Strategie da Collezionista
Sep. 5th, 2020 12:39 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Strategie da Collezionista
Rating: Giallo
Genere: Demenziale, Generale
Personaggi: Alysthral (OC!Ladro), Kagé (OC!Ladro), Kilgore (OC!Sciamano), Labolas (OC!Cavaliere della Morte), Nalahri (OC!Cacciatrice)
Wordcount: 7533 (wordcounter)
Prompt: Resistenza a oltranza (minimo 1000 parole) per il Capitolo 2 (2° settimana) di "Esploratori del Polyverso" @ Lande di Fandom
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Battle for Azeroth".
Note: Drunkness
Kagé approfittò delle mani libere per recuperare il secondo micio.
«I miei stivali non sono giocattoli...» commentò in tono di blando rimprovero, afferrando il gatto per i fianchi e strappandolo letteralmente dalle sue calzature.
Come lo sollevò, la bestiolina iniziò a soffiare e agitarsi cercando di mordergli le dita. Peccato che i suoi guanti di cuoio fossero stati progettati per resistere a ben altro che morsi di cucciolo, per cui le sue zanne non riuscirono neppure a scalfirlo.
«Tu sei un gattino selvatico, eh...?» commentò il Sin'dorei, inarcando un sopracciglio mentre avvicinava al suo viso il micio, pur mantenendolo a distanza di sicurezza.
Per tutta risposta, il felino tentò di mordergli la punta del naso, senza successo.
«Mi ricordi una certa Troll...» soggiunse il Ladro, ancora sovrappensiero.
Nonostante l’invasione della Legione Infuocata fosse stata ormai contrastata e la minaccia debellata da Azeroth, la Dimora delle Ombre che si estendeva sotto Dalaran era ancora in fervente attività. I Senza Corona provenienti da tutto il pianeta si radunavano lì per scambiarsi informazioni e merce più o meno rara proveniente dai più remoti angoli delle terre conosciute.
«Lama d’Ombra… è da un po’ che non ti facevi vedere da queste parti...».
Ser Jorach Ravenholdt sedeva da solo al tavolo del Concilio delle Ombre, le braccia intrecciate sul petto e i piedi accavallati sul tavolo. Non era una postura molto signorile, ma sembrava a corto di pazienza, come se fosse rimasto lì ad aspettare più di quanto avrebbe desiderato.
Al suo interlocutore la cosa non interessava minimamente.
«Sono stato un Ladro impegnato… sa, la guerra è sempre un buon mezzo per guadagnare» esclamò quest’ultimo, avvicinandosi alla luce dei mozziconi di candele sopravvissuti sul candelabro al centro del tavolo.
Si trattava di un Elfo del Sangue con l’incarnato particolarmente pallido e i capelli neri come l’ebano, lunghi e raccolti in una folta coda di cavallo alta dietro la testa. Indossava un’armatura di cuoio che esaltava il suo fisico asciutto e slanciato, completamente nera con decorazioni rosse simili per forma a dei pipistrelli.
Le folte sopracciglia del Sin’dorei si arcuarono in un’espressione quasi innocente mentre faceva spallucce.
«Del resto, di qualcosa dovremo pur vivere» soggiunse in tono leggero, come se l’argomento toccasse appena la sua coscienza - la cui esistenza era in dubbio esattamente come quella di ogni altro Senza Corona.
Jorach sospirò, alzando gli occhi verso il soffitto mentre si rimetteva seduto in maniera composta.
«Senza dubbio… è anche per questo che ho accettato l’incarico che mi hai proposto…» esclamò in tono non molto entusiasta. Pareva non essere poi così contento di essersi abbassato ad accontentare la richiesta del suo interlocutore.
L’Elfo del Sangue si fece dappresso rapidamente, appoggiando entrambe le mani sul margine del tavolo con impeto e sporgendosi verso Ravenholdt con uno strano luccichio malsano nelle iridi verde acido.
«L’hai trovato?!» chiese con un improvviso eccesso d’entusiasmo che risultò quasi spaventoso. Jorach si ritrasse istintivamente contro lo schienale, intimorito dall’espressione ossessiva cui era sottoposto in quel momento.
Vedendo quanto sembrasse importante ciò che era andato a recuperare per lui, forse avrebbe dovuto farsi pagare il doppio per il lavoro.
Il silenzio tra di loro si stava prolungando un po’ troppo e stava diventando teso. Jorach non era certo di voler rimanere in compagnia della Lama d’Ombra ancora a lungo, non in quello stato: Kagé aveva già manifestato in diverse occasioni dei comportamenti maniacali durante la sua permanenza a Dalaran - quando la città era la base per il contrattacco alla Legione Infuocata - rendendosi un soggetto piuttosto “particolare” con cui avere a che fare.
Quando si trattava di merce rara da collezione diventava letteralmente un’altra persona e non erano in molti ad essere disposti a sopportarlo in quelle vesti.
«Ovviamente l’ho trovato» Jorach fece spallucce e sbuffò «Una cosa tanto semplice...».
«E allora cosa stai aspettando?! Dammelo!» sibilò l’Elfo del Sangue, sgranando leggermente le orbite come a voler apparire ancor più minaccioso.
Il suo essere inquietante si era appena evoluto in peggio e Ravenholdt non aveva alcuna intenzione di temporeggiare ulteriormente per scoprire quali altre terrificanti sfaccettature del suo carattere potessero venire alla luce se non avesse ricevuto l’oggetto del suo desiderio all’istante.
Jorach si piegò sulla sua sedia, allungando un braccio al di sotto della stessa per estrarne quella che aveva tutta l’aria di essere una gabbietta per animali. La trascinò fuori dall’ombra e la spinse con la mano, facendola scivolare verso Kagé, facendola sbattere contro la gamba della sua sedia. Qualsiasi creatura ci fosse all’interno iniziò a produrre dei rumori non proprio felici.
«Direttamente dall’allevamento privato di Donni» annunciò Ravenholdt.
«Trattali con attenzione! Sono rari!» lo rimproverò furioso l’Elfo del Sangue.
«Non così tanto dalle mie parti...» Jorach si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta della sala con immenso sollievo.
«Se hai ancora bisogno di un uomo nei Regni Orientali, sai a chi rivolgerti… per il giusto prezzo» disse a mo’ di congedo, anche se in cuor suo sperava ardentemente di non essere più disturbato, non per ridicole commissioni come quella.
Kagé non si degnò nemmeno di rispondergli, troppo impegnato a controllare lo stato del suo “investimento”. In fin dei conti, non si aspettava certo che qualcuno come Ser Jorach Ravenholdt capisse l'importanza di ciò che gli aveva procurato.
Si inginocchiò sul pavimento e aprì lentamente la porticina della gabbietta.
«Vieni fuori, quell'Umano non ti farà più del male... adesso sei mio...» esclamò il Sin'dorei, strofinando i polpastrelli di una mano davanti al varco per attirare la creatura all'esterno.
Dopo alcuni secondi, un piccolo muso triangolare dotato di vibrisse fece capolino e due occhioni verde smeraldo si sollevarono ad incrociare quelli di Kagé prima che la bestiolina sgusciasse sul pavimento di pietra per andare ad annusare il suo guanto con un misto di curiosità e diffidenza.
Si trattava di un esemplare di gatto soriano rosso, una creatura che Kagé non avrebbe mai potuto possedere se non avesse richiesto l'intercessione di un membro dell'Alleanza: la pazza che commerciava quei felini non si fidava dell'Orda - come se loro non potessero apprezzare la compagnia di un gatto!
Quando aveva provato ad avventurarsi nella Foresta di Elwynn per andare da Donni Anthania a comprarsi un gattino, l'Umana l'aveva inseguito per un bel tratto di strada minacciandolo con una mannaia.
Avrebbe potuto ucciderla sul posto per essersi rifiutata di dargli ciò che desiderava, ma così facendo si sarebbe precluso ogni futura chance di mettere le mani sui suoi preziosissimi felini.
«Adesso è finalmente mio...» sussurrò l'Elfo del Sangue, le labbra sottili incurvate in un sogghigno colmo di soddisfazione per la sua vendetta.
Prese tra le braccia il gatto e lo sollevò, portandoselo in grembo come se fosse un pargolo.
«Un altro meraviglioso pezzo per la mia collezione...» sospirò compiaciuto, lasciandosi cadere seduto sulla sedia con soddisfazione mentre grattava con la punta delle dita il pancino aranciato del micio.
Adesso che aveva anche lui, doveva pensare a quale mascotte dare la caccia nell'immediato futuro. Con la sconfitta di N'zoth e la fuga di Sylvanas dall'Orda, non aveva molto altro con cui impegnare le sue giornate. Era un vero peccato che la guerra fosse finita: si era divertito moltissimo ad andare in cerca di drappelli di soldati dell'Alleanza per sabotarli nel vivo del conflitto.
Nel mentre che si crogiolava nel ricordo delle sue eroiche imprese ladresche sul campo di battaglia e oltre, percepì qualcosa che stava armeggiando con il lato di uno dei suoi stivali.
Abbassò lo sguardo con curiosità - non ricordava che nella Dimora delle Ombre bazzicassero topi abbastanza coraggiosi da osare avvicinarsi a loro, anche se si trovavano nelle fogne di Dalaran - e vide che sul pavimento si trovava un altro gatto, identico a quello che teneva attualmente in braccio e attualmente impegnato a cercare di strappare a morsi alcune cinghie fissate sulle sue calzature.
L'espressione di Kagé si fece di colpo buia.
«Ha comprato... un doppione» sospirò tono esasperato e al contempo infuriato. Una piccola vena gli pulsò nella tempia, resa quasi più nitida dalla carnagione quasi diafana.
Non aveva chiesto due gatti, ma non aveva idea di quanto ne costasse uno poiché non aveva avuto neanche occasione di chiederlo a Donni prima di darsi alla fuga. Aveva dato a Jorach una moneta d'oro, certo che fosse sufficiente a comprare il felino che voleva; tuttavia, non aveva specificato di volerne soltanto uno, dando la cosa come scontata.
Evidentemente non lo era così tanto come immaginava.
Il micio tra le braccia di Kagé iniziò ad agitarsi, appoggiando le zampine sui suoi pettorali ed esercitando una lieve pressione, come a volersi distaccare da lui.
L'Elfo del Sangue lo lasciò scendere, credendo che volesse sgranchirsi le zappe e perlustrare la sala del Concilio delle Ombre, la cui porta era tenuta sempre chiusa sia che ci fosse qualcuno all'interno sia che fosse vuota - per cui non c'era alcun rischio che fuggisse - invece, non andò molto lontano: si mise sulle sue cosce magre, camminando in cerchio su di esse per qualche secondo prima di acciambellarsi beato.
Kagé approfittò delle mani libere per recuperare il secondo micio.
«I miei stivali non sono giocattoli...» commentò in tono di blando rimprovero, afferrando il gatto per i fianchi e strappandolo letteralmente dalle sue calzature.
Come lo sollevò, la bestiolina iniziò a soffiare e agitarsi cercando di mordergli le dita. Peccato che i suoi guanti di cuoio fossero stati progettati per resistere a ben altro che morsi di cucciolo, per cui le sue zanne non riuscirono neppure a scalfirlo.
«Tu sei un gattino selvatico, eh...?» commentò il Sin'dorei, inarcando un sopracciglio mentre avvicinava al suo viso il micio, pur mantenendolo a distanza di sicurezza.
Per tutta risposta, il felino tentò di mordergli la punta del naso, senza successo.
«Mi ricordi una certa Troll...» soggiunse il Ladro, ancora sovrappensiero.
La sua mente stava ritornando al suo incontro con Nalahri nella foresta di Zuldazar, a come era riuscita a fargli perdere la furtività rischiando di centrarlo in pieno con la sua lancia retrattile e al disprezzo profondo che aveva esplicitato nei suoi riguardi - e più in generale verso tutti gli Elfi del Sangue.
Non poteva negare a sé stesso di essere rimasto colpito dalla fermezza con cui aveva rifiutato le sue avances, una cosa che prima di incontrare lei non gli era mai accaduta. Tutti all'interno dell'Orda erano affascinati dall'innata bellezza dei Sin'dorei, persino gli Orchi trovavano avvenenti le aggraziate e snelle esemplari di sesso femminile della sua illustre razza.
Eppure Nalahri sembrava immune al suo fascino e ciò aveva dato un tale colpo al suo orgoglio da non riuscire a togliergli quella Troll dalla mente.
Kagé aggrottò le sopracciglia, fissando intensamente negli occhi il gatto tra le sue mani - attualmente ancora intento a cercare di sgranocchiargli una falange in cerca della libertà.
