fiamma_drakon: (Default)
[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: Chasing Rainbows
Rating: Rosso
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Miz'ri (OC!Drow Barbaro), Mordula (OC!Mezzorca Barbara/Barda), Ninnuus (OC!Firbolg Druido)
Wordcount: 28'903 (wordcounter)
Disclaimer: L'ambientazione appartiene a Chibi e Miz'ri appartiene a Kagé_Dark.
Note: Het implied, Violence
Le persone che vedeva affaccendarsi intorno a sé avevano espressioni losche sul viso e a modo loro apparivano minacciosi. Gli ricordavano molto da vicino l’aura di soggezione che si espandeva da suo fratello Maximus ogni volta che aveva la sfortuna di capitargli troppo vicino e il ricordo gli causò un involontario brivido di terrore lungo la schiena.
«Manca ancora molto a… qualsiasi sia il posto dove mangeremo…?» chiese con tono esitante, girandosi appena verso Miz’ri, che camminava accanto a lui.
«In realtà siamo quasi arrivati» ammise quest’ultimo con nonchalance, indicandogli con una mano un edificio poco più in là rispetto alla loro posizione.


Malzas tornò ad osservare il suo bicchiere di scotch una volta spiegata la situazione a terra al suo mercenario e allo strano Firbolg che aveva raccolto per mare. Il suo compito era terminato.
Miz’ri sembrava soddisfatto della sua paga: un ghigno compiaciuto si allargò lentamente sul suo viso alla prospettiva dell’alcol e delle puttane che avrebbe potuto permettersi quella sera.
Il suo bizzarro compare d’altro canto non pareva altrettanto entusiasta: osservava il sacchettino di monete d’oro con un misto di curiosità e perplessità, guardandosi poi attorno con aria colpevole.
Miz’ri non fece molto caso a lui, almeno fino a che con la coda dell’occhio non colse un movimento dalla sua generica direzione, accompagnato da un rumore strano. Al Drow ricordò quello di qualcuno che stava cercando di masticare un osso.
Voltandosi, notò che effettivamente il Firbolg si era messo in bocca qualcosa: un oggetto rotondo, duro, piatto… e luccicante.
«Ninnuus, quella non si mangia!» esclamò Miz’ri con tono di voce più alto e allarmato di quanto avesse voluto.
Il diretto interessato appiattì le buffe orecchie pelose e lunghe contro i lati del collo e sputò sul palmo della sua mano una moneta d’oro. La sua faccia azzurra si colorò di una intensa sfumatura violacea in corrispondenza delle guance paffute.
Malzas si limitò a scuotere leggermente il capo, senza nemmeno accennare un sorriso benché la cosa gli risultasse divertente. Miz’ri serrò la mandibola, squadrandolo con aria inquisitoria.
Ninnuus si accorse del gesto del capitano e dello sguardo del Drow e si affrettò a far sparire la moneta di nuovo nel sacchettino, come se con ciò potesse cancellare la sua gaffe.
«Cosa staranno pensando di me…?» si chiese mortificato.
Miz’ri si rifiutava di concepire che qualcuno nel mondo fosse così stupido da non conoscere il valore del denaro; eppure, si ritrovò a domandare con fare retorico: «Lo sai che cos’è… vero?».
Ninnuus si sentì sprofondare in una voragine di vergogna nel vedersi porre il quesito. Il tono della sua voce lasciava presupporre che dovesse saperlo… eppure lui non aveva mai visto né tantomeno maneggiato qualcosa di simile.
Cercò di gonfiare il petto, trattenendo appena il respiro e ritraendo la pancia - anche se gli spessi strati della tunica e la fusciacca che portava in vita nascondevano bene i suoi chili di troppo - e con un’audacia che non sentiva affatto rispose: «Certo! Vo-volevo verificare che fosse autentico!».
Si pentì della sua menzogna nel momento stesso in cui terminò la frase, percependo di nuovo la familiare e terribile sensazione di nervosismo che l’aveva seguito nei mesi passati come un’ombra e che per un certo periodo di tempo gli aveva dato tregua.
Iniziò a sentirsi stranamente accaldato e incapace di stare fermo, oltre ad avvertire ancora una volta l’irrefrenabile necessità di tenere le mani impegnate con del cibo.
Miz’ri colse vagamente il cambiamento nel suo modo di porsi. Vide i suoi occhi saettare freneticamente per la stanza, le dita attorno al sacchetto di monete tremare leggermente e spostare l’equilibrio del suo corpo da un piede all’altro senza posa. Le orecchie - rimaste basse sino ad allora - si drizzarono all’improvviso e così rimasero, come in allerta.
Non sembrava imbarazzato stavolta, bensì estremamente a disagio. Il suo nuovo atteggiamento era alquanto sospetto, ma a Miz’ri non importava andare a fondo della faccenda. Le sue priorità in quel momento erano ben altre.
«Allora che ne dici se andiamo a verificare la loro autenticità nella taverna più vicina?» propose lesto il Drow «Sono sicuro che mangeresti bene con quel gruzzoletto».
L’allusione al cibo era voluta: durante il viaggio per mare aveva ampiamente avuto modo di vedere quanto Ninnuus fosse ossessionato da esso. Se non lo stava attivamente consumando era perché lo stava preparando o stava cercando della materia prima da aggiungere.
Sapeva che non avrebbe resistito.
Il Firbolg sgranò gli occhi e drizzò ulteriormente le orecchie - che adesso somigliavano ad un paio di antenne pelose - per poi leccarsi il labbro inferiore.
Non capiva che tipo di connessione ci fosse tra quei piccoli dischetti duri e il cibo, ma se Miz’ri diceva che esisteva, non sarebbe stato lui a smentirlo - soprattutto perché non aveva i mezzi per farlo.
«Sì! Andiamo a mangiare!» esclamò, irrigidendosi e parlando con voce più acuta e forte del normale. Il nervosismo era tale da renderlo incapace di contenere il proprio innaturale entusiasmo.
Senza aggiungere altro, fece dietrofront e si diresse verso la porta da cui erano entrati.
Miz’ri rimase un momento indietro per scoccare un’ultima occhiata al capitano Malzas, poi lo salutò con un rispettoso gesto marinaresco e marciò dietro Ninnuus con un ghigno perfido in faccia.
In un porto come quello, in cui attraccavano navi piene di marinai di continuo, era pieno di bettole in cui potersi rifocillare e bere fino a perdere i sensi.
Ninnuus si guardava attorno con espressione impaurita ma curiosa al tempo stesso, tormentandosi instancabilmente le mani. Non vedeva l’ora di impegnarle con qualche rozza posata o - perché no - direttamente del cibo.
Le persone che vedeva affaccendarsi intorno a sé avevano espressioni losche sul viso e a modo loro apparivano minacciosi. Gli ricordavano molto da vicino l’aura di soggezione che si espandeva da suo fratello Maximus ogni volta che aveva la sfortuna di capitargli troppo vicino e il ricordo gli causò un involontario brivido di terrore lungo la schiena.
«Manca ancora molto a… qualsiasi sia il posto dove mangeremo…?» chiese con tono esitante, girandosi appena verso Miz’ri, che camminava accanto a lui.
«In realtà siamo quasi arrivati» ammise quest’ultimo con nonchalance, indicandogli con una mano un edificio poco più in là rispetto alla loro posizione.
Ninnuus seguì la direzione e assunse un cipiglio tutt’altro che entusiasta: le mura esterne erano sudicie e in alcuni punti incrostate di salsedine; le finestre avevano diverse assi di legno incrociate e inchiodate sui telai ad impedire alla maggior parte della luce esterna di entrare. La porta pareva in buono stato, ma ad un esame ravvicinato risultò chiaro che il legno fosse danneggiato e ne avesse ancora per poco.
Il Firbolg si arrestò dinanzi alla porta, occhieggiando con espressione spaventata le assi.
«Non… possiamo andare… da un’altra parte?» domandò.
«Io di solito vengo qui a bere» il Drow fece spallucce «Ma se devi fartela sotto perché non è proprio nelle migliori condizioni...» soggiunse con pungente sarcasmo, lasciando volutamente in sospeso la frase per farle acquisire maggior significato.
Gli stava dando del fifone. Per quanto la cosa fosse effettivamente reale, Ninnuus non era intenzionato a farsi conoscere per tale. Serrò la mandibola e aggrottò le folte sopracciglia rossicce, assumendo un atteggiamento di colpo spavaldo.
«Spero che abbiano abbastanza da bere per uno come me!» esclamò con un’inflessione più cupa nel tono, per darsi maggiore aria di virilità.
Nel far ciò si udì distintamente il suo stomaco emettere un gorgoglio che rese la scena molto meno drammatica di quanto sperava. Ignorando il rumore, Ninnuus afferrò la maniglia e spalancò la porta, entrando per primo all’interno mentre Miz’ri se la rideva in silenzio alle sue spalle.
Se già dall’esterno dava l’impressione di non essere un bel posto, una volta dentro era ancora peggio. Ninnuus si pentì immediatamente di non aver insistito per cambiare locanda: i tavoli erano disposti fittamente in tutta la piccola sala e a quell’ora erano pieni di persone intente a bere mentre giocavano a carte maneggiando piccole armi. Il tanfo di alcolico saturava l’aria nella parte bassa della stanza; per l’area metà, ad occuparsi di renderla irrespirabile ci pensava una densa cappa grigio scuro di fumo proveniente da svariati sigari, pipe e quant’altro ci fosse di combustibile da fumare nei paraggi.
Con i suoi quasi due metri di altezza, il Firbolg riusciva ad arrivare all’interfaccia tra la cappa di fumo e l’aria limpida, per cui la sua vista risultava offuscata. Per un terribile istante, Ninnuus fu tentato dalla possibilità di evocare Hayako nella speranza di appiccare un incendio e carbonizzare sul posto quei disgraziati che stavano cercando di avvelenarlo con le loro esalazioni. Si trattenne ricordando che probabilmente avrebbe fatto del male anche a Miz’ri.
Tossendo piano e socchiudendo gli occhi, avanzò deciso fra i tavoli. Cercò di guardare fisso davanti a sé, ignorando le pareti anguste e il soffitto basso, ma una parte del suo cervello continuava a registrare e notificargli quanto fosse piccolo e poco aerato il locale. Il suo nervosismo continuava a crescere.
Miz’ri, più snello e agile di lui, lo superò facendo un altro giro e giunse al bancone per primo. Si appollaiò su uno sgabello e attirò con la mano l’attenzione della locandiera.
Rimase a parlare con lei per pochi istanti, poi si spostò ad intercettare Ninnuus.
«Andiamo a un tavolo» disse.
«Ma non ho ancora chiesto nulla» fece presente l’altro.
«Ho ordinato io per tutti e due» lo rassicurò in tono spiccio il Drow «Su, muovi il culo! Sono stanco di stare ancora in piedi».
Benché non del tutto convinto, il Firbolg decise di assecondarlo e deviò per andare a occupare uno dei pochi tavoli ancora liberi. Un paio di marinai nerboruti e dall’aria arcigna seduti lì accanto si premurò di squadrare Ninnuus con fare inquisitorio e il diretto interessato poté notare un sogghigno sarcastico incurvare le loro labbra storte. Chiaramente appariva fuori luogo in mezzo ad una folla di uomini di mare.
Cercò di ignorarli, benché la consapevolezza di essere osservato e giudicato lo mettesse in soggezione. Miz’ri dal canto suo pareva completamente a suo agio, come se fosse a casa sua.
«Che cosa hai chiesto?» indagò il Firbolg, sforzandosi di focalizzare i propri pensieri su qualcosa di meno opprimente degli sguardi di coloro che sedevano attorno a loro. Ovviamente, il cibo era in testa a tale classifica.
«Birra» rispose con risolutezza il Drow «… e qualcosa da mangiare» soggiunse poco dopo, come se la cosa rivestisse un ruolo marginale nella situazione attuale.
Cadde un silenzio teso tra di loro, o almeno così lo percepiva Ninnuus. Tormentandosi instancabilmente le mani sotto il tavolo, si ritrovò suo malgrado a insistere: «Niente di più specifico?».
«Ha importanza? Basta che sia commestibile» replicò Miz’ri con una scrollata di spalle. La qualità del cibo non sembrava essere un parametro per lui degno di nota.
Il suo disinteresse fece riaffiorare alla memoria del suo compagno ricordi che pensava di aver seppellito nel suo inconscio in modo definitivo: il suo Clan gli aveva inculcato fin da bambino l’importanza di accontentarsi di ciò che la Natura e il duro lavoro offrivano. I suoi genitori nonostante le proficue cacce di suo fratello Maximus avevano sempre condiviso il bottino con la tutta comunità, trasformando quello che poteva essere un lauto pasto in qualcosa di frugale e insulso.
L’incidente di Ninnuus con la sua prima Forma Selvaggia gli aveva fatto capire quanto quel preconcetto precludesse ai loro sensi. Godersi un pasto saporito e lauto era qualcosa che andava oltre tutto ciò che aveva mai sperimentato.
«Non basta che sia “commestibile”» obiettò quasi ringhiando il Firbolg, scoccando un’occhiataccia al suo accompagnatore «Il cibo deve essere buono. Deve soddisfare i sensi, tutti quanti, altrimenti non saremmo meglio degli animali».
Inconsciamente aveva appena paragonato la sua famiglia e il suo intero Clan a bestie. Non li aveva mai reputati tali e farlo gli dispiacque molto, anche se percepiva il paragone come veritiero.
Miz’ri inarcò un sopracciglio con fare incuriosito nel vedere con quale fervore il suo insolito compagno avesse difeso a spada tratta la buona cucina. Si era stravaccato sulla sedia come aveva appoggiato il deretano su di essa, ma il suo repentino cambio di atteggiamento lo indusse a variare posizione, chinandosi sul piano tra di loro e poggiandovi un gomito mentre si sporgeva a fissare dal basso Ninnuus.
«Stai cercando di insultarmi, per caso? Sappi che non è una mossa saggia...» disse, e nella sua voce era facilmente percepibile una minaccia velata, ma fino ad un certo punto.
Il Firbolg lo aveva visto in azione. La sua brutalità e l’indole violenta gli erano già ad ora ben chiare, per cui decise che non era una buona idea farlo incazzare.
«Non era mia intenzione» si affrettò a dire, intrecciando le braccia e appoggiandole sul tavolo «Dico solo che dovresti dare più considerazione a ciò che metti in bocca...» puntualizzò, utilizzando un tono più conciliante.
Fu tentato di affondare la testa tra le braccia e rimanere così, cercando di ignorare l’occhiata non proprio felice di Miz’ri e tutto il resto del locale, ma resistette. Si limitò ad esprimere il suo disagio con piccoli scatti delle dita, che serrò e allentò ritmicamente sulla stoffa delle maniche.
Le persone attorno a loro gli sembravano più numerose dall’ultima volta che aveva controllato, così come le pareti della locanda gli apparivano di colpo più vicine.
Dall’esterno il suo malessere era palese: il suo colorito bluastro era un po’ svanito dalle guance paffute e i suoi respiri si facevano via via più rumorosi e affannati. Non serviva un genio a capire che l’ambiente non faceva per lui, ma prima che Miz’ri potesse decidersi ad intervenire o meno in suo favore arrivò la locandiera.
Sbatté in mezzo a loro due boccali di birra grossi e pesanti, rovesciando un po’ di schiuma sul piano, e subito dopo depositò un paio di scodelle di metallo contenenti quelle che ad un primo sguardo parevano due porzioni di stufato.
La donna si allontanò senza dire una parola, lasciando i due alla loro cena.
Il Drow ebbe appena il tempo di afferrare il manico del suo boccale, grato per l’arrivo di alcol a salvargli la serata, prima che Ninnuus traesse a sé una scodella con uno scatto irruento delle mani. Si rannicchiò su di essa come se avesse insieme paura che qualcuno gliela sottraesse e che lo spiassero, quindi cominciò a mangiare voracemente, disperatamente, come se fosse digiuno da giorni.
Il Firbolg notò subito al primo boccone che lo stufato era insipido, e a seguire tutta una serie di errori nella cottura dei vari ingredienti che nel complesso contribuirono a portare il suo giudizio in proposito ben al di sotto del “commestibile”; tuttavia, il suo nervosismo era giunto ad un livello tale da imporgli di mangiare qualsiasi cosa si trovasse a portata di mano. Cercare di reprimerlo era stato uno sforzo notevole e del tutto futile.
Tutti i suoi bei discorsi sul dare la giusta importanza alla buona cucina erano inutili se poi lui per primo si accontentava di qualsiasi cosa per soddisfare il suo appetito anormale, ne era perfettamente consapevole. Se ne vergognava, ma non riusciva a controllarsi.
Persino dai tavoli vicini qualcuno si girò a guardare la scena, attirato dai violenti colpi del suo cucchiaio contro il fondo della scodella e dai versi tutt’altro che educati che emetteva mangiando. Miz’ri era in un certo senso avvezzo a trovarsi a tavola con screanzati della peggiore specie ed ignorò bellamente il suo compagno, concentrandosi sulla sua birra.
Nel giro di una decina di minuti, la sua scodella giaceva dinanzi a lui, vuota come se non fosse mai neppure stata riempita. I suoi occhi color del miele esprimevano mortificazione e senso di colpa mentre si sollevavano dalla stoviglia vuota per posarsi su quella ancora piena e intonsa del suo accompagnatore.
Si mordicchiò il labbro inferiore, cercando di reprimere la domanda che gli danzava sulla punta della lingua. Era in una locanda in fin dei conti, avrebbe dovuto mostrare un certo contegno.
Il pensiero sortì l’effetto opposto a quello sperato, riproponendogli prepotentemente l’ambiente angusto e i loschi figuri che aveva visto entrando, e la richiesta si fece più impellente, al punto da non riuscire a trattenerla.
«Lo mangi?» le parole gli uscirono di bocca rapidamente, come dotate di volontà propria.
