...» spiegò il Tiefling con un sospiro, guardandolo con espressione eloquente.
Vide la consapevolezza negli occhi del Mezzorco e seppe che aveva capito quanto bastava della situazione.
Con uno strattone, Tharazar si liberò della sua presa e cominciò ad arrancare verso l’enorme porta come se si fosse accorto di essere inseguito dalla morte stessa. Patria rimase momentaneamente stordito dalla sua pronta reazione prima di accingersi a seguirlo più rapidamente che poteva.
L'erba alta e l'armatura non gli permettevano di muoversi liberamente come voleva ma anche il suo partner aveva i suoi problemi a procedere. Nella fretta di arrivare a destinazione, inciampò e rischiò più di una volta di cadere, ma riuscì sempre a riacquistare l'equilibrio appena in tempo per evitare il disastro.
Arrivarono sulla strada principale - un sentiero lastricato di pietre grandi e lisce affondate nel fango - e si precipitarono verso le porte che ormai era già crepuscolo inoltrato.
«Aspettate!» gridò Patria, rimasto un poco più indietro. Il suo compagno, d'altro canto, una volta fuori dell'erba alta, non aveva più niente che gli impedisse di fatto di correre a perdifiato verso la meta. Si arrampicò su per la salita più velocemente che poté, cercando di evitare di scivolare sul selciato del sentiero: essendo le pietre lisce, non consentivano di far presa sulla superficie con le suole.
Le guardie, che si stavano accingendo a chiudere le porte dietro gli ultimi viandanti, si bloccarono udendo la voce del Tiefling. Ciò diede il tempo a Tharazar di colmare i metri che lo separavano da loro e accasciarsi contro il battente, impedendo loro fisicamente di chiuderlo - o almeno era ciò che sperava. Mai come in quel momento aveva desiderato essere abbastanza pesante da costituire un intralcio ragionevole per qualcuno.
Da quel che poté vedere, la maggior parte erano Umani, per cui era ovvio che fossero sorpresi di veder apparire qualcuno dalla strada ormai buia.
«Fateci entrare... per favore...» boccheggiò stravolto. Era sicuro di non essere nel migliore stato possibile e non faceva fatica a credere che avesse un aspetto terribile e di certo non proprio raccomandabile.
«Sei solo ed è tardi. Non possiamo aspettare chiunque sia con te in viaggio. Abbiamo degli ordini da eseguire!» abbaiò un Umano particolarmente corpulento, facendosi leggermente da parte per farlo passare, anche se non pareva avesse molta voglia di "ammetterlo" nella fortezza.
«Ma la porta non è ancora chiusa...» fece presente Tharazar, piantandosi di peso contro il margine del battente. Se avessero cercato di chiuderla avrebbe opposto resistenza fino alla fine. Non aveva intenzione di abbandonare Patria fuori da solo.
L'Umano che aveva parlato poco prima stava per aggiungere qualcos'altro - e dall'espressione pareva piuttosto seccato - quando da dietro, Tharazar si sentì toccare da qualcuno.
«Le guardie devono chiudere il portone... ormai è tardi, andiamo...».
Patria si manifestò al fianco del Mezzorco, pacato e con un sorriso leggero di accondiscendenza sul viso. Tharazar non l'aveva mai visto con un cipiglio così docile prima di allora.
«Entrate, su! Non ho intenzione di perdere altro tempo con voi!» li redarguì la guardia, togliendosi dalla strada e indicando loro di entrare con fare spiccio e poco garbato.
Il Tiefling non fece una piega dinanzi al suo tono irritato e lo superò senza degnarlo della benché minima attenzione. Per l'altro essere trattato in quella maniera era ancora tutto fuorché accettabile ed era pronto a mettersi a litigare con lui finché non l'avesse spuntata. Le torce accese all’interno del breve corridoio che separava il portone esterno da quello interno emanavano un tepore piacevole che era riuscito a riscaldarlo a sufficienza da rendere il freddo molto più sopportabile.
Prima che potesse attaccar briga col suo interlocutore, Patria allungò la coda con uno scatto e gli cinse il polso con presa ferrea, quindi se lo trascinò appresso in direzione della strada più stabile e meglio lastricata che si proseguiva oltre le mura.
«Non metterti a protestare, altrimenti la notte la passi in una cella... invece che al caldo con me» lo redarguì il Tiefling in tono piuttosto piatto una volta messi alcuni metri di distanza tra loro e le guardie cittadine.