«Non posso accettare un rifiuto del genere da Nalahri. Quella Troll cederà al mio fascino... fosse l'ultima cosa che faccio!» esclamò con risolutezza.
Dopo innumerevoli tentativi falliti, finalmente i denti del gatto riuscirono a far breccia nel cuoio, trovando la carne tenera sottostante.
L'Elfo del Sangue sobbalzò cacciando un gridolino di dolore quando il gatto affondò le zanne nel suo polpastrello. L'altro micio saltò via dalle sue cosce, terrorizzato, andando a rifugiarsi sotto la sedia di Jorach. Il piccolo delinquente che lo aveva ferito, invece, finì con l'essere scaraventato via mentre Kagé cercava di liberare l'indice dalla sua morsa.
Miagolò e soffiò e cominciò a sfrecciare per la stanza alla chiara ricerca di una via d'uscita.
«Torna qui, piccolo mostro!» sbraitò il Ladro, alzandosi in piedi e dandosi all'inseguimento.
Molte delle sedie volarono gambe all'aria, insieme a calici rimasti dall'ultima riunione del Concilio delle Ombre e diversi tomi caddero dalle mensole delle librerie posizionate contro le pareti. Kagé inseguì la piccola peste in lungo e in largo per tutta la sala - che mai come allora gli era parsa così immensa - e alla fine, lanciandosi in scivolata sotto il tavolo mentre il suo obiettivo si preparava a saltare dalla parte opposta per l'ennesima volta, riuscì ad acchiapparlo a mezz'aria sbucando proprio sotto di lui.
In quel caos, l'altro povero micio si era andato a rifugiare sopra una libreria, e tremava terrorizzato per la confusione e i mobili rovesciati.
«Ah-ah, preso!» esclamò Kagé, gli occhi che scintillavano di puro trionfo agonistico.
La sua preda si dimenava in cerca della libertà ma purtroppo non ebbe successo. Stavolta lo stava trattenendo da metà del corpo con i palmi premuti contro la sua pancia, per cui le dita erano al sicuro sulla sua schiena.
«Sei proprio uguale a lei... probabilmente andreste anche d'accordo» disse con tono apertamente infastidito.
Nel momento stesso in cui terminò la frase, nella sua mente guizzò un'idea. Nalahri era una Cacciatrice e in quanto tale adorava avere a che fare con ogni tipo di animale esistente sulla faccia di Azeroth e oltre - una volta l'aveva pedinata fino su Argus e l'aveva vista intenta a giocare nelle pozze di fango di Krokuun con le Panthara.
Sicuramente le avrebbe fatto piacere poter avere un gatto con cui giocare - del resto, a tutti piacevano i felini, era un dogma intessuto nella trama stessa del cosmo - e lui avrebbe potuto guadagnare punti con lei.
Il problema era che sicuramente non avrebbe mai accettato un regalo da parte sua se glielo avesse consegnato in maniera diretta. Era troppo diffidente nei suoi riguardi e non gli avrebbe mai creduto se avesse cercato di convincerla del fatto che si trattava soltanto di un "regalo disinteressato" perché gli avanzava una mascotte. Non ci avrebbe creduto nemmeno lui, del resto.
Avrebbe dovuto escogitare qualcosa di alternativo, una trovata che gli permettesse di dargli ciò che voleva senza farlo sembrare un regalo da parte sua. Visto che era una Cacciatrice, probabilmente avrebbe apprezzato qualcosa di rude, o magari una competizione.
Kagé sgranò gli occhi, scattando seduto sul pavimento ormai tiepido per il contatto prolungato col suo corpo. Il movimento fluido e rapido, simile a quello di un giocattolo a molla, gli fece rischiare un incontro ravvicinato tra il suo splendido viso e il bordo del tavolo. Per fortuna si accorse dell'imminente impatto appena in tempo per evitarlo.
Aveva appena avuto un'idea incredibile che avrebbe anche potuto funzionare senza troppe difficoltà se riusciva a giocare bene le sue carte. Ma doveva sbrigarsi nell'organizzare il tutto, altrimenti avrebbe dovuto aspettare ancora.
«Andiamo, piccola peste... pur non sopportandomi, avrai l'onore di aiutarmi a raggiungere un grande obiettivo» disse rivolto al micio birichino ancora ben stretto tra le sue mani, prima di alzarsi per infilarlo di nuovo nella sua gabbietta e rinchiudercelo.
«Fai il bravo ancora per un po' e non dovremo mai più vederci...».
Kilgore si affacciò all'interno della locanda del Santuario delle Due Lune, a Pandaria, con l'aria di qualcuno che si trovava fortemente a disagio. Non che avesse mai combinato niente di cui vergognarsi lì dentro; tuttavia, aveva il sentore che ciò che stava per accadere tra quelle mura gli avrebbe probabilmente dato qualcosa per cui imbarazzarsi sul serio.
Qualche giorno prima, sulla bacheca della sua Gilda, era comparso un avviso da parte di uno di loro, Kagé, che era disposto ad offrire una mascotte molto rara per i membri dell'Orda come premio per una gara di resistenza all'alcol.
L'idea di ubriacarsi fino a non ricordarsi più dell'accaduto non lo entusiasmava particolarmente; tuttavia, la mascotte in questione era un grazioso gatto soriano rosso e a Kilgore avrebbe fatto piacere poter avere un micio a fargli compagnia quando trafficava in cucina.
L'Orco entrò goffamente dall'ampio ingresso che collegava la locanda direttamente con la terrazza esterna, guardandosi attorno in cerca di volti familiari: buona parte dei membri della Gilda li aveva già incontrati in giro per le Isole Disperse o tra le montagne di Zuldazar. Sicuramente non si aspettava di trovare tra i partecipanti sua moglie Gathra, dato che preferiva ben altre tipologie di compagnia a quella di un normale animale come il gatto.
Al piano terra c'erano pochi avventori, perlopiù Pandaren intenti a mangiare da scodelle fumanti o bere birra, una sorta di anticipazione di ciò che avrebbe impegnato le ore successive di Kilgore.
Quest'ultimo si fece avanti, dirigendosi verso il bancone posizionato sotto le scale che conducevano al piano superiore. Dietro di esso si trovava la locandiera, una Pandaren non più nel fiore degli anni che gli sorrise con espressione gentile.
«Buonasera... cosa posso portarti?» domandò.
«Ehm... salve» Kilgore non sapeva esattamente come comportarsi, né sapeva se la signora fosse a conoscenza della gara «Io dovrei partecipare ad una... ehm... competizione... che si dovrebbe tenere qui...».
La Pandaren ridacchiò alle sue parole, il che fece arrossire lo Sciamano più di quanto avrebbe desiderato fare. Non capiva cosa ci fosse di così divertente.
Prima che potesse cercare di darsi un contegno da vero Orco, la sua interlocutrice riprese a parlare: «Se sei qui per la gara a chi beve di più, si terrà presso uno dei tavoli in fondo. L'Elfo del Sangue che ha prenotato vi ha riservato un tavolo in disparte...».
Nell'accennare a Kagé, Kilgore si rese conto che il tono della signora si era fatto più civettuolo, lasciandogli intuire che il Ladro più famoso della Gilda aveva conquistato un altro cuore. La cosa non lo sorprese affatto considerata la popolarità della sua razza tra tutte le altre dell'Orda.
Gli venne indicato un separé in legno decorato con motivi floreali e l'Orco annuì, ringraziò e si diresse verso di esso senza perdersi in altri convenevoli. Stava iniziando ad innervosirsi, e non era una reazione che gli piaceva avere.
«Mantieni la calma... come se tu andassi in una normale locanda a bere per conto tuo...» si disse per cercare di tenere sotto controllo l'agitazione crescente.
Raggiunto il separé, si affacciò oltre di esso per vedere se già qualcuno degli altri partecipanti era arrivato.
«Oh, salve!».
A rispondere all'apparizione del suo cranio barbuto da oltre il bordo del separé fu un Nobile Oscuro, l'unica persona già seduta al tavolo. Portava i capelli bianchi e lunghi raccolti in una coda di cavallo alta che non faceva che accentuare i tratti quasi emaciati del suo viso dall'incarnato violaceo. Le lunghe orecchie appuntite avevano la metà superiore del lobo rivestita da un orecchino metallico e l'occhio destro era nascosto dietro una benda nera da pirata.
Per ciò che si riusciva a vedere del suo torace, anche il resto del suo abbigliamento richiamava quello dei pirati: indossava una giubba scura con doppiopetto e due file di quelli che sembravano minuscoli pugnalini inseriti lungo una spessa cucitura che collegava il colletto - stretto e con un bavero importante, alto e rigido - con le ascelle e che fungeva da fodero. Indossava anche dei guanti con le nocche rinforzate da protezioni metalliche ma che lasciava le falangi del tutto scoperte. Gli spallacci erano anch'essi composti rivestiti esternamente da metallo e vicino al viso era stato addirittura plasmato in una serie di spuntoni simili ad una cresta. Kilgore non si sarebbe mai sentito al sicuro ad avere delle cose del genere montate così vicine al viso e soprattutto agli occhi, ma ognuno era libero di scegliere lo stile di armatura che più gli aggradava.
Lo Sciamano increspò le labbra in un goffo sorriso e salutò in risposta: «Alysthral, giusto? Non ci siamo visti molto spesso...».
L'aspirante pirata accennò un sorriso di rimando, tornando a concentrare il suo sguardo su qualcosa che si trovava sotto il tavolo, sulle sue gambe.
«Vero, però io ho sentito raccontare un sacco di cose sul tuo conto, Kilgore» replicò in tono tranquillo. La sua voce, a differenza di quella degli Elfi del Sangue, dava una leggera eco. Lo Sciamano aveva trascorso molti mesi a Suramar durante la ribellione messa su da Thalyssra contro Elisande, per cui non era nuovo a quel tipo di parlata. Non era tuttavia ancora avvezzo a sentirla utilizzare in maniera quotidiana, dato che non aveva avuto molte interazioni coi Nobili Oscuri dopo la loro unione all'Orda.
Purtroppo durante la guerra aveva avuto a che fare quasi esclusivamente coi tirapiedi Non Morti di Sylvanas e Goblin. Fin troppi. Variare nelle frequentazioni sicuramente non avrebbe danneggiato nessuno.
«Oh... davvero?» lo Sciamano decise di sedersi dirimpetto a lui, giusto per poter fare conversazione civilmente fino all'inizio della gara «E... cosa hai sentito?».
«Molte cose...» Alysthral continuava a guardarsi le cosce mentre parlava muovendo appena il braccio destro - la cui metà anteriore non era mai uscita allo scoperto - «Soprattutto voci sul grosso contributo che hai dato insieme al Circolo della Terra nella guerra alla Legione Infuocata».
«Ah, be'... quello» l'Orco arrossì leggermente «Non è stato niente di che... il contributo individuale non basta, è stato un lavoro di gruppo tra le Enclavi».
«In ogni caso... grazie» Alysthral alzò fugacemente lo sguardo verso di lui «Senza il vostro contributo, io non sarei qui adesso... e nemmeno lui».
Da sotto il bordo del tavolo fece capolino il musetto di un gattino. Aveva il pelo viola ed emanava una debole aura rosata di magia arcana, gli occhi vispi di un animale curioso. Appoggiò entrambe le zampine sul tavolo e vi balzò sopra, manifestandosi in tutta la sua felina bellezza: piccole rune erano disegnate nell'aura che lo permeava e sulla schiena portava allacciata una sorta di piccola sella su cui erano assicurate alcune pergamene.
Era uno Zampa Radiosa, un felino originario di Suramar, e a giudicare dal modo con cui la creatura non osava allontanarsi troppo da Alysthral, dovevano essere molto legati.
«La guerra alla Legione Infuocata è stata dura... ma adesso siete liberi».
Ad intervenire nella conversazione fu un'altra voce maschile ed echeggiante, anche se il suono era molto più lugubre e lontano, come se provenisse dall'Aldilà stesso. I peli che si drizzarono sulla nuca di Kilgore non lasciarono spazio a dubbi: prima ancora di voltarsi per vedere a chi appartenesse la voce, sapeva già chi avrebbe trovato.
Il Signore della Morte Labolas. Era ad ora l'unico Cavaliere della Morte all'interno della Gilda, e quindi l'unico in grado di avere una così raggelante somiglianza con gli echi dei morti ogni volta che apriva bocca. Purtroppo lui stesso era consapevole di ciò e la cosa non lo entusiasmava affatto; d'altro canto, non sapeva come poter far scomparire quell'effetto collaterale della Non Morte.