Miz’ri abbassò il boccale e notò subito l’occhiata supplichevole che gli stava rivolgendo, così frivola e pietosa da fargli passare persino la voglia di rispondergli con qualche sarcastico commento derisorio. Non c’era alcun gusto a perculare qualcuno che già di per sé non pareva dotato di spina dorsale.
Protese una mano e diede un colpetto alla stoviglia, spingendola verso di lui.
«Serviti pure, io sono qui solo per la birra» disse, ed in effetti era la realtà «Solo, non strangolartici. Non vorrei lasciare il tuo cadavere agonizzante per terra… e nemmeno salvarti la vita» soggiunse. Fu più forte di lui.
Vide le guance spente di Ninnuus riprendere un vago colorito mentre si accingeva a sorseggiare della birra prima di dedicarsi alla seconda portata.
Per quanto fisicamente il Firbolg potesse sembrare grande e grosso, per la sua razza era considerato poco più che adolescente; di conseguenza, nessuno nel suo Clan aveva mai osato proporgli dell’alcol - benché le bevande alcoliche fossero diffuse tra gli adulti, specialmente nei periodi più freddi dell’anno.
Ninnuus sapeva cos’era la birra, ma non l’aveva mai bevuta prima di allora. Il primo sorso lo lasciò senza fiato: il liquido era veramente amaro e gli lasciò uno stranissimo sentore mentre scendeva lungo la gola. Tossì con forza, cercando di deglutire della saliva per mascherare il sapore.
Miz’ri rise di fronte alla sua reazione.
«Prima volta, mh?» chiese, sorridendogli di sghembo «Ha un sapore strano solo coi primi sorsi, poi ti abitui...» aggiunse.
Ninnuus fissò il contenuto del boccale, incerto, poi tracannò un altro lungo sorso. La sensazione in bocca fu meno intensa e ad essa si accompagnò invece uno strano e piacevole calore che dalla gola lo pervase fin nelle viscere. Per un istante parve placare l’agitazione che lo ghermiva.
Si aggrappò disperatamente a quel barlume di salvezza da sé stesso e svuotò il resto del boccale in un colpo solo.
«Ne… ne posso avere ancora?» domandò, ansimando appena per la breve apnea che gli era occorsa a compiere l’impresa. Le sue guance adesso tendevano al violaceo e sembrava aver ripreso un poco del suo normale colorito.
«Basta che tu chieda» gli disse Miz’ri, indicandogli con una mano il bancone al di sopra della propria spalla «Prendine un’altra anche per me» puntualizzò dopo un momento.
Ninnuus colse al volo l’opportunità di alzarsi per tenersi impegnato in qualche maniera e si diresse senza esitazioni verso la locandiera.

Nella successiva ora risultò evidente che il Firbolg non solo non era abituato a bere alcol, ma che non era neppure in grado di reggerlo. Già dopo pochi boccali il povero Ninnuus iniziò a manifestare i classici segni di cedimento da ubriaco: viso paonazzo, andamento barcollante e incapacità a mettere in fila poche parole di senso compiuto. Neanche accompagnare alla birra una quantità impressionante di stufato servì a mitigare la sua sbronza. L’unico risultato che ottennero fu quello di riempire il tavolo di scodelle vuote ammonticchiate un po’ ovunque fra di loro.
A Miz’ri inizialmente importò poco della cosa: finché riusciva a mandarlo a prendere birra anche per lui, la situazione era tutta a suo vantaggio. Capì di essersi spinto troppo oltre quando improvvisamente Ninnuus scoppiò in lacrime come una ragazzina, guardandolo dritto negli occhi come a cercare di fargli pena.
«Miz...» biascicò, tirando rumorosamente su con il naso «Ho… ho mentito. I-io… non lo so cosa… quelle cose tonde e luccicanti...».
Lo sforzo di parlare e farsi capire era evidente dalla lentezza con cui si espresse. Appiattì le orecchie pelose contro i lati del collo, abbassando la faccia e lacrimando nel boccale che teneva tra le mani.
«Non so… niente di qui» continuò con voce stridula «Ho paura… di questo posto… piccolo e chiuso...».
Il Drow si accasciò per metà sul tavolo, sospirando profondamente e spalmandosi una mano sul viso con fare esasperato.
«Che cazzo di femminuccia ho scatenato...» gemette tra sé e sé. Avendolo saputo prima che sarebbe arrivato ad assistere ad una scena così patetica gli avrebbe impedito di bere anche a costo di prenderlo a randellate.
Ninnuus, a dispetto dell’alcol che gli distorceva i sensi, riuscì a percepire un sollievo fisico non indifferente, soprattutto a carico dei suoi poveri nervi. Era come se la fonte del malessere che si era trascinato dietro fin dal suo congedo dal capitano Malzas si fosse appena dissolta.
Fissò con rinnovata consapevolezza la birra che aveva tra le mani, chiedendosi se fosse stata quella a sortirgli quel bizzarro effetto; tuttavia, non appena cercò di prenderne ancora, Miz’ri scattò in piedi e gli bloccò le braccia.
«Credo che tu abbia bevuto abbastanza!» sbuffò con tono di rimprovero, strappandogli di mano il boccale.
Il Firbolg rimase a guardarlo attonito, con le lacrime agli occhi, senza sapere cosa fare o dire.
«Vieni, ti porto dove potrai smaltire la sbornia in pace...» esclamò pochi momenti dopo, scolandosi ciò che rimaneva come se fosse acqua e afferrando per un polso il suo compare per trascinarlo in piedi. Aveva paura che se fossero rimasti lì ancora Ninnuus avrebbe continuato a propinargli scene pietose come quella cui aveva appena assistito.
Miz’ri ebbe appena il tempo di trarlo in piedi e voltarsi che andò a sbattere contro qualcuno.
«Ma guarda un po’ se tu non sei il Drow che Malzas ha assoldato per l’ultimo viaggio...».
A parlare era stato un Umano dai capelli lunghi e biondi raccolti in un codino dietro la nuca che si era posto volutamente sulla sua strada. Aveva gli occhi blu e lineamenti che forse un tempo avrebbero potuto essere definiti belli, prima che rughe d’espressione e barba incolta li rendessero rozzi. Indossava una camicia bianca macchiata qua e là e infilata alla bell’e meglio nelle braghe.
«Levati dal cazzo, mezza sega» minacciò Miz’ri, decisamente a corto di pazienza dopo la sceneggiata di Ninnuus per potersi prendere la briga di sopportare quell’anonimo piantagrane.
Il biondo aggrottò le sopracciglia e la sua espressione si trasformò da sarcastica a irritata in un lampo.
«Piccolo stronzo, quel lavoro era mio!» ringhiò.
«Ah, sì? Non mi sembrava ci fosse la tua firma sul contratto» replicò Miz’ri con una scrollata di spalle «O forse le croci di voi analfabeti sono così frequenti che ormai non ci faccio più caso...».
Ninnuus seguiva lo scambio di battute senza capirne un granché: attualmente era impegnato con ogni fibra del suo essere a mantenere la stazione eretta, lottando contro le vertigini.
Era talmente concentrato nel far ciò che non si rese conto del pugno che l’Umano indirizzò al suo compagno Drow e che quest’ultimo schivò prontamente, lasciando che ad essere colpito fosse proprio lui.
Il Firbolg cacciò un grugnito di dolore quando il colpo lo prese nello stomaco e si accasciò sul pavimento, tremando e piangendo.
«Ho fatto male al tuo amichetto...? Che femminuccia...» rise sguaiatamente l’Umano.
Qualcosa scattò nell’inconscio di Miz’ri nel vedere Ninnuus a terra. Fino ad allora aveva pensato di potersi liberare del Firbolg come se si trattasse di uno sconosciuto, soprattutto visto che in quel momento, per le condizioni in cui versava, lo considerava un peso. Sentire qualcun altro offenderlo lo fece andare in bestia, facendogli capire che forse si era spinto troppo in là per trattarlo come un conoscente qualsiasi. Aveva instaurato un legame di qualche tipo con lui. Si sentiva un idiota per essere riuscito a farlo in maniera totalmente involontaria, ma ormai era tardi per porre rimedio al danno.
L’unica consolazione era che così facendo aveva una valida scusa per menare le mani, un’attività che gli era sempre ben gradito fare.
Mentre il suo contendente era ancora distratto dalle risate a scapito del suo compagno, il Drow gli tirò un pugno in mezzo alla faccia con tutta la forza che possedeva, facendolo volare su un tavolo vicino, che ovviamente cedette di colpo all’impatto.
«L’unico che può insultarlo qui dentro sono io» esclamò Miz’ri in tono risoluto.
Al silenzio che accolse quelle parole seguì un putiferio mentre tutti gli occupanti del locale cominciavano a prendersi a pugni a vicenda in un crescere di grida e insulti. Evidentemente bastava davvero poco affinché quel covo di teste calde andasse su di giri abbastanza da abbandonare ogni parvenza di civiltà.
Tutt’attorno a Ninnuus cominciarono a muoversi persone, cadere tavoli e volare stoviglie. Miz’ri si gettò nella mischia con uno slancio selvaggio, tenendo a bada chiunque mirasse al povero Firbolg ancora a terra in lacrime.
Quest’ultimo, dal canto suo, riuscì a strisciare fino sotto al tavolo cui erano seduti, rannicchiandosi carponi con entrambe le braccia strette sull’addome.
La confusione gli causava continue fitte di emicrania e le assi del pavimento che fissava con tanta intensità stavano iniziando a sdoppiarsi. Il dolore del pugno che aveva ricevuto si era diffuso a tutta la pancia, e adesso lottava contro una nausea che minacciava di soverchiarlo.
«M-Miz…?» chiamò con voce stridula e lamentosa, trattenendo un conato «Non… sto bene...».
Il Drow era attualmente impegnato a gestire un gruppetto di tre marinai Tiefling e registrò le sue parole con una minima parte del suo cervello.
Fece lo sgambetto al primo che cercò di aggredirlo, quindi si diede una spinta saltandogli sulla schiena per balzare in aria sugli altri due.
«Buttalo fuori, Ninnuus» rispose a voce alta per farsi sentire, centrando con i gomiti le schiene delle sue disgraziate vittime, che finirono prone sul pavimento sotto di lui.
«S-sicuro…?» gemette l’altro, tappandosi poi la bocca con entrambe le mani.
«Fallo!» lo sgridò il Drow irritato, rialzandosi e voltandosi a controllare di cosa si stesse lamentando adesso. Il suo tempismo fu tale da cogliere il Firbolg mentre dava violentemente di stomaco sul pavimento, rigurgitando roba in pezzi che solo in un secondo momento Miz’ri realizzò essere bocconi non masticati di stufato.
Fortunatamente il suo stomaco era stato temprato per reggere scene ben peggiori di quella.
«Meglio fuori che dentro...» commentò con una scrollata di spalle, tornando a preoccuparsi della rissa «Almeno adesso smetterà di piagnucolare… spero» aggiunse rivolto a sé.
Ninnuus mugolò, frastornato e dolorante, la bocca piena del terribile sapore della bile. Di fronte allo spettacolo che aveva appena prodotto, si ritrasse voltando lo sguardo. Se non altro il mal di stomaco si era spento e l’emicrania era meno intensa, seppur ancora presente.
«M-mi dispiace...» bofonchiò, un po’ più lucido, ma Miz’ri stavolta non lo sentì.
Si guardò attorno, cercando di capire cosa stesse accadendo, ma dalla sua posizione vedeva solamente gambe agitarsi e persone cadere a terra. Aveva paura che qualcuno se la prendesse anche con lui, soprattutto ora che non si sentiva bene e che quindi avrebbe costituito una facile preda.
Si sedette addossato alla zampa centrale del tavolo, raccogliendo le ginocchia al petto come meglio poté e cercando di farsi il più piccolo possibile. Trovava ironico doversi impegnare per passare inosservato quando nel suo Clan gli riusciva farlo senza il minimo sforzo.
I minuti passarono e la rissa iniziò a scemare. La maggior parte degli avventori era già finita K.O. in giro per il locale, e solo in pochi erano ancora in piedi. Miz’ri era fra questi ultimi, e cominciava ad annoiarsi.
Appurato che i superstiti sembravano più interessati ad accapigliarsi tra di loro che a considerare lui o chiunque altro, il Drow si ritirò verso la sua posizione iniziale, miracolosamente ancora in piedi.
Si chinò sotto il piano, trovando il suo compare Firbolg raggomitolato vicino al centro.
«Oh, Ninnuus! Sei ancora sveglio…!» esclamò in tono alquanto sorpreso «Alzati, ce ne andiamo di sopra».
«Andiamo v-via di qui…?» chiese l’altro per conferma, uscendo dal suo nascondiglio e fissandolo con espressione speranzosa.
Miz’ri lo prese per un braccio, aiutandolo a mettersi in piedi.
«Ormai la situazione è quasi stabile, che noia...» sbuffò quest’ultimo.
«O-oooh…» Ninnuus traballò pericolosamente nonostante il sostegno che gli era stato offerto, rischiando di finire gambe all’aria sul loro tavolo «M-mi gira ancora… un po’ la testa...» bofonchiò.
«Ti passerà, vedrai...» lo rassicurò l’altro, portandolo in direzione del bancone, dietro al quale la locandiera era impegnata a pulire alcuni boccali ignorando platealmente la caciara.
«Ninnuus, dammi il tuo sacchettino di monete» impartì Miz’ri, ma vedendo il cipiglio confuso del suo partner si rese conto di aver stupidamente preteso troppo da lui in quello stato «I cosi tondi e luccicanti...» sospirò alzando gli occhi al cielo.
«A-ah! Sì, quelli...» il Firbolg si tastò con la mano libera la fusciacca che portava legata in vita finché da sotto un punto specifico fuori della portata visiva di Miz’ri estrasse il sacchetto in questione «Cosa devi…?».
Il Drow glielo sottrasse di mano e lo sollevò per attirare la sua attenzione su di esso.
«Guarda bene!» lo ammonì, quindi ne estrasse cinque monete dorate e le appoggiò sul bancone «Cena, bevute e camere. Tieni il resto per la locanda» aggiunse, rivolgendosi alla locandiera.
La donna si avvicinò e fece sparire lesta le monete dal bancone.
«È sempre un piacere averti di passaggio, Miz’ri» rispose quest’ultima con un sorriso «Immagino di dover anche chiamare Julie».
«Immagini giusto» sogghignò il Drow «Buona serata, Dolores» e con ciò si voltò e si avviò verso le scale - situate in un angolo in penombra della sala - seguito da Ninnuus.
L’equilibrio di quest’ultimo lasciava ancora alquanto a desiderare, ma perlomeno riusciva a camminare senza rischiare di finire oltre il corrimano, e a Miz’ri tanto bastava.
«Quei… quelle monete...» Ninnuus ripeté il termine con voce esitante, mimando l’accento usato dall’altro «Hanno lo stesso valore dello scambio di oggetti?».
Con uno sforzo d’immaginazione notevole considerata l’ora e la sua educazione, Miz’ri riuscì a intuire che il Firbolg si stesse riferendo alla triviale pratica del baratto.
Fece per chiedere conferma definitiva, ma si bloccò prima di pronunciare una qualsivoglia parola: non voleva certamente finire con lo scatenare un’altra scenata patetica come quella di prima.
«Esatto, ma così è più semplice» disse invece, sperando che un approccio più “incoraggiante” riuscisse a mantenere il suo umore ad un livello tale da scongiurare ulteriori piagnistei.
Ninnuus annuì dietro di lui con un debole gesto del capo, non volendo sbilanciarsi troppo a causa del mal di testa ancora pulsante.
Miz’ri lo condusse fino ad una tra tante porte che si trovavano lungo il corridoio del piano superiore. Frugò in una tasca dei pantaloni e tirò fuori una chiave, con la quale aprì l’uscio; dopodiché si girò verso il suo compagno e gli porse l’oggetto.
«La tua camera. Datti una lavata prima di andare a dormire, dammi retta. Ti sentirai un po’ meglio dopo» e ciò detto, si allontanò.
Ninnuus rimase fermo dove si trovava, con la chiave che pendeva tra due dita e lo sguardo che timidamente seguiva il Drow per vedere dove stesse andando. Registrò mentalmente il numero di porte che li separavano mentre l’altro apriva la sua camera per poi sparirvi dentro. Dopo qualche secondo, lo imitò.
La camera era spoglia, ma almeno la finestra non era inchioda con assi, permettendogli di vedere il cielo cupo all’esterno. La presenza di quei pochi vetri sporchi lo fece sentire molto più a proprio agio di quanto non fosse stato fino ad allora.
Vicino alla finestra si trovava un lettino dotato di una leggera coperta del tutto anonima. Poco distante si trovava una porta aperta che rivelava la presenza di una latrina e una grossa tinozza di legno.
Il Firbolg esplorò la camera, poi si sedette sul bordo del letto a fissare fuori dalla finestra: si sentiva solo. Non voleva evocare Hayako per non rischiare di combinare qualche guaio accidentale, però non voleva neppure rimanere solo tutta la notte.
Era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che era stato da solo. Il viaggio sulla nave di Malzas era stato movimentato e gli aveva fatto capire quanto gli fosse mancata la compagnia di altri esseri senzienti.
Si ritrovò sulla porta della sua camera senza neanche esserne del tutto consapevole. Aveva bisogno di stare con qualcuno, e quel qualcuno era Miz’ri.
Percorse il corridoio, contando le porte fino a quella attraverso la quale era entrato il Drow. Rimase per un momento fermo lì davanti, poi bussò.
Udì dei passi leggeri dall’altro lato, poi la voce del suo compagno esclamare: «Julie! Hai fatto pres…!».
Miz’ri comparve nel vano aperto, e si interruppe non appena vide che dall’altro lato si trovava Ninnuus.
«Che c’è adesso?» chiese in tono scocciato.
Il Firbolg occupava quasi tutta l’ampiezza della soglia con la sua stazza, e i suoi occhi ambrati erano sgranati in un’espressione colma di stupore. A scatenare quella reazione era stato il fatto che il Drow era venuto ad aprire con indosso soltanto un paio di boxer.