«Comunque non è giusto che le guardie ci trattino così. Siamo in cerca di un posto dove pernottare come qualunque altro viandante...» ribatté irritato l'altro.
«Ma... non siamo del tutto Umani...» fece presente Patria per contro, e stavolta il tono era molto più tetro di prima.
Tharazar gli si affiancò, appoggiandogli la mano ancora trattenuta dalla coda al centro della schiena. Il metallo era ancora freddo a contatto con il suo palmo nudo, però sentiva che doveva tenerla lì.
«E quindi? Non ho comunque intenzione di massacrare o rapire nessuno... e pagherò la locanda per il vitto e l'alloggio come chiunque altro» sbuffò, guardandosi attorno in cerca di un'insegna che segnalasse loro la presenza di un'effettiva locanda.
Per il momento vedeva solamente case e svariate botteghe. Sperava che non dovessero addentrarsi troppo nelle strade secondarie della fortezza, poiché lì non erano nella foresta e non aveva idea di quanto potesse affidarsi all'orientamento di Patria. Per quanto concerneva lui, il suo senso dell’orientamento era pressoché inesistente e dubitava fortemente che potesse migliorare.
Il Tiefling non si sottrasse al contatto con il suo compagno; anzi, si accostò leggermente al suo fianco, continuando a lanciare occhiate nervose verso la periferia.
Tharazar notò il suo atteggiamento di colpo così insicuro senza dover fare alcuno sforzo. Era semplicemente non da Patria comportarsi in quella maniera. Seguì la traiettoria dei suoi sguardi, intercettando la sommità delle mura, talmente alte da soverchiare del tutto i piccoli edifici all'interno.
Lasciò scivolare la mano dalla sua schiena verso il basso, andando ad intrecciare le dita con le sue.
«Non ti piacciono le mura...?» bisbigliò Tharazar, piegandosi vicino al suo orecchio perché solo lui lo sentisse.
«Non mi piacciono i recinti» rispose frettolosamente Patria, serrando la presa con la mano mentre continuava a far vagare freneticamente lo sguardo attorno a sé «Sono innaturali... e così... soffocanti».
La sua voce si ridusse ad un sibilo strozzato e terrorizzato. La coda e la sua mano si strinsero con forza per un istante attorno all’estremità del Mezzorco, il quale capì che doveva fare qualcosa per evitare che il panico lo soverchiasse.
«Sono con te. Non sei da solo qui dentro» gli fece presente, rinforzando a sua volta la stretta sulle sue dita.
Arrivarono finalmente ad una piccola e spoglia piazza che, data l’ora, era ovvio fosse deserta. Dall'altro lato della stessa si trovava la locanda, facilmente distinguibile dalle normali dimore per le dimensioni. Era ancora illuminata all'interno e dalle finestre si vedeva che c'era molta gente intenta a rinfrancarsi e gozzovigliare.
L'insegna appesa sull'ingresso esibiva il nome "Venturer's Rest".
«Andiamo via... c'è troppa gente...» Patria pareva fremere dal desiderio di allontanarsi da quel luogo affollato, ma Tharazar lo trattenne.
«Non abbiamo visto altre locande nei paraggi... ed è buio ormai. Non è sicuro andare in giro adesso, con quelle guardie di pattuglia...» gli fece presente il Mezzorco in tono insolitamente pacato e logico «Inoltre sei con me. Non serve che tu consideri le altre persone» e gli sorrise con fare seducente, ammiccando.
Vide Patria assumere un contegno decisamente impacciato e imbarazzato. Rispetto a poco prima, era di certo un piacevole miglioramento e gioì interiormente per la consapevolezza di esserne lui la causa.
Prima che potesse sfuggire alla sua presa, Tharazar lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé attraverso la piazza e verso la locanda.
«Andrà bene, vedrai» gli garantì con tono convinto, e il Tiefling non oppose che una minima resistenza, molto probabilmente allettato all’idea di riposarsi in un luogo sicuro.
Varcarono l'ingresso assieme. La sala era gremita di persone e il baccano era tale che probabilmente per sentire ciò che qualcuno vicino diceva serviva urlarsi nelle orecchie. L'odore di cibo caldo aggredì le narici del Mezzorco come fosse un pugno in pieno viso, anche se per fortuna il chiasso impedì di sentire il suo stomaco che cominciava a protestare per essere riempito.
