fiamma_drakon: (Default)
fiamma_drakon ([personal profile] fiamma_drakon) wrote2020-09-22 10:06 pm

Tra Cucina e Alchimia

Titolo: Tra Cucina e Alchimia
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of Life
Personaggi: Gathra (OC!Strega), Kilgore (OC!Sciamano), Malixari (OC!Cacciatore di Demoni)
Wordcount: 6930 (wordcounter)
Prompt: In un'altra dimensione e Castigo per il Capitolo 1 (3° settimana) di "Esploratori del Polyverso" @ Lande Di Fandom
Timeline: Ambientata durante l'espansione "Battle for Azeroth", dopo questa.
Note: Het, Violence
Sotto al testo dell’annuncio c’era dello spazio vuoto che era stato riempito da alcune firme. Gathra vi diede solo una rapida occhiata annoiata, constatando che la cosa non aveva riscosso molto successo: c’erano solamente quattro firme; tuttavia, si arrestò mentre stava per dare le spalle al manifesto. La grafia di qualcuno dei partecipanti gli era insolitamente familiare.
Tornò ad esaminare il foglio e con ciò il suo sospetto trovò conferma: nella lista di candidati alla gara era presente il nome di suo marito Kilgore. Essendo un runografo, la sua firma era particolarmente evidente in mezzo alle altre per la finezza del tratto calligrafico. Pur essendo un Orco, si firmava con la grazia di un Sin’dorei, con tanto di ghirigori sulla prima e l’ultima lettera.
«Quel…!» sibilò, picchiando un pugno contro la bacheca talmente forte da far vibrare l’asse di legno «È andato ad ubriacarsi senza dirmi niente!» sbottò a voce molto alta, al che molti dei passanti nei dintorni si volsero intimoriti e confusi nella sua direzione, per poi proseguire con passo più svelto verso la propria destinazione.


Dalla sconfitta della Legione Infuocata, l’entusiasmo della Signora del Fatuo Gathra era andato affievolendosi molto rapidamente. La prospettiva di non avere più schiere infinite di demoni da massacrare - o sottomettere - in giro per le Isole Disperse o sul lontano pianeta di Argus aveva spento il fervore che l’aveva animata per quasi un anno.
La guerra contro l’Alleanza non era altrettanto stimolante per una con il suo temperamento. Uccidere i soldati, infiltrarsi in territorio nemico e torturare i prigionieri raccolti al fronte per ottenere informazioni non erano una routine esaltante tanto quanto lo era andare da una parte all’altra delle Isole Disperse a fermare i continui Assalti della Legione. Per questo molto presto aveva deciso di lasciare a campioni ben più motivati di lei il fardello di portare avanti il conflitto.
Il clima di Dazar’alor non le piaceva molto: c’era troppa umidità nonostante la calura, fatto che gliela rendeva ancora meno sopportabile. Orgrimmar almeno aveva un clima prettamente arido, e a quello si era già abituata da tempo.
Nel tentativo di ammazzare meglio il tempo, trascorreva buona parte delle sue giornate gironzolando al porto della capitale Zandalari. Una delle sue mete preferite era la locanda Spiriti Vicini, presso la quale si fermava spesso per cercare di migliorare la sua abilità come cuoca. Era sicura che suo marito Kilgore avesse raggiunto un livello inarrivabile come chef per chiunque, ma non era da lei arrendersi neppure con un paragone così grande.
Era un’altra noiosa giornata come le altre. Gathra era intenta ad assaggiare il suo ultimo esperimento circa una ricetta Zandalari da poco appresa, nella speranza di poterla replicare per suo marito senza incidenti indesiderati; tuttavia, dopo aver assaggiato ciò che cucinava lui, ogni cosa era disgustosa a confronto. Sentiva la carne dura e le spezie in eccesso, senza alcun equilibrio tra loro; il pesce era troppo cotto, quasi molliccio, e le patate sembravano lesse anziché arrostite.
Stizzita, prese il piatto e lo sollevò con un movimento brusco del braccio, piazzandolo sotto il naso della Guardia dell’Ira che si trovava in piedi di fianco al suo tavolo.
«Ingurgitalo» ordinò irritata, appoggiando il viso sul palmo della mano, sostenendosi con il gomito sul piano di pietra che aveva dinanzi. Non si degnò nemmeno di girarsi a guardare il suo interlocutore, preferendo rivolgere il suo sguardo carico di frustrazione e rabbia nella generica direzione del mare che si poteva ammirare dalla terrazza.
Il demone abbassò gli occhi sul piatto con un’espressione combattuta tra il cercare di rimanere impassibile e una sincera manifestazione di esasperazione.
“Perché sempre a me?” sembrava comunicare la sua smorfia mentre poggiava a terra le grosse asce bipenne di Arcanite che brandiva per prendere il piatto.
La forchetta era minuscola per le dimensioni della sua mano, tanto che spariva tra le sue dita.
Solo una volta che ebbe preso la stoviglia la Strega si girò a fissarlo con sguardo intento.
«Come ti pare? Sii sincero» disse in tono severo, le labbra serrate in una linea sottile. Il suo atteggiamento lasciava presupporre che fosse tutt’altro che disposta a sentirsi rivolgere delle critiche.
La Guardia dell’Ira esitò per un istante prima di infilzare un boccone di cibo, sollevarlo e portarlo alla bocca. Masticò per qualche momento e poi deglutì.
Seguirono altri secondi di silenzio prima che si decidesse a rispondere: «Abbastanza buono».
Come a voler dare ulteriore conferma alle sue parole, cominciò a ripulire il piatto, sbocconcellando lentamente la pietanza che gli era stata propinata.
Gathra fece schioccare la lingua, ruotando altrove la testa, guardando verso la strada principale. Molti avventurieri come lei transitavano su e giù per la grande gradinata in sella alle loro cavalcature, sfoggiando quasi con orgoglio i segni della Corruzione di N’zoth sulle loro armature.