Ninnuus era abituato a vedere i muscoli, dato che suo fratello Maximus ne aveva in abbondanza, tanto da somigliare a una montagna; tuttavia, erano di una tipologia del tutto diversa. Quelli di suo fratello erano massicci, gonfi e contribuivano a dare alla sua figura un che di brutale che lo aveva sempre messo in soggezione; Miz’ri invece esibiva un fisico asciutto e una muscolatura che sì, era presente, visibile ad occhio nudo, ma era proporzionata. Aveva gli addominali scolpiti, ma non somigliavano a trincee; le braccia e le gambe mostravano il guizzo del muscolo tonico quando le fletteva, ma lo stesso non ne deformava la naturale bellezza; i pettorali erano appiattiti sullo sterno e non sembravano delle caricature grottesche di un seno femminile.
Miz’ri era in forma ed era esteticamente piacevole da osservare, due concetti che fino ad allora per Ninnuus erano sempre stati separati.
«Ehi?! Spero tu non sia venuto fin qui per sentirti male sulla mia porta!» lo redarguì il Drow, studiando con cipiglio irritato il suo sguardo perso nel vuoto.
«N-no io non...» l’altro arrossì «Sto meglio ora… ma non volevo stare da solo. Ehm… posso entrare?».
Fece per sbirciare all’interno della stanza, ma Miz’ri lo respinse ponendosi davanti a lui a gambe leggermente divaricate.
«Stavo per farmi il bagno» disse, con un tono che chiaramente implicava un tassativo diniego a lasciarlo entrare.
Il Firbolg appiattì ancora una volta le orecchie lungo il collo, mortificato. Non voleva farlo arrabbiare, ma la prospettiva di rimanere da solo dopo tutto il tempo che avevano passato insieme sulla nave lo terrorizzava, soprattutto considerato che lui al buio non vedeva niente.
«Non… possiamo fare il bagno insieme?» azzardò esitante, sperando di non stare spingendosi troppo oltre con quella richiesta. Miz’ri era facilmente incline a perdere la pazienza, e l’ultimo dei suoi desideri era trovarsi ad essere la vittima quando succedeva.
Vide un lampo di rabbia attraversare lo sguardo dell’Elfo, e per un attimo temette di aver esagerato. Era pronto a scusarsi con lui e andarsene prima di essere preso a pugni, quando il cipiglio dell’altro si fece di colpo più accondiscendente.
Miz’ri si portò una mano a massaggiarsi le tempie mentre si faceva da parte con un sospiro: quando lo aveva avvicinato la prima volta sulla nave, non avrebbe mai potuto immaginare di arrecarsi un danno così grave ai suoi poveri nervi. Non sarebbe mai riuscito a liberarsi di Ninnuus, non senza adoperare della sanissima e brutale violenza - e forse neppure quella sarebbe stata sufficiente. L’unica cosa intelligente che poteva fare, per il suo stesso bene, era accettare il nuovo stato delle cose senza tentare inutilmente di cambiarlo.
«Non penso che la vasca sia grande abbastanza per tutti e due… ma se proprio devi starmi tra i piedi...» disse.
Ninnuus lo superò con entusiasmo, senza badare al tono rassegnato che aveva utilizzato - o forse, pur avendolo notato, aveva deciso di ignorarlo. Era difficile decretare quale delle due alternative fosse quella corretta, e Miz’ri si rifiutò di perdere tempo nel cercare di farlo.
Una volta che il suo ospite fu dentro, il Drow richiuse la porta.
«Il bagno è là» esclamò, indicando una porticina lasciata aperta a metà.
Ninnuus si diresse verso di essa, sbirciando all’interno prima di varcarla: la stanza era un pochino più grande rispetto a quella che si trovava attigua alla sua camera, e a terra anziché essere presente una tinozza di legno si trovava un contenitore di metallo di forma più ovale. Dentro ad esso si trovava dell’acqua.
Delle candele appoggiate su alcuni piedistalli montati sulle pareti rendevano Ninnuus in grado di discernere il contenuto del bagno.
«Avevo capito che volevi lavarti! Forza entra, altrimenti si raffredda l’acqua e non ho voglia di scaldarla di nuovo!» brontolò Miz’ri, dandogli una sonora pacca sul culo per spingerlo a farsi avanti.
Il Firbolg sobbalzò al contatto improvviso ed entrò svelto, rischiando di incespicare nei suoi stessi piedi. Miz’ri, non appena ebbe campo libero, si diresse alla vasca e infilò una mano all’interno.
«Troppo tardi. Si è già raffreddata...» commentò contrariato.
Ninnuus abbassò gli occhi con fare colpevole, poi si fece timidamente avanti, sollevando le mani come a sorreggere un peso invisibile.
«Ehm… è di metallo?» domandò. Voleva essere sicuro prima di combinare un guaio - l’ennesimo della sua vita nel caso.
«Certo! Non lo vedi?» il Drow picchiettò sul bordo della vasca con le nocche «Perché?».
«Allontanati, non vorrei farti male...» così dicendo, Ninnuus prese la grossa pigna che pendeva dal cordoncino che portava al collo e cominciò a mormorare un incantesimo. L’oggetto iniziò ad emettere alcune innocue scintille e si sollevò appena dal suo palmo, rimanendo sollevato mentre una delicata aura traslucida di energia arancione l’avvolgeva.
Il Firbolg completò l’incantesimo e i suoi occhi si riempirono per un istante di fiamme, che svanirono in un soffio di vento.
Miz’ri si sorprese di come cambiasse radicalmente il suo atteggiamento quando attingeva alla sua magia. Sembrava quasi una persona normale, seria e addirittura pericolosa. Tutto il contrario del suo consueto atteggiamento. Forse la magia riusciva ad influire sul suo comportamento in qualche maniera che a lui, da profano dell’arte magica quale era, sfuggiva completamente.
Il metallo della vasca iniziò ad emanare calore vicino a lui, tanto da spingerlo ad allontanarsi ulteriormente, e nel giro di pochi secondi divenne incandescente. L’acqua all’interno iniziò rapidamente ad emanare vapore; tuttavia, l’incantesimo durò talmente poco che non riuscì a raggiungere l’ebollizione.
«Ora… credo andrà bene...» disse il Firbolg, accennando un timido sorriso «Il metallo del… contenitore… dovrebbe essere sicuro adesso».
«Vasca» disse Miz’ri, scandendo la parola lentamente.
L’altro lo guardò con aria confusa, al che il Drow soggiunse a mo’ di spiegazione: «Quello che hai chiamato “contenitore”... è una vasca».
Ninnuus si limitò ad annuire, arrossendo appena.
«Su, almeno abbi la decenza di spogliarti prima che si raffreddi di nuovo!» Miz’ri cambiò repentinamente argomento, intrecciando le braccia sul torace con fare impaziente.
Il Firbolg lo guardò mentre rimaneva immobile a studiarlo da capo a piedi, quindi congiunse le punte degli indici e mormorò: «C-con te che guardi?».
«Hai fatto irruzione nella mia camera, hai preteso di rimanere qui e lavarci insieme… e adesso vuoi essere lasciato solo?!» sbottò urlando Miz’ri, al che Ninnuus saltò all’indietro coprendosi di riflesso il viso con entrambe le braccia, aspettandosi un’aggressione fisica che però non arrivò.
Era stata una richiesta idiota, doveva ammetterlo, e sentirsela rinfacciare la rendeva ancora più stupida. Senza dire una parola, Ninnuus si affrettò a slacciare la fusciacca gialla dalla vita e cominciare ad aprire la tunica marrone-arancio sottostante.
Il Drow rimase sorpreso nel vedere quanto fossero spessi i suoi abiti, ma ancor di più lo fu nel constatare quanto la sua fusciacca gli costringesse l’addome: non appena l’ebbe tolta, la tunica cedette di colpo, aprendosi leggermente a rivelare una pancia non indifferente.
Nel rimanere del tutto nudo, Miz’ri constatò quanto i suoi indumenti dessero un’impressione sbagliata del suo fisico: da vestito, complice con ogni probabilità anche la sua stazza, Ninnuus appariva decisamente robusto. Non pareva muscoloso, ma sicuramente abbastanza in forma da poter dare l’idea di qualcuno in grado di sopravvivere in un luogo poco civilizzato come quello da cui sembrava provenire.
In realtà, Ninnuus non era robusto, né tantomeno atletico. Era grasso. Le braccia erano flaccide e non c’era traccia di muscoli neanche ad un’ispezione più attenta. I pettorali erano inesistenti e gli addominali ben protetti da una notevole quantità di chili di troppo. Adesso che la fusciacca non c’era, la trippa in eccesso ricadeva morbidamente su se stessa in diversi rotolini, soprattutto sui fianchi. Le gambe erano l’unica parte del corpo che corrispondeva un po’ di più alla concezione di “robusto” di Miz’ri, ma imputava la cosa unicamente al fatto che il grasso si era accumulato in altre zone del suo corpo.
Il Firbolg si sentiva immensamente a disagio nel mostrarsi nudo a Miz’ri. Vedeva il giudizio nei suoi occhi e temeva qualsiasi cosa avesse potuto esprimere in proposito.
Non appena si fu liberato dell’abbigliamento, andò a immergersi in acqua. Come si sedette sul fondo della vasca si rese conto che effettivamente il suo compagno aveva ragione: già per lui era un po’ piccolina, figurarsi per entrambi. Desiderò ardentemente sprofondare nelle viscere della terra per la vergogna, ma si limitò a stendersi come meglio poté contro il fondo arrotondato della vasca, sparendo quasi del tutto sotto la superficie dell’acqua.
Miz’ri si materializzò vicino a lui, osservandolo dall’alto in basso, al che l’altro dovette ammettere: «È… un po’ piccolina...».
«Be’, te l’avevo detto» sospirò il Drow, scuotendo la testa mentre prendeva una saponetta da una ciotolina poggiata sul bordo e cominciava a strofinarla tra le mani appena sotto la superficie dell’acqua, dando origine ad una leggera schiuma «Ormai sei dentro, quindi finisci di lavarti».
Fece per andarsene, ma si fermò ben prima di raggiungere la porta, immaginandosi che Ninnuus non l’avrebbe fatto allontanare da sé senza avere di che ridire. Dopotutto, gli aveva esplicitamente riferito di non voler rimanere solo.
Contro ogni buon senso, Miz’ri si costrinse a fare dietrofront e a parcheggiare il culo su un piccolo sgabello di legno che sistemò vicino alla vasca.
«Rimango qui… ma lavati» fece presente.
Il sorriso grato che il Firbolg gli rivolse lo fece sentire stranamente a posto con la coscienza. Trovava sorprendente il modo in cui si comportava in sua presenza. Nonostante gli facesse saltare i nervi di continuo e trovasse disgustosa la sua assoluta mancanza di spina dorsale, non riusciva a metterci una croce sopra e abbandonarlo a sé stesso. Qualcosa nel suo irritante e patetico modo di essere metteva il Drow nelle condizioni di rifiutarsi tassativamente di lasciarlo perdere.
Ninnuus dal canto suo era troppo impegnato a tastarsi la pancia per rendersi conto delle occhiate variegate che il suo compagno gli stava indirizzando. Si ricordava di aver fatto una cosa simile poco prima di essere esiliato dal suo Clan e la sua memoria tattile gli stava dicendo che la situazione era molto cambiata da quella volta.
Era ingrassato ancora. Pur essendo riuscito a risolvere la sua fame insaziabile - anche se non in via definitiva, a giudicare da ciò che gli era accaduto durante la cena - aveva messo su altro peso. Si vergognava della cosa, ma unicamente per l’impressione che poteva dare di sé agli altri.
La sua pessima forma fisica e i suoi continui paragoni con chiunque gli capitasse attorno erano uno dei motivi per cui avrebbe preferito non vedere Miz’ri in mutande e allo stesso tempo non avrebbe voluto farsi vedere da lui senza vestiti.
«Hai finito? Fa freddo qui fuori...» chiese all’improvviso il Drow, irritato.
Ninnuus si raddrizzò di colpo nella vasca e fece per alzarsi, grondante d’acqua.
«S-scusa...» mormorò a disagio «Esco subito...».
«Ma ti sei lavato per davvero?» la domanda colse il Firbolg di sorpresa. Vide Miz’ri fissarlo in viso con le sopracciglia aggrottate e si chiese se avesse qualcosa che non andava.
In realtà l’attenzione del Drow era concentrata sul fatto che aveva i capelli completamente asciutti, che era una cosa per lui inconcepibile quando doveva farsi il bagno.
«Sono stato in acqua finora… vedi?» così dicendo, Ninnuus si accarezzò la pancia con un ampio movimento circolare, portando via una sottile patina di acqua che era rimasta.
«Quello lo vedo! Intendevo che non ti sei lavato con il sapone!».
Così dicendo, l’Elfo indicò con una mano la poca schiuma che era rimasta in superficie verso il fondo della vasca.
L’occhiata titubante e confusa che Ninnuus gli rivolse fu abbastanza esplicativa del motivo dietro la sua dimenticanza. Ormai Miz’ri aveva visto quello sguardo sul suo viso abbastanza volte per capire al volo le implicazioni.
Il Drow si spalmò una mano sul volto, esasperato, e lasciò perdere. Si alzò e andò a prendere un asciugamano, ma Ninnuus uscì dalla vasca e creò una folata di vento magica attorno a sé per asciugarsi in fretta, rabbrividendo a contatto con l’aria fredda.
«Meglio così, questo allora lo uso io» commentò il Drow, vedendo che il suo compagno si era già arrangiato.
Depose l’asciugamano sullo sgabello e si immerse nella vasca, quindi prese la saponetta e cominciò a sfregarsela addosso, riempiendo la superficie dell’acqua di schiuma.
«A casa tua con che cosa ti lavavi?» giunse la domanda del Drow, mentre si lavava i lunghi capelli bianchi. Aveva atteso un po’ prima di porre il quesito, non sapendo se farlo o meno conoscendo già una parte della risposta: Ninnuus non sapeva cosa fosse il sapone.
L’interpellato tergiversò per qualche secondo prima di replicare: «Nella fortezza c’erano delle sorgenti calde. Andavamo lì per usare l’acqua pulita».
Miz’ri si immaginò delle grandi pozze in cui tante copie di Ninnuus si immergevano insieme, tutti quanti nudi e senza un briciolo di privacy. Faticava a credere che il Firbolg gli avesse chiesto di rimanere solo per spogliarsi se era abituato a mettere tutto in piazza sotto gli occhi del resto del suo Clan.
La proiezione mentale del Drow gli diede anche ragione sul fatto che l’altro non sapesse cosa fosse il sapone: in una sorgente naturale difficilmente avrebbero potuto usare una cosa del genere, anche ponendo che ne fosse diffuso l’impiego nella loro cultura.
Forse spiegargli che poteva puzzare meno di sudore e di vissuto adesso che aveva per le mani lo strumento adatto sarebbe stata la cosa migliore; tuttavia, Miz’ri non era nello stato mentale corretto per farlo. La cosa gli avrebbe richiesto più pazienza di quella che aveva al momento ed era convinto che Ninnuus non avrebbe retto un’esplosione d’ira quella sera.
Il Firbolg si avvolse di nuovo nella sua ampia tunica, fasciandosi stretto l’addome e fermando il tutto con la sua fusciacca colorata, quindi mormorò all’improvviso: «Credo… ehm… buonanotte Miz’ri».
Aveva la sensazione di essere di troppo e che il suo compagno avrebbe di gran lunga preferito starsene da solo. In effetti, gli era stato addosso per tutto il tempo e benché avesse ancora voglia di avere compagnia, non voleva recargli altro disturbo.
L’altro lo salutò con un gesto della mano mentre si godeva il suo meritato bagno, e soltanto dopo diversi secondi decise di aggiungere anche un: «Buonanotte Ninnuus...».
Non cercò minimamente di trattenerlo, e il Firbolg ne dedusse che davvero non ne poteva più di averlo tra i piedi.
Con un mesto sospiro, uscì dalla sua camera camminando lentamente. La testa non gli pulsava più come prima, anche se ancora gli doleva un poco; per questo prestava particolare attenzione a dove metteva i piedi.
Si fermò davanti alla sua porta per cercare la chiave in una tasca, e nel farlo vide sopraggiungere dal fondo del corridoio un’avvenente donna Umana con veramente pochi vestiti addosso e un sacco di pelle in vista.
Ninnuus si guardò bene dal rimanere imbambolato a fissarla; tuttavia, benché stesse cercando di aprire la sua camera, i suoi sensi erano allerta per capire se l’avesse notato.
Nell’estremità del suo campo visivo, la percepì avvicinarsi alla porta di Miz’ri e la udì bussare delicatamente.
Con le guance viola per l’imbarazzo, immaginando che fosse quella “Julie” che la locandiera aveva mandato a chiamare, il Firbolg aprì l’uscio e si chiuse in camera sbattendo la porta con più forza di quanta volesse mentre cercava di lasciar fuori ogni strano pensiero riguardante cosa potessero fare quei due nella stanza da soli.

Il primo risveglio di Ninnuus in un ambiente civilizzato fu il peggiore della sua vita: se il terribile mal di testa con cui si era addormentato era scomparso - con sua somma gioia - altrettanto non si poteva dire del mal di stomaco, che anzi pareva essersi rafforzato.
Ferito agli occhi da una lama di luce che era riuscita a farsi strada attraverso la finestra lercia, il Firbolg si mise lentamente seduto portandosi entrambe le mani all’addome dolorante, cercando di capire la natura del suo malessere. Non aveva la nausea - anzi, si sentiva piuttosto affamato - per cui escluse che fosse una ripercussione della cena abbondante della sera avanti.
«… anche perché quella è finita quasi tutta sul pavimento di sotto...» ricordò a sé stesso, passandosi con un sospiro una mano sul viso per cercare di svegliarsi del tutto. Aveva sperato di dimenticare i vergognosi avvenimenti del giorno precedente ma evidentemente la sua memoria si rifiutava di dargli sollievo.