La maggior parte degli avventori continuò ad attendere ai fatti propri, e soltanto in pochi si girarono a guardare nella loro direzione. Peccato che quelle eccezioni rimasero a fissarli più a lungo di quanto la buona creanza richiedeva.
Patria si irrigidì al fianco del suo accompagnatore, a disagio per le occhiate che stava ricevendo: essere al centro dell'attenzione non gli era mai piaciuto e continuava a dargli fastidio, essendo particolarmente suscettibile riguardo il suo aspetto "esotico". Tharazar inspirò a fondo e si incamminò di fronte a lui, percorrendo la locanda con la schiena dritta e vagliando il locale alla chiara ricerca di un tavolo libero. Sembrava non importargli niente delle occhiate che attirava su di sé, una cosa che Patria gli invidiava moltissimo; inoltre, col suo atteggiamento spavaldo pareva voler catalizzare tutta l’attenzione su se stesso. Il suo partner sperò fosse per cercare di farlo sentire più a suo agio.
Ci volle un po' prima che il Mezzorco riuscisse ad individuare un paio di sedie libere. Purtroppo erano abbastanza centrate nella sala, ma non essendoci alternative, si fece strada fino ad esse assieme al suo partner.
Si sedettero l'uno accanto all'altro, anche se non potevano dare impressioni più diverse: mentre il Tiefling pareva stare cercando di scomparire nella sedia tanto si stava rannicchiando su di essa, il Mezzorco se ne stava con la schiena ben eretta ed il collo teso, ispezionando i dintorni con l'aria di qualcuno che cerca qualcosa di particolare.
«Possibile che non ci siano camerieri in giro...? Come fanno a mandare avanti questo posto senza dipendenti...!» brontolò Tharazar indignato.
«Forse l'ora di cena è finita...» ponderò Patria a mezza voce, visibilmente a disagio.
«Non finché io non avrò mangiato!» replicò indispettito l'altro, picchiando un pugno sul tavolo con relativa forza.
Come ad un segnale convenuto, non appena ebbe colpito il legno udì da dietro le sue spalle una voce giovane e maschile esclamare: «Buonasera! Cosa posso portarvi?».
Tharazar sobbalzò leggermente per la sorpresa; Patria saltò sulla sedia come se si fosse accorto di essere seduto su un letto di aghi. Ad aver parlato era stato un Mezzelfo apparso improvvisamente alle loro spalle. Indossava una semplice camicia bianca con le maniche arrotolate sui gomiti e un grembiulino nero legato in vita. Aveva i capelli biondo chiaro raccolti in una pratica coda sulla nuca e li fissava in attesa di risposta. A giudicare dai segni scuri sotto i suoi occhi verdi, doveva essere stato un turno lungo e difficile.
«Due porzioni abbondanti di qualsiasi cosa ci sia per cena qui e... del vino se lo avete» chiese il Mezzorco, esitando solo sull'ultima parte. Adorava bere vino ed era da tantissimo tempo che non ne assaggiava un po', anche se dubitava fortemente di riuscire ad averne di anche solo lontanamente paragonabile a quelli pregiati che era solito consumare presso Neverwinter.
Domandare in fondo non costava niente e comunque avrebbe dovuto adeguarsi a standard molto bassi per quanto riguardava cibi e bevande, per cui tanto valeva iniziare sin da subito.
«Vino?» ripeté confuso il cameriere, guardandolo come se non avesse mai sentito prima quella parola in vita sua «Non... so se ne abbiamo...» ponderò esitante, lanciando un'occhiata fugace verso il bancone, quasi sperando nell’arrivo di soccorsi di qualche tipo. Purtroppo per lui, il locandiere era attualmente impegnato a servire a sua volta.
«Se non c'è allora va bene un qualsiasi alcolico...» il Mezzorco liquidò la faccenda senza tante cerimonie né pretese «L'importante è che la cena sia calda... oh, giusto! Vorremmo anche una stanza per due».
«Per la camera dovrete chiedere al mio capo, direttamente al bancone...» replicò il giovanotto, un po' a disagio «Per il resto, tornerò a breve».
Così dicendo si dileguò in un lampo tra i tavoli, come se non vedesse l’ora di mettere quanta più distanza possibile tra se stesso e quei pretenziosi clienti.