Neanche la prospettiva di affrontare un Dio Antico risvegliato stuzzicava il suo entusiasmo.
«Che noia… non c’è niente per cui valga la pena rimanere ancora qui...» sbuffò, decidendo infine di alzarsi «Andiamo Khilgorath… vediamo se c’è qualcosa di nuovo nella bacheca di Gilda. Forse qualcun altro si starà annoiando quanto me… lo spero».
Ciò detto, la Signora del Fatuo si allontanò di gran carriera in direzione della scalinata. La Guardia dell’Ira si affrettò a trangugiare in un sol boccone quel che era rimasto nel piatto prima di deporre la stoviglia vuota sul tavolo, recuperare le sue armi e seguirla.
Attraversarono la terrazza su cui erano state messe alcune postazioni esterne per la locanda. Arrivata al bordo che si immetteva sul pianerottolo della scala, Gathra evocò la sua cavalcatura - un destriero violaceo che pareva uscito direttamente dalla Distorsione Fatua - e vi salì in sella, gettandosi al galoppo in direzione del porto.
Khilgorath dovette inseguirla correndo giù per le scale a tutta velocità. Per sua fortuna lo sforzo fu intenso ma di breve durata: Gathra svoltò a sinistra, dove si trovavano vari artigiani intenti a raccogliere risorse dagli avventurieri di passaggio da impiegare nei Fronti di Guerra a Rivafosca e sull’Altopiano d’Arathi, fermandosi appena oltre la fontana situata a ridosso del terrazzamento.
Qui si trovava una bacheca che la sua Gilda utilizzava per appendere note di eventi, ritrovi e quant’altro. Normalmente era vuota, poiché era raro che organizzassero qualcosa di grosso: ognuno preferiva agire per conto proprio, andando per la sua strada finché non incappava in un problema che esulava dalle proprie abilità individuali. Gathra era pienamente d’accordo con tale comportamento, poiché anche lei lo praticava senza alcuna vergogna.
Quella volta invece c’era un foglio ad attendere chiunque si degnasse di fermarsi a leggere. Era stato appuntato con un paio di piccoli attrezzi a forma di stella che l’Orchessa non aveva mai visto prima, ma che era certa fossero un qualche tipo di arma esotica a lei sconosciuto. Ingombrava tutta la zona centrale, come se l’autore volesse essere certo in maniera assoluta che l’attenzione di tutti gli eventuali lettori si focalizzasse solo su quello.
La Signora del Fatuo sgranò gli occhi meravigliata e si affrettò a smontare da cavallo - il quale svanì immediatamente in una nube di energia viola - per avvicinarsi a leggere la comunicazione.
Qualsiasi cosa le andava bene pur di ammazzare il tempo in attesa che N’zoth fosse abbattuto da qualche coraggioso e audace manipolo di avventurieri, permettendole di tornare ad attendere ai fatti propri in posti più interessanti di Azeroth.
Le sue speranze andarono in frantumi quando iniziò a leggere il messaggio: a quanto pareva, Kagé - uno dei Ladri della Gilda, un Elfo del Sangue che non aveva mai brillato per qualità particolari ai suoi occhi - stava organizzando una gara di bevute mettendo in palio una mascotte felina che aveva d’avanzo. O meglio, aveva organizzato: la data riportata a fine testo risaliva ad alcuni giorni prima.
Non che a lei importasse qualcosa dell’evento: non era un’appassionata di alcolici, nemmeno per quelli di eccezionale qualità di Pandaria - continente presso il quale si era svolta la competizione.
Sotto al testo dell’annuncio c’era dello spazio vuoto che era stato riempito da alcune firme. Gathra vi diede solo una rapida occhiata annoiata, constatando che la cosa non aveva riscosso molto successo: c’erano solamente quattro firme; tuttavia, si arrestò mentre stava per dare le spalle al manifesto. La grafia di qualcuno dei partecipanti gli era insolitamente familiare.
Tornò ad esaminare il foglio e con ciò il suo sospetto trovò conferma: nella lista di candidati alla gara era presente il nome di suo marito Kilgore. Essendo un runografo, la sua firma era particolarmente evidente in mezzo alle altre per la finezza del tratto calligrafico. Pur essendo un Orco, si firmava con la grazia di un Sin’dorei, con tanto di ghirigori sulla prima e l’ultima lettera.
Seguì un momento di assoluta calma in cui lo sguardo di Gathra si perse nell’esaminare la manciata di lettere che componevano il nome del suo compagno, poi di colpo la sua espressione si distorse in una smorfia di rabbia e indignazione.
«Quel…!» sibilò, picchiando un pugno contro la bacheca talmente forte da far vibrare l’asse di legno «È andato ad ubriacarsi senza dirmi niente!» sbottò a voce molto alta, al che molti dei passanti nei dintorni si volsero intimoriti e confusi nella sua direzione, per poi proseguire con passo più svelto verso la propria destinazione.
Lo lasciava libero di andare in giro a fare l’eroe senza pretendere niente in cambio, ad eccezione della fedeltà assoluta al giuramento del matrimonio; tuttavia, Gathra era una donna cui non piaceva che le venissero taciute le cose, specialmente da parte del suo compagno. Se faceva qualcosa che esulava dalla norma, lei doveva esserne al corrente. Quella “scappatella” a Pandaria era una mancanza di rispetto nei suoi confronti che non era disposta ad accettare.
«Oh… la pagherà cara…!» sibilò, mentre un sogghigno carico di promesse di vendetta le sbocciava sul viso.
Senza aggiungere altro, ricacciò Khilgorath nella Distorsione Fatua e richiamò il suo destriero fatuo, quindi si levò in volo diretta verso il Gran Sigillo.

Il trasportatore per la Sala del Cuore brillò e la figura di un Elfo del Sangue a torso nudo coi capelli neri tagliati corti e un bel paio di corna ricurve all’indietro. Le lunghe gambe snelle erano fasciate in un paio di aderenti pantaloni di cuoio nero che terminavano in stivali dello stesso colore.