Scosse piano il capo e si alzò in piedi, andando a recuperare la tunica che aveva tolto prima di addormentarsi. Nel vestirsi si accorse che nel punto in cui aveva incassato il pugno del pirata stava iniziando a formarsi una chiazza scura. La scoperta lo portò all’inevitabile conclusione che probabilmente era indolenzito per i postumi del colpo ricevuto e non perché stesse veramente male.
«Scommetto che Miz non ha nemmeno un livido da ieri...» mormorò a mezza voce in tono depresso, iniziando ad avvolgersi la pancia prominente con la sua fusciacca gialla. Ormai si era talmente abituato ad utilizzarla per creare l’effetto ottico che gli permetteva di sembrare un comune Firbolg di costituzione robusta che riusciva a regolarsi senza neppure farci troppo caso.
Sovrappensiero, si preparò per la nuova giornata ed uscì dalla camera dopo aver accuratamente controllato di non aver dimenticato nessuna delle sue cose all’interno.
Percorse il corridoio in direzione delle scale, fermandosi di colpo quando arrivò davanti alla porta della camera di Miz’ri.
Il suo primo impulso fu di bussare; infatti, sollevò la mano e fece per colpire la porta, ma si bloccò ad un soffio dalla superficie ricordandosi della signorina che aveva visto entrare la sera prima.
Le sue guance azzurre presero fuoco, facendolo diventare viola in viso, mentre immaginava quei due insieme a letto. Non aveva mai avuto occasione di sperimentare come fosse avere una compagna a letto: era talmente giovane e mingherlino per gli standard del suo Clan che nessuna Firbolg aveva mai dimostrato il minimo interesse ad accoppiarsi con lui. Quando era riuscito a mettere su peso - non proprio per sua consapevole decisione - i suoi pensieri erano stati deviati in una direzione decisamente diversa dalla ricerca di una partner; poi era giunto l’esilio.
Sapeva per sentito dire dai suoi coetanei che era un avvenimento molto piacevole per entrambe le parti e che l’interruzione dell’amplesso poteva risultare pericolosa per chiunque fosse così incauto da perpetrare un simile atto.
Aveva visto quanto potesse diventare violento Miz’ri quando si arrabbiava ed era ben lungi da lui il proposito di attirarsi addosso la sua ira immischiandosi nei suoi momenti privati. Abbassò lentamente la mano, ma a metà del gesto udì un tonfo secco dall’altro lato dell’uscio che riconobbe come quello delle suole delle sue scarpe sbattute sul legno. Se si stava mettendo gli stivali significava che non era impegnato in attività particolari, per cui poteva essere disturbato.
L’impulsività soverchiò il suo istinto di preservazione e prima che riuscisse a controllarsi, le sue nocche picchiarono contro il battente.
Udendo un silenzio improvviso dal lato opposto, Ninnuus ritrasse tremando la mano, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di mantenere una parvenza di calma che non percepiva affatto. Perché non era mai in grado di trattenere i suoi stupidi impulsi prima di fare del danno…?
Un secondo dopo, sentì domandare in tono palesemente irritato: «Chi è?».
Colto alla sprovvista dalla risposta, il Firbolg drizzò le orecchie cercando di captare eventuali altri rumori provenienti dall’interno della stanza.
«Ehm… io» replicò dopo pochi momenti, non captando altri suoni.
Il rumore di stivali contro il legno si ripeté, ma stavolta cadenzato nel tempo, e in breve l’uscio si aprì e Miz’ri comparve nello stipite. A differenza della sera avanti, stavolta era vestito almeno nella metà inferiore del corpo, offrendo a Ninnuus solo uno scorcio dei suoi addominali.
I capelli lunghi e bianchi avrebbero avuto bisogno di una pettinata, dato che parevano reduci da una guerra col cuscino.
L’espressione stizzita del Drow manifestava in modo chiaro quanto l’interruzione di qualsiasi cosa stesse facendo fino ad allora fosse sgradita.
«Che cosa è successo ancora?» chiese con un sospiro stanco, massaggiandosi il ponte del naso con due dita. Come poteva essersi già cacciato nei guai a quell’ora della mattina…? Non gli sembrava il tipo da andarsene in giro all’alba a fare danni, ma c’era sempre qualche brutta sorpresa ad attenderlo quando il Firbolg era nei paraggi.
A rispondergli prima ancora che l’altro potesse aprire bocca fu il suo stomaco, che produsse un lungo e forte gorgoglio, impossibile da non udire per chiunque.
Ninnuus si morse il labbro, a disagio sotto lo sguardo stupito del suo compare.
«Ti senti male?» indagò quest’ultimo, sorpreso dalla potenza del rumore. In condizioni normali, nessuno stomaco avrebbe emesso un brontolio del genere.
Nel caso, lui non avrebbe saputo che fare per aiutarlo neppure volendo - e non voleva - a parte consigliargli di rimanere nei pressi di una latrina anziché gironzolargli attorno.
«No, no!» si affrettò a giustificarsi il Firbolg, drizzando le orecchie pelose, pensando erroneamente che Miz’ri si stesse preoccupando per la sua salute «Ho solo fame».
Visti i suoi precedenti della sera prima, il Drow si diede dello stupido per non esserci arrivato subito.
«Ah… giusto» Miz’ri scrollò le spalle e fece dietrofront, accostando la porta «Finisco di vestirmi e arrivo».
Ninnuus era contento che volesse accompagnarlo a procacciarsi del cibo, non essendo sicuro di aver ben compreso i fondamenti del baratto in quella città. Miz’ri dal canto suo era soltanto soddisfatto della possibilità di approfittare ancora della sua ingenuità per strappargli un altro pasto gratis.
Si mise in fretta la camicia, diede una rapida sistemata ai capelli districandoli con le dita e radunò i suoi effetti personali, che non aveva intenzione di lasciare incustoditi; quindi, tornò dal Firbolg.
Scesero al piano di sotto. La sala era stata ripulita dal caos scoppiato la notte prima, ma la qualità dell’ambiente ne aveva risentito davvero poco. Ninnuus continuava a trovarlo troppo angusto benché adesso i tavoli fossero molti meno. Non si sentiva affatto a suo agio e cominciava a percepire nuovamente la sensazione di mancanza di aria e oppressione che lo aveva accolto al suo arrivo.
Miz’ri fece per avviarsi al bancone quando si sentì strattonare piano all’indietro. Immaginò chi fosse a trattenerlo senza neppure aver bisogno di voltarsi.
«Possiamo… andare da un’altra parte?» gli bisbigliò vicino all’orecchio il Firbolg. La sua barba rigogliosa gli solleticava appena il lobo appuntito tant’era vicino.
«Un… posto un po’ più...» Ninnuus esitò, deglutendo nervosamente in cerca del termine corretto «… più aerato».
Miz’ri si era accorto della sua claustrofobia, anche se non aveva dato cenno di interessarsene. Si meravigliò che fosse riuscito a trovare il coraggio di esprimere una sua preferenza personale piuttosto che seguirlo ubbidiente per poi ritrovarsi a piagnucolare in un secondo momento.
Decise pertanto che un atteggiamento così propositivo meritava di essere premiato.
«D’accordo, conosco un posto che sicuramente andrà bene per i tuoi standard» gli disse, e subito vide il suo viso accendersi di un misto di gratitudine ed entusiasmo talmente infantili che fu tentato per un secondo di mandarli in frantumi accompagnandolo nella peggiore bettola di Trebelize, situata in una specie di lurido scantinato umido.
Fu un pensiero che se ne andò rapido come si era presentato, rimpiazzato dalla prospettiva di potergli scucire una colazione davvero buona.
Senza ulteriore indugio imboccò l’uscita, seguito dappresso dal Firbolg, che si guardava attorno con fare meravigliato mentre il porto acquisiva una nuova luce ai suoi occhi.
Se la sera avanti gli era parso cupo e poco sicuro, adesso che c’era il sole alto nel cielo riusciva a notare che gli edifici non erano tutti assiepati insieme a creare un dedalo di soffocanti stradine. Era comunque un luogo bizzarro se paragonato a quello da cui proveniva e non era avvezzo a vedere così tante persone in giro tutte assieme; tuttavia, si sentiva un po’ più a suo agio.
In lontananza verso il mare scorse persino una gigantesca torre che rifletteva i raggi del sole, brillando come una torcia sul promontorio anche in pieno giorno.
Miz’ri lo lasciò curiosare in giro con lo sguardo, continuando a tenere i sensi allertati nel caso in cui quello stupido avesse pensato bene di deviare senza avvisarlo. Era un incidente che si aspettava da uno come Ninnuus e che invece non si verificò. Probabilmente la causa della sua “buona condotta” risiedeva nel continuo e inquietante brontolio del suo stomaco. Aveva troppa fame per gironzolare senza meta per la città.
Il Drow si fermò dopo una buona ventina di minuti di passeggiata di fronte alla porta d’ingresso di un locale che niente aveva a che fare con quello visitato in precedenza, a partire dalle pareti: queste erano fatte in legno chiaramente trattato per resistere alle intemperie e all’usura del tempo. In esse si aprivano poche ma grandi finestre talmente pulite che Ninnuus riuscì a notare i graziosi tavoli rotondi all’interno, in parte occupati.
Attorno allo stipite della porta cresceva una piccola siepe di rampicanti verdi e rigogliosi che davano un tocco di luce in più al luogo.
«Entriamo?» domandò Ninnuus con un misto di entusiasmo e timore.
«Questo posto ti piace immagino» rispose Miz’ri, ricevendo in cambio un’occhiata fugace e un cenno d’assenso col capo. Le sue orecchie - che ormai il Drow aveva intuito essere il più semplice e lampante modo di capire il suo umore - erano parzialmente drizzate.
Il Drow avanzò verso la porta e l’aprì, entrando per primo. Il Firbolg lo seguì lesto, curioso di vedere l’interno di quel locale.
L’impressione positiva che aveva avuto spiando da fuori si confermò ampiamente una volta varcata la soglia: le finestre facevano sì che l’ambiente risultasse molto più confortevole e luminoso della locanda in cui avevano dormito. Oltre ai tavolini c’era anche un bancone piuttosto alto e privo di sgabelli, in modo tale da lasciar vedere i complicato ghirigori in bassorilievo sul davanti.
Dietro ad esso si trovava un Umano coi capelli neri tagliati corti e pettinati all’indietro e un paio di sottili baffi arricciati alle estremità. Indossava una camicia bianca e sopra un gilet nero, abbigliamento che Ninnuus trovò personalmente originale.
Anche i pochi altri avventori - ora che ci faceva caso - erano vestiti in maniera bizzarra, con abiti ben lontani dalle fatture classiche delle armature. Si chiese che razza di persone fossero ad andare in giro senza la minima protezione, ma preferì tenere il quesito per un altro momento, quando il suo stomaco fosse stato meno dolorosamente vuoto.
Vicino al bancone, a terra, si trovava un curioso oggetto a forma di “V” rovesciata con un elenco di pietanze riportato in bianco sulla superficie nera che occupava la distanza tra le due zampe. Si fermò, scostandosi da Miz’ri per leggere cosa c’era.
Miz’ri puntò spedito verso il bancone, affacciandosi al di sopra di esso per guardare in viso l’Umano che si trovava dall’altro lato.
«Buongiorno, avete qualcosa di dolce per la colazione?» chiese nel tono più cortese ed educato di cui era in possesso.
Vide l’Umano ponderare per qualche momento, perplesso dalla richiesta, per poi rispondere: «Credo siano rimaste delle sfogliatine...».
«Allora due per favore» disse il Drow. Non era proprio il suo dolce preferito, ma solitamente mangiava ben di peggio a colazione, per cui non si lamentò.
Ciò detto sparì oltre una porta che con ogni probabilità era quella della cucina.
«Che prendi da bere di solito, Ninnuus? Lat…» Miz’ri si volse per sapere cosa ordinargli da bere, e vide che il Firbolg non era alle sue spalle, bensì un po’ più indietro. Stava consultando una lavagnetta che quasi sicuramente riportava il menù del locale, e a giudicare dalla sua infantile espressione assorta doveva aver trovato qualcosa che lo intrigava.
Appellandosi a tutta la pazienza esistente nell’universo, Miz’ri gli si fece dappresso e gli diede una lieve gomitata nel fianco per attirare la sua attenzione.
«Se vuoi qualcosa di specifico, dovresti dirmelo prima che ordini per entrambi» lo rimproverò con tono bonario. Dimostrarsi veramente incazzato si era rivelata essere una pessima opzione in precedenza, quindi sperò che in quel modo riuscisse a non farlo piangere - reazione che pareva estremamente semplice da scatenare.
Il suo compare sobbalzò appena al colpo e si voltò nella sua direzione, arrossendo un poco.
«M-mi dispiace» balbettò, ma non c’erano tracce di lacrime nei suoi occhi ambrati «Non mi ero accorto che eri andato avanti… ehm… è tardi per cambiare idea?».
Miz’ri guardò rapidamente verso la porta che aveva inghiottito l’Umano e scrollò le spalle.
«Non ancora. Che volevi?».
Ninnuus si sporse a indicare un punto dell’elenco con la mano che tremava appena.
«Questo» replicò, drizzando le orecchie di colpo.
Già ad un primo sguardo il Drow si rese conto che quello che stava indicando era il piatto con la descrizione più lunga. La cosa non lo sorprese minimamente considerata la mole del Firbolg. Ad un esame più approfondito, vide che si trattava di una portata di colazione fatta di più piatti raccolti assieme, tutti salati. In basso, sotto al resto, c’era anche una piccola nota tra parentesi che recitava “per due persone”.
A giudicare dallo spropositato appetito della sera prima, probabilmente un piatto pensato per due persone era l’unico che avrebbe potuto soddisfare Ninnuus.
La porta della cucina si aprì in quel momento e l’Umano apparve con un piatto che recava un paio di sfogliatine. Vedendo il Drow vicino al menù, immediatamente chiese: «Desiderate altro?».
Miz’ri ponderò sull’eventualità di rimandare indietro i dolcetti, ma alla fine pensò che a Ninnuus mangiare anche quella non sarebbe dispiaciuto.
«Il mio compare qui vorrebbe la vostra Colazione Composita» rispose semplicemente.
Vide l’Umano lanciare un’occhiata perplessa verso il Firbolg e per un istante parve intenzionato a obiettare qualcosa, ma poi disse: «Benissimo. Da bere?».
Miz’ri ringraziò silenziosamente la buona creanza del barista nel tenere per sé commenti che avrebbero potuto trasformare Ninnuus in una fontana ambulante.
«Per me dell’acqua, per favore» replicò per primo il Firbolg.
«Io vorrei qualcosa di alcolico. Del liquore se c’è» intervenne il Drow.
L’Umano assentì, l’espressione che manifestava ancora di più perplessità nei loro confronti. Ancora una volta sembrò colto dal buon senso e non si espresse.
«Se volete accomodarvi...» esclamò, porgendo a Miz’ri il piatto con le sfogliatine.
Ciò fatto, sparì di nuovo in cucina, lasciando i due da soli con gli altri clienti. Questi ultimi si erano voltati a seguire il discorso, visto il volume elevato delle loro voci, e adesso sembravano rivolgere al Firbolg occhiate a metà tra il il perplesso e il disgustato. Purtroppo la cosa fu sufficientemente palese ai sensi del diretto interessato, sempre tesi nel cogliere le attenzioni altrui anche quando sembrava concentrarsi su altro.
«Dove vuoi…?» iniziò Miz’ri, ma si interruppe vedendolo abbassare le orecchie e puntare silenziosamente e con una certa urgenza verso l’angolo più remoto della sala. Lo seguì senza dire niente, limitandosi a constatare quante occhiate arroganti si posassero su di lui mentre procedeva fra i tavoli.
Comprese immediatamente che la sua suscettibilità era stata ferita da quei giudizi inespressi ma palesi. Se non avessero avuto di che consumare in quel posto, Miz’ri avrebbe avuto di che ribattere ad ognuno di quegli stronzi presuntuosi che gli stavano rendendo la vita ancora più complicata di quanto già non fosse.
Quando Ninnuus si sedette, lo fece posizionandosi sulla sedia incastrata fra il tavolo e l’angolo più in penombra del locale. Il suo sguardo esprimeva disagio mentre osservava intimorito le pareti - così vicine e incombenti su di lui - e al tempo stesso gettava un’occhiata desiderosa verso la finestra poco distante.
Miz’ri non poté sopportare oltre quella pietosa autoflagellazione: si fermò prima di arrivare al tavolo e deviò, dirigendosi verso quello inondato dalla luce del sole.
«Sediamoci qui» disse a voce alta, allontanando una sedia e posizionandocisi sopra, fissando a braccia conserte il suo accompagnatore con chiara espressione di sfida.
Ninnuus appiattì le orecchie lungo il collo.
«N-non p-po-possiamo metterci qua?» chiese, balbettando freneticamente. I suoi occhi saettavano da un tavolo all’altro senza posa.
«E perché mai? È una così bella giornata. C’è tanto sole» ribatté Miz’ri in tono calmo. In realtà a lui non importava un cazzo del tempo atmosferico, soprattutto del sole - che in realtà un po’ lo infastidiva addirittura - però era disposto a sacrificarsi per evitare che Ninnuus si causasse un attacco di panico da claustrofobia. Le conseguenze della sua stupidità sarebbero ricadute inevitabilmente su di lui.
Il Firbolg si guardò di soppiatto intorno.
«Ci guarderanno ancora tutti lì» mormorò.
Miz’ri si spostò leggermente di lato, appoggiando un braccio sulla cima dello schienale della sedia e voltandosi verso il resto della sala con un gesto plateale della testa. La chioma bianca disegnò un morbido arco dietro le sue spalle.
Come si volse, vide diverse teste affrettarsi a dirigersi altrove.