«Tch! Speravo di non doverti lasciare da solo per la faccenda della camera...» sibilò il Mezzorco a denti stretti, chinandosi visibilmente irritato verso il suo compagno.
Le guance di quest'ultimo si fecero di colpo di un intenso color porpora tendente al violaceo: era la prima volta che lo vedeva preoccuparsi così palesemente per lui e la cosa - oltre a metterlo un po' in imbarazzo - gli faceva anche stranamente piacere.
«Davvero speravi di poter trovare del vino qui...?» chiese Patria per contro, incapace di ringraziarlo apertamente per l’interesse dimostrato nei suoi confronti.
«Era solo una speranza...» Tharazar fece spallucce «Be' almeno la birra dovrebbero averla... mi pare ci sia troppa allegria per un posto del tutto privo di alcol...» aggiunse, lanciandosi un'occhiata rapida attorno.
Ciò detto, si alzò in piedi.
«Vado a prenotarci una camera, sperando non sia già troppo tardi... torno subito» comunicò a Patria, prima di allontanarsi di gran carriera in direzione del bancone.
Il Tiefling lo seguì con gli occhi finché poté, poi abbassò lo sguardo e rimase a fissare il tavolo dinanzi a sé. Cercò di focalizzarsi su di esso e di ignorare tutto ciò che c'era attorno a lui. Percepiva l'impellenza di assicurarsi che nessuno lo stesse fissando o stesse parlando di lui alle sue spalle, ma sapeva anche che così facendo sarebbe stato sopraffatto da una nuova ondata di ansia e di panico che voleva ad ogni costo evitare.
«Tharazar tornerà presto... tra poco sarà di nuovo qui...» si disse, cercando di convincersi a non guardare nei paraggi.
Invece del suo compagno, ad arrivare da lui fu il Mezzelfo di poco prima con un vassoio contenente due scodelle e due boccali. Servì la cena e se ne andò lesto ad occuparsi di altri clienti in silenzio.
Patria rimase immobile per qualche altro momento prima di gettarsi sul boccale che aveva davanti. Lo annusò per sincerarsi che il contenuto non emanasse odori strani che potessero far pensare ad aggiunte di sostanze strane o nocive. Profumava di semplice birra, forse non proprio del tipo migliore, però non pareva essere stata in alcun modo adulterata.
Stava per assaggiarla quando vide Tharazar apparire di fronte a lui reggendo due boccali di birra a sua volta. Dalla sua espressione sembrava contento.
«Sono felice di vedere che ti stai rilassando un po'...» annuì, prendendo posto di nuovo al suo fianco, appoggiando un boccale sul tavolo e sorseggiando un po' dell'altro «Immaginavo che non sarebbe arrivato il vino...» soggiunse poco dopo con tono deluso.
Mise da parte la bevanda e studiò per un lungo momento la scodella che aveva davanti, contenente una specie di densa zuppa in cui galleggiavano letteralmente bocconi di carne piuttosto miseri e pezzetti di verdure.
Storse le labbra, evidentemente scontento del menù, però si accinse a mangiare senza esplicitare il suo disappunto.
Patria era sollevato di vedere che almeno aveva smesso di lamentarsi ogni volta che doveva mangiare qualcosa che non era esattamente nelle sue corde. Senza dir niente, lo imitò.
In effetti, persino lui aveva mangiato di meglio nella foresta, con quel poco che era in grado di raccogliere dei frutti della Natura. La brodaglia non era molto saporita, la carne era talmente cotta da risultare molliccia e le verdure sembravano aver perso tutto il loro sapore durante la preparazione.
L'unico pregio del piatto era di essere bollente, nonché il motivo per cui Tharazar riusciva ad ignorare le vivaci proteste del suo palato sopraffino e trangugiarlo senza fare alcuna smorfia. Il suo stomaco pareva invece desideroso di ribellarsi per quella violenza, a giudicare dalla vaga sensazione di nausea che gli attanagliò le viscere e che pareva destinata a perdurare.
Era contento di aver preso della birra extra: seppur neanche quella fosse di prima qualità, era sempre meglio che mangiare quella zuppa terribile senza avere niente per buttarla giù e mascherarne un po' il sapore pessimo.
«Sono riuscito a prendere una camera» annunciò dopo un po'. Aveva la voce strozzata per il tentativo di ricacciare indietro un leggero rigurgito, al quale fece seguito un generoso sorso di birra.