Labolas si palesò al loro fianco, aggirando il tavolo per sedersi accanto ad Alysthral. A differenza delle molte volte in cui Kilgore lo aveva incrociato a Dalaran presso le Isole Disperse, stavolta indossava un completo informale che lo rendeva quasi una persona “normale”. A volte la Trasmogrificazione era in grado di compiere dei veri e propri miracoli.
Aveva indosso una normale camicia blu scuro, piuttosto aderente per sottolineare il fisico niente male degli Elfi del Sangue e che persino la Non Morte poteva annichilire. Tutti i bottoni erano chiusi, dal primo all’ultimo, le maniche erano lunghe e coi polsini debitamente abbottonati e il colletto corto tenuto sollevato. Era probabile che avesse scelto quello specifico indumento per mascherare il più possibile l’unica cosa che aveva alterato irreparabilmente il suo corpo: i segni di un principio di decomposizione.
I pantaloni erano di un grigio intenso e Kilgore si rese conto solo dopo alcuni secondi di attento esame che erano rivestiti lungo i tre lati esterni di sottili lamine di metallo; per il resto, chiunque avrebbe potuto tranquillamente scambiarli per banali pantaloni di pelle lavorata o persino stoffa. Ovunque se li fosse procurati, era stata una scelta ottima.
Le calzature non era riuscito a vederle, ma dall’assenza del classico sferragliare dei comuni e ingombranti stivali di piastre, probabilmente era riuscito a trovare una Trasmogrificazione che le rendesse il più simili possibili a delle scarpe normali.
Il volto era del tutto scoperto, con le sue caratteristiche guance scavate e gli zigomi alti che per contrasto apparivano ancora più affilati e sporgenti. La pelle era sciupata, in alcuni punti addirittura segnata da vecchie cicatrici alle quali il trapasso non aveva consentito di rimarginarsi del tutto. I capelli tagliati a mo’ di spazzola disordinata che una volta dovevano essere stati biondo platino, adesso erano completamente bianchi, di una tonalità fredda che per niente si addiceva al calore che era associato alle chiome dei Sin’dorei.
Gli occhi privi di pupille brillavano di una tetra energia color del ghiaccio, anche se il suo sguardo trasmetteva una certa serenità.
«Labolas… anche tu parteciperai alla gara? Non… credevo che… la tua condizione ti permettesse di… ehm… assumere alimenti o altro...» Kilgore avrebbe voluto affrontare l’argomento - per quanto delicato fosse - in maniera leggera, non certamente con l’intento di ferire o insultare il suo interlocutore. Purtroppo si era reso conto strada facendo di quanto fosse difficile farlo.
Per fortuna, l’Elfo del Sangue non parve offendersi. Appoggiando un gomito sul tavolo, agitò leggermente l’arto in aria, come se stesse discutendo di un argomento normale.
«Teoricamente non ne avrei bisogno. In pratica, ciò non significa che non possa farlo» spiegò senza girarci troppo attorno «A quanto pare la Non Morte non si è presa anche gusto e olfatto» e accennò un sorriso con le sue labbra sottili, che un tempo probabilmente erano state il sogno proibito di molte Sin’dorei e che adesso apparivano aride e piagate attorno al prolabio.
«Puoi anche tornare ad attendere agli affari tuoi, Elfo Non Morto. Chel gattino è già mio!».
Il pesante accento Troll carico di disprezzo annunciò l’arrivo di Nalahri ancor prima che apparisse effettivamente al margine del separé. La sua ostilità nei confronti degli Elfi non era una novità, anche se nessuno all’interno della Gilda aveva la più pallida idea del motivo che l’aveva portata a ciò.
Da brava Cacciatrice quale era, indossava un’armatura di scaglie assemblata con pezzi di Naga. A Kilgore quei bruti marini al servizio di Azshara non erano mai piaciuti, ma una parte di sé non poteva che provare pietà per tutti i poveretti che erano stati scuoiati per completare il suo equipaggiamento.
L’unica cosa che mancava all’appello era l’elmo, per cui i suoi lunghi capelli fucsia erano ben visibili, assieme alla grossa treccia che raccoglieva i ciuffi al centro del cranio e decorreva poi sul retro, fino alle scapole.
Per tutta risposta al suo commento tutt’altro che educato, Labolas fece spallucce e con pacatezza rispose: «In realtà finché la gara non finisce, quel gattino appartiene ancora a Kagé…».
Nalahri si sedette dirimpetto a lui spostando bruscamente la sedia, trascinandola sul pavimento di legno facendo un gran baccano.
Sbuffò e lo guardò in cagnesco, senza aggiungere nulla, salvo poi indirizzare il suo sguardo astioso verso Alysthral. Si soffermò su di lui parecchio, scrutandolo con l’aria di qualcuno che stesse studiando un nemico da imprimersi nella memoria per gli anni a venire.
Il Nobile Oscuro si irrigidì sulla sedia, mandando con l’occhio buono sguardi di supplica verso lo Sciamano. Era chiaro che non si era aspettato un simile incontro in un’occasione così apparentemente leggera.
Il suo Zampa Radiosa - che si era acciambellato Placido sul tavolo davanti a lui - si alzò e si inarcò, soffiando minaccioso verso la Troll, confermando il sospetto di un legame davvero profondo col suo padrone.
«Che micetto minuscolo… nun gli dai da mangiare abbastanza?» schernì Nalahri, chinandosi appena verso il gattino e mostrandogli i denti in modo minaccioso.
L’animale si ritrasse appena, prima di balzare di nuovo in grembo al pirata, il quale adesso non sembrava più intenzionato a tacere sperando che la situazione si sistemasse da sola.
«Sei davvero sicura di volerlo quel gatto? Perché con quella brutta faccia zannuta potresti spaventarlo a morte» replicò in tono sarcastico.
Nalahri ringhiò, battendo un pugno sul tavolo e muovendosi come per alzarsi.
«Ripetilo se tieni il coraggio, Elfo della Notte rinsecchito…!» minacciò.
Alysthral si alzò per metà, mostrando il grosso pomello lucente di una delle spade che portava assicurate alla cintura.
«Per cortesia, non c’è bisogno di litigare così» Kilgore si levò a sua volta, frapponendo l’ampio torace lungo la linea di contatto visivo tra i due «Potete risolvere i vostri dissapori in merito al gatto con la gara. È per questo che siamo tutti qui, no?».
Non avrebbe voluto ricorrere a metodi più drastici per placarli, ma se si fosse reso necessario l’avrebbe fatto.
«Kilgore ha ragione. Vi stanno guardando tutti» si aggiunse tranquillo Labolas, anche se il suo sguardo appariva inquieto.
In effetti, attorno a loro era calato uno spiacevole silenzio e diverse teste facevano capolino oltre il separé per osservare ciò che stava accadendo al tavolo. Alcuni Pandaren, troppo grossi per riuscire ad affacciarsi senza ingombrare la sala, si erano avvicinati ai tavoli alle spalle del loro ed osservavano senza pudore lo spettacolo, insensibili al rischio d’essere notati.
Alysthral fu il primo a risedersi, sbuffando leggermente mentre distoglieva lo sguardo dalla sua nemesi.
«Forza signori, tornate ad occuparvi tutti degli affari vostri! Qui ci penso io!» gridò in tono squillante la voce di Kagé.
Nalahri e Labolas sobbalzarono per lo spavento quando la snella figura avvolta in cuoio rosso e nero comparve all’improvviso a capo del tavolo, sull’unica sedia ancora vuota. Stava seduto in posizione abbastanza composta, con la schiena dritta appoggiata contro lo schienale e le gambe accavallate. Dalla sua espressione pareva che lo spettacolo cui stava assistendo fosse di suo gradimento.
La Troll masticò un’imprecazione e parve fare un grosso sforzo di autocontrollo per sedersi senza tirare un pugno al Sin’dorei.
Kilgore tornò a sedersi a sua volta, lieto di non essere dovuto intervenire in maniera più drastica.
«Certo che si sarebbe potuto manifestare prima che la situazione degenerasse...» commentò tra sé e sé, cercando di mantenere un’espressione il più neutrale possibile.
«Bene, direi che ci siamo tutti! La gara per il possesso del mio soriano rosso può ufficialmente avere inizio!» esclamò Kagé, alzandosi in piedi e levando le braccia, battendo rapidamente le mani assieme.
Dopo appena pochi secondi, due Pandaren - una delle quali Kilgore riconobbe essere la locandiera - si avvicinarono trasportando rispettivamente due vassoi carichi di boccali.
Li depositarono dinanzi ai commensali, uno per ognuno. Su ciascun vassoio si trovavano tre boccali in legno con i manici intarsiati, molto belli a vedersi e anche molto capienti - forse anche più di quelli formato Orco che Kilgore aveva occasionalmente utilizzato nelle locande a Orgrimmar.
La birra all’interno pareva di ottima qualità e lo Sciamano era quasi ansioso di assaggiarla per avere conferma della sua prima impressione.
Una volta consegnati i vassoi, le Pandaren si allontanarono.
«Perfetto! E adesso...» Kagé rimase in piedi, ed osservò tutti uno per uno per alcuni secondi, soffermandosi un poco di più soltanto su Nalahri «VIA!».
La Troll si avventò sul primo boccale con furia quasi animalesca, mentre gli altri tre si accingevano a bere con modi meno grezzi e più civili. Forse alcuni di loro sarebbero arrivati a comportarsi come lei nel futuro, ma finché ci fosse stata anche solo una misera scintilla di sobrietà la cosa non sarebbe accaduta.
La birra era davvero buona. Nonostante l’iniziale imbarazzo alla prospettiva di partecipare ad una competizione simile, doveva ammettere di essere contento di poter godere di un tale piacere.
Il primo giro terminò relativamente in fretta. Sembrava che tutti i contendenti fossero ansiosi di testare la loro resistenza all’alcol Pandaren, e Kagé non era sicuramente intenzionato a risparmiarli in tal proposito, altrimenti non sarebbe stata una gara interessante.
Arrivarono altri boccali. Nalahri continuava ad aggredirli come se le avessero fatto un qualche torto con la loro sola esistenza, tracannandone il contenuto in pochi sorsi e poi sbattendoli sul tavolo vuoti; Alysthral e Labolas bevevano in rigoroso silenzio, anche se parevano molto più a loro agio rispetto a quando erano arrivati; Kilgore era l’unico che attualmente stava cercando di assaporare la birra piuttosto che ingurgitarne il più possibile nel minor tempo.
Ci vollero parecchi boccali prima di iniziare a vedere cenni di cedimento. Per fortuna, la vita da Ladro aveva insegnato a Kagé che se c’era una virtù che valeva la pena coltivare, quella era senz’altro la pazienza.
Rimase in attesa, studiando il comportamento sempre più mansueto della sua vittima man mano che l’alcol prendeva il sopravvento su di lei. Era esattamente il risultato che sperava di ottenere: poteva opporre resistenza per quanto le pareva, ma la resistenza ad oltranza quando si tratta di ubriacarsi ha sempre un limite. E lui era in trepidante attesa che lei lo raggiungesse. Ovviamente cercava di non dare a vedere il fatto che fosse interessato a Nalahri più che agli altri tre: in fin dei conti, era il giudice della gara e in quanto tale doveva dare una parvenza di imparzialità - altrimenti non avrebbe avuto senso imbastire tutto quanto.
«Stupida Non Morte… potevo già essere in una tomba... freddo… immobile… senza più soffrire...» se ne uscì all’improvviso Labolas, le sopracciglia basse e corrugate in un’espressione sconsolata mentre rovesciava il boccale vuoto che aveva in mano, leccando qualche goccia di birra dal bordo.
Le sue guance erano dello stesso colorito spento di sempre. A dare la sensazione che fosse ubriaco era il suo tono avvilito e il suo modo di stare scomposto a tavola, quasi sdraiato sul piano di legno che aveva dinanzi.
«Come Arthas… e il suo stupido cavallo!» all’improvviso si raddrizzò sulla sedia, assumendo una ridicola smorfia di rabbia quasi infantile mentre prendeva dal suo vassoio un altro boccale «Quelle dannate redini… le sto ancora cercando… e la Rocca di Nordania è così fredda… come una tomba...».
Il suo tono di voce era strascicato, come se facesse una gran fatica nell’atto stesso della fonazione. Vista la sua normale capacità di parola, la cosa non era assolutamente imputabile a danneggiamenti del suo apparato vocale.
Kilgore ridacchiò dal capo opposto del tavolo, prima di svuotare la metà rimanente del suo boccale ed esibirsi in un poderoso rutto - cosa che da sobrio si sarebbe vergognato troppo per fare in pubblico.