«Che guardino pure. Probabilmente non sono mai riusciti a guardare oltre il loro naso, sempre all’insù per darsi falsa importanza» replicò Miz’ri senza la minima vergogna nel parlare a voce alta. Voleva ben vedere qualcuno di quegli snob con la puzza sotto il naso cercare di attaccar briga con qualcuno palesemente armato.
Vide l’espressione di Ninnuus rasserenarsi, seppur di poco, e quella che aveva tutta l’aria di un accenno di sorriso increspargli le labbra.
«Vieni qui, forza. Immagino che tu non abbia mai assaggiato una di queste...» così dicendo, il Drow sollevò dal piatto una delle sfogliatine.
Come aveva previsto, la prospettiva del cibo riusciva a smuovere il suo compagno molto di più di qualsiasi melenso discorso di incoraggiamento potesse escogitare: Ninnuus strisciò fuori dal suo angolino - spingendo via il tavolo per farsi spazio sufficiente a passare di traverso - e andò a sedersi dirimpetto a Miz’ri, con la schiena sotto la luce diretta del sole. I suoi capelli rossi sembravano ancora più brillanti in quelle condizioni.
«Che… che cosa è?» domandò esitante, sporgendosi ad osservare ciò che l’altro aveva in mano. Annusò l’aria, carpendo un vago sentore di zucchero caramellato.
«È dolce?» aggiunse. Non aveva una gran passione per i dolci, in realtà, però a colazione gli andava bene letteralmente qualsiasi cosa pur di mettere sotto i denti del cibo.
«Questa è una sfogliatina» gli spiegò Miz’ri «Dovrebbe esserci del cioccolato dentro» proseguì, spingendo verso di lui il piatto con l’altra.
Ninnuus osservò il dolcetto per qualche istante, senza toccarlo, studiandolo come per capire i segreti della forma e della preparazione. L’odore era invitante e gli fece venire l’acquolina in bocca. Oltre all’aroma di zucchero caramellato riuscì a percepire anche un leggero sentore di cioccolato amaro. Si raddrizzò e prese in mano il dolce, imitando goffamente il modo di tenerla del Drow.
Spalancò le fauci piene di saliva e addentò con forza selvaggia un’estremità della sfogliatina. Affondando i denti, arrivò il grosso del cioccolato, che gli schizzò sulle dita e sul viso.
Miz’ri non riuscì a trattenere una risata vedendo la quantità di ripieno che era riuscita a spruzzarsi addosso con un solo morso, e per un momento rischiò di fare altrettanto danno.
«N-non ridere!» gemette il Firbolg imbarazzato, diventando viola fino all’attaccatura delle orecchie, cercando di correre ai ripari con la mano ancora libera.
I suoi occhi saettavano da una parte all’altra della sala mentre freneticamente e in maniera molto poco signorile raccoglieva con le dita il cioccolato di cui si era cosparso e lo leccava via.
Vedeva alcune teste sporgersi nella sua direzione, curiosi di capire cosa avesse scatenato le rumorose risate del suo compagno.
«Come faccio a non ridere?!» domandò quest’ultimo quando si fu ripreso almeno in parte, cercando di reprimere senza troppo impegno un altro accesso di risate «Hai ancora della cioccolata sul naso» esclamò, toccandosi con l’indice poco sopra la punta del naso.
Ninnuus drizzò all’istante le orecchie all’informazione, affrettandosi a pulirsi.
«O-ora?» chiese subito dopo.
«No, non più» Miz’ri scosse il capo, tentando di tornare serio «È possibile che tu non abbia mai mangiato un dolcetto ripieno? Non si morde così forte, rischi di mandare ovunque quel che c’è dentro...».
Non era un rimprovero il suo, solo curiosità. Gli pareva strano che qualcuno con un appetito come il suo si fosse tenuto alla larga da peccati di gola come quello.
Il Firbolg abbassò le orecchie comunque, e poco dopo anche gli occhi.
«A casa mia non c’erano queste cose» spiegò con breve affanno per l’imbarazzo. Era inutile fingere il contrario a quel punto: Miz’ri l’avrebbe smascherato subito.
«Il cibo era più… semplice» esclamò «Anche troppo» soggiunse tra sé e sé.
Miz’ri lo guardò dalla testa fino al bordo del tavolo più volte, sgranando gli occhi.
«C-cosa?» fece l’altro, non capendo il significato della sua espressione.
«Nulla, sono sorpreso della tua… ehm… mole… se davvero non hai mai mangiato dolci del genere...» rispose, accennando alla sfogliatina nella sua mano.
Ninnuus si irrigidì, incassando leggermente il capo nelle spalle come a volersi nascondere.
«Qualche dolce tipico del mio Clan esiste… ma non è quello il punto...» replicò, esitante sul finale.
Prima che potesse cercare di ordinare i pensieri in modo coerente su un argomento che ancora per lui era doloroso da affrontare, l’Umano che aveva preso il loro ordine si avvicinò al loro tavolo, sviando l’attenzione di entrambi dalla conversazione.
Sorreggeva un grosso vassoio di legno di fattura piuttosto buona su cui erano posizionati un gran numero di piatti. Pareva non essere all’altezza del compito, a giudicare da come gli tremavano le braccia.
Miz’ri notò subito la precaria posizione del suo bicchiere di liquore e decise di intervenire prima che accadesse un disastro.
«Le do una mano» esclamò, sgusciando in piedi per posizionarsi di fianco al poveretto. Ghermì con forza i bordi del vassoio, flettendo i muscoli tonici come a volersi pavoneggiare della sua forza fisica.
Notando con che fermezza stesse sostenendo l’oggetto, l’Umano si affrettò a lasciarglielo.
«Uhm… grazie» disse, con un po’ di affanno nonostante il tentativo di ricomporsi «Buon appetito» e ciò detto se ne andò a grandi falcate, evidentemente ansioso di lasciarsi alle spalle la sua pietosa gaffe.
Miz’ri si volse verso il loro tavolo, ignorando il suo scarso contendente, solo per ritrovarsi a fissare Ninnuus che si stava sporgendo in bilico sul bordo della sedia per sbirciare il vassoio. Pareva già dimentico della sua sfogliatina.
«Prima di lanciarti su tutta questa roba, finisci quella» lo redarguì il Drow, intuendo il corso dei pensieri del Firbolg solo dal suo sguardo.
Quest’ultimo tornò a sedersi, abbassando le orecchie.
«Non volevo lasciarla» ammise mormorando «Ma il dolce si mangia dopo il salato...».
Miz’ri sollevò gli occhi al cielo per un breve istante: probabilmente solo qualcuno con l’appetito di Ninnuus avrebbe potuto “inventare” la colazione con dessert.
«Va bene… ma sia chiaro che io i tuoi avanzi non li mangio» così dicendo il Drow mise il vassoio dinanzi al suo compagno, il quale per tutta risposta raddrizzò le orecchie di colpo.
Il nome della pietanza era decisamente azzeccato: c’erano talmente tanti piatti diversi che Miz’ri non capiva come qualcuno potesse riuscire a mangiarli tutti insieme. In un primo momento riconobbe della pancetta abbrustolita, salsicce e uova al tegamino; ad uno sguardo più attento vide che c’erano anche altre preparazioni a base di uova e carne un po’ più elaborate. In aggiunta a tutto ciò c’erano anche delle piccole ciotole trasparenti con varie confetture, del formaggio - che il Drow non capiva cosa ci facesse là in mezzo - e del pane.
Ninnuus si leccò le labbra, emozionato alla prospettiva di riempirsi finalmente la pancia, fatto sottolineato anche dalle sue orecchie ben dritte lungo i lati della testa.
«Be’, buon appetito» esclamò Miz’ri, tornando a sedersi e prendendo per sé il suo bicchiere di liquore.
Il Firbolg sorrise e si mise a mangiare di buona lena, anche se almeno stavolta sembrava consapevole dell’esistenza delle posate. Se non altro, non era uno spettacolo così terribile guardarlo trangugiare bocconi provenienti da differenti piatti, masticando vigorosamente per poi inghiottire rumorosamente.
Miz’ri si godette il resto della sua sfogliatina in pace, osservando distrattamente il suo accompagnatore. Adesso pareva che del resto del locale non gli importasse più granché, il che era soltanto una nota positiva.
Dopo un po’ che erano in silenzio, Miz’ri esclamò: «Che cosa hai intenzione di fare ora?».
«In che senso?» domandò di rimando Ninnuus non appena ebbe la bocca vuota, aggrottando le sopracciglia.
«Be’, con Malzas il lavoro è concluso… quindi siamo liberi di fare cosa vogliamo» cercò di spiegarsi meglio il Drow, rilassandosi contro lo schienale della sedia.
«Oh… ehm… tu che farai?» indagò esitante il Firbolg, azzannando un pezzo di salsiccia.
«Io aspetterò il prossimo incarico bazzicando il porto» Miz’ri rispose con decisione, facendo spallucce «È solo questione di tempo, qualche capitano ha sempre bisogno di una mano per gestire problemi in mare».
«Oooh...» Ninnuus abbassò le orecchie «Io… non saprei… potrei rimanere qui anche io» ponderò a voce alta.
«Nel caso, dovrai trovarti un lavoro. Le monete che hai prima o poi finiranno...» Miz’ri esitò un momento, riflettendo se fosse il caso o meno di aggiungere altro per essere più incisivo - o cattivo - e alla fine decise che sì, lo era: «Più prima che poi se continui a mangiare così tanto».
Vide varie espressioni alternarsi sul volto del suo interlocutore, ma quella imbarazzata rimase più a lungo di tutte le altre.
Fece per dire qualcosa, ma si zittì e poi cambiò argomento: «Che… cosa potrei fare per avere altre monete?».
«Be’, sulla nave mi sembravi a tuo agio nella cambusa col cuoco» constatò il Drow «E ci sono molte carovane di mercanti che partono da qui per dirigersi verso città più nell’interno. Penso che a loro farebbe comodo avere qualcuno che sa cucinare bene».
Ninnuus avvertì emozioni contrastanti risvegliarsi a quel commento. Da un lato si sentiva lusingato e gratificato dal complimento; dall’altro aveva la sensazione che avesse una percezione distorta delle sue capacità e lo stesse sopravvalutando. Sopra a tutto questo campeggiava il bruciante ricordo del motivo per cui aveva iniziato a far pratica in cucina, e la sua mente vagò alla deriva nei terrificanti momenti in cui aveva perso il controllo di sé stesso durante la sua prima - e unica - battuta di caccia.
Miz’ri lo vide abbassare la forchetta e allontanare leggermente il piatto di carne che aveva vicino a sé, osservando un punto del tavolo senza in realtà guardarlo davvero. Sembrava mentalmente assente.
«In alternativa» si affrettò a dire, prima che quel fagotto di problemi ambulante avesse un’altra pietosa crisi di pianto «So che qui ci sono signorine disposte a pagare parecchio per avere della compagnia esotica».
Lo vide corrugare ancor di più le sopracciglia, anche se parve tornare a dargli la sua attenzione.
«Esotica?» chiese, piegando di lato il capo.
«Come avrai visto, qui non ci sono molte razze diverse dagli Umani… e tu sei l’unico Firbolg che ho mai visto arrivare in porto» disse il Drow, cercando di parlare lentamente per farsi capire bene alla prima. Tracannò un sorso di liquore, consapevole che per la successiva parte del discorso gli sarebbe servita della carica extra.
«Saresti una compagnia ricercata per le signorine che sono interessate a trascorrere la notte insieme a razze meno noiose… e tu lo sei sicuramente» aggiunse «Pensaci. Avresti la possibilità di essere pagato e di non doverti preoccupare di cercare ogni volta un posto per dormire».
«Non… credo che qualche femmina vorrebbe stare con me...» mormorò triste Ninnuus «Non ho i requisiti… e-e non sono… ehm… esperto».
«Dammi retta, fai un tentativo. Non immagini nemmeno che cosa passa per la testa di certa gente. C’è l’imbarazzo della scelta per le fantasie che popolano la mente di maschi e femmine» Miz’ri assentì con un vigoroso cenno del capo «E il fatto che tu non sia “esperto” potrebbe persino giocare a tuo vantaggio. Ad alcune piace molto l’impaccio di chi non è abituato».
Ninnuus gli rivolse un’occhiata confusa.
«Hai… ehm… molta esperienza in quel campo per essere così… informato?» domandò. Non voleva offenderlo, però era sinceramente curioso di capire da dove provenisse tanta baldanza e sicurezza nell’affrontare un argomento che per lui era al tempo stesso un tabù e una vergogna.
Alla sua età - per quanto fosse ancora giovane per gli standard del suo Clan - i Firbolg avevano già avuto modo di fare esperienza sessuale in alcune occasioni. C’erano delle festività al cambio delle stagioni in cui era tradizione che i ragazzi iniziassero i primi accoppiamenti.
Lui ne era sempre stato escluso. I suoi genitori gli avevano sempre vietato di farlo in virtù della sua costituzione estremamente fragile. Molte femmine erano più grosse e muscolose di lui e poteva essere pericoloso - o così almeno gli avevano sempre detto ogni volta che aveva cercato di sapere il perché di quell’isolamento forzato.
Aveva pensato che fosse un segno d’affetto da parte dei suoi parenti, ma alla luce di come si era svolto il suo processo pubblico per l’esilio, aveva capito che forse il motivo di tanta apprensione era da cercarsi altrove. Era approdato alla conclusione che si vergognassero di lui e che vedessero la sua fragilità come qualcosa da nascondere agli occhi del Clan - soprattutto considerando quanto fosse robusto e desiderato tra le femmine Firbolg suo fratello Maximus.
In effetti, lui per primo si sarebbe imbarazzato da morire se si fosse fatto del male cercando di accoppiarsi con una femmina più grossa di lui; pertanto forse le loro paure non erano poi tanto lontane dal vero.
Adesso però rimpiangeva di non aver potuto “fare pratica” a suo tempo, dato che probabilmente nelle sue attuali condizioni era in grado di reggere un simile sforzo senza rischiare danni collaterali.
«Diciamo che non ci sono molti altri posti in cui passare piacevolmente il tempo tra una rissa e l’altra» fu la risposta di Miz’ri «Però questo mi permette di aiutarti, dato che conosco parecchie persone nell’ambito».
Ninnuus non era molto convinto, però era anche vero che l’unica sua alternativa sarebbe stata rimettersi in viaggio con altri sconosciuti e l’incognita su come l’avrebbero trattato lo spaventava parecchio. Se avesse invece cercato un lavoro in città, almeno avrebbe avuto la certezza di ritrovare Miz’ri tra un viaggio in nave e l’altro.
«P-puoi aiutarmi a… entrare?» chiese il Firbolg timidamente, abbassando subito gli occhi e tornando a mangiare.
Il Drow ammise di essere sorpreso dalla sua scelta. Gli sembrava più un tipo curioso e incline al viaggio; tuttavia, si astenne dal presentare a voce alta le sue perplessità.
«Certo!» disse, sbattendo il bicchiere sul tavolo con un po’ troppa energia «Ora ti spiego dove devi andare».
Ninnuus, emozionato, terminò la colazione ascoltando con attenzione le istruzioni dell’altro. Scoprì così che Miz’ri era molto bravo a dare indicazioni stradali, che accompagnava anche con riferimenti cardinali. Per fortuna Ninnuus era avvezzo ad orientarsi nelle foreste della sua isola, dove tutti gli alberi erano uguali tra loro e l’unico modo per trovare la strada di casa era usare il cielo.
Alla fine della dettagliata spiegazione, il Firbolg si appoggiò contro lo schienale della sedia, tornando a terminare la sua sfogliatina. Era già pieno di tutto il resto, ma non voleva che Miz’ri si arrabbiasse perché non gli andava.
«Tu non mi accompagnerai?» chiese, masticando lentamente il boccone.
«Io devo andare al porto» controbatté l’altro, alzandosi «Ma stasera posso passare a controllare che sia tutto a posto» aggiunse.
Fece per andarsene, ma Ninnuus si alzò velocemente e lo raggiunse, con ancora un pezzo di dolce in mano.
«A-aspetta» lo trattenne, afferrandolo per un polso «Ehm… puoi accompagnarmi a pagare? F-faccio io… ma...» abbassò lo sguardo, intimorito «… vorrei sapere se ho capito come si fa...».
Miz’ri lo fissò per alcuni secondi prima di capire a cosa stesse facendo riferimento; a quel punto scrollò le spalle e disse: «D’accordo, vediamo se hai imparato».
L’altro gli sorrise, grato per la sua disponibilità. Fece sparire in un sol boccone ciò che restava della sfogliatina e con la bocca ancora piena si diresse assieme al Drow verso il bancone. Stavolta ignorò del tutto le occhiate dei pochi avventori che si erano trattenuti tanto quanto loro, troppo impegnato a cercare di mantenere una parvenza di calma.
La sera avanti Miz’ri gli aveva mostrato come si utilizzava il denaro, ma lui non aveva prestato l’attenzione che l’atto richiedeva, sopraffatto dai sintomi da sbronza e dal malessere residuo del suo “incidente” post cena. Buona parte dei ricordi era stata offuscata, però ricordava più o meno come avrebbe dovuto funzionare. Sperava solo che quello che rammentava fosse sufficiente a renderlo in grado di occuparsi di sé stesso da solo.
Arrivarono al bancone pochi momenti più tardi, il tempo necessario affinché Ninnuus riuscisse a mandar giù ciò che restava della colazione.
Raccogliendo il poco coraggio che aveva, il Firbolg si fece avanti, impugnando il sacchettino delle monete. Secondo Miz’ri era un approccio totalmente sbagliato, però volle lasciare al suo compare piena facoltà d’azione. Sembrava ansioso di dimostrarsi all’altezza della situazione, e lui era sinceramente stanco di fargli da baby-sitter.
«Ehm… quanto devo pa…?» esordì Ninnuus con voce appena tremante, ma venne interrotto prontamente dall’Umano.
«Un oro e cinque argenti» disse, con palese impazienza.
Il Firbolg sciolse la cordicella che teneva chiuso il sacchetto e si rovesciò sul palmo alcune monete, constatando con una certa apprensione che erano tutte dorate.