«Quindi dopo cena possiamo andare a sistemarci».
«Non vuoi esibirti qui...?» domandò Patria con una punta di timore. In realtà era ben lungi dal volerlo spingere a lasciarlo di nuovo da solo, però sapeva anche quanto piacesse a Tharazar far mostra delle sue innegabili ed eccelse doti di musicista.
«Neanche per sogno» borbottò il Mezzorco con aria disgustata, osservando titubante un gelatinoso boccone di carne che aveva appena pescato con il cucchiaio «Anche se così potrei evitare di pagare per questo schifo di cena, non reputo nessuno di questi zotici contadini in grado di apprezzare le mie doti artistiche».
Inghiottì un’altra cucchiaiata di zuppa con l’espressione di qualcuno estremamente infelice. Si stava sacrificando per introdurre qualcosa di caldo e sostanzioso in corpo, anche se adesso era convinto che ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Sempre che tu non voglia sentirmi suonare...» soggiunse prima di bere ancora.
Patria lo guardò arrossendo e scosse la testa.
«Penso che non sia il luogo adatto» ammise, continuando a mangiare mesto.
«Vuoi aspettare di essere noi due da soli?» azzardò con tono audace il Mezzorco, sorridendogli di sghembo.
Il primo impulso dell’altro fu tirargli un calcio sotto il tavolo ma decise di non farlo semplicemente perché rimanere da solo con lui era esattamente ciò che desiderava, anche se non per il suo stesso motivo. Gli bastava potersi allontanare dalla folla chiassosa piena di ubriachi.
Non era comunque disposto ad ammettere la sua necessità con tale leggerezza, neanche sapendo che era probabile fosse già sufficientemente ovvia soltanto a guardarlo. Piuttosto, si chinò sul tavolo e con un leggero sogghigno disse: «Immagino che preferiresti non tirare fuori il violino adesso...».
Vide il colorito grigio-verde di Tharazar farsi un po’ più pallido in risposta alla sua affermazione.
Dopo la loro “scampagnata” in una foresta fatata al di fuori del Piano Materiale, Tharazar aveva iniziato ad utilizzare il suo amato violino con molta frequenza, soprattutto alla sera, per allietare e rasserenare entrambi dopo le lunghe e sfiancanti giornate di viaggio. Patria aveva potuto così constatare quanto la sua bravura con la fisarmonica - l’unico altro strumento che gli aveva sentito suonare fino a quel momento - impallidisse a confronto con la maestria con cui si esibiva col violino, la delicatezza del suo archetto nel muoversi sulle corde, la potenza evocativa delle note e dei suoi brani.
Patria era giunto alla conclusione che quello strumento fosse un’estensione stessa di Tharazar, e la paranoia con cui quest’ultimo lo accordava e lo riponeva dopo ogni esecuzione non faceva che rendere il Tiefling sempre più certo della questione.
Il Mezzorco deglutì la porzione di zuppa senza curarsi di masticare il disgustoso boccone di carne rammollita, colto di sorpresa dalle parole del Tiefling.
«Vuoi sentirmi suonare… proprio quello?» domandò con voce strozzata, prima di afferrare un boccale e tracannare della birra nel tentativo di non soffocare con la carne.
Si ritrovò a sentirsi nervoso e al tempo stesso trepidante per la risposta che avrebbe ricevuto. Non pensava che Patria potesse apprezzare così tanto le sue esibizioni di violino, che lui stesso reputava forse troppo femminili ed effimere per poter essere comprese da altri al di fuori di se stesso.
Vedere l’espressione imbarazzata ma speranzosa del Mezzorco spinse Patria a procedere in quella direzione: «Non ti sto chiedendo di suonare qui… possiamo pure andare in camera...».
Parlò con voce inspiegabilmente suadente, tanto che Tharazar per la prima volta in vita sua sperimentò cosa dovessero provare le fanciulle che aveva corteggiato in passato, un misto di disagio e lusinga accompagnato dalla pulsione ad esaudire quanto prima la richiesta ricevuta.
Deglutì di nuovo, stavolta a vuoto, mentre percepiva le sue guance andare letteralmente a fuoco.
«Mantieni la calma! Riprendi il controllo!» si impose mentalmente con convinzione. Non si sarebbe lasciato sopraffare dall’emozione e dal desiderio di assecondare Patria a prescindere da quanto il suo ego si sentisse lusingato.