Gli occhi sfregiati e cavati erano stati rimpiazzati da inquietanti sfere di energia vile che luccicavano nella penombra del breve corridoio che portava alla stanza del Cuore di Azeroth.
Il Cacciatore di Demoni fece per muovere un passo avanti, quando si sentì afferrare per la cintura delle brache e strattonare violentemente all’indietro. Mancò il primo passo, sbilanciandosi in avanti e rischiando di finire prono sul pavimento; per fortuna i suoi riflessi furono abbastanza pronti da fargli spiccare un breve salto sul secondo piede, al quale fece seguire un secondo balzo accompagnato da un’elegante planata con le sue ali da pipistrello demoniache e retrattili - un accessorio che tornava assai utile in una miriade di occasioni.
L’ultimo salto evidentemente colse alla sprovvista il suo aggressore misterioso, che lasciò la presa sulla sua cintura prima di venir trascinato in aria.
L’Elfo del Sangue piroettò sul posto e poi atterrò nello stesso punto da cui era partito, ma voltato nella direzione opposta.
«Chi c’è?» domandò in tono seccato. La sua vista cieca gli consentiva di percepire il mondo attorno a sé per mezzo delle energie che permeavano ogni cosa e persona, per cui era perfettamente consapevole della figura che aveva dinanzi… e del suo accompagnatore demoniaco.
«Buonasera Malixari» Gathra fece un passo avanti, calpestando il margine del trasportatore senza attivarlo. Il suo tono malcelava la sua irritazione e Malixari era abbastanza intuitivo da capire che qualsiasi cosa volesse l’Orchessa da lui, non era disposta a vedersela negata.
Lui aveva una certa fretta dato che voleva affrontare la Visione Orripilante di Orgrimmar prima che questa venisse sostituita per la settimana successiva da quella di Roccavento, quindi non era incline allo scambio di convenevoli.
«Qualsiasi cosa tu voglia, sputa il rospo. In fretta» rispose, incrociando le braccia sul petto nudo, fingendo una pazienza che in realtà non possedeva. I tatuaggi sul petto brillavano appena nella poca luce che illuminava il corridoio.
La Strega sorrise con evidente compiacimento.
«So che frequenti molto spesso mio marito mentre bazzicate in giro per Azeroth a macellare feccia dell’Alleanza, far scampagnate negli incubi di N’zoth e quant’altro» Gathra parlò tutto d’un fiato, atteggiandosi come se tutto ciò non fosse importante per lei - anche se Malixari dubitava fortemente che in tal caso si sarebbe presa la briga di cercarlo e fargli tutto quel bel discorsetto.
Dopo una breve pausa, riprese: «Voglio solo sapere dove trovarlo. E penso che tu meglio di chiunque altro nella Gilda possa saperlo».
L’ultima affermazione fu pronunciata con un tono di voce particolare. Malixari non avrebbe saputo dire con certezza se fosse più frustrata per il fatto di non essere la persona con cui Kilgore trascorreva la maggior parte del suo tempo oppure più trepidante per l’attesa della sua risposta. In ogni caso, il sogghigno che le increspava appena le labbra lasciava presupporre che le sue intenzioni non fossero delle più pure.
All’Elfo del Sangue in realtà non interessava se avesse qualche rimostranza da far presente al suo compagno. In fin dei conti, Kilgore si era assunto un impegno con il matrimonio che comportava anche delle responsabilità, e non spettava certamente a lui mettersi in mezzo per cercare di risolvere i loro problemi.
«Lo troverai alla Porta Insanguinata, a Zuldazar. Sono giorni che massacra Troll del Sangue a caccia di anime» rispose semplicemente il Cacciatore di Demoni «Soddisfatta?» soggiunse, inarcando un sopracciglio.
A giudicare dal sinistro sorriso della sua interlocutrice, probabilmente era così.
«Grazie» si limitò a dire la Signora del Fatuo, al che Malixari si reputò congedato. Si volse e se ne andò senza dire altro.
Gathra fece un passo avanti, portandosi al centro del trasportatore, quindi lo azionò per tornare all’esterno, vicino alla spada di Sargeras ancora conficcata a Silithus e soprattutto al portale per Dazar’alor.

Il tanfo di sangue che impregnava l’aria nella zona della Porta Insanguinata era quasi nauseabondo. Con il passare dei giorni l’iniziale disgusto di Kilgore era andato scemando, anche se purtroppo non riusciva a cancellarlo del tutto: il suo olfatto, abituato a cogliere gli aromi del cibo in cucina, riusciva a fargli discernere tutti gli sgradevoli odori di carne in decomposizione, di sangue sia fresco sia rappreso e persino quelli della palude che i Troll cannibali avevano ancora addosso.
Il giorno dopo la colossale sbronza che si era preso a Pandaria durante la competizione per il Soriano Rosso, quel caleidoscopio di odori atroci l’aveva sopraffatto per la prima volta, facendogli dare di stomaco in mezzo all’erba, sotto gli sguardi delle guardie Zandalari che tenevano perennemente sotto controllo la zona.
Solo una volta superata la sindrome da post-sbornia era stato lucido abbastanza da vergognarsi della pietosa figura che aveva fatto; tuttavia, almeno sul momento era riuscito a fare ciò che doveva senza pensieri inutili a distrarlo.
Aveva appena finito di mietere alcuni Echi di Mortalità - tre nello specifico - e in sella al suo elementale d’aria stava tornando presso le piccole tende che erano state allestite tempo addietro sul margine della piccola conca che accoglieva la Porta Insanguinata. Era stata una giornata lunga e noiosa e il suo magro bottino non lo gratificava per tutta la fatica spesa, ma era pur sempre meglio di niente. Il misterioso Viandante Eterno Xolartios, quando gli aveva detto che ogni creatura vivente alla morte lasciava una traccia dietro di sé, non gli aveva detto che sarebbe stato così difficile raccoglierle.