Un’espressione di panico si diffuse sul suo viso, non sapendo come poter fare per dare gli argenti che il cameriere chiedeva. Miz’ri notò subito il pallore sul suo volto azzurrognolo e si prodigò nel rispondere all’ovvio quesito che sicuramente era la fonte di tanto terrore.
«Una moneta d’oro sono dieci argenti» bisbigliò, sporgendosi verso le orecchie del Firbolg, certo che avrebbe colto la sua voce anche senza volerlo. Un po’ meno sicuro era del fatto che sapesse contare, ma non sarebbe intervenuto in suo soccorso di nuovo se non fosse stato apertamente interpellato.
A dispetto della sua ingenua ignoranza in fatto di economia, Ninnuus si rivelò sufficientemente istruito da essere in grado di capire come funzionava la matematica dello scambio: prese due monete dorate e le appoggiò sul bancone. L’Umano le prese e al loro posto ne mise cinque d’argento.
«Buona giornata, signori» salutò con ben poco entusiasmo mentre Ninnuus incassava il resto con un’espressione trionfante sul volto.
Uscirono per strada, fermandosi a pochi metri dalla porta.
«Be’, mi pare tu sia diventato bravo anche coi soldi» si complimentò Miz’ri. Le orecchie del suo interlocutore si drizzarono di colpo, vibrando leggermente.
«Sì? Davvero?» chiese emozionato quest’ultimo.
«A parte la conversione tra monete d’oro e argento, che non potevi sapere perché non te l’avevo detto, mi sembri perfettamente in grado di cavartela da solo» continuò il Drow, annuendo col capo «A tal riguardo, ti anticipo che esistono anche le monete di rame. Una moneta d’argento vale dieci di rame».
Ninnuus annuì, cercando di mandare a memoria quell’importante nozione.
«Allora… immagino tu ora andrai verso il porto...» esclamò il Firbolg «Spero… che ci rivedremo stasera».
«Io spero ci sia del lavoro da fare… ma in caso negativo, senza dubbio» rispose il suo compagno.
Ciò detto, i due si separarono, imboccando la medesima strada ma in direzioni opposte.

Ritrovarsi improvvisamente da solo in una città sconosciuta fu per Ninnuus una incredibile fonte di stress. Ricordava bene le indicazioni che gli aveva dato Miz’ri per arrivare al bordello, oltre al fatto di avere un senso dell’orientamento molto sviluppato; pertanto non era preoccupato di perdere la strada. Ciò che lo spaventava al momento era l’apparente vastità dell’insediamento. Anche la fortezza del suo Clan era grande, dovendo ospitare all’interno delle mura una comunità piuttosto numerosa e in continua crescita; tuttavia, non era neanche lontanamente paragonabile all’estensione di Trebelize.
«Non c’è bisogno di avere paura… Miz’ri ti ha spiegato cosa dire e dove andare» il Firbolg cercava di placare i suoi nervi a fior di pelle ripetendosi quella solfa innumerevoli volte «E qui non ci sono bestie affamate che cercheranno di aggredirti appena abbasserai la guardia...» proseguì, continuando a parlare a sé stesso in silenzio.
Paradossalmente, era proprio la mancanza di qualcuno con cui parlare a voce alta ciò che contribuiva per la maggior parte al suo nervosismo. Si era abituato alla compagnia di Miz’ri, e ritrovarsi improvvisamente senza fu come ritornare ai primi giorni dopo il suo esilio, quando vagava per le foreste attorno alla fortezza costringendosi al silenzio per non rischiare di attirare predatori su di sé.
Avrebbe potuto evocare Hayako per avere della compagnia, anche se non del tipo loquace; tuttavia, preferì evitare di farlo: tra una dormita e l’altra, le occasioni che aveva per richiamare l’elementale dal suo piano erano limitate, e data la sua assoluta cecità nelle ore buie del giorno preferiva di gran lunga riservarsi tale opportunità per quando sarebbe stata più utile.
La prospettiva di un intero pomeriggio da trascorrere da solo non lo entusiasmava per niente, anche se sperava che una volta raggiunto il bordello qualcuno si degnasse di prestargli attenzione e aiutarlo ad “ambientarsi”. Non si reputava neppure lontanamente pronto per una cosa del genere, non da solo e ancor di meno se abbandonato a sé stesso e alla sua iniziativa.
Si fermò arrivando al centro di un grosso incrocio. Qui di persone che andavano e venivano ce ne erano davvero tante, più che nelle strade che aveva bazzicato in precedenza. Molti non lo considerarono, ma alcuni gli rivolsero delle occhiatacce mentre lo aggiravano per poi tornare ad attendere ai fatti propri.
C’erano persone a piedi - ed erano la maggior parte - ed altre che erano intente a guidare carretti pieni di scatoloni di legno e trainati da muli o carriole cariche di sacchi dall’aria pesante. Alcune guardie transitavano in mezzo agli altri, distinguendosi per l’armatura, le armi e per il fatto che qualcuna di loro si trovava in sella a cavalli dall’aria curata.
Ninnuus si volse ad ispezionare le varie strade, poi sollevò gli occhi al cielo, osservando la volta con attenzione. Ripercorse mentalmente le indicazioni di Miz’ri e individuò senza troppa difficoltà la direzione corretta, che ovviamente era anche quella più affollata. Serrando le mani attorno al suo bastone come se esso fosse una sorta di scialuppa di salvataggio in mezzo al mare in tempesta, il Firbolg inalò a pieni polmoni e si gettò in mezzo alla folla.
Trascorsero appena pochi minuti prima che si rendesse conto che quella situazione era eccessiva per lui: l’opprimente sensazione di soffocamento che lo aveva sopraffatto la sera precedente tornò a ghermirgli le viscere, trasformando i suoi respiri lenti e misurati in rantoli affannosi. Le mani sudate stringevano convulsamente il bastone nel tentativo di mantenere la calma - purtroppo senza riuscirci. I suoi occhi color del miele saettavano a destra e a sinistra, cercando di individuare un pertugio che gli consentisse di sgusciare via dalla strada.
Ai suoi sensi parve trascorrere un’eternità intrappolato nella folla, prima che una sottile stradina tra due edifici si palesasse, dandogli una più che valida alternativa al procedere in quel tormento. Sfruttando la sua non indifferente mole, guadagnò il margine della strada e sgusciò via tirando un enorme sospiro di sollievo mentre si appoggiava contro una parete per riprendersi.
Chiuse gli occhi, concentrandosi sul respiro per riportarlo ad una condizione normale. Il cuore gli martellava così forte nel petto da sentirlo premere contro l’asta del bastone che stringeva a sé.
Nel tentare di placarsi, giunse alle sue narici uno strano odore. Percepì il salmastro dell’aria di mare, chiaro e forte, ma era stato contaminato da un tanfo acre e ferruginoso che sul momento faticò a riconoscere. Concentrandosi e focalizzando la sua attenzione per discernere le caratteristiche dell’odore, esso gli riportò alla mente un ricordo specifico appartenente a parecchi anni prima, quando cominciava a muovere i primi passi nell’apprendimento del druidismo.
Era impegnato nel fare pratica con le componenti somatiche e vocali degli incantesimi nel piccolo giardino recintato che fungeva da campo di coltivazione di erbe medicinali per sua madre, appena fuori da casa sua. Ricordava il sole e l’aria fresca che solo a quel tempo stava cominciando a conoscere - i suoi genitori lo avevano costretto a rimanere per buona parte del suo tempo rinchiuso in casa con la scusa della sua “fragile costituzione” fino a che non aveva iniziato a praticare come aspirante Druido - e di come all’improvviso il gradevole aroma di fiori fosse stato spazzato via da un odore terrificante e pungente che gli aveva fatto perdere il filo del semplice incantesimo che stava tentando di produrre.
Guardandosi attorno, aveva individuato la fonte del tanfo nel gruppo di caccia che stava passando poco distante dalla casa, capeggiato da suo fratello maggiore. Al tempo, Maximus esibiva già una muscolatura invidiabile per un membro della sua razza, anche se ancora non tale da distruggere le armoniose proporzioni di un tonico corpo Firbolg.
Lui e gli altri che lo seguivano stavano trascinandosi dietro le carcasse sventrate di alcuni grossi orsi, e ovviamente a Ninnuus era occorso poco per constatare che la preda più grossa era quella che trasportava suo fratello. Come sempre, Maximus doveva distinguersi come il migliore tra tutti, e la caccia era l’ambito in cui la sua perfezione spiccava maggiormente.
Il pelo delle bestie - che certamente in vita doveva esser stato magnifico e un invidiabile trofeo da esibire nelle fredde giornate invernali - era incrostato di sangue quasi ovunque, e strisce di sangue ancora fresco bagnavano la terra laddove il gruppo era passato.
Molti degli altri membri del Clan si erano avvicinati per acclamare il buon esito della caccia. Ninnuus, dal canto suo, aveva espresso tutta la sua esultanza per il risultato producendosi in un vistoso conato di vomito per il soffocante odore che emanava da quelle povere bestie martoriate.
Maximus si era voltato all’istante nella sua direzione, fermandosi per avvicinarsi al recinto e osservarlo dai suoi torreggianti due metri e mezzo d’altezza - che nell’età adulta erano divenuti tre e più - con espressione di chiara superiorità.
«Dovresti ringraziarmi invece di vomitare. Grazie a me, il Clan avrà di che sfamarsi per un’altra settimana. Il Clan e te… per quanto inutile e fragile sia la tua esistenza...» gli aveva detto a voce alta, chiaramente udibile da chiunque si trovasse nei paraggi, per poi riprendere a camminare.
Ninnuus si era limitato a tacere, tenendo le orecchie basse e tornando a sedersi vicino alla parete di casa, sul suo piccolo sgabello. Aveva la vista offuscata dalle lacrime, nonostante i suoi tentativi di reprimerle e tornare a concentrarsi sul suo esercizio. L’odore del sangue lo aveva perseguitato per ore dopo il passaggio di suo fratello.
Con un brivido, il Firbolg inspirò a fondo ed aprì gli occhi, ritrovandosi con la schiena addossata alla parete umida di un edificio, le concitate chiacchiere della folla che gli giungevano dall’ingresso al vicolo. Le sue mani tremavano ancora per l’intensità emotiva del ricordo e si sentiva a corto di fiato. Non si era accorto di essere entrato in apnea nel processo.
L’odore di sangue rappreso proveniva da più avanti, oltre l’angolo a gomito che inghiottiva il resto del vicolo, situato a pochi metri di distanza dalla sua posizione. Nessun rumore proveniva da lì, solo quel terribile odore.
Il Druido serrò la presa sul suo bastone. Avrebbe potuto fare dietrofront e tuffarsi di nuovo nella caotica strada principale, dimenticandosi di quell’inquietante vicolo di Trebelize per riprendere la via verso il postribolo di Miz’ri. Sarebbe stata la scelta più logica da fare per mantenere quel nuovo quieto vivere che si prospettava all’orizzonte; invece, qualcosa nel suo subconscio lo spingeva ad avventurarsi lungo quella stradina umida e puzzolente per scoprire la fonte dell’odore. Era un Druido e se qualcuno fosse stato ferito, avrebbe potuto aiutarlo con la sua magia curativa. Era uno dei motivi per cui la sua “carica” era stata così ben accolta dai suoi genitori e dal suo Clan, era ciò che gli aveva dato maggiore gioia nella vita.
Il ricordo di come si era occupato delle ferite di Maximus dopo l’infelice esito di una schermaglia contro un piccolo branco di giovani Remorhaz continuava a renderlo estremamente orgoglioso della via che aveva intrapreso. L’impotenza di suo fratello mentre veniva medicato da lui, la persona per la quale nutriva meno rispetto in tutto il Clan, e senza la quale gli altri Druidi non sarebbero stati in grado di occuparsi delle sue ferite era l’unico frammento del suo passato che custodiva con gioia.
Se la cosa - o la persona - che era stata ferita era ancora viva, lui era l’unico nella posizione e con le abilità per occuparsene.
Prima di avere alcun tipo di ripensamento, si costrinse a muoversi e a valicare l’angolo. Oltre di esso, una scena raccapricciante si palesò ai suoi occhi: contro la parete dell’edificio dirimpetto a lui giaceva un umanoide dalla pelle verde, con ricci capelli neri che gli arrivavano alle spalle e con indosso abiti che sicuramente un tempo erano stati di un certo pregio, prima che venissero stracciati all’altezza dell’addome da un’arma affilata che aveva sventrato il poveretto. L’odore disgustoso che aveva attirato Ninnuus era quello delle viscere sanguinolente che si erano riversate all’esterno, in parte sulle sue gambe e in parte a terra.
Sul cadavere incombeva un piccolo gruppo di Umani - Ninnuus ne contò quattro in totale - che sembravano impegnati nel recuperare qualcosa dalle mani della sfortunata vittima.
«… mi rifiuto di lasciargli tutti questi anelli!» stava dicendo uno di loro, un Umano con corti capelli castani scompigliati, cercando di afferrare qualcosa che si trovava sotto gli intestini.
«Come fai a toglierli con tutto quel sangue!» protestò un altro, un Umano tarchiato coi capelli brizzolati.
Gli altri due si tenevano in disparte. Uno di loro stringeva al petto una borsa con il laccio tagliato mentre osservava disgustato la scena; l’altro aveva un colorito tutt’altro che salubre.
Quest’ultimo attirò l’attenzione di Ninnuus per un particolare curioso: indossava una canotta smanicata e sul braccio rivolto verso di lui esibiva il tatuaggio di un serpente intrecciato a forma di “8”. Era la prima volta che vedeva un simbolo del genere e si chiese se avesse un qualche significato particolare.
«Andiamocene, per favore… questa puzza è terribile...» bofonchiò l’Umano in questione, e Ninnuus non poté che trovarsi pienamente d’accordo con lui, anche se era di ben altro avviso.
Il tipo con la refurtiva in braccio lo notò e sobbalzò all’indietro, cercando la spada che aveva in vita e sollevandola verso di lui.
«C’è uno spione qui dietro!» avvisò, al che la banda si voltò verso il nuovo arrivato.
Ninnuus venne assalito dalla paura constatando che si trovava in svantaggio numerico ma si costrinse a rimanere dove si trovava.
Sfoderò la scimitarra, cercando di brandirla in maniera minacciosa benché fossero mesi - forse un anno addirittura? - che non la impugnava. L’arma era pesante e i suoi muscoli ben lungi dall’essere tonici e allenati.
«Lasciate stare quel povero cadavere!» disse, sforzandosi di mascherare il tremito nella voce.
L’uomo tarchiato lo guardò con aria di sfida, estraendo due spade simili per forma e lunghezza alla sua.
«Altrimenti? Sei da solo, Firbolg, e noi siamo tutti armati» fece presente, sorridendo con arroganza «Pensi di poter fare l’eroe?».
Vedendo che la strategia dell’intimidazione con la sua arma non funzionava bene come per Miz’ri, Ninnuus la lasciò cadere a terra per concentrarsi sul suo focus druidico e attingere alla magia. Due fiamme gemelle crepitarono nei suoi occhi, oscurando le iridi ambrate, mentre la pigna e il vischio che portava al collo iniziavano a pulsare di una vibrante energia arancione. Tre sfere infuocate apparvero attorno al Druido, sospese a mezz’aria, e da esse proiettò con fluidi movimenti delle braccia altrettanti raggi contro i suoi avversari.
La magia colse impreparato il gruppo di malviventi. Due colpi andarono a segno senza alcun problema, lasciando delle ustioni ben visibili su due degli Umani - quello bruno e quello con la borsa in mano. Il terzo raggio, diretto contro l’uomo tarchiato che lo aveva minacciato, venne schivato con relativa facilità.
«È un incantatore! Il focus!» ruggì il capo della banda, prima di avventarsi su Ninnuus con entrambe le scimitarre sguainate.
L’acre odore della carne bruciata riempì le narici del Firbolg, mescolandosi a quello del sangue.
Il capo dei banditi non era molto lontano da lui, per cui riuscì a coprire la distanza che li separava con un unico movimento.
Mulinando le spade si abbatté su Ninnuus, che riuscì a schivare soltanto un attacco. Gli altri due si aprirono la strada nella sua tunica, ferendolo ad un fianco e alla gamba opposta.
Il Firbolg digrignò i denti per il dolore, cercando di mantenere la guardia alta.
Gli altri tre si mossero dopo il loro capo, accerchiando il loro bersaglio. Ninnuus capì solo allora di essersi infilato in una situazione da cui non sarebbe stato in grado di uscire senza una mano.
Altre sciabolate piovvero su di lui, e molte di esse incontrarono la sua carne, aprendo altre ferite.
Iniziava a sentire le forze venire meno, ma non aveva modo di scappare: era completamente circondato.
Afferrò il suo focus con una mano e attinse di nuovo alla sua magia. Stavolta negli occhi crepitò dell’energia elettrica bluastra anche se il suo focus vibrò della stessa sfumatura arancione dell’incantesimo precedente.
Il Firbolg pestò un piede a terra e al contatto esplose un rombo di tuono che riecheggiò contro le pareti anguste del vicolo. I tre banditi vennero respinti indietro dall’impatto con l’incantesimo; il loro capo invece rimase dove si trovava.
Ninnuus cercò di sottrarsi al combattimento ravvicinato, ma l’altro ne approfittò per colpirlo ancora una volta, a tradimento, alle spalle. La lama si fece largo nel fianco ancora sano, e il Firbolg cadde in ginocchio boccheggiando.
Sentiva le forze scemare rapidamente e la presenza a sé stesso farsi sempre più labile.
Forse Maximus non aveva avuto tutti i torti: la sua vita era davvero inutile. Neanche la sua magia, l’unica cosa che aveva dato un senso alla sua esistenza, era stata in grado di avere la meglio su una manica di delinquenti assassini.
Anche lui sarebbe finito come quel poveretto nell’angolo, martoriato e sventrato come un animale, senza che nessuno venisse a saperlo. Almeno nel suo caso se ne sarebbe andato così come era vissuto: da solo e ignorato dal mondo intero. Una parte di lui era convinta di meritarsi una fine così misera.