«So cosa ti serve!» se ne uscì con eccessivo entusiasmo, sollevando la mano libera e cominciando a gesticolare «Ho trovato un glifo che serve per congelare quella… palla di energia?... lo scudo magico che usate voi!» esclamò. Dal tono altalenante e dal cipiglio confuso che gli comparve in viso più volte nella composizione del discorso, era chiaro che anche se era in grado di parlare ancora agevolmente, non tutto ciò che usciva dalla sua bocca era comprensibile a lui stesso.
L’alcol stava iniziando a minare la sua tempra orchesca. Per fortuna, altrimenti Nalahri non sarebbe riuscita a spuntarla.
L’Orco tracannò altra birra, rimase per un momento a fissare il vuoto dinanzi a sé, per poi continuare: «Quello… sarebbe come una tomba, no? Freddo… l’ho trovato nelle Isole Disperse».
Si tirò su, aiutandosi con l’arto libero, per poi addossarsi contro lo schienale della sedia con aria esausta. Si scolò altri due boccali prima di riprendere a parlare, nel frattempo che le Pandaren toglievano le stoviglie vuote per portarne di altre piene.
«Ho passato… due anni a girare per quel… lo sputo di terra maledetto… e ancora non ho tutti quei dannati glifi…!» aggiunse, e stavolta sembrava che si stesse alterando - anche se Kagé, del tutto lucido, percepiva un contrasto netto tra rabbia e autocompassione.
Pur non essendo un runografo - e non essendosi mai interessato della professione in vita sua - riusciva perfettamente a capire come doveva sentirsi. Avere delle collezioni incomplete era frustrante ad un livello che la maggior parte delle persone non riusciva a comprendere.
«Murloc!» se ne uscì improvvisamente lo Sciamano, sollevando il capo di scatto per poi reclinarlo goffamente all'indietro mentre si scolava d'un fiato quasi due terzi di birra. La sua resistenza nel bere tanto velocemente era a dir poco notevole.
«Piccoli scorfani bipedi leccapiedi dei Naga...» s'intromise Nalahri con un sibilo, prima di tornare a bere in silenzio.
«Ne ho massacrati a centinaia...! Per anni!» il tono dell'Orco adesso era prettamente lamentoso, anche se l'impeto dell'affermazione poteva trarre in inganno «E non ho mai visto uno stupido glifo in tutti questi anni!».
Bevve altra birra, sbatté le palpebre forte un paio di volte e poi riprese con aria ancora più confusa di prima: «Ci torno adesso... con Ith... e lui in pochi minu-hic!... secondi ne trova due».
Agitò la bevanda rimasta nel boccale, ruotandola con mano tremante.
«Non è giusto...» brontolò infine l'Orco, svuotando l'ennesimo boccale. Faceva fatica a tenere salda la presa sul manico, cosa che faceva ben sperare Kagé circa la sua imminente sconfitta.
Con gran sorpresa di quest'ultimo, fu invece Alysthral il primo a cedere. Sbattendo il boccale vuoto sul tavolo, il Nobile Oscuro rimase saldamente aggrappato ad esso mentre squadrava gli altri compagni di Gilda con espressione inebetita ma al tempo stesso determinata. Fece per dire qualcosa, ma prima che riuscisse ad emettere un qualunque suono finì KO sul tavolo, russando piano.
Gli altri tre si bloccarono per un momento per fissarlo, chi con espressione sorpresa e chi con sguardo confuso.
«Meno uno» disse Kagé, sforzandosi di mantenere un tono quasi apatico.
Labolas si raddrizzò sulla sedia con cipiglio di colpo determinato.
«Quel gattino... è mio...!» esclamò, prima di afferrare un nuovo boccale e rovesciarsene il contenuto in bocca senza un briciolo di educazione.
«Elfo illuso» replicò Nalahri con un sogghigno, riprendendo a bere a sua volta.
L'unico cui pareva non interessare più della competizione e del suo scopo ultimo era Kilgore: l'Orco tracannava placido, scuotendo di quando in quando il capo, strizzando più volte gli occhi e cambiando svariate volte posizione con movimenti lenti e faticosi.
Aveva la vista annebbiata e cominciava ad esserci troppo chiasso per i suoi gusti - benché dai tavoli vicini gli altri avventori parlassero con un tono di voce normale.
Voleva bere ancora e ancora, anche se cominciava a sentirsi pieno e non più del tutto in grado di reggersi in una postura differente dallo stare sdraiato. Alysthral, addormentato dinanzi a lui, gli faceva quasi invidia. Una parte di lui voleva emularlo e riposarsi; un'altra invece lo incitava a tracannare altra birra, resistendo strenuamente alla debolezza fisica.
Era un Orco, non poteva perdere contro una Troll e un Elfo del Sangue, così mingherlini rispetto alla sua poderosa stazza.
Nalahri sembrava cominciare ad avere qualche difficoltà a rimanere seduta e Labolas non pareva ancora abbastanza ubriaco da crollare addormentato come il Nobile Oscuro al suo fianco. Kilgore era quello che stava dando loro più filo da torcere, data la velocità spaventosa con cui faceva sparire la birra. Se non avesse raggiunto il limite presto, la Troll non avrebbe neanche potuto aspirare a raggiungere la fase finale della gara, cosa che a Kagé non piaceva per niente.
L'Elfo del Sangue si trovò costretto ad intervenire in qualche modo per riportare la gara ad una parvenza di equilibrio: assicurandosi di essere nascosto dal bordo del tavolo, sfoderò un piccolo pugnale da uno dei suoi stivali e lo lanciò sotto di esso, mirando allo stivale rinforzato dell'Orco.
Si era allenato per anni a centrare bersagli senza doverli necessariamente guardare, ed era sufficientemente sicuro di non poter sbagliare mira. Un leggero clangore metallico gli fece capire che anche quella volta la sua esecuzione era stata impeccabile.
L’Orco, sentendo qualcosa di appuntito conficcarglisi nello spessore della maglia degli stivali, si chinò sotto il tavolo per toglierlo. Si mosse goffamente, i sensi non più in grado di mantenerlo in diretto contatto con la realtà. Non vedeva il coltellino, ma sentiva il dolore, per cui fece l’unica cosa che gli parve sensata nelle sue condizioni: protese alla cieca un braccio e cominciò a muoverlo lungo lo stivale cercando ciò che gli procurava sofferenza.
Nel far ciò, la sua stabilità già precaria venne meno: il suo largo deretano orchesco scivolò sul bordo della sedia e nel cercare di raddrizzarsi in tutta fretta per non capitombolare a terra sbatté il cranio contro il tavolo. Il piano tremò per la forza dell’impatto, e i boccali rischiarono di rovesciarsi.
«O-oooooh… la testa…!» gemette con tono stranamente stridulo, estraendo la testa da sotto il mobile. Fece per portarsi entrambe le mani a massaggiare il punto leso, ma il colpo era stato talmente ben assestato che, complice l’eccesso di alcol nel suo corpo, riuscì a mandarlo KO sul pavimento.
«Siete rimasti solo in due» annunciò Kagé, riuscendo a stento a trattenersi dal gongolare per lo splendido lavoro di sabotaggio appena eseguito.
Nalahri sghignazzò sommessamente.
«Arrenditi Elfo… chel gattino è mio» minacciò, gli occhi sgranati in un tentativo di risultare più intimidatoria «Come chell’albatros nelle spedizioni marittime… e come tutte le altre bestie».
Per quanto Labolas non avesse più voglia di trovarsi sempre nel mirino di quella maleducata Troll, non aveva intenzione di arrendersi. Gli girava la testa e faceva fatica a rimanere sveglio - una cosa che non aveva sperimentato nemmeno al risveglio dal suo accogliente tumulo di terra - ma desiderava così ardentemente di poter avere una creaturina che gli tenesse compagnia durante le infinite e vuote giornate trascorse alla Roccaforte d’Ebano che avrebbe resistito fino a che l’Aldilà stesso non lo avesse richiamato a sé.
Era stanco di sentirsi solo anche in mezzo agli altri come lui, per i quali doveva impersonare il Signore della Morte. Voleva avere qualcuno con cui potersi mostrare anche per ciò che era davvero: un povero Elfo del Sangue resuscitato dal Re dei Lich.
Con i suoi compagni di Gilda riusciva a calare la maschera che indossava invece sempre in presenza dei suoi compagni d’armi, ma farlo così sporadicamente era divenuto un peso difficile da sostenere.
Labolas sollevò un boccale pieno a mo’ di brindisi verso Nalahri, prima di scolarsene metà d’un fiato. L’atto era palesemente provocatorio e la Troll cadde nel tranello, emulandolo quasi senza pensarci.
Kagé sarebbe voluto intervenire anche in quel caso in favore della sua “prescelta”, ma temeva di risultare troppo sospetto. Nalahri già non si fidava di lui per ragioni sconosciute e non voleva darle altri motivi da aggiungere alla sua lista personale, soprattutto dopo aver imbastito tutta quella sceneggiata proprio per evitarlo.
Inoltre c’era il problema di natura tecnica riguardo il tipo di armatura: Kilgore indossava equipaggiamento di maglia, che pur essendo assai resistente era comunque possibile da penetrare con armi affilate, impartendo la giusta dose di forza nel colpo; Labolas purtroppo indossava armature di piastre che non gli consentivano di tentare una bravata come quella di poco prima senza prendere accuratamente la mira. I punti deboli non erano così visibili come in altre armature, soprattutto se la sua era anche stata Trasmogrifata.
I due superstiti sembravano più agguerriti che mai e decisi a resistere finché qualche cosa di superiore a loro non fosse intervenuto a fermarli. Ognuno aveva le sue motivazioni per desiderare così ardentemente il possesso del soriano rosso ed era determinato a prevalere sull’altro a qualunque costo.
Kagé continuava a passare lo sguardo dall’uno all’altra, cercando di captare i segnali di cedimento in entrambi. Non riusciva a capire chi dei due stesse vincendo e la cosa lo innervosiva più di quanto fosse disposto ad ammettere; tuttavia, era certo che la tempra della Cacciatrice fosse sufficiente a farla prevalere a prescindere dal suo intervento.
All’improvviso, Nalahri sbatté l’ultimo boccale vuoto sul tavolo e rimase immobile. Il Ladro vide i muscoli nelle sue braccia nude tendersi sotto la pelle blu, come se stesse sforzandosi di mantenere la posizione.
In quel preciso istante capì che si era sbagliato: il suo piano grandioso era andato in fumo. Pochi secondi dopo, la Troll crollò su un fianco, scivolando dalla sedia sul pavimento.
«Ah, ho vinto io!» esclamò Labolas, scattando in piedi per poi barcollare vistosamente e appoggiarsi alla parete per non cadere a sua volta.
Kagé avrebbe voluto stordirlo per la rabbia, ma non lo fece. Non aveva senso inimicarsi membri della Gilda di proposito, non senza la certezza assoluta che non sarebbero potuti essergli d’aiuto in futuro.
Senza dire niente, fece comparire la gabbietta del soriano e l’allungò verso Labolas, il quale l’accettò con un sorriso a metà tra il compiaciuto e l’inebetito. La sollevò per portarla dinanzi al viso e mormorò: «Adesso ti porto a casa...».
Sembrava felice in una maniera che per il Ladro era del tutto nuova. Per un attimo addirittura sembrò che le sue guance emaciate si tingessero di un salutare rosso, ma fu solo un’impressione momentanea.
Il Cavaliere della Morte aggirò barcollando Kagé e Nalahri e con non poca fatica riuscì nell’intento di aprire un portale per Acherus - la Roccaforte d’Ebano - che si richiuse dietro di lui pochi secondi dopo che l’ebbe varcato.
Kagé si inginocchiò vicino alla Cacciatrice, cercando di aiutarla ad alzarsi. Sapeva che starle così vicino era come andare a stuzzicare un vespaio, ma non riuscì a farne a meno. Era un rischio che a quel punto non gli importava più di correre.
«Aggrappati a me, ti aiuto a rialzarti...» disse a bassa voce, muovendola appena per le spalle.
Nalahri mugolò piano prima di riaprire appena gli occhi, volgendoli verso di lui. Fu stranissimo per Kagé non leggere alcun tipo di rabbia nel suo sguardo, solo sofferenza e stanchezza. Era come guardare un’altra Troll.
«Voglio… andare a letto...» mormorò in tono remissivo, come se si vergognasse di mostrarsi così debole «Tieni… voglia di accompagnarmi?».
Alle orecchie dell’Elfo del Sangue le sue parole suonarono come musica. Non riusciva a credere a ciò che aveva appena udito.
«Naturalmente» disse in tono galante, aiutandola a rimettersi in piedi.
Mentre la scortava al piano superiore, nella zona adibita al pernottamento dei clienti, Kagé si disse incredibilmente fortunato per l’essere riuscito comunque ad ottenere qualcosa nonostante il piano originario avesse fallito.