«Non vedo l’ora di poter dormire… sono stanco morto» commentò tra sé e sé, atterrando dinanzi ad una tenda attrezzata con alcuni giacigli e coperte.
La Zandalari in piedi davanti all’ingresso gli sorrise con un cenno del capo. Dopo tutte le notti durante le quali gli aveva dato un letto in cui dormire, era quasi naturale che lo salutasse in maniera così amichevole.
Prima di entrare e abbandonarsi ad un lungo sonno più o meno ristoratore, l’Orco si allontanò di qualche metro per produrre un piccolo falò da campo da poter utilizzare per prepararsi qualcosa da mettere sotto i denti. Il suo stomaco aveva cominciato a brontolare già da un’ora, e sicuramente con la pancia piena avrebbe dormito meglio.
Era intento ad accendere il fuoco quando udì una voce femminile a lui ben nota provenire da oltre le sue spalle: «Adesso cucinare nelle locande non è più un’attività così gratificante, caro il mio Orchetto?».
Kilgore ruotò leggermente sul posto per controllare che la stanchezza non gli stesse giocando un brutto scherzo. I suoi occhi azzurri si posarono sulla figura di un’Orchessa con una cresta di capelli rosso scuro e vestita di viola, con due inequivocabili teschietti appuntati sui paraspalle dalle cui orbite trasudava dell’energia azzurrognola simile a fuoco.
«Gathra… cosa ci fai qui?» chiese lo Sciamano con tono meravigliato, affrettandosi ad alzarsi per poterla guardare senza difficoltà negli occhi «Non… mi sembravi incline a lasciare Dazar’alor l’ultima volta che ci siamo visti...» soggiunse, cercando di non fare la parte del compagno che cerca di fuggire dalla sua metà come se avesse qualche segreto da nascondere.
«È vero, questo posto non mi piace per niente» convenne svelta la Strega senza neppure provare a fingere altrimenti «Infatti non sono qui per il panorama, né per lo sterminio indiscriminato di Troll cannibali della palude» aggiunse, lasciando vagare lo sguardo per qualche secondo sul panorama circostante, per poi appuntarlo sul suo interlocutore.
Kilgore sobbalzò leggermente sentendosi trapassare dall’espressione inquisitoria della sua compagna. Non aveva fatto niente di male, ne era sicuro; eppure percepiva di essere giudicato colpevole da lei.
«Vuoi… cenare insieme a me?» azzardò l’Orco con la voce che tremava appena nonostante cercasse di convincersi di non aver commesso alcun errore che potesse far arrabbiare la sua metà «Non ho con me molte provviste ma… credo possano bastare per due persone».
Gathra si avvicinò lentamente a lui, rivolgendogli un sorriso. Era un’espressione così inusuale sul suo viso da sembrare quasi irreale.
«Una cena, dici…?» domandò, facendosi dappresso a suo marito mantenendo inalterata quella specie di smorfia bonaria sulle sue labbra.
Ogni fibra del corpo di Kilgore gli gridava di darsela a gambe finché ne era ancora in grado, ma qualcosa dentro di lui lo tratteneva inchiodato dove si trovava. Non sapeva se fosse stupidaggine, amore o la cieca fedeltà nel matrimonio a impedirgli di dare ascolto al suo istinto di sopravvivenza. Ciò che pareva certo era che non si sarebbe mosso di un centimetro.
«Non è il posto più romantico del mondo, ma credo possa comunque andare bene» rispose determinato. Forse mostrandosi calmo e risoluto le avrebbe dimostrato di essere innocente. Era un’illusione in cui cercava persino lui di credere.
Gathra protese fulminea un braccio verso una delle sue spalle, la superò e gli ghermì il lobo dell’orecchio, strattonandolo verso il basso. Pur essendo più bassa di lui di tutta la testa, riuscì a farcela senza alcun problema.
«Ahi! Ahio! Mi fai male…!» gemette l’Orco con una nota stridula nella voce a causa del dolore.
«Pensi davvero che una normale cena possa cancellare quello che hai fatto?! Scordatelo!» gli gridò in un orecchio l’Orchessa, stordendolo momentaneamente.
«C-cosa ho fatto?! Sono stato qui per giorni da solo!» cercò di difendersi lo Sciamano parlando precipitosamente, non capendo a cosa sua moglie si stesse riferendo «N-non c’erano demoni e nemmeno altre donne! Te lo giuro!».
La sua compagna gli lasciò andare il lobo dell’orecchio ma soltanto per tirargli un ceffone con tanta forza da farlo barcollare.
«Gathra…!» borbottò in tono piagnucoloso l’Orco, finendo col sedere sull’erba. Una mano salì alla guancia colpita e i suoi occhi cercarono quelli di sua moglie, lucidi per le lacrime di dolore che si stava sforzando di trattenere.
Era parecchio tempo che non si vedevano. L’ultima volta era stata alcune settimane prima presso gli Spiriti Vicini al porto di Dazar’alor. Non le era sembrata particolarmente arrabbiata con lui per la sua lunga assenza; anzi, era stata contenta di poter mangiare con lui e stargli vicina per qualche ora. Forse aveva sopravvalutato la forza di spirito che aveva sempre dimostrato di possedere.
«Non so cosa… pensi che abbia fatto…» esordì l’Orco, al che l’altra si chinò su di lui con gli occhi dardeggianti d’ira.
«Non lo sai?! Non vorrai mica farmi credere che qualcuno ti abbia costretto a partecipare alla gara di Kagé a Pandaria?!» lo accusò apertamente.
Lo Sciamano la fissò a bocca aperta per qualche secondo, attonito, poi arrossì.
«Non pensavo che ti interessasse… te l’avrei detto altrimenti» si giustificò prontamente.
«Pensi di poter andare in giro a ubriacarti senza che ti accompagni?!» insistette ancora la Strega «Senza che io ne sia al corrente?!».