«Capo! Si stanno avvicinando delle guardie! Avranno sentito il rumore del suo incantesimo!» Ninnuus udì il concitato commento di uno dei malviventi, pregno di terrore.
«Allora finiamola qui» sentì dire all’uomo alle sue spalle.
Ninnuus si aspettò un colpo secco in mezzo alla schiena che però non arrivò mai. Al suo posto ricevette una sonora batosta dietro al cranio con un oggetto pesante e stondato che gli fece perdere i sensi.
Nel momento in cui il mondo iniziò a svanire ai suoi occhi, sentì uno strattone al collo e il rumore di una cordicella che si rompeva.
«Haya… ko…» sospirò, ma l’incoscienza incombente fece sfumare nel nulla il suo richiamo.

Miz’ri uscì dall’ufficio della capitaneria di porto calciando i sassolini del selciato mentre la porta si richiudeva alle sue spalle.
Nessuna nave che avesse bisogno di un mercenario. Non era la prima volta che gli capitava, certo, ma starsene con le mani in mano a terra lo irritava. La componente Drow del suo sangue misto esigeva carneficina e spargimento di sangue e in porto, dove era pieno di guardie ad ogni angolo, difficilmente avrebbe trovato le condizioni per soddisfare tale necessità. Per sua fortuna, l’altra parte bilanciava la sua sete di sangue abbastanza da permettergli di avere un comportamento civile laddove richiesto.
Per il prossimo futuro si sarebbe dovuto accontentare delle risse in taverna, anche se dubitava di trovarne altre gratificanti come quella della sera prima.
Imprecò tra i denti, allontanandosi nella generica direzione del centro città. Era inutile rimanere lì ad aspettare, avrebbe dovuto riprovare a chiedere più in qua.
«Ho bisogno di bere qualcosa» sibilò, incamminandosi lungo l’ormai familiare strada che conduceva a “La Ghirlanda”. Quando era snervato, l’alcol riusciva a risollevargli l’umore quanto una bella scazzottata per strada, ma senza fargli rischiare l’arresto.
Lungo la strada, non poté fare a meno di notare quanto fosse diversa la situazione ora che Ninnuus non era con lui. Era tutto così tranquillo e silenzioso senza la sua rumorosa e goffa presenza alle sue spalle. Era di nuovo da solo. Come era sempre stato; eppure, una parte di lui non riusciva ad ignorare il fatto che il Firbolg pareva essersi affezionato a lui.
«Non essere melenso, Miz’ri. Aveva solo bisogno di te» cercò di convincersi, per rimuovere la sgradevole sensazione che lo pervadeva al pensiero di averlo lasciato da solo a girovagare per la città «Sa difendersi, lui e quel suo volpino di fuoco… e ora sa anche usare i soldi. Grazie a te. Hai fatto anche troppo» proseguì imperterrito.
La Ghirlanda non era molto distante e a quell’ora tarda della mattina stava a malapena iniziando a riempirsi degli avventori del pranzo.
Come varcò la soglia, udì della musica provenire dal piccolo palco che la sera avanti era rimasto del tutto vuoto. Prima ancora di voltare lo sguardo per vedere chi fosse ad occuparlo, sapeva già chi ci avrebbe trovato: il timbro della musica era inconfondibile. Quella non era la classica esibizione da locanda, diversa per ogni Bardo ma fondamentalmente identica tra tutti loro; il suono prodotto dallo strumento era incisivo, potente e cadenzato con un ritmo incalzante.
A conferma della sua ipotesi, i suoi occhi si posarono sull’imponente figura di una Mezzorca che indossava abiti di stampo chiaramente marinaresco: una bella camicia bianca con le maniche che parevano faticare a contenere i suoi muscoli e un ampio scollo a “V” che scendeva fino ai seni; una fusciacca rossa legata di traverso a sostenere i pantaloni blu aderenti sulle cosce toniche e possenti ed un paio di stivaloni in pelle con risvolto sotto le ginocchia. A darle un tocco più personale c’era un bel bustino nero lucido al di sopra della camicia che le stringeva tutta la zona dell’addome, regalando alla sua vita un aspetto più femminile e ai suoi seni un aspetto più sodo.
Il cranio era completamente pelato ad eccezione di un'alta coda di cavallo di capelli castani di media lunghezza. Come accessorio, portava una benda sull’occhio sinistro.
Impugnava quella che a tutti gli effetti somigliava ad una enorme ascia bipenne di metallo, con tanto di teschio con le fauci aperte a mo’ di decorazione al centro della testa dell’arma; tuttavia, la brandiva al contrario, con le lame rivolte verso il basso. Ad un esame più attento - che Miz’ri aveva già avuto modo di fare in passato - si riusciva a cogliere le corde che correvano dalle zanne superiori del teschio e attraverso la lunga impugnatura, fino ad arrivare al pomello cilindrico all’estremità opposta, cui erano fermate grazie a due coppie di chiodi a forma di ossa.
La sua musica era veramente unica e particolare. La sua abilità nel far scorrere rapidamente le dita sullo strumento riuscendo a creare una melodia così potente e veloce era sorprendente per Miz’ri.
Al Drow piaceva ascoltare quel genere di esibizioni - anche se purtroppo lei sembrava essere l’unica a farle - e fu contento che fosse tornata in città con il tempismo perfetto per alleviare il suo malumore. Andò al bancone a procurarsi dell’alcol e poi si sedette vicino al palco, per godersi al meglio lo spettacolo finché durava.

Ninnuus si scoprì sorpreso di riuscire a riprendere i sensi. Sorpreso e anche confuso, benché la seconda sensazione fosse dovuta principalmente ai postumi del colpo alla testa. La zona lesa pulsava ancora di un dolore sordo che non sembrava destinato a placarsi nell’immediato futuro.
Si ritrovò disteso sul terreno del vicolo, e la prima cosa che i suoi sensi gli regalarono fu l’odore ripugnante del sangue che dal cadavere si era propagato fino al punto in cui giaceva lui, impregnandogli una manica.
Disgustato, balzò in ginocchio per ritrarsi, ma il movimento fu troppo brusco per le sue condizioni, e cadde seduto di lato. Dovette appoggiarsi a terra con entrambe le mani per riuscire a resistere alle improvvise vertigini che lo aggredirono.
Le ferite ai fianchi e alla gamba, nel suo stupido tentativo di spostarsi in tutta fretta, avevano ripreso a bruciare con intensità e a sanguinare, aggiungendo altre macabre decorazioni alla sua tunica. Digrignando i denti per il dolore, Ninnuus cercò di focalizzare i pensieri per attingere alla sua magia e curarsi il minimo necessario a riuscire ad alzarsi e andarsene.
Gesticolò con la mano destra, mormorando l’incantesimo tra i denti, mentre la mano sinistra saliva a cercare il suo focus, benché per l’incantesimo che stava eseguendo non occorresse, ma non trovò niente su cui far presa. La magia druidica si sprigionò dal contatto tra la mano destra e la coscia, incurante della voragine che si era appena aperta nell’inconscio del giovane Firbolg nel constatare che il suo focus druidico era scomparso.
Il panico si impadronì di lui mentre si guardava freneticamente attorno, salvo poi ricordare quello strattone che aveva sentito prima di svenire, e comprendere che l’oggetto si trovava in mano ai malviventi che lo avevano aggredito.
Ansimando per la paura, si rialzò in piedi e barcollò addosso alla parete più vicina sentendosi più leggero. La sua bisaccia era scomparsa assieme al suo focus, e tastando all’altezza della fusciacca si rese conto che pure la scarsella con le sue monete non c’era più.
Avevano preso tutto, lasciandolo da solo con il cadavere, e ancora stranamente in vita. Con un’ultima occhiata pietosa al poveretto, Ninnuus si allontanò traballante verso l’imboccatura del vicolo da cui era arrivato. Si sentiva vuoto e inutile, incapace persino di fare una pira funebre a quei miseri resti senza il suo focus.
«Cosa posso fare? Dove posso andare…?» si chiese, procedendo con aria assente per strada, camminando senza avere alcuna idea della direzione.
Molte persone si fecero da parte vedendolo passare, imbrattato di così tanto sangue, e qualcuno cercò persino di avvicinarglisi per aiutarlo. Ninnuus li ignorò tutti, il pensiero fisso al suo prezioso focus svanito.
Dopo un po’ si rese conto che i suoi piedi lo avevano condotto inconsciamente nei pressi della bettola in cui aveva dormito quella notte, e decise di provare a vedere se qualcuno là dentro avrebbe potuto aiutarlo.
«Forse… la locandiera mi riconoscerà… mi aiuterà...» rifletté con espressione completamente apatica, zoppicando in maniera palese per la lunga camminata, sospirando affranto «Miz’ri… ormai sarà salpato...».

L’esibizione durò abbastanza da consentire a Miz’ri di allontanare il malumore. Bere mentre ascoltava musica piacevole era un buon modo per far ripartire nella maniera corretta la giornata.
Quando la Mezzorca terminò il suo spettacolo, soltanto lui e pochi altri applaudirono. La diretta interessata non parve apprezzare particolarmente la mancanza di risposta dal pubblico; tuttavia, la sua espressione irritata si rilassò visibilmente quando i suoi occhi si posarono sulla snella figura del Drow.
Dimenticandosi dell’esistenza della scaletta laterale, la nerboruta femmina balzò giù dal palco e si diresse verso il tavolo cui sedeva Miz’ri da solo.
«Ma guarda un po’ chi si rivede! Speravo di incontrarti qui, per la verità...» lo salutò in tono gioviale la donna, accennando poi alla sedia dirimpetto al Drow «Aspetti compagnia?».
Miz’ri molto galantemente diede un leggero calcio ad una gamba della sedia, spingendola verso di lei.
«Sarei lusingato dalla tua compagnia, cara Mordula, soprattutto dopo un’esibizione così incantevole» esclamò, indicandogli con la mano il posto.
Mordula sogghignò, le grosse zanne laterali e sporgenti che quasi arrivarono a grattarle i solchi nasolabiali, quindi si accomodò. La sua stazza era notevole persino per una della sua razza: superava i due metri e mezzo d’altezza e le spalle muscolose contribuivano a farla sembrare più larga, aiutando anche il corsetto a darle una forma più “a clessidra”. Sotto una tale possenza, la sedia scricchiolò rumorosamente, ma la Mezzorca non se ne curò.
«Sei uno dei pochi a pensarla così qui dentro» disse, schioccando la lingua con aria stizzita, appoggiandosi sul tavolo con i gomiti.
Miz’ri sorseggiò dal suo boccale quasi vuoto.
«I pezzenti che non si intendono di vera musica sono ovunque purtroppo» commentò semplicemente. Parlò a volume normale, per niente spaventato dall’idea di attirare attenzioni indesiderate - anzi, si guardò attorno nella speranza che qualcuno di facesse avanti.
Mordula parve intuire le sue intenzioni a giudicare dal suo commento successivo: «Vuoi fare un po’ di baldoria come ieri sera? Non penso che Dolores approverebbe…».
«Ho ripagato i danni, lei e gli altri tavernieri sanno gestire la situazione» Miz’ri minimizzò la questione con un cenno della mano.
Mordula sorrise con fare provocatorio, adagiando l’ampia schiena contro la seduta.
«In realtà a pagare è stato il tuo amico, a detta di Dolores» fece presente la Mezzorca «Che neanche ha preso parte al divertimento, per giunta. Non mi sembravi il tipo da andare in giro con gli smidollati».
Miz’ri si rabbuiò, serrando la presa sul manico del boccale.
«Alejster come sta? Mi pare strano non sia ancora uscito a salutarmi» disse, spostando leggermente la testa per guardare il pomello dell’ascia che sporgeva appena da sopra la sua spalla.
Il cipiglio di Mordula si fece serio a sua volta, dando al Drow la conferma di aver colpito un nervo ancora scoperto.
La sua conoscenza con Alejster era stata del tutto incidentale ed era avvenuta la prima volta che avevano fatto sesso. Era stato grandioso e Mordula si era rivelata molto più incline al sesso violento di qualsiasi altra signorina con cui Miz’ri aveva mai avuto modo di andare a letto.
Durante uno dei numerosi giochi erotici che avevano fatto quella notte, mentre Mordula stava divertendosi con una curiosa e depravata frusta a sei teste, dalla sua ascia si era manifestato lo spirito di un Drow che aveva cominciato a urlare e inveire contro Miz’ri con una voce acuta e stridula intrisa di follia e divertimento, incitando la Mezzorca a smembrarlo a frustate e sguazzare nel suo “sudicio sangue Drow”.
L’incidente aveva rovinato l’atmosfera e Mordula si era alquanto incazzata per l’interruzione da parte del suo “compagno”, vedendosi costretta a spiegare la natura del loro rapporto a Miz’ri per evitare che la cosa assumesse una piega ancora peggiore.
Lo spirito di Alejster aveva posseduto la sua chitarra-ascia tanto tempo addietro ed era rimasto con lei per il suo potenziale come intrattenitrice, avendo lui stesso calcato il palco in vita; tuttavia, la sua natura Drow si manifestava in maniera vivace quando si tirava in ballo il sangue.
Mordula gli aveva chiesto di mantenere il segreto, e adesso era evidentemente contrariata dalla leggerezza con cui menzionava il suo partner.
«Non usa più offrire da bere ad una signora, soprattutto dopo essere stati intrattenuti da lei?» domandò con finta offesa, cambiando totalmente argomento di conversazione.
Miz’ri immaginò che le sue frecciatine non si sarebbero ripetute.
«Hai ragione, permettimi di rimediare».
Ciò detto, svuotò il suo boccale e tornò al bancone a prenderne altri due.
«Dolores ha detto che era un Firbolg. Non se ne vedono tanti in giro» insistette la Mezzorca quando Miz’ri le porse da bere.
Senza indugio, tracannò metà del contenuto, in attesa di risposta.
«In effetti no» ammise il Drow con un sospiro paziente «E forse una ragione c’è» aggiunse con inflessione scocciata.
«Oooh… che ha fatto il tuo amichetto...?» Mordula si chinò leggermente in avanti, di colpo molto più interessata alla discussione di quanto lo fosse prima. Se inizialmente il suo scopo era stuzzicarlo per divertirsi e basta, adesso voleva sapere i dettagli.
Miz’ri si irrigidì, cercando di mantenere una parvenza di controllo.
«Non saprei nemmeno da dove cominciare. E nemmeno lui, che non sapeva neanche dire da che cazzo di posto veniva…! Ha voluto smembrare delle arpie e non aveva neppure uno stupido pugnale per farlo, e allora gli ho prestato la mia accetta… che mi ha restituito lercia di piume, sangue e pezzi di carne!».
Si ritrovò a tremare di rabbia al ricordo della sua povera accetta violentata senza vergogna, relegata ad un insulso strumento di macelleria. Da lì alla totale perdita di controllo il passo fu veramente breve.
«… non sapeva cosa fosse il denaro, perché evidentemente a casa sua usavano ancora il baratto, neanche fossero bestie! Ha paura dei luoghi chiusi, ha paura delle altre persone, ha paura del giudizio altrui… e persino di dormire da solo! Per non parlare della sua inesistente igiene personale…!» sbatté il boccale sul tavolo, sbeccando leggermente la tavola di legno all’impatto.
Nel mentre che parlava, l’attenzione di Mordula - seduta col viso rivolto alla porta - venne attratta dal battente che si aprì piano piano, cigolando sui cardini arrugginiti.
«Be’, su questo devo darti ragione… un Firbolg che se ne va a giro inzuppato di sangue è abbastanza riprovevole...» commentò Mordula con assoluta tranquillità.
Miz’ri sollevò lo sguardo su di lei, confuso dalle sue parole, e nello stesso istante Dolores cacciò un grido di terrore da far accapponare la pelle.
Il Drow si girò e sbarrò gli occhi vedendo sulla soglia della locanda l’acciaccata figura di Ninnuus che arrancava goffamente fra i tavoli, una mano premuta contro un fianco e la faccia sbattuta. Alcune ciocche di capelli rossi erano incrostate di sangue, stesso fluido di cui era macchiata qua e là anche la sua tunica. Un braccio invece ne era completamente pregno.
Prima di rendersi pienamente conto di cosa stesse facendo, Miz’ri stava già correndo verso di lui.
«Ninnuus!» sentì gridare a sé stesso. Gli sembrava di osservare la scena da una prospettiva distante, come se stesse vivendo l’incubo di un’altra persona.
Come era possibile che si fosse ridotto in quello stato? Non lo aveva lasciato solo neppure mezza giornata!
«È colpa mia. Dovevo capirlo che non era in grado» si rimproverò mentalmente.
Ninnuus volse appena lo sguardo nella sua direzione sentendosi richiamare. Non riusciva a credere ai suoi occhi: Miz’ri era ancora in città…?
«Miz...» mormorò con un fil di voce, cercando di andargli incontro. Inciampò in una sedia e rovinò a terra prima di raggiungerlo, anche se i riflessi pronti del Drow gli consentirono di tuffarsi a prenderlo prima che toccasse il pavimento.
Si inginocchiò sotto di lui, cingendogli il torace con presa salda, trattenendolo.
«Ninnuus, che è successo?!» chiese Miz’ri, guidandolo a terra con delicatezza. Era troppo pesante perché lo sostenesse nella posizione di prima.
«Dolores preparagli una stanza, invece di stare a piangere come una scema!» abbaiò Mordula poco lontano.
Il Firbolg cercò di puntellarsi sulla gamba sana per mettersi in modo che il suo interlocutore lo vedesse bene.
«L’hanno preso… me l’hanno portato via...» boccheggiò con affanno, iniziando a piagnucolare. La sua mano salì al collo, abbandonando la ferita profonda sul fianco. Con le dita insanguinate accarezzò un punto poco sotto il colletto della tunica, una delle poche zone rimaste pulite.
«Chi? Cosa?» insistette il Drow.