Rating: Giallo
Genere: Demenziale, Generale
Personaggi: Alysthral (OC!Ladro), Kagé (OC!Ladro), Kilgore (OC!Sciamano), Labolas (OC!Cavaliere della Morte), Nalahri (OC!Cacciatrice)
Wordcount: 7533 (wordcounter)
Prompt: Resistenza a oltranza (minimo 1000 parole) per il Capitolo 2 (2° settimana) di "Esploratori del Polyverso" @ Lande di Fandom
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Battle for Azeroth".
Note: Drunkness
Kagé approfittò delle mani libere per recuperare il secondo micio.
«I miei stivali non sono giocattoli...» commentò in tono di blando rimprovero, afferrando il gatto per i fianchi e strappandolo letteralmente dalle sue calzature.
Come lo sollevò, la bestiolina iniziò a soffiare e agitarsi cercando di mordergli le dita. Peccato che i suoi guanti di cuoio fossero stati progettati per resistere a ben altro che morsi di cucciolo, per cui le sue zanne non riuscirono neppure a scalfirlo.
«Tu sei un gattino selvatico, eh...?» commentò il Sin'dorei, inarcando un sopracciglio mentre avvicinava al suo viso il micio, pur mantenendolo a distanza di sicurezza.
Per tutta risposta, il felino tentò di mordergli la punta del naso, senza successo.
«Mi ricordi una certa Troll...» soggiunse il Ladro, ancora sovrappensiero.
Nonostante l’invasione della Legione Infuocata fosse stata ormai contrastata e la minaccia debellata da Azeroth, la Dimora delle Ombre che si estendeva sotto Dalaran era ancora in fervente attività. I Senza Corona provenienti da tutto il pianeta si radunavano lì per scambiarsi informazioni e merce più o meno rara proveniente dai più remoti angoli delle terre conosciute.
«Lama d’Ombra… è da un po’ che non ti facevi vedere da queste parti...».
Ser Jorach Ravenholdt sedeva da solo al tavolo del Concilio delle Ombre, le braccia intrecciate sul petto e i piedi accavallati sul tavolo. Non era una postura molto signorile, ma sembrava a corto di pazienza, come se fosse rimasto lì ad aspettare più di quanto avrebbe desiderato.
Al suo interlocutore la cosa non interessava minimamente.
«Sono stato un Ladro impegnato… sa, la guerra è sempre un buon mezzo per guadagnare» esclamò quest’ultimo, avvicinandosi alla luce dei mozziconi di candele sopravvissuti sul candelabro al centro del tavolo.
Si trattava di un Elfo del Sangue con l’incarnato particolarmente pallido e i capelli neri come l’ebano, lunghi e raccolti in una folta coda di cavallo alta dietro la testa. Indossava un’armatura di cuoio che esaltava il suo fisico asciutto e slanciato, completamente nera con decorazioni rosse simili per forma a dei pipistrelli.
Le folte sopracciglia del Sin’dorei si arcuarono in un’espressione quasi innocente mentre faceva spallucce.
«Del resto, di qualcosa dovremo pur vivere» soggiunse in tono leggero, come se l’argomento toccasse appena la sua coscienza - la cui esistenza era in dubbio esattamente come quella di ogni altro Senza Corona.
Jorach sospirò, alzando gli occhi verso il soffitto mentre si rimetteva seduto in maniera composta.
«Senza dubbio… è anche per questo che ho accettato l’incarico che mi hai proposto…» esclamò in tono non molto entusiasta. Pareva non essere poi così contento di essersi abbassato ad accontentare la richiesta del suo interlocutore.
L’Elfo del Sangue si fece dappresso rapidamente, appoggiando entrambe le mani sul margine del tavolo con impeto e sporgendosi verso Ravenholdt con uno strano luccichio malsano nelle iridi verde acido.
«L’hai trovato?!» chiese con un improvviso eccesso d’entusiasmo che risultò quasi spaventoso. Jorach si ritrasse istintivamente contro lo schienale, intimorito dall’espressione ossessiva cui era sottoposto in quel momento.
Vedendo quanto sembrasse importante ciò che era andato a recuperare per lui, forse avrebbe dovuto farsi pagare il doppio per il lavoro.
Il silenzio tra di loro si stava prolungando un po’ troppo e stava diventando teso. Jorach non era certo di voler rimanere in compagnia della Lama d’Ombra ancora a lungo, non in quello stato: Kagé aveva già manifestato in diverse occasioni dei comportamenti maniacali durante la sua permanenza a Dalaran - quando la città era la base per il contrattacco alla Legione Infuocata - rendendosi un soggetto piuttosto “particolare” con cui avere a che fare.
Quando si trattava di merce rara da collezione diventava letteralmente un’altra persona e non erano in molti ad essere disposti a sopportarlo in quelle vesti.
«Ovviamente l’ho trovato» Jorach fece spallucce e sbuffò «Una cosa tanto semplice...».
«E allora cosa stai aspettando?! Dammelo!» sibilò l’Elfo del Sangue, sgranando leggermente le orbite come a voler apparire ancor più minaccioso.
Il suo essere inquietante si era appena evoluto in peggio e Ravenholdt non aveva alcuna intenzione di temporeggiare ulteriormente per scoprire quali altre terrificanti sfaccettature del suo carattere potessero venire alla luce se non avesse ricevuto l’oggetto del suo desiderio all’istante.
Jorach si piegò sulla sua sedia, allungando un braccio al di sotto della stessa per estrarne quella che aveva tutta l’aria di essere una gabbietta per animali. La trascinò fuori dall’ombra e la spinse con la mano, facendola scivolare verso Kagé, facendola sbattere contro la gamba della sua sedia. Qualsiasi creatura ci fosse all’interno iniziò a produrre dei rumori non proprio felici.
«Direttamente dall’allevamento privato di Donni» annunciò Ravenholdt.
«Trattali con attenzione! Sono rari!» lo rimproverò furioso l’Elfo del Sangue.
«Non così tanto dalle mie parti...» Jorach si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta della sala con immenso sollievo.
«Se hai ancora bisogno di un uomo nei Regni Orientali, sai a chi rivolgerti… per il giusto prezzo» disse a mo’ di congedo, anche se in cuor suo sperava ardentemente di non essere più disturbato, non per ridicole commissioni come quella.
Kagé non si degnò nemmeno di rispondergli, troppo impegnato a controllare lo stato del suo “investimento”. In fin dei conti, non si aspettava certo che qualcuno come Ser Jorach Ravenholdt capisse l'importanza di ciò che gli aveva procurato.
Si inginocchiò sul pavimento e aprì lentamente la porticina della gabbietta.
«Vieni fuori, quell'Umano non ti farà più del male... adesso sei mio...» esclamò il Sin'dorei, strofinando i polpastrelli di una mano davanti al varco per attirare la creatura all'esterno.
Dopo alcuni secondi, un piccolo muso triangolare dotato di vibrisse fece capolino e due occhioni verde smeraldo si sollevarono ad incrociare quelli di Kagé prima che la bestiolina sgusciasse sul pavimento di pietra per andare ad annusare il suo guanto con un misto di curiosità e diffidenza.
Si trattava di un esemplare di gatto soriano rosso, una creatura che Kagé non avrebbe mai potuto possedere se non avesse richiesto l'intercessione di un membro dell'Alleanza: la pazza che commerciava quei felini non si fidava dell'Orda - come se loro non potessero apprezzare la compagnia di un gatto!
Quando aveva provato ad avventurarsi nella Foresta di Elwynn per andare da Donni Anthania a comprarsi un gattino, l'Umana l'aveva inseguito per un bel tratto di strada minacciandolo con una mannaia.
Avrebbe potuto ucciderla sul posto per essersi rifiutata di dargli ciò che desiderava, ma così facendo si sarebbe precluso ogni futura chance di mettere le mani sui suoi preziosissimi felini.
«Adesso è finalmente mio...» sussurrò l'Elfo del Sangue, le labbra sottili incurvate in un sogghigno colmo di soddisfazione per la sua vendetta.
Prese tra le braccia il gatto e lo sollevò, portandoselo in grembo come se fosse un pargolo.
«Un altro meraviglioso pezzo per la mia collezione...» sospirò compiaciuto, lasciandosi cadere seduto sulla sedia con soddisfazione mentre grattava con la punta delle dita il pancino aranciato del micio.
Adesso che aveva anche lui, doveva pensare a quale mascotte dare la caccia nell'immediato futuro. Con la sconfitta di N'zoth e la fuga di Sylvanas dall'Orda, non aveva molto altro con cui impegnare le sue giornate. Era un vero peccato che la guerra fosse finita: si era divertito moltissimo ad andare in cerca di drappelli di soldati dell'Alleanza per sabotarli nel vivo del conflitto.
Nel mentre che si crogiolava nel ricordo delle sue eroiche imprese ladresche sul campo di battaglia e oltre, percepì qualcosa che stava armeggiando con il lato di uno dei suoi stivali.
Abbassò lo sguardo con curiosità - non ricordava che nella Dimora delle Ombre bazzicassero topi abbastanza coraggiosi da osare avvicinarsi a loro, anche se si trovavano nelle fogne di Dalaran - e vide che sul pavimento si trovava un altro gatto, identico a quello che teneva attualmente in braccio e attualmente impegnato a cercare di strappare a morsi alcune cinghie fissate sulle sue calzature.
L'espressione di Kagé si fece di colpo buia.
«Ha comprato... un doppione» sospirò tono esasperato e al contempo infuriato. Una piccola vena gli pulsò nella tempia, resa quasi più nitida dalla carnagione quasi diafana.
Non aveva chiesto due gatti, ma non aveva idea di quanto ne costasse uno poiché non aveva avuto neanche occasione di chiederlo a Donni prima di darsi alla fuga. Aveva dato a Jorach una moneta d'oro, certo che fosse sufficiente a comprare il felino che voleva; tuttavia, non aveva specificato di volerne soltanto uno, dando la cosa come scontata.
Evidentemente non lo era così tanto come immaginava.
Il micio tra le braccia di Kagé iniziò ad agitarsi, appoggiando le zampine sui suoi pettorali ed esercitando una lieve pressione, come a volersi distaccare da lui.
L'Elfo del Sangue lo lasciò scendere, credendo che volesse sgranchirsi le zappe e perlustrare la sala del Concilio delle Ombre, la cui porta era tenuta sempre chiusa sia che ci fosse qualcuno all'interno sia che fosse vuota - per cui non c'era alcun rischio che fuggisse - invece, non andò molto lontano: si mise sulle sue cosce magre, camminando in cerchio su di esse per qualche secondo prima di acciambellarsi beato.
Kagé approfittò delle mani libere per recuperare il secondo micio.
«I miei stivali non sono giocattoli...» commentò in tono di blando rimprovero, afferrando il gatto per i fianchi e strappandolo letteralmente dalle sue calzature.
Come lo sollevò, la bestiolina iniziò a soffiare e agitarsi cercando di mordergli le dita. Peccato che i suoi guanti di cuoio fossero stati progettati per resistere a ben altro che morsi di cucciolo, per cui le sue zanne non riuscirono neppure a scalfirlo.
«Tu sei un gattino selvatico, eh...?» commentò il Sin'dorei, inarcando un sopracciglio mentre avvicinava al suo viso il micio, pur mantenendolo a distanza di sicurezza.
Per tutta risposta, il felino tentò di mordergli la punta del naso, senza successo.
«Mi ricordi una certa Troll...» soggiunse il Ladro, ancora sovrappensiero.
La sua mente stava ritornando al suo incontro con Nalahri nella foresta di Zuldazar, a come era riuscita a fargli perdere la furtività rischiando di centrarlo in pieno con la sua lancia retrattile e al disprezzo profondo che aveva esplicitato nei suoi riguardi - e più in generale verso tutti gli Elfi del Sangue.
Non poteva negare a sé stesso di essere rimasto colpito dalla fermezza con cui aveva rifiutato le sue avances, una cosa che prima di incontrare lei non gli era mai accaduta. Tutti all'interno dell'Orda erano affascinati dall'innata bellezza dei Sin'dorei, persino gli Orchi trovavano avvenenti le aggraziate e snelle esemplari di sesso femminile della sua illustre razza.
Eppure Nalahri sembrava immune al suo fascino e ciò aveva dato un tale colpo al suo orgoglio da non riuscire a togliergli quella Troll dalla mente.
Kagé aggrottò le sopracciglia, fissando intensamente negli occhi il gatto tra le sue mani - attualmente ancora intento a cercare di sgranocchiargli una falange in cerca della libertà.