Ecco dov’era il problema. Adesso riconosceva sua moglie per l’Orchessa manipolatrice e possessiva che era sempre stata. Era stato un errore sciocco da parte sua non dirle niente pur sapendo quanto le piaceva vederlo inerme sotto l’effetto dell’alcol - e per quanto si reputasse resistente agli effetti della birra, quella di Pandaria riusciva a farlo capitolare senza problemi.
«Mi dispiace...» mormorò con un sospiro «Non credevo che ti importasse così tanto...» ammise con estrema e umile sincerità.
«Be’, credevi male» Gathra si raddrizzò e incrociò le braccia con aria di rimprovero «Quindi… adesso ti meriti una punizione...».
I castighi della sua compagna erano spesso e volentieri molto “originali”, per non dire perversi e contorti. Il suo corpo la maggior parte delle volte ne usciva vessato al limite dell’inabilitazione a fare qualsiasi cosa, anche la più semplice; tuttavia, non si era mai tirato indietro. Conosceva Gathra da una vita e per quanto il suo lato sadico incutesse timore nei più, lui l’amava esattamente per ciò che era. L’aveva sposata con la consapevolezza che non sarebbe cambiato niente nel loro rapporto; anzi, il vincolo del matrimonio avrebbe forse rafforzato ulteriormente il senso di possessività che l’Orchessa nutriva nei suoi riguardi.
Kilgore era stanco, sporco e affamato, eppure si raddrizzò esibendo le sue spalle massicce e recentemente raddrizzate con lo stesso orgoglio di un condannato alla gogna.
«Sì… mia signora» esclamò con dignità e sottomissione al tempo stesso «Dove dobbiamo andare?».
Gathra frugò nel suo zaino ed estrasse una pietra viola di forma ovale su cui era incisa una runa a forma di occhio. L’oggetto era ben familiare a Kilgore, che ne aveva uno identico con sé e che si affrettò a tirare fuori.
«Le Isole Disperse sono grandi… e senza spazi appartati...» fece presente lo Sciamano, esitante.
«Io non ho mai parlato di scendere a terra» ribatté criptica la Strega, prima di attivare la sua Pietra del Ritorno.
Con un debole sospiro, Kilgore fece altrettanto.

Quando Gathra condusse Kilgore attraverso un pertugio alla base dell’edificio sede del Kirin Tor che si inoltrava nelle viscere della città stessa, per un momento l’Orco temette che qualsiasi cosa le ronzasse nella mente volesse farla nelle fogne. A dispetto del nome, erano praticamente un quartiere accessorio bazzicato perlopiù da delinquenti e mercanti di contrabbando. A Kilgore non era mai piaciuto inoltrarsi laggiù, dato che non appena le guardie della città si allontanavano i membri di Orda e Alleanza cominciavano a darsele di santa ragione senza freni.
L’idea di essere contemporaneamente alla mercé di sua moglie e di qualche cane dell’Alleanza di passaggio lo turbava profondamente.
Accarezzò l’idea di protestare, magari suggerirle un luogo più civilizzato - per esempio una delle numerose locande della città - ma poi tacque per timore di farla arrabbiare ancor di più e si affrettò a seguirla giù per i gradini.
I suoi timori riguardo le fogne si rivelarono presto infondati, ma soltanto per concretizzarsi in qualcosa di quasi peggiore: la Strega lo condusse infatti fino ad un grande varco in metallo nero situato a ridosso di una parete laterale e sorvegliato da due Guardie dell’Ira dall’aria arcigna. Un portale color verde acido brillava all’interno del passaggio.
Come Gathra si avvicinò, i demoni anziché attaccare la salutarono con un cenno del capo, per poi tornare immobili. Ciò poteva significare soltanto una cosa.
«Non… stiamo andando nella tua Enclave… vero?» Kilgore non riuscì a trattenersi dal porre il quesito, titubante e anche un po’ impaurito.
Sapeva che la Faglia di Malosfregio - l’Enclave degli Stregoni - si trovava nella Distorsione Fatua, una dimensione differente da quella in cui si trovavano. Era stata sottratta al dominio di un demone potente dal Concilio della Mietitura Oscura e adesso fungeva da base operativa per lo stesso.
Kilgore era uno Sciamano. Il suo legame con gli elementi era forte e ancora ricordava distintamente la sensazione di malessere fisico che aveva provato recandosi nella Valle di Torvaluna delle Terre Esterne, corrotta dal potere di Gul’dan. Non osava immaginare che tipo di reazione potesse avere entrando in una dimensione talmente satura di corruzione vile che probabilmente gli elementi neanche avevano avuto modo di prendere consapevolezza di loro stessi nel corso dei secoli. Forse non avrebbe sentito niente…? L’agonia della corruzione non poteva sussistere senza qualcosa che potesse subire tale processo.
«Dove altro credevi che saremmo andati?» lo canzonò Gathra «Forza, entra. Sarà un po’ come tornare alla Mano di Gul’dan».
La Strega rimase ad osservarlo, in attesa che fosse lui il primo a varcare il portale. Kilgore deglutì a vuoto, per niente convinto sul fatto che fosse una buona idea. Spostò il peso da un piede all’altro, osservando le vorticanti energie vili del portale con cipiglio dubbioso, senza riuscire a decidersi.
«Andiamo! Salta nel portale!» abbaiò l’Orchessa in tono aggressivo, dandogli una poderosa pacca sul sedere.
Kilgore scattò senza pensarci, colto alla sprovvista dal grido. Si tuffò nel portale, pentendosi solo all’ultimo istante di averlo fatto. Ormai era tardi per tornare indietro.
Si sentì mancare il terreno sotto i piedi e la gravità cominciò a fare cilecca. Le vertigini lo aggredirono, facendogli desiderare ardentemente di essersi opposto a tutto ciò. Per fortuna, il viaggio durò una manciata di secondi.