«E la cena?» domandò. Si morse la lingua con odio sentendo la sua voce incrinarsi, anche se fu sollevato di essere riuscito a non balbettare come un completo idiota.
«Sono certo che sei quasi più contento di me di allontanarti da quella brodaglia insapore» lo rimbeccò il Tiefling, inarcando un sopracciglio con aria eloquente.
Tharazar non poteva che dargli ragione, anche se si sentiva schiacciato dal suo sguardo improvvisamente così seducente. Possibile che non si fosse mai reso conto di quanto potesse essere attraente Patria…?
L’altro stava mettendo a dura prova tutto il suo carisma e la sua capacità recitativa. Era impegnativo mostrarsi così audace persino con Tharazar, ma era consapevole che così facendo sarebbe riuscito a mettere fine a quel pasto pietoso molto prima del tempo.
«Prima… posso almeno lavarmi?» chiese frettolosamente l’altro. Se doveva esibirsi, voleva essere al meglio.
Normalmente, Patria si sarebbe detto contrario al fomentare l’ossessione di Tharazar per la propria igiene personale; in quel momento, era disposto a passare sopra qualsiasi suo principio in proposito pur di andarsene da quella maledetta sala gremita di sconosciuti.
«Mi sembra il minimo… così potrai anche riscaldarti un po’» disse il Tiefling, accennando un sorriso sghembo che fece mancare un battito al suo interlocutore.
Quest’ultimo si affrettò a tracannare il resto della sua birra - che era quasi finita - prima di alzarsi di scatto dal tavolo pregando in cuor suo che l’alcol non rovinasse la sua performance. Era ancora sobrio, capace di pensare e di muoversi seguendo il libero arbitrio, anche se sentiva la testa un po’ leggera.
«Andiamo» decretò, abbandonando la cena e dirigendosi con passo svelto in direzione delle scale.
Patria sorrise trionfante e lo seguì lesto. Tremava leggermente per lo sforzo recitativo ma era certo che la tensione accumulata si sarebbe allentata non appena fosse stato in un ambiente più tranquillo.
Insieme si incamminarono su per le scale, quindi si diressero lungo lo stretto corridoio su cui si affacciavano le numerose porte che conducevano alle varie camere da letto.
Tharazar fece del suo meglio per trattenere la cena all’interno del suo stomaco. Neanche il mediocre sapore della birra riusciva a mascherare il retrogusto orribile che gli permeava le papille gustative. Sicuramente era grato di essere riuscito a riempirsi lo stomaco con qualcosa di caldo, però non poteva neanche immaginare in che stato sarebbe arrivato al termine della stagione fredda se quello fosse diventato il suo menù abituale.
«Urge trovare un’altra sistemazione» rifletté deciso, ricacciando indietro un leggero conato.
Controllò il numero della stanza che era appeso alla chiave che aveva ricevuto, quindi accelerò il passo notando che erano quasi arrivati. Si sarebbe vergognato da morire se avesse vomitato la cena in mezzo al corridoio, specialmente considerando che avrebbero dovuto trascorrere in quel villaggio i mesi a venire; inoltre, aveva veramente bisogno di farsi un bagno per calmarsi prima di suonare per Patria.
Quest’ultimo lo seguiva dappresso e non si era reso conto della pressione che aveva posto sulle sue spalle, impegnato com’era ad accertarsi che nessuno dalla sala principale fosse salito dietro di loro.
Quando giunsero a destinazione, il Mezzorco armeggiò per qualche secondo con la serratura per poi aprire la porta ed infilarsi all’interno. Il Tiefling lo spinse senza tante cerimonie per poter entrare a sua volta, non appena assicuratosi con un’ennesima occhiata nervosa che non fossero pedinati.
La camera era molto spartana nell’arredamento, per non dire estremamente povera. C’era un letto a due piazze dall’aspetto non molto solido dirimpetto rispetto alla porta d’ingresso e poco distante da esso, sul pavimento, si trovava una tinozza di media grandezza in legno. Lungo la parete sinistra c’era un armadio che pareva aver visto giorni migliori ed una porticina che molto probabilmente dava accesso al bagno.
La temperatura là dentro era quasi bassa quanto quella all’esterno, a dispetto delle finestre chiuse e delle mura che li proteggevano.
Tharazar rabbrividì palesemente.