«Non posso accettare un rifiuto del genere da Nalahri. Quella Troll cederà al mio fascino... fosse l'ultima cosa che faccio!» esclamò con risolutezza.
Dopo innumerevoli tentativi falliti, finalmente i denti del gatto riuscirono a far breccia nel cuoio, trovando la carne tenera sottostante.
L'Elfo del Sangue sobbalzò cacciando un gridolino di dolore quando il gatto affondò le zanne nel suo polpastrello. L'altro micio saltò via dalle sue cosce, terrorizzato, andando a rifugiarsi sotto la sedia di Jorach. Il piccolo delinquente che lo aveva ferito, invece, finì con l'essere scaraventato via mentre Kagé cercava di liberare l'indice dalla sua morsa.
Miagolò e soffiò e cominciò a sfrecciare per la stanza alla chiara ricerca di una via d'uscita.
«Torna qui, piccolo mostro!» sbraitò il Ladro, alzandosi in piedi e dandosi all'inseguimento.
Molte delle sedie volarono gambe all'aria, insieme a calici rimasti dall'ultima riunione del Concilio delle Ombre e diversi tomi caddero dalle mensole delle librerie posizionate contro le pareti. Kagé inseguì la piccola peste in lungo e in largo per tutta la sala - che mai come allora gli era parsa così immensa - e alla fine, lanciandosi in scivolata sotto il tavolo mentre il suo obiettivo si preparava a saltare dalla parte opposta per l'ennesima volta, riuscì ad acchiapparlo a mezz'aria sbucando proprio sotto di lui.
In quel caos, l'altro povero micio si era andato a rifugiare sopra una libreria, e tremava terrorizzato per la confusione e i mobili rovesciati.
«Ah-ah, preso!» esclamò Kagé, gli occhi che scintillavano di puro trionfo agonistico.
La sua preda si dimenava in cerca della libertà ma purtroppo non ebbe successo. Stavolta lo stava trattenendo da metà del corpo con i palmi premuti contro la sua pancia, per cui le dita erano al sicuro sulla sua schiena.
«Sei proprio uguale a lei... probabilmente andreste anche d'accordo» disse con tono apertamente infastidito.
Nel momento stesso in cui terminò la frase, nella sua mente guizzò un'idea. Nalahri era una Cacciatrice e in quanto tale adorava avere a che fare con ogni tipo di animale esistente sulla faccia di Azeroth e oltre - una volta l'aveva pedinata fino su Argus e l'aveva vista intenta a giocare nelle pozze di fango di Krokuun con le Panthara.
Sicuramente le avrebbe fatto piacere poter avere un gatto con cui giocare - del resto, a tutti piacevano i felini, era un dogma intessuto nella trama stessa del cosmo - e lui avrebbe potuto guadagnare punti con lei.
Il problema era che sicuramente non avrebbe mai accettato un regalo da parte sua se glielo avesse consegnato in maniera diretta. Era troppo diffidente nei suoi riguardi e non gli avrebbe mai creduto se avesse cercato di convincerla del fatto che si trattava soltanto di un "regalo disinteressato" perché gli avanzava una mascotte. Non ci avrebbe creduto nemmeno lui, del resto.
Avrebbe dovuto escogitare qualcosa di alternativo, una trovata che gli permettesse di dargli ciò che voleva senza farlo sembrare un regalo da parte sua. Visto che era una Cacciatrice, probabilmente avrebbe apprezzato qualcosa di rude, o magari una competizione.
Kagé sgranò gli occhi, scattando seduto sul pavimento ormai tiepido per il contatto prolungato col suo corpo. Il movimento fluido e rapido, simile a quello di un giocattolo a molla, gli fece rischiare un incontro ravvicinato tra il suo splendido viso e il bordo del tavolo. Per fortuna si accorse dell'imminente impatto appena in tempo per evitarlo.
Aveva appena avuto un'idea incredibile che avrebbe anche potuto funzionare senza troppe difficoltà se riusciva a giocare bene le sue carte. Ma doveva sbrigarsi nell'organizzare il tutto, altrimenti avrebbe dovuto aspettare ancora.
«Andiamo, piccola peste... pur non sopportandomi, avrai l'onore di aiutarmi a raggiungere un grande obiettivo» disse rivolto al micio birichino ancora ben stretto tra le sue mani, prima di alzarsi per infilarlo di nuovo nella sua gabbietta e rinchiudercelo.
«Fai il bravo ancora per un po' e non dovremo mai più vederci...».
Kilgore si affacciò all'interno della locanda del Santuario delle Due Lune, a Pandaria, con l'aria di qualcuno che si trovava fortemente a disagio. Non che avesse mai combinato niente di cui vergognarsi lì dentro; tuttavia, aveva il sentore che ciò che stava per accadere tra quelle mura gli avrebbe probabilmente dato qualcosa per cui imbarazzarsi sul serio.
Qualche giorno prima, sulla bacheca della sua Gilda, era comparso un avviso da parte di uno di loro, Kagé, che era disposto ad offrire una mascotte molto rara per i membri dell'Orda come premio per una gara di resistenza all'alcol.
L'idea di ubriacarsi fino a non ricordarsi più dell'accaduto non lo entusiasmava particolarmente; tuttavia, la mascotte in questione era un grazioso gatto soriano rosso e a Kilgore avrebbe fatto piacere poter avere un micio a fargli compagnia quando trafficava in cucina.
L'Orco entrò goffamente dall'ampio ingresso che collegava la locanda direttamente con la terrazza esterna, guardandosi attorno in cerca di volti familiari: buona parte dei membri della Gilda li aveva già incontrati in giro per le Isole Disperse o tra le montagne di Zuldazar. Sicuramente non si aspettava di trovare tra i partecipanti sua moglie Gathra, dato che preferiva ben altre tipologie di compagnia a quella di un normale animale come il gatto.
Al piano terra c'erano pochi avventori, perlopiù Pandaren intenti a mangiare da scodelle fumanti o bere birra, una sorta di anticipazione di ciò che avrebbe impegnato le ore successive di Kilgore.
Quest'ultimo si fece avanti, dirigendosi verso il bancone posizionato sotto le scale che conducevano al piano superiore. Dietro di esso si trovava la locandiera, una Pandaren non più nel fiore degli anni che gli sorrise con espressione gentile.
«Buonasera... cosa posso portarti?» domandò.
«Ehm... salve» Kilgore non sapeva esattamente come comportarsi, né sapeva se la signora fosse a conoscenza della gara «Io dovrei partecipare ad una... ehm... competizione... che si dovrebbe tenere qui...».
La Pandaren ridacchiò alle sue parole, il che fece arrossire lo Sciamano più di quanto avrebbe desiderato fare. Non capiva cosa ci fosse di così divertente.
Prima che potesse cercare di darsi un contegno da vero Orco, la sua interlocutrice riprese a parlare: «Se sei qui per la gara a chi beve di più, si terrà presso uno dei tavoli in fondo. L'Elfo del Sangue che ha prenotato vi ha riservato un tavolo in disparte...».
Nell'accennare a Kagé, Kilgore si rese conto che il tono della signora si era fatto più civettuolo, lasciandogli intuire che il Ladro più famoso della Gilda aveva conquistato un altro cuore. La cosa non lo sorprese affatto considerata la popolarità della sua razza tra tutte le altre dell'Orda.
Gli venne indicato un separé in legno decorato con motivi floreali e l'Orco annuì, ringraziò e si diresse verso di esso senza perdersi in altri convenevoli. Stava iniziando ad innervosirsi, e non era una reazione che gli piaceva avere.
«Mantieni la calma... come se tu andassi in una normale locanda a bere per conto tuo...» si disse per cercare di tenere sotto controllo l'agitazione crescente.
Raggiunto il separé, si affacciò oltre di esso per vedere se già qualcuno degli altri partecipanti era arrivato.
«Oh, salve!».
A rispondere all'apparizione del suo cranio barbuto da oltre il bordo del separé fu un Nobile Oscuro, l'unica persona già seduta al tavolo. Portava i capelli bianchi e lunghi raccolti in una coda di cavallo alta che non faceva che accentuare i tratti quasi emaciati del suo viso dall'incarnato violaceo. Le lunghe orecchie appuntite avevano la metà superiore del lobo rivestita da un orecchino metallico e l'occhio destro era nascosto dietro una benda nera da pirata.
Per ciò che si riusciva a vedere del suo torace, anche il resto del suo abbigliamento richiamava quello dei pirati: indossava una giubba scura con doppiopetto e due file di quelli che sembravano minuscoli pugnalini inseriti lungo una spessa cucitura che collegava il colletto - stretto e con un bavero importante, alto e rigido - con le ascelle e che fungeva da fodero. Indossava anche dei guanti con le nocche rinforzate da protezioni metalliche ma che lasciava le falangi del tutto scoperte. Gli spallacci erano anch'essi composti rivestiti esternamente da metallo e vicino al viso era stato addirittura plasmato in una serie di spuntoni simili ad una cresta. Kilgore non si sarebbe mai sentito al sicuro ad avere delle cose del genere montate così vicine al viso e soprattutto agli occhi, ma ognuno era libero di scegliere lo stile di armatura che più gli aggradava.
Lo Sciamano increspò le labbra in un goffo sorriso e salutò in risposta: «Alysthral, giusto? Non ci siamo visti molto spesso...».
L'aspirante pirata accennò un sorriso di rimando, tornando a concentrare il suo sguardo su qualcosa che si trovava sotto il tavolo, sulle sue gambe.
«Vero, però io ho sentito raccontare un sacco di cose sul tuo conto, Kilgore» replicò in tono tranquillo. La sua voce, a differenza di quella degli Elfi del Sangue, dava una leggera eco. Lo Sciamano aveva trascorso molti mesi a Suramar durante la ribellione messa su da Thalyssra contro Elisande, per cui non era nuovo a quel tipo di parlata. Non era tuttavia ancora avvezzo a sentirla utilizzare in maniera quotidiana, dato che non aveva avuto molte interazioni coi Nobili Oscuri dopo la loro unione all'Orda.
Purtroppo durante la guerra aveva avuto a che fare quasi esclusivamente coi tirapiedi Non Morti di Sylvanas e Goblin. Fin troppi. Variare nelle frequentazioni sicuramente non avrebbe danneggiato nessuno.
«Oh... davvero?» lo Sciamano decise di sedersi dirimpetto a lui, giusto per poter fare conversazione civilmente fino all'inizio della gara «E... cosa hai sentito?».
«Molte cose...» Alysthral continuava a guardarsi le cosce mentre parlava muovendo appena il braccio destro - la cui metà anteriore non era mai uscita allo scoperto - «Soprattutto voci sul grosso contributo che hai dato insieme al Circolo della Terra nella guerra alla Legione Infuocata».
«Ah, be'... quello» l'Orco arrossì leggermente «Non è stato niente di che... il contributo individuale non basta, è stato un lavoro di gruppo tra le Enclavi».
«In ogni caso... grazie» Alysthral alzò fugacemente lo sguardo verso di lui «Senza il vostro contributo, io non sarei qui adesso... e nemmeno lui».
Da sotto il bordo del tavolo fece capolino il musetto di un gattino. Aveva il pelo viola ed emanava una debole aura rosata di magia arcana, gli occhi vispi di un animale curioso. Appoggiò entrambe le zampine sul tavolo e vi balzò sopra, manifestandosi in tutta la sua felina bellezza: piccole rune erano disegnate nell'aura che lo permeava e sulla schiena portava allacciata una sorta di piccola sella su cui erano assicurate alcune pergamene.
Era uno Zampa Radiosa, un felino originario di Suramar, e a giudicare dal modo con cui la creatura non osava allontanarsi troppo da Alysthral, dovevano essere molto legati.
«La guerra alla Legione Infuocata è stata dura... ma adesso siete liberi».
Ad intervenire nella conversazione fu un'altra voce maschile ed echeggiante, anche se il suono era molto più lugubre e lontano, come se provenisse dall'Aldilà stesso. I peli che si drizzarono sulla nuca di Kilgore non lasciarono spazio a dubbi: prima ancora di voltarsi per vedere a chi appartenesse la voce, sapeva già chi avrebbe trovato.
Il Signore della Morte Labolas. Era ad ora l'unico Cavaliere della Morte all'interno della Gilda, e quindi l'unico in grado di avere una così raggelante somiglianza con gli echi dei morti ogni volta che apriva bocca. Purtroppo lui stesso era consapevole di ciò e la cosa non lo entusiasmava affatto; d'altro canto, non sapeva come poter far scomparire quell'effetto collaterale della Non Morte.
Labolas si palesò al loro fianco, aggirando il tavolo per sedersi accanto ad Alysthral. A differenza delle molte volte in cui Kilgore lo aveva incrociato a Dalaran presso le Isole Disperse, stavolta indossava un completo informale che lo rendeva quasi una persona “normale”. A volte la Trasmogrificazione era in grado di compiere dei veri e propri miracoli.