Quando le tenebre vorticanti si diradarono attorno a lui, cadde in ginocchio su un terreno di roccia arida e dura, ansimando leggermente per lo sconvolgimento. Sollevando lo sguardo, si ritrovò dinanzi ad un panorama come non ne aveva mai visti prima in vita sua: piccole guglie arcuate si innalzavano tutt’attorno a lui, sporcate dal Vile. Il portale si trovava alla fine di un piccolo sentiero scosceso, per cui non riusciva a vedere molto altro a terra; il cielo era nero, solcato da stralci di nubi di Vile. Gli ricordavano i fumi tossici prodotti dalle macchine Goblin, ma verdi e non maleodoranti.
Kilgore abbassò la testa, fissando con occhi sgranati la roccia sotto di sé e iniziando ad ansimare più forte, quasi rantolando.
Gli elementi in quella dimensione non c’erano. E il suo legame sciamanico con essi sembrava essere stato reciso di netto nella maniera più brutale possibile. Era come se gli avessero strappato un organo vitale che fino ad allora non sapeva di possedere.
Si rannicchiò sul terreno, cercando di ricomporsi e di superare l’invalidante malessere che gli attanagliava le viscere.
Gathra gli comparve accanto pochi istanti più tardi. Vedendolo già a terra tremante lo afferrò per la cintura e lo strattonò senza tante cerimonie per esortarlo ad alzarsi.
«Esagerato, eppure non è la prima volta che entri in un portale…!» commentò esasperata.
Sentendosi tirare per il bordo dei pantaloni, Kilgore cercò di alzarsi, ma nel momento in cui si trovò di nuovo in posizione eretta, le vertigini lo aggredirono con tale forza che ricadde al suolo dando violentemente di stomaco.
Vomitò solamente bile, dato che non aveva ancora mangiato, ma almeno la sensazione di nausea si attenuò. La gola gli bruciava e il sapore che aveva in bocca era disgustoso. Sputò a terra e tossì cercando di scacciarlo, ma senza successo.
Gathra roteò gli occhi al cielo, aspettando che finisse di dare spettacolo a pochi metri di distanza.
Lo Sciamano riprovò ad alzarsi, stavolta più lentamente, riuscendo a rimanere in piedi con sufficiente equilibrio da poter muovere qualche passo verso la sua compagna.
Quest’ultima notò che aveva un colorito piuttosto spento e pallido che prima non aveva notato, ma non ci diede troppo peso.
Gathra si incamminò lungo la salita.
«Non… andiamo con le cavalcature?» chiese con voce stanca Kilgore.
«Credo che camminare ti faccia bene. Sai… per ambientarti» ribatté l’Orchessa.
L’altro non disse nulla, limitandosi a seguirla pian piano. Una volta arrivato in cima, poté constatare che la Faglia era costellata di pozze di Vile liquido. Al centro c’era una sorta di spiazzo un poco sopraelevato al centro del quale era stato realizzato un cerchio rituale.
Gathra lo aggirò verso destra, imboccando un sentiero che portava ad una zona sottostante.
Kilgore si guardò intorno confuso notando che non c’era anima viva nei paraggi, né mortali né demoni.
«Dove sono gli altri Stregoni…?» osò chiedere. Del resto, peggio di come si sentiva non credeva di poter stare.
«Li ho mandati a svolgere degli incarichi a terra» sua moglie liquidò la questione con un’alzata di spalle «Dopotutto l’hai detto anche te… le Isole Disperse sono grandi… non si faranno vivi tanto presto» assicurò la Signora del Fatuo.
Chissà perché la prospettiva non pareva così rosea a Kilgore.
Una volta giunti ai piedi del sentiero, svoltarono sulla sinistra, portandosi in una parte dell’Enclave priva di pozzanghere pericolose. In quest’area erano state costruite numerose capanne di pietra, semplici ma funzionali.
Gathra tirò a diritto fino in fondo, dove si trovava un alloggio che spiccava nettamente sugli altri. Non c’era alcun dubbio sul fatto che avesse fatto valere la sua carica di Prima del Concilio della Mietitura Oscura per ottenere una parvenza di casa vera e propria. C’era persino una tenda a fare le veci della porta - lusso che nessun altro aveva potuto permettersi a giudicare da ciò che il suo ospite poteva vedere.
La Strega si avvicinò e scostò la tenda, rimanendo di fianco all’ingresso per invitare suo marito a precederla. Seppur con una certa riluttanza, quest’ultimo varcò la soglia.
L’interno era composto di una singola stanza in cui si trovava il suo giaciglio - un materasso con tanto di lenzuola adagiato sul pavimento - e un angolo cottura con una bella base ampia per accendere un falò. In un angolo era anche stata posizionata una specie di credenza su cui aveva sistemato tutta una serie di attrezzature di chiara origine alchemica. C'erano un sacco di ampolle piene di liquidi colorati e attrezzature di vetro in attesa di essere utilizzate e Kilgore sperava in cuor suo che non avesse intenzione di propinargli qualche cosa che era appena uscita da uno di quegli alambicchi dalle forme bizzarre.
«Sul letto» ordinò in tono imperioso Gathra, indicandogli il materasso mentre si recava proprio verso il suo piccolo angolo di laboratorio.
L'Orco sospirò in maniera impercettibile: era stato bello potersi illudere per qualche secondo che non sarebbe stato drogato con chissà quale intruglio.
Si sedette sul bordo del materasso, constatando subito che a dispetto dello spessore esiguo, era discretamente morbido.
Si sfilò gli stivali e li mise da parte, giusto per non sporcare il letto qualora avesse dovuto sdraiarsi - cosa molto probabile considerato il fatto che sua moglie gradiva essere in posizione di vantaggio su di lui.
La vide chinarsi ad aprire le ante in legno della credenza che fungeva da tavolo e raccogliere tra le braccia diversi flaconi di vetro - almeno a giudicare dal rumore che producevano scontrandosi tra di loro.