«Ho… davvero speso i miei soldi… per questo?!» esclamò, cercando di riscaldarsi strofinandosi le mani contro le braccia. Il suo respiro si condensò in una densa nuvoletta dinanzi ai suoi occhi, quasi a denigrarlo ulteriormente.
Sentì l’ira montargli dentro come il mare in tempesta, gonfiargli il petto e caricarlo di un’inspiegabile desiderio di violenza, molto probabilmente complice anche la cafonaggine delle guardie all’ingresso. Non tollerava di essere trattato in maniera così rude e priva di accortezze. Cacciò un ululato di rabbia, e si girò per uscire con l’espressione più cupa, selvaggia e incazzata che Patria gli avesse mai visto.
«Fermo, fermo! Dove pensi di andare?!» esclamò il Tiefling, parandosi tra lui e l’uscio ancora aperto. La sua voce fremeva appena, e in effetti non era del tutto sicuro di poter fare qualcosa per placare il suo compagno di viaggio.
«Non crederai che possa accettare questo!» sibilò il Mezzorco fuori di sé, cercando di spostarlo per arrivare al corridoio «Non dopo quella porcheria che spacciano per cena! Questa è una rapina!».
«Tharazar calmati… troveremo una una soluzione» cercò di tranquillizzarlo l’altro, appoggiandogli le mani sul petto per trattenerlo.
«Ho io la soluzione...» ruggì l’altro, facendo scricchiolare le nocche con fare minaccioso «Forse ci penseranno due volte prima di truffarmi di nuovo...».
«Non puoi… e-e l’esibizione?» balbettò frettolosamente il Tiefling «Mi hai promesso uno spettacolo, ricordi?».
Tharazar gli spostò le mani dal suo petto con fare brusco.
Allarmato dalla fermezza della sua posizione e completamente a corto di alternative, Patria gli allacciò la coda attorno alla caviglia e lo strattonò di lato.
Il Mezzorco, colto alla sprovvista, perse l’equilibrio e cadde all’indietro sbattendo dolorosamente la testa sul pavimento.
«Mi dispiace, ma non ti lascerò uscire a fare il pazzo» Patria chiuse la porta, trattenendo ancora l’altro con la coda, per poi avvicinarsi a lui «Non ora che siamo finalmente da soli e in santa pace...».
Il diretto interessato si mise seduto e ringhiò verso di lui cercando di tirargli un pugno circa all’altezza della rotula; peccato che non aveva fatto i conti con la tunica rinforzata di Patria. Le sue nocche impattarono contro il solido metallo delle sue placche e di scatto ritrasse la mano con un latrato di dolore.
«Hai finito di fare il ragazzino capriccioso?» sospirò il Tiefling, piegandosi su di lui e porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Tharazar rimase a fissarlo per un lungo istante, massaggiandosi le dita intorpidite dal colpo.
«Volevo trascorrere la notte… al caldo. In una bella stanza… insieme a te...» brontolò a mezza voce, distogliendo lo sguardo da quello del suo interlocutore «… non in un posto del genere...».
«La fortuna delle locande è che paghi di volta in volta per ogni notte che affitti la stanza» il Tiefling gli sorrise con fare incoraggiante «Per stavolta è andata così. Domani, con la luce del giorno, potremo metterci a cercare un posto migliore».
Il Mezzorco non pareva ancora del tutto convinto. La sua espressione ferita e sconsolata si fece poco per volta più spenta e Patria colse i segnali di un’imminente ondata di depressione.
«Dai, almeno puoi farti il bagno…!» tentò di incoraggiarlo ancora l’altro, in un estremo tentativo di salvarlo da se stesso.
Tharazar scoccò un’occhiata alla triste e malconcia tinozza e abbozzò un sorriso.
«Sicuramente l’acqua sarà fredda… come tutta la stanza...» borbottò.
«Ma a differenza del resto, quella puoi riscaldarla con la magia!» gli fece notare il Tiefling.
Il suo partner afferrò la mano che gli stava tendendo già da un po’ e si rimise in piedi. Sembrava ancora deluso e anche rassegnato, ma almeno non era più incazzato come poco prima. Una volta di nuovo in posizione eretta, si diresse verso la tinozza e sospirò pesantemente guardandone l’interno.
«Sarà il bagno più scomodo della mia vita...» commentò amaramente, iniziando a spogliarsi.