Aveva indosso una normale camicia blu scuro, piuttosto aderente per sottolineare il fisico niente male degli Elfi del Sangue e che persino la Non Morte poteva annichilire. Tutti i bottoni erano chiusi, dal primo all’ultimo, le maniche erano lunghe e coi polsini debitamente abbottonati e il colletto corto tenuto sollevato. Era probabile che avesse scelto quello specifico indumento per mascherare il più possibile l’unica cosa che aveva alterato irreparabilmente il suo corpo: i segni di un principio di decomposizione.
I pantaloni erano di un grigio intenso e Kilgore si rese conto solo dopo alcuni secondi di attento esame che erano rivestiti lungo i tre lati esterni di sottili lamine di metallo; per il resto, chiunque avrebbe potuto tranquillamente scambiarli per banali pantaloni di pelle lavorata o persino stoffa. Ovunque se li fosse procurati, era stata una scelta ottima.
Le calzature non era riuscito a vederle, ma dall’assenza del classico sferragliare dei comuni e ingombranti stivali di piastre, probabilmente era riuscito a trovare una Trasmogrificazione che le rendesse il più simili possibili a delle scarpe normali.
Il volto era del tutto scoperto, con le sue caratteristiche guance scavate e gli zigomi alti che per contrasto apparivano ancora più affilati e sporgenti. La pelle era sciupata, in alcuni punti addirittura segnata da vecchie cicatrici alle quali il trapasso non aveva consentito di rimarginarsi del tutto. I capelli tagliati a mo’ di spazzola disordinata che una volta dovevano essere stati biondo platino, adesso erano completamente bianchi, di una tonalità fredda che per niente si addiceva al calore che era associato alle chiome dei Sin’dorei.
Gli occhi privi di pupille brillavano di una tetra energia color del ghiaccio, anche se il suo sguardo trasmetteva una certa serenità.
«Labolas… anche tu parteciperai alla gara? Non… credevo che… la tua condizione ti permettesse di… ehm… assumere alimenti o altro...» Kilgore avrebbe voluto affrontare l’argomento - per quanto delicato fosse - in maniera leggera, non certamente con l’intento di ferire o insultare il suo interlocutore. Purtroppo si era reso conto strada facendo di quanto fosse difficile farlo.
Per fortuna, l’Elfo del Sangue non parve offendersi. Appoggiando un gomito sul tavolo, agitò leggermente l’arto in aria, come se stesse discutendo di un argomento normale.
«Teoricamente non ne avrei bisogno. In pratica, ciò non significa che non possa farlo» spiegò senza girarci troppo attorno «A quanto pare la Non Morte non si è presa anche gusto e olfatto» e accennò un sorriso con le sue labbra sottili, che un tempo probabilmente erano state il sogno proibito di molte Sin’dorei e che adesso apparivano aride e piagate attorno al prolabio.
«Puoi anche tornare ad attendere agli affari tuoi, Elfo Non Morto. Chel gattino è già mio!».
Il pesante accento Troll carico di disprezzo annunciò l’arrivo di Nalahri ancor prima che apparisse effettivamente al margine del separé. La sua ostilità nei confronti degli Elfi non era una novità, anche se nessuno all’interno della Gilda aveva la più pallida idea del motivo che l’aveva portata a ciò.
Da brava Cacciatrice quale era, indossava un’armatura di scaglie assemblata con pezzi di Naga. A Kilgore quei bruti marini al servizio di Azshara non erano mai piaciuti, ma una parte di sé non poteva che provare pietà per tutti i poveretti che erano stati scuoiati per completare il suo equipaggiamento.
L’unica cosa che mancava all’appello era l’elmo, per cui i suoi lunghi capelli fucsia erano ben visibili, assieme alla grossa treccia che raccoglieva i ciuffi al centro del cranio e decorreva poi sul retro, fino alle scapole.
Per tutta risposta al suo commento tutt’altro che educato, Labolas fece spallucce e con pacatezza rispose: «In realtà finché la gara non finisce, quel gattino appartiene ancora a Kagé…».
Nalahri si sedette dirimpetto a lui spostando bruscamente la sedia, trascinandola sul pavimento di legno facendo un gran baccano.
Sbuffò e lo guardò in cagnesco, senza aggiungere nulla, salvo poi indirizzare il suo sguardo astioso verso Alysthral. Si soffermò su di lui parecchio, scrutandolo con l’aria di qualcuno che stesse studiando un nemico da imprimersi nella memoria per gli anni a venire.
Il Nobile Oscuro si irrigidì sulla sedia, mandando con l’occhio buono sguardi di supplica verso lo Sciamano. Era chiaro che non si era aspettato un simile incontro in un’occasione così apparentemente leggera.
Il suo Zampa Radiosa - che si era acciambellato Placido sul tavolo davanti a lui - si alzò e si inarcò, soffiando minaccioso verso la Troll, confermando il sospetto di un legame davvero profondo col suo padrone.
«Che micetto minuscolo… nun gli dai da mangiare abbastanza?» schernì Nalahri, chinandosi appena verso il gattino e mostrandogli i denti in modo minaccioso.
L’animale si ritrasse appena, prima di balzare di nuovo in grembo al pirata, il quale adesso non sembrava più intenzionato a tacere sperando che la situazione si sistemasse da sola.
«Sei davvero sicura di volerlo quel gatto? Perché con quella brutta faccia zannuta potresti spaventarlo a morte» replicò in tono sarcastico.
Nalahri ringhiò, battendo un pugno sul tavolo e muovendosi come per alzarsi.
«Ripetilo se tieni il coraggio, Elfo della Notte rinsecchito…!» minacciò.
Alysthral si alzò per metà, mostrando il grosso pomello lucente di una delle spade che portava assicurate alla cintura.
«Per cortesia, non c’è bisogno di litigare così» Kilgore si levò a sua volta, frapponendo l’ampio torace lungo la linea di contatto visivo tra i due «Potete risolvere i vostri dissapori in merito al gatto con la gara. È per questo che siamo tutti qui, no?».
Non avrebbe voluto ricorrere a metodi più drastici per placarli, ma se si fosse reso necessario l’avrebbe fatto.
«Kilgore ha ragione. Vi stanno guardando tutti» si aggiunse tranquillo Labolas, anche se il suo sguardo appariva inquieto.
In effetti, attorno a loro era calato uno spiacevole silenzio e diverse teste facevano capolino oltre il separé per osservare ciò che stava accadendo al tavolo. Alcuni Pandaren, troppo grossi per riuscire ad affacciarsi senza ingombrare la sala, si erano avvicinati ai tavoli alle spalle del loro ed osservavano senza pudore lo spettacolo, insensibili al rischio d’essere notati.
Alysthral fu il primo a risedersi, sbuffando leggermente mentre distoglieva lo sguardo dalla sua nemesi.
«Forza signori, tornate ad occuparvi tutti degli affari vostri! Qui ci penso io!» gridò in tono squillante la voce di Kagé.
Nalahri e Labolas sobbalzarono per lo spavento quando la snella figura avvolta in cuoio rosso e nero comparve all’improvviso a capo del tavolo, sull’unica sedia ancora vuota. Stava seduto in posizione abbastanza composta, con la schiena dritta appoggiata contro lo schienale e le gambe accavallate. Dalla sua espressione pareva che lo spettacolo cui stava assistendo fosse di suo gradimento.
La Troll masticò un’imprecazione e parve fare un grosso sforzo di autocontrollo per sedersi senza tirare un pugno al Sin’dorei.
Kilgore tornò a sedersi a sua volta, lieto di non essere dovuto intervenire in maniera più drastica.
«Certo che si sarebbe potuto manifestare prima che la situazione degenerasse...» commentò tra sé e sé, cercando di mantenere un’espressione il più neutrale possibile.
«Bene, direi che ci siamo tutti! La gara per il possesso del mio soriano rosso può ufficialmente avere inizio!» esclamò Kagé, alzandosi in piedi e levando le braccia, battendo rapidamente le mani assieme.
Dopo appena pochi secondi, due Pandaren - una delle quali Kilgore riconobbe essere la locandiera - si avvicinarono trasportando rispettivamente due vassoi carichi di boccali.
Li depositarono dinanzi ai commensali, uno per ognuno. Su ciascun vassoio si trovavano tre boccali in legno con i manici intarsiati, molto belli a vedersi e anche molto capienti - forse anche più di quelli formato Orco che Kilgore aveva occasionalmente utilizzato nelle locande a Orgrimmar.
La birra all’interno pareva di ottima qualità e lo Sciamano era quasi ansioso di assaggiarla per avere conferma della sua prima impressione.
Una volta consegnati i vassoi, le Pandaren si allontanarono.
«Perfetto! E adesso...» Kagé rimase in piedi, ed osservò tutti uno per uno per alcuni secondi, soffermandosi un poco di più soltanto su Nalahri «VIA!».
La Troll si avventò sul primo boccale con furia quasi animalesca, mentre gli altri tre si accingevano a bere con modi meno grezzi e più civili. Forse alcuni di loro sarebbero arrivati a comportarsi come lei nel futuro, ma finché ci fosse stata anche solo una misera scintilla di sobrietà la cosa non sarebbe accaduta.
La birra era davvero buona. Nonostante l’iniziale imbarazzo alla prospettiva di partecipare ad una competizione simile, doveva ammettere di essere contento di poter godere di un tale piacere.
Il primo giro terminò relativamente in fretta. Sembrava che tutti i contendenti fossero ansiosi di testare la loro resistenza all’alcol Pandaren, e Kagé non era sicuramente intenzionato a risparmiarli in tal proposito, altrimenti non sarebbe stata una gara interessante.
Arrivarono altri boccali. Nalahri continuava ad aggredirli come se le avessero fatto un qualche torto con la loro sola esistenza, tracannandone il contenuto in pochi sorsi e poi sbattendoli sul tavolo vuoti; Alysthral e Labolas bevevano in rigoroso silenzio, anche se parevano molto più a loro agio rispetto a quando erano arrivati; Kilgore era l’unico che attualmente stava cercando di assaporare la birra piuttosto che ingurgitarne il più possibile nel minor tempo.
Ci vollero parecchi boccali prima di iniziare a vedere cenni di cedimento. Per fortuna, la vita da Ladro aveva insegnato a Kagé che se c’era una virtù che valeva la pena coltivare, quella era senz’altro la pazienza.
Rimase in attesa, studiando il comportamento sempre più mansueto della sua vittima man mano che l’alcol prendeva il sopravvento su di lei. Era esattamente il risultato che sperava di ottenere: poteva opporre resistenza per quanto le pareva, ma la resistenza ad oltranza quando si tratta di ubriacarsi ha sempre un limite. E lui era in trepidante attesa che lei lo raggiungesse. Ovviamente cercava di non dare a vedere il fatto che fosse interessato a Nalahri più che agli altri tre: in fin dei conti, era il giudice della gara e in quanto tale doveva dare una parvenza di imparzialità - altrimenti non avrebbe avuto senso imbastire tutto quanto.
«Stupida Non Morte… potevo già essere in una tomba... freddo… immobile… senza più soffrire...» se ne uscì all’improvviso Labolas, le sopracciglia basse e corrugate in un’espressione sconsolata mentre rovesciava il boccale vuoto che aveva in mano, leccando qualche goccia di birra dal bordo.
Le sue guance erano dello stesso colorito spento di sempre. A dare la sensazione che fosse ubriaco era il suo tono avvilito e il suo modo di stare scomposto a tavola, quasi sdraiato sul piano di legno che aveva dinanzi.
«Come Arthas… e il suo stupido cavallo!» all’improvviso si raddrizzò sulla sedia, assumendo una ridicola smorfia di rabbia quasi infantile mentre prendeva dal suo vassoio un altro boccale «Quelle dannate redini… le sto ancora cercando… e la Rocca di Nordania è così fredda… come una tomba...».
Il suo tono di voce era strascicato, come se facesse una gran fatica nell’atto stesso della fonazione. Vista la sua normale capacità di parola, la cosa non era assolutamente imputabile a danneggiamenti del suo apparato vocale.
Kilgore ridacchiò dal capo opposto del tavolo, prima di svuotare la metà rimanente del suo boccale ed esibirsi in un poderoso rutto - cosa che da sobrio si sarebbe vergognato troppo per fare in pubblico.