Lo Sciamano aguzzò la vista cercando di capire da quel poco che riusciva a vedere tra il bordo dell'anta e il braccio di sua moglie che razza di contenitori fossero. Si sorprese del fatto che somigliassero a comunissime bottiglie, simili a quelle del vino.
«Non può voler soltanto bere qualcosa insieme...» ponderò tra sé e sé con una punta di costernazione «Se fosse stato tutto lì avrebbe accettato la mia proposta di cenare assieme... e non avrebbe parlato di punizioni...».
Quando la Strega si rialzò e si volse verso di lui, ebbe la definitiva conferma che c'era qualcosa che non andava: quelle che teneva tra le braccia erano davvero soltanto delle bottiglie.
«Non è possibile» si disse in tono fermo, convinto che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva in tutto ciò «Ehm... ti serve una mano con quelle?».
Kilgore si alzò per metà dal materasso nel proporsi di aiutarla, ma la sua compagna lo fulminò con un'occhiataccia.
«Sta' fermo lì, non ho bisogno del tuo aiuto» esclamò perentoria, avanzando con passo sicuro. In effetti pareva che non stesse facendo la minima fatica a portare tutta quella roba.
Portò il suo fardello sul letto, quindi si inginocchiò accanto al suo compagno e depose il tutto al suo fianco.
«Che... cosa è?» osò domandare l'Orco, studiando la bottiglia più vicina. Purtroppo il vetro scuro non lasciava alcuna possibilità di capire cosa ci fosse all'interno.
Non sapeva se la sua curiosità in materia avrebbe suscitato ulteriormente l'ira della Strega, ma tutto sommato valeva la pena correre il rischio.
Quest'ultima prese una bottiglia, tolse il tappo di sughero e gliela porse.
«Non ho le tue competenze in materia culinaria, quindi ho cercato di creare della birra utilizzando le mie nozioni alchemiche» spiegò.
Kilgore lanciò un'occhiata fugace a lei e alla quantità discreta di birra che aveva già prodotto. Contò almeno una dozzina di contenitori.
«I-i test allora... devono essere andati bene...» commentò, accennando un sorriso. Sapeva che aveva diversi laboratori sparsi in giro, che utilizzava come basi operative per la caccia alle cavie. Uno di essi le era stato precluso per sempre con l'eliminazione del portale che conduceva alla Draenor della linea temporale scombussolata da Garrosh, ma sapeva che ne possedeva almeno un altro nelle Terre Esterne, presso la Mano di Gul'dan.
I Vilorchi della Penisola del Fuoco Infernale e quelli che bazzicavano le rovine Draenei nella Valle di Torvaluna erano stati decimati dalle sue sperimentazioni tutt'altro che sicure.
Con un sorrisetto la Strega gli spinse in mano la bottiglia.
«Quali test?» chiese con aria di finta innocenza.
Lo Sciamano abbassò lentamente lo sguardo, e in un istante il "castigo" cui sua moglie gli aveva accennato gli fu chiaro come il sole che splendeva implacabile sulle distese desertiche di Uldum.
I test non c'erano stati... perché sarebbe stato lui a fare la cavia.
«Dovrebbe essere solo birra... al massimo saprà di disinfettante per medicazioni...» commentò tra sé e sé mentre si accingeva a tracannare il primo sorso.
I suoi timori sul sapore disgustoso si rivelarono infondati - per sua fortuna, dato che fingere che qualcosa fosse di suo gradimento quando non lo era gli risultava impossibile. Sapeva effettivamente di birra, anche se non della migliore qualità. Qualsiasi fosse stato il contenitore in cui l'aveva lasciata fermentare, aveva lasciato un retrogusto strano nella bevanda che all'Orco ricordava il tanfo della bottega di Alchimia di Dalaran.
Sicuramente sentiva la differenza rispetto ad una birra prodotta da un cuoco.
Dopo il primo sorso attese qualche secondo, aspettandosi di tutto: crampi addominali, nausea, vertigini, intorpidimento della lingua, allucinazioni, anosmia e chi più ne ha più ne metta. Il caleidoscopio di possibili effetti - collaterali e non - era virtualmente infinito quando si trattava delle pozioni di Gathra.
Constatando che non era ancora successo niente, decise che poteva arrischiarsi a berne ancora.
«Bravo, così si fa...» l'Orchessa gli accarezzò un pettorale nudo con fare quasi lascivo «Non vorrei vedermi costretta a farti scolare tutta questa roba con la forza...».
Kilgore represse un fremito all'idea di dover svuotare tutte quelle bottiglie, specialmente considerato che né lungo la strada per arrivare lì né all'interno della casa aveva visto niente che potesse anche solo lontanamente somigliare ad una latrina.
«Forse gli Stregoni orinano nel Vile...» si ritrovò a ponderare con un certo timore, portandosi nuovamente alla bocca la bottiglia.

«Avanti, ne manca solo una...!».
Gathra era in ginocchio sul suo "giaciglio" e osservava intenta suo marito. Nei suoi occhi c'era un barlume di follia a stento contenuta mentre studiava i lenti movimenti con cui Kilgore stava riportandosi per l'ennesima volta la bottiglia alle labbra.
«Come se le altre sette non contassero...» ponderò l'Orco tra sé e sé, versandosi in bocca le ultime gocce di birra prima di buttare assieme alle altre il contenitore vuoto.
Si era steso sul materasso man mano che quella tortura era andata avanti, dato che le sue condizioni fisiche erano peggiorate velocemente: anche se all'inizio gli era sembrato che fosse una bevanda innocua, in realtà quella roba aveva cominciato a fare effetto lentamente.
Prima erano arrivate le vertigini, poi la confusione mentale, una pressante sensazione di stanchezza e infine la difficoltà a mettere a fuoco ciò che aveva attorno. Erano tutti effetti che aveva già sperimentato in vita sua a seguito di una sbronza presa come si doveva; tuttavia, quando normalmente si ubriacava iniziava a perdere anche consapevolezza di cosa faceva e percezione di ciò che lo circondava. In quell'occasione invece era rimasto perfettamente lucido, in grado di godersi a pieno ogni singolo sintomo della sbornia.