«So cosa ti serve!» se ne uscì con eccessivo entusiasmo, sollevando la mano libera e cominciando a gesticolare «Ho trovato un glifo che serve per congelare quella… palla di energia?... lo scudo magico che usate voi!» esclamò. Dal tono altalenante e dal cipiglio confuso che gli comparve in viso più volte nella composizione del discorso, era chiaro che anche se era in grado di parlare ancora agevolmente, non tutto ciò che usciva dalla sua bocca era comprensibile a lui stesso.
L’alcol stava iniziando a minare la sua tempra orchesca. Per fortuna, altrimenti Nalahri non sarebbe riuscita a spuntarla.
L’Orco tracannò altra birra, rimase per un momento a fissare il vuoto dinanzi a sé, per poi continuare: «Quello… sarebbe come una tomba, no? Freddo… l’ho trovato nelle Isole Disperse».
Si tirò su, aiutandosi con l’arto libero, per poi addossarsi contro lo schienale della sedia con aria esausta. Si scolò altri due boccali prima di riprendere a parlare, nel frattempo che le Pandaren toglievano le stoviglie vuote per portarne di altre piene.
«Ho passato… due anni a girare per quel… lo sputo di terra maledetto… e ancora non ho tutti quei dannati glifi…!» aggiunse, e stavolta sembrava che si stesse alterando - anche se Kagé, del tutto lucido, percepiva un contrasto netto tra rabbia e autocompassione.
Pur non essendo un runografo - e non essendosi mai interessato della professione in vita sua - riusciva perfettamente a capire come doveva sentirsi. Avere delle collezioni incomplete era frustrante ad un livello che la maggior parte delle persone non riusciva a comprendere.
«Murloc!» se ne uscì improvvisamente lo Sciamano, sollevando il capo di scatto per poi reclinarlo goffamente all'indietro mentre si scolava d'un fiato quasi due terzi di birra. La sua resistenza nel bere tanto velocemente era a dir poco notevole.
«Piccoli scorfani bipedi leccapiedi dei Naga...» s'intromise Nalahri con un sibilo, prima di tornare a bere in silenzio.
«Ne ho massacrati a centinaia...! Per anni!» il tono dell'Orco adesso era prettamente lamentoso, anche se l'impeto dell'affermazione poteva trarre in inganno «E non ho mai visto uno stupido glifo in tutti questi anni!».
Bevve altra birra, sbatté le palpebre forte un paio di volte e poi riprese con aria ancora più confusa di prima: «Ci torno adesso... con Ith... e lui in pochi minu-hic!... secondi ne trova due».
Agitò la bevanda rimasta nel boccale, ruotandola con mano tremante.
«Non è giusto...» brontolò infine l'Orco, svuotando l'ennesimo boccale. Faceva fatica a tenere salda la presa sul manico, cosa che faceva ben sperare Kagé circa la sua imminente sconfitta.
Con gran sorpresa di quest'ultimo, fu invece Alysthral il primo a cedere. Sbattendo il boccale vuoto sul tavolo, il Nobile Oscuro rimase saldamente aggrappato ad esso mentre squadrava gli altri compagni di Gilda con espressione inebetita ma al tempo stesso determinata. Fece per dire qualcosa, ma prima che riuscisse ad emettere un qualunque suono finì KO sul tavolo, russando piano.
Gli altri tre si bloccarono per un momento per fissarlo, chi con espressione sorpresa e chi con sguardo confuso.
«Meno uno» disse Kagé, sforzandosi di mantenere un tono quasi apatico.
Labolas si raddrizzò sulla sedia con cipiglio di colpo determinato.
«Quel gattino... è mio...!» esclamò, prima di afferrare un nuovo boccale e rovesciarsene il contenuto in bocca senza un briciolo di educazione.
«Elfo illuso» replicò Nalahri con un sogghigno, riprendendo a bere a sua volta.
L'unico cui pareva non interessare più della competizione e del suo scopo ultimo era Kilgore: l'Orco tracannava placido, scuotendo di quando in quando il capo, strizzando più volte gli occhi e cambiando svariate volte posizione con movimenti lenti e faticosi.
Aveva la vista annebbiata e cominciava ad esserci troppo chiasso per i suoi gusti - benché dai tavoli vicini gli altri avventori parlassero con un tono di voce normale.
Voleva bere ancora e ancora, anche se cominciava a sentirsi pieno e non più del tutto in grado di reggersi in una postura differente dallo stare sdraiato. Alysthral, addormentato dinanzi a lui, gli faceva quasi invidia. Una parte di lui voleva emularlo e riposarsi; un'altra invece lo incitava a tracannare altra birra, resistendo strenuamente alla debolezza fisica.
Era un Orco, non poteva perdere contro una Troll e un Elfo del Sangue, così mingherlini rispetto alla sua poderosa stazza.
Nalahri sembrava cominciare ad avere qualche difficoltà a rimanere seduta e Labolas non pareva ancora abbastanza ubriaco da crollare addormentato come il Nobile Oscuro al suo fianco. Kilgore era quello che stava dando loro più filo da torcere, data la velocità spaventosa con cui faceva sparire la birra. Se non avesse raggiunto il limite presto, la Troll non avrebbe neanche potuto aspirare a raggiungere la fase finale della gara, cosa che a Kagé non piaceva per niente.
L'Elfo del Sangue si trovò costretto ad intervenire in qualche modo per riportare la gara ad una parvenza di equilibrio: assicurandosi di essere nascosto dal bordo del tavolo, sfoderò un piccolo pugnale da uno dei suoi stivali e lo lanciò sotto di esso, mirando allo stivale rinforzato dell'Orco.
Si era allenato per anni a centrare bersagli senza doverli necessariamente guardare, ed era sufficientemente sicuro di non poter sbagliare mira. Un leggero clangore metallico gli fece capire che anche quella volta la sua esecuzione era stata impeccabile.
L’Orco, sentendo qualcosa di appuntito conficcarglisi nello spessore della maglia degli stivali, si chinò sotto il tavolo per toglierlo. Si mosse goffamente, i sensi non più in grado di mantenerlo in diretto contatto con la realtà. Non vedeva il coltellino, ma sentiva il dolore, per cui fece l’unica cosa che gli parve sensata nelle sue condizioni: protese alla cieca un braccio e cominciò a muoverlo lungo lo stivale cercando ciò che gli procurava sofferenza.
Nel far ciò, la sua stabilità già precaria venne meno: il suo largo deretano orchesco scivolò sul bordo della sedia e nel cercare di raddrizzarsi in tutta fretta per non capitombolare a terra sbatté il cranio contro il tavolo. Il piano tremò per la forza dell’impatto, e i boccali rischiarono di rovesciarsi.
«O-oooooh… la testa…!» gemette con tono stranamente stridulo, estraendo la testa da sotto il mobile. Fece per portarsi entrambe le mani a massaggiare il punto leso, ma il colpo era stato talmente ben assestato che, complice l’eccesso di alcol nel suo corpo, riuscì a mandarlo KO sul pavimento.
«Siete rimasti solo in due» annunciò Kagé, riuscendo a stento a trattenersi dal gongolare per lo splendido lavoro di sabotaggio appena eseguito.
Nalahri sghignazzò sommessamente.
«Arrenditi Elfo… chel gattino è mio» minacciò, gli occhi sgranati in un tentativo di risultare più intimidatoria «Come chell’albatros nelle spedizioni marittime… e come tutte le altre bestie».
Per quanto Labolas non avesse più voglia di trovarsi sempre nel mirino di quella maleducata Troll, non aveva intenzione di arrendersi. Gli girava la testa e faceva fatica a rimanere sveglio - una cosa che non aveva sperimentato nemmeno al risveglio dal suo accogliente tumulo di terra - ma desiderava così ardentemente di poter avere una creaturina che gli tenesse compagnia durante le infinite e vuote giornate trascorse alla Roccaforte d’Ebano che avrebbe resistito fino a che l’Aldilà stesso non lo avesse richiamato a sé.
Era stanco di sentirsi solo anche in mezzo agli altri come lui, per i quali doveva impersonare il Signore della Morte. Voleva avere qualcuno con cui potersi mostrare anche per ciò che era davvero: un povero Elfo del Sangue resuscitato dal Re dei Lich.
Con i suoi compagni di Gilda riusciva a calare la maschera che indossava invece sempre in presenza dei suoi compagni d’armi, ma farlo così sporadicamente era divenuto un peso difficile da sostenere.
Labolas sollevò un boccale pieno a mo’ di brindisi verso Nalahri, prima di scolarsene metà d’un fiato. L’atto era palesemente provocatorio e la Troll cadde nel tranello, emulandolo quasi senza pensarci.
Kagé sarebbe voluto intervenire anche in quel caso in favore della sua “prescelta”, ma temeva di risultare troppo sospetto. Nalahri già non si fidava di lui per ragioni sconosciute e non voleva darle altri motivi da aggiungere alla sua lista personale, soprattutto dopo aver imbastito tutta quella sceneggiata proprio per evitarlo.
Inoltre c’era il problema di natura tecnica riguardo il tipo di armatura: Kilgore indossava equipaggiamento di maglia, che pur essendo assai resistente era comunque possibile da penetrare con armi affilate, impartendo la giusta dose di forza nel colpo; Labolas purtroppo indossava armature di piastre che non gli consentivano di tentare una bravata come quella di poco prima senza prendere accuratamente la mira. I punti deboli non erano così visibili come in altre armature, soprattutto se la sua era anche stata Trasmogrifata.
I due superstiti sembravano più agguerriti che mai e decisi a resistere finché qualche cosa di superiore a loro non fosse intervenuto a fermarli. Ognuno aveva le sue motivazioni per desiderare così ardentemente il possesso del soriano rosso ed era determinato a prevalere sull’altro a qualunque costo.
Kagé continuava a passare lo sguardo dall’uno all’altra, cercando di captare i segnali di cedimento in entrambi. Non riusciva a capire chi dei due stesse vincendo e la cosa lo innervosiva più di quanto fosse disposto ad ammettere; tuttavia, era certo che la tempra della Cacciatrice fosse sufficiente a farla prevalere a prescindere dal suo intervento.
All’improvviso, Nalahri sbatté l’ultimo boccale vuoto sul tavolo e rimase immobile. Il Ladro vide i muscoli nelle sue braccia nude tendersi sotto la pelle blu, come se stesse sforzandosi di mantenere la posizione.
In quel preciso istante capì che si era sbagliato: il suo piano grandioso era andato in fumo. Pochi secondi dopo, la Troll crollò su un fianco, scivolando dalla sedia sul pavimento.
«Ah, ho vinto io!» esclamò Labolas, scattando in piedi per poi barcollare vistosamente e appoggiarsi alla parete per non cadere a sua volta.
Kagé avrebbe voluto stordirlo per la rabbia, ma non lo fece. Non aveva senso inimicarsi membri della Gilda di proposito, non senza la certezza assoluta che non sarebbero potuti essergli d’aiuto in futuro.
Senza dire niente, fece comparire la gabbietta del soriano e l’allungò verso Labolas, il quale l’accettò con un sorriso a metà tra il compiaciuto e l’inebetito. La sollevò per portarla dinanzi al viso e mormorò: «Adesso ti porto a casa...».
Sembrava felice in una maniera che per il Ladro era del tutto nuova. Per un attimo addirittura sembrò che le sue guance emaciate si tingessero di un salutare rosso, ma fu solo un’impressione momentanea.
Il Cavaliere della Morte aggirò barcollando Kagé e Nalahri e con non poca fatica riuscì nell’intento di aprire un portale per Acherus - la Roccaforte d’Ebano - che si richiuse dietro di lui pochi secondi dopo che l’ebbe varcato.
Kagé si inginocchiò vicino alla Cacciatrice, cercando di aiutarla ad alzarsi. Sapeva che starle così vicino era come andare a stuzzicare un vespaio, ma non riuscì a farne a meno. Era un rischio che a quel punto non gli importava più di correre.
«Aggrappati a me, ti aiuto a rialzarti...» disse a bassa voce, muovendola appena per le spalle.
Nalahri mugolò piano prima di riaprire appena gli occhi, volgendoli verso di lui. Fu stranissimo per Kagé non leggere alcun tipo di rabbia nel suo sguardo, solo sofferenza e stanchezza. Era come guardare un’altra Troll.
«Voglio… andare a letto...» mormorò in tono remissivo, come se si vergognasse di mostrarsi così debole «Tieni… voglia di accompagnarmi?».
Alle orecchie dell’Elfo del Sangue le sue parole suonarono come musica. Non riusciva a credere a ciò che aveva appena udito.
«Naturalmente» disse in tono galante, aiutandola a rimettersi in piedi.
Mentre la scortava al piano superiore, nella zona adibita al pernottamento dei clienti, Kagé si disse incredibilmente fortunato per l’essere riuscito comunque ad ottenere qualcosa nonostante il piano originario avesse fallito.