Forse era proprio quello lo scopo di quell'intruglio, ma la sua lingua si rifiutava di collaborare nella composizione di frasi di senso compiuto, quindi era inutile cercare di estrapolare l'informazione alla sua aguzzina.
Stava appoggiato su due cuscini, reclinato all'indietro abbastanza da non sentire la sensazione di vertigine che provava stando seduto dritto ma al tempo stesso non sufficiente a fargli correre il rischio di soffocarsi bevendo.
Con un lieve singulto, sollevò con fare remissivo la mano aperta verso Gathra perché gli passasse l'ultima dannata bottiglia. Alla fine aveva contato male: erano nove, non dodici. Quando le aveva viste non aveva immaginato che dovesse scolarsele tutte, per cui era estremamente felice di essersi sbagliato. Già nove gli sembravano troppe.
Addentò il tappo, rimuovendolo con un gesto brusco e sputandolo via. Nel momento in cui stava per sorseggiare, esitò e abbassò la bottiglia.
«Bevi!» lo rimproverò immediatamente Gathra, colpendolo su una coscia.
Kilgore la ignorò, portandosi una mano all'addome con una smorfia: si sentiva stranamente gonfio nonostante la birra non producesse alcuna schiuma e non fosse piena di bollicine.
«Non ti puoi fermare ora! Continua!» sbraitò la Strega, cominciando ad irritarsi per il suo tentennamento.
L'altro mugolò per tutta risposta, cercando con l'unica mano libera di aprire la fibbia della cintura, senza ovviamente riuscire nell'intento. Gli doleva l'addome e si maledisse per non aver pensato di spogliarsi prima di sottoporsi a tutto ciò.
Avrebbe dovuto immaginare che Gathra lo avrebbe messo in una situazione del genere, in un modo o nell'altro.
La Strega gli colpì le dita con violenza, per poi protendersi su di lui e premergli l'addome con la mano aperta.
Kilgore emise un rutto senza riuscire a trattenersi. Essendo ancora del tutto lucido, riuscì a percepire un leggero sollievo per quanto riguardava il gonfiore addominale ma l'incidente gli causò anche un discreto imbarazzo.
«Scommetto che così va un po' meglio, mh?» domandò la Signora del Fatuo in tono canzonatorio, e suo marito non poté che annuire «Adesso... bevi».
La sua vittima ubbidì. Pur sentendosi stanco e confuso, le sue palpebre erano ben lungi dal cadere da sole per il sonno; anzi, era insolitamente sveglio considerato che doveva essere ormai tarda notte.
Fece una fatica immane ma riuscì ad esaudire il volere di sua moglie: anche l'ultima bottiglia fu svuotata e accantonata con le altre. A quel punto, pur essendo consapevole di quanto lo mettesse in soggezione farlo, cercò di ruttare di nuovo. Facendolo prima era riuscito ad alleviare lo stato del suo stomaco, il che significava che il gonfiore che percepiva era aria e non birra.
Si sforzò di ruttare, ma non ci riuscì. Provò una seconda volta e poi una terza, ma non ci riuscì. Frustrato, sbatté i pugni chiusi sulle coperte e poi li abbassò ad aprire la cintura, abbassando anche leggermente i pantaloni.
«Che c'è, Kilgore? Hai l'aria nel pancino...?» lo perculò apertamente Gathra con un ghigno malefico dipinto sul viso.
L'Orco capì dal suo tono che era tutto parte di un suo programma e che lui non poteva che rimettersi alla sua clemenza per uscirne.
Annuì con un debole cenno del capo, rivolgendole l'espressione più supplichevole di cui era capace in quel frangente. Tentò di convincerla a parole, ma la lingua impastata fece uscire dalle sue labbra solo versi confusi e incoerenti.
«Oh, sei così bello con quello sguardo implorante...!» commentò l'Orchessa, muovendosi carponi verso di lui.
Scavalcò il suo torace, protendendo le mani per ghermire i polsi di lui e trattenerli in alto, ai lati del cuscino; quindi si mise seduta a cavallo della sua pancia.
Non appena sentì il suo peso schiacciarlo, Kilgore iniziò a produrre rutti in serie, arrivando alla logica e semplice conclusione che avesse aggiunto una qualche perversa miscela alchemica alla birra che le consentisse di riempirlo d'aria e fargliela espellere "a comando".
Per quanto ogni volta si sorprendesse di quanto contorti e malvagi potessero essere i suoi piani, non poteva non trovarli perfettamente in linea con il carattere di sua moglie.
«La prossima volta me lo dirai, vero?» Gathra sollevò il sedere dalla sua pancia e si inclinò in avanti, arrivando così vicina al viso del suo interlocutore che l'anello che aveva al naso, oscillando ad ogni suo respiro, sfregava dolcemente sulla zanna sinistra di Kilgore.
«Quando te ne vai in giro a ubriacarti... verrai a cercarmi per comunicarmelo... vero?!» insistette. La sua espressione era quasi maniacale adesso.
Sfinito e in balia dell'effetto dell'intruglio ingurgitato, lo Sciamano si affrettò ad annuire prima di esibirsi in un ennesimo, poderoso rutto.
Non le avrebbe più taciuto alcunché per tutto il resto della sua vita. Ovunque fosse andato, lei l'avrebbe saputo. Non voleva più rischiare di ritrovarsi succube della sua frustrazione e del suo desiderio di vendetta.
Lo Sciamano affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi, augurandosi che la sua punizione si limitasse a quella dolorosa ed imbarazzante esibizione.
«Domani non oso nemmeno immaginare in che stato sarò...» ponderò tra sé e sé, mentre Gathra cominciava a saltellargli sull'addome ridendo come una pazza, evidentemente divertita dalle sue smorfie di dolore.

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