Ninnuus continuò a toccarsi il collo per qualche istante, mormorando ancora a proposito di qualcosa che non c’era più, piangendo e singhiozzando, poi svenne contro la spalla di Miz’ri.
«Ninnuus? Ninnuus!» lo chiamò quest’ultimo, afferrandolo e scuotendolo.
«È inutile che lo sbatti così, ormai è svenuto» Mordula si chinò accanto a lui, posando una mano su una di quelle con cui il suo compare stava ancora trattenendo il corpo dell’amico.
«Aiutami a spostarlo da qui, quella ferita ha l’aria di essersi infettata» la Mezzorca accennò col capo al brutto taglio che Ninnuus si era premuto fino a poco prima e che adesso sanguinava copiosamente.
Miz’ri annuì, cercando di riacquistare una parvenza di calma. Aveva affrontato di peggio, ma non gli era mai successo di perdere il controllo in quella maniera.
Senza lasciar cadere il corpo privo di sensi di Ninnuus, si alzò in piedi e procedette a passarsi un braccio sopra le spalle.
Cercò di sollevarlo, ma riuscì a malapena a sollevargli le ginocchia da terra.
«Mordula dammi una mano...» gemette a denti stretti il Drow «Prendigli l’altro braccio».
«Esagerato, è un Firbolg formato tascabile» lo prese in giro la femmina, senza però esimersi dal fornire aiuto.
Come cercò di sollevarlo sputò un’imprecazione.
«Cazzo quanto pesa...» commentò, piantando bene a terra le gambe leggermente divaricate a facendo leva con la schiena.
«È più grasso di quanto non sembri...» le assicurò Miz’ri senza la minima esitazione. D’altronde, il diretto interessato era incosciente, quindi non poteva sentirsi offeso dal commento.
Insieme riuscirono a spostarlo. Fu un’impresa tutt’altro che semplice, soprattutto quando dovettero inerpicarsi su per le scale - dove l’ampiezza del passaggio rese la logistica molto più complessa di quanto già non fosse - ma alla fine lo trasportarono con successo fino ad una stanzetta vuota al primo piano. Assieme lo stesero sul letto, supino, osservandolo mentre riprendevano fiato. Apparve chiaro ad entrambi che le condizioni in cui versava erano ancora peggiori di quanto era sembrato in prima istanza: la ferita sul fianco che continuava a sanguinare non era solo profonda, ma lo attraversava da parte a parte. Attorno ai bordi - netti e puliti, opera senza dubbio di un’arma ben affilata - si era appiccicato del terriccio sporco e dei sassolini si erano infilati nella “bocca” della ferita. Era evidente che ovunque si fosse procurato una cosa del genere, Ninnuus era poi rimasto a terra abbastanza a lungo da riuscire a far sì che dello sporco si insediasse nel punto leso. Il rischio che quella condizione avesse portato ad un’infezione della ferita era alto.
Per fortuna, era l’unico danno grave che aveva riportato: il taglio sulla coscia era messo abbastanza bene, così come non parevano gravi neanche le ferite riportate sull’altro fianco e sul torace. Nella zona dove era stato colpito alla testa - l’origine del poco sangue che gli incrostava i capelli - si era formato un piccolo bernoccolo, ma il cuoio capelluto era intatto.
«Tu aprigli i vestiti, io vado a vedere se Dolores ha qualcosa per medicarlo» disse Mordula, incamminandosi verso la porta.
«Chiedile anche dell’alcol, di quello forte» aggiunse il Drow in tono stranamente greve.
«Non mi pare il caso di farsi un drink...» gli fece presente la femmina, trovando bizzarro che la sua attenzione fosse rivolta ad una cosa tanto frivola in un momento come quello. Nonostante il suo sfogo di poco prima, pareva tenerci davvero all’incolumità del suo amichetto Firbolg.
Miz’ri sospirò sonoramente e roteò gli occhi al cielo.
«Non è per me infatti» garantì in tono spazientito «Ma se si sveglia mentre lo stiamo medicando, dovrò sedarlo con qualcosa! A meno che tu non voglia avere tra le mani un Firbolg che trema come una foglia mentre piagnucola e supplica col naso che cola, lamentandosi del d...»
«Va bene, va bene. Mi hai convinta» tagliò corto Mordula, apprestandosi ad uscire dalla camera.
Miz’ri si rimboccò le maniche e cominciò a lavorare coi suoi vestiti. Si ritrovò a ringraziare paradossalmente la sua insistenza della sera prima sul fare il bagno assieme, altrimenti non avrebbe saputo dove mettere le mani per spogliarlo.
Cominciò sciogliendo la cordicella che teneva chiuso il collare di pelliccia che fungeva da doppio paraspalle. Adagiò i due lembi oltre le sue spalle, senza cercare di sfilarli da sotto il collo. In tal modo risultò evidente ciò che il Firbolg aveva cercato di farfugliare con tanta insistenza prima di svenire: attorno al colletto stondato della tunica, il tessuto era rimasto impregnato di sangue a disegnare una specie di collana. Doveva aver toccato con insistenza la zona per riuscire ad imprimere un tratto così spesso e ben visibile di sangue sulla stoffa. Miz’ri non fece alcuna fatica ad immaginarlo nell’atto di toccarsi con movimenti frenetici e terrorizzati quel punto specifico del corpo.
Adesso che ci faceva caso, il Drow ricordava di avergli visto pendere dal collo una cordicella con un bizzarro ciondolo. Era stato un momento fugace, mentre erano nella grotta coi Bullywug. Aveva visto brillare di arancione una grossa pigna e quelli che sembravano dei frutti rossi attorcigliati al suo collo, subito prima che Ninnuus evocasse una colonna di luce magica.
Non se ne intendeva molto di magia, ma doveva trattarsi di qualcosa di importante per la sua, soprattutto considerato quanto pareva sconvolto dalla sparizione dell’accessorio.
Scese a sciogliere il nodo alla fusciaccia gialla. Nel momento in cui il drappo fu libero, l’addome di Ninnuus si gonfiò leggermente, dandogli prova inequivocabile del fatto che il suo abbigliamento era sistemato in maniera tale da mascherare il più possibile il suo vero fisico.
Miz’ri lo aveva visto nudo, per cui la cosa non gli fece né caldo né freddo, e procedette ad aprirgli i lembi sovrapposti della tunica. Se la fusciaccia contenitiva non fosse stata sufficiente a indurlo a pensare che Ninnuus si facesse delle paranoie riguardo il suo aspetto fisico, quando aprì l’indumento la prova definitiva gli si manifestò in maniera palese: la metà superiore del torace - fino a dove iniziava la curva della pancia - era nascosta sotto una sorta di corto giubbotto di cuoio sdrucito e imbottito che serviva a pareggiare la differenza nell’ingombro volumetrico tra le due parti del suo busto. Quella sorta di mini armatura era consunta oltre l’immaginabile, piena di vecchie macchie e toppe sparse qua e là, alle quali erano appena stati aggiunti alcuni tagli e chiazze di sangue fresco. Ninnuus avrebbe dovuto trovare la maniera di rammendarlo e lavarlo se aveva intenzione di utilizzarlo ancora.
Quando tentò di spingere di lato i due lembi della tunica come aveva fatto con il collare di pelliccia, riuscì a farlo solo con un lato. L’altro rimase adeso sulla ferita insozzata di terra, dove la gran quantità di sangue perso aveva cominciato a rapprendersi con la stoffa sulla pelle circostante.
Miz’ri masticò un’imprecazione. Aveva sperato che il sangue che stava continuando a fuoriuscire impedisse quel tipo di problema, dato che gli avrebbe creato più difficoltà nel procedere con la medicazione.
Mordula tornò in quel momento con diverse cose tra le braccia, tra cui un flacone di un liquore scuro, un kit di pronto soccorso malconcio e una brocca.
«Spero che non gli dispiaccia bere dell’alcol scadente» commentò la Mezzorca, depositando il tutto sul traballante comodino poco distante, dal lato opposto rispetto a quello di Miz’ri.
«Non credo noterà la differenza» rispose quest’ultimo senza nemmeno guardare la bottiglia «Per il momento dobbiamo ammorbidire il sangue per staccargli i vestiti...».
«Immaginavo, per questo ho portato l’acqua» Mordula accennò alla brocca che aveva ancora in mano.
Il Drow la prese e ne rovesciò un po’ sul fianco di Ninnuus, poggiando poi il contenitore a terra mentre iniziava a massaggiargli con i polpastrelli la zona attorno alla ferita.
«Tieniti pronta» avvisò mentre si avvicinava lentamente ai bordi del taglio.
Aveva appena finito di parlare che il Firbolg rantolò, spalancando di colpo gli occhi e cacciando un grido di dolore mentre tentava di rialzarsi.
Mordula piombò su di lui con tutto il peso dei suoi muscoli, placcandolo contro il materasso. Il movimento brusco e il dolore causato dal continuo tocco di Miz’ri contribuirono a far agitare ancora di più Ninnuus: i suoi occhi ambrati cominciarono a saettare da una parte all’altra della stanza, senza mettere a fuoco niente che gli sembrasse familiare. La femmina grossa e nerboruta che lo tratteneva per le spalle gli era del tutto sconosciuta e minacciosa.
Miz’ri cercò di accelerare il processo senza diventare troppo brusco, i timpani lacerati dai versi incoerenti di dolore del suo compagno. Ad un certo punto, udì le sue grida convertirsi in quella che aveva tutta l’aria di essere una formula magica.
Alzando lo sguardo da ciò che stava facendo, vide i palmi delle sue mani cominciare a brillare di arancione e i suoi occhi dardeggiare di fuoco.
Mordula, essendo in certa misura competente nell’arte magica, comprese il pericolo che stavano correndo prima che Miz’ri potesse fermarlo e agì con rapidità e risolutezza: con una mano afferrò il flacone di liquore, fece saltare il tappo di sughero e forzò il contenuto in bocca al Firbolg.
La magia si dissipò nel momento stesso in cui Ninnuus si ritrovò a soffocare cercando di tracannare il liquido che gli era stato propinato con la forza. Bruciava lungo la gola, ma soprattutto quando gli fuoriusciva in parte dal naso mentre tossiva.
«Lascialo respirare, sta affogando!» brontolò Miz’ri, riuscendo ad allontanare la bottiglia dalla bocca del poveretto con un colpo sul polso della donna.
«Non mi ringraziare per avergli impedito di farci entrambi arrosto!» replicò stizzita quest'ultima, scoccandogli un’occhiataccia di sbieco.
Ninnuus iniziò a tossire rumorosamente, spruzzando liquore dal naso e lacrimando mentre cercava di riprendere fiato. Benché gli spasmi del torace rendessero il lavoro del Drow più complicato, di fatto tennero a bada l’attenzione del suo paziente abbastanza a lungo da permettergli di arrivare al tanto atteso risultato.
Il Firbolg aveva appena iniziato a respirare di nuovo normalmente quando finalmente Miz’ri riuscì a staccare senza problemi il tessuto strappato, lasciandolo di fatto con la pancia del tutto nuda.
«Intanto questa è fatta» sospirò sollevato il Drow, passandosi il dorso della mano destra sulla fronte, avvicinandosi alla testa del letto.
«Miz’ri…?» mormorò Ninnuus, guardandolo con espressione confusa e stanca.
«Va tutto bene, ti stiamo medicando» cercò di rassicurarlo l’interpellato, sorridendogli appena «E visto che sei sveglio, devi cercare di collaborare… non piagnucolare e non agitarti. D’accordo?».
«M-ma… il mio focus...» cercò di opporsi il Firbolg.
«Ho capito, ti hanno rubato la collana» Miz’ri liquidò la questione rapidamente «Ma in questo stato non sei davvero in grado di andare a recuperare niente».
Ninnuus abbassò lo sguardo e le orecchie e annuì, riconoscendo la veridicità delle sue parole. Si abbandonò contro il cuscino, serrando gli occhi.
Miz’ri si fece passare il kit di pronto soccorso e ne estrasse l’occorrente per ripulire la ferita dai corpi estranei. Ninnuus fu stranamente bravo, riuscendo a sopprimere la maggior parte dei gemiti e limitando le sue reazioni a deboli singulti e lacrime silenziose. Ogni tanto tremava, ma tentava di rimanere il più fermo possibile.
Ci volle un po’ perché il Drow riuscisse a rimuovere tutto quanto, e quando abbandonò le pinzette con cui aveva operato, il suo paziente sospirò profondamente, sollevato.
«Adesso mi fascerai?» domandò, cercando di mettersi seduto da solo. Mordula lo trattenne disteso, ma con più garbo rispetto a prima.
«Non ancora… c’è un’altra cosa da fare prima» e ciò detto, Miz’ri si fece passare il liquore. Senza alcun preavviso, lo rovesciò poco sopra la ferita, lasciando che il liquido scorresse su di essa.
Ninnuus strabuzzò gli occhi e gridò di nuovo, colto alla sprovvista dal dolore inatteso. Non tentò di fare altre magie, ma si divincolò sotto la presa della Mezzorca senza riuscire a liberarsi.
«L’alcol disinfetta» gli spiegò Miz’ri con pacatezza, parlando abbastanza forte da sovrastare le sue urla «Ed eri pieno di sporco… si può sapere dove cazzo sei andato a infilarti per ridurti così?».
L’altro serrò i denti, senza rispondere, al che il Drow gli tamponò con uno straccio pulito il liquido in eccesso per poi aiutarlo a sedersi e iniziare a bendarlo.
Mordula si ritrasse per lasciare all’altro lo spazio di manovra necessario. Brandì la sua ascia a mo’ di chitarra e cominciò a suonare.
I gemiti di dolore di Ninnuus si affievolirono durante l’esecuzione mentre quest’ultimo percepiva distintamente l’applicazione di magia curativa al suo corpo.
«Perché non… l’hai fatto prima se potevi…?» mugolò in tono di protesta.
«Perché non mi fido ad aiutare qualcuno che cerca di arrostirmi... almeno non finché non si è calmato...» rispose la Mezzorca senza la minima esitazione.
Ninnuus si limitò ad abbassare gli occhi, fissandosi i piedi mentre Miz’ri terminava la fasciatura, fermandola dietro la schiena con un grosso fermaglio da balia.
«Fatto» annunciò, pienamente soddisfatto del proprio operato «Nonostante tutto, sei stato bra...».
«Non… puoi stringerla un po’ di più…?» osò protestare l’altro.
«Non è un bustino per nascondere la trippa» lo rimbeccò acida Mordula.
«E anche con quella cintura dovresti andarci piano a stringere, almeno finché non stai meglio» si aggiunse Miz’ri, benché il tono fosse più bonario.
Il diretto interessato assentì con un timido cenno del capo, le guance violacee mentre si affrettava a richiudere la tunica. Fino ad allora era stato troppo impegnato con tutto il resto per dare peso al fatto che avesse la pancia in bella mostra.
«Adesso… vuoi rispondermi?» esclamò Miz’ri, sedendosi sul letto accanto ai suoi piedi, in modo da poterlo guardare negli occhi «Mi spieghi che ti è successo?».
Ninnuus si mise seduto accanto a lui, per poi alzarsi e recuperare la fusciacca, iniziando ad avvolgersela di nuovo attorno al busto. Gli ci volle un poco prima che si decidesse a parlare.
Raccontò tutto, partendo dalla strada affollata. Descrisse il suo malessere nel trovarsi in mezzo a tutte quelle persone - fatto di cui Miz’ri non si sorprese affatto - e poi di come si era avventurato nel primo vicolo che aveva trovato pur di sfuggire alla ressa. Parlò del forte odore di sangue, omettendo l’agghiacciante flashback sulla caccia di Maximus ma spiegando come a spingerlo a curiosare fosse stato il suo desiderio di rendersi utile a qualcuno che probabilmente aveva bisogno di cure.
Dipinse con termini crudi la scena che si era trovato di fronte e spiegò come aveva cercato di affrontare la banda di delinquenti nella speranza di scacciarli e poter dare al cadavere almeno un rito funebre dignitoso.
«Avevi intenzione di dargli fuoco, vero?» Miz’ri non riuscì a tacere il quesito. Lo aveva visto destreggiarsi abbastanza con le magie di tale elemento da capire quanto ne fosse affascinato.
Ninnuus arrossì, abbassando gli occhi sulle sue mani mentre congiungeva le punte degli indici con un certo disagio.
«Ehm… sì» ammise. Sentendo dar voce da un altro alla sua intenzione, gli sembrò un proposito del tutto fuori luogo benché fino ad allora lo avesse ritenuto nobile.
«Da dove vengo io… i morti venivano bruciati su pire in riva al mare...» spiegò, sperando di far capire ai suoi ascoltatori il perché della sua scelta «Ma… non ci sono riuscito. I banditi mi hanno mandato K.O. e… e si sono presi tutte le mie cose, compreso...».
«Il tuo focus. A questo punto l’ho capito anche io» intervenne Mordula «Capisco il tuo cruccio, i focus magici costano parecchio».
«Non così tanto» Miz’ri scrollò le spalle «Con l’ultimo lavoro abbiamo guadagnato bene, scommetto che potrebbe tranquillamente permettersene uno nuovo...».
«N-non è per quello!» Ninnuus li interruppe con tono offeso, drizzando le orecchie pelose mentre i suoi occhi tornavano a lucidarsi «Il mio focus non si può sostituire! Una parte… me l’ha portata Hayako quando è uscita per la prima volta dal suo Piano...».
«E chi sarebbe questa “Aiako”?» domandò confusa Mordula.
«Non sei l’unica ad avere un amichetto speciale, sai?» il Drow le rivolse un sorrisetto canzonatorio «Hayako è il suo elementale di fuoco» aggiunse per spiegare brevemente la situazione alla nuova arrivata «Non puoi chiederle di portarti un altro… pezzo del suo Piano?».
L’ultima parte della domanda acquistò un’inflessione particolarmente scettica: Miz’ri non se ne intendeva molto di cose magiche, per cui non sapeva nemmeno se quello che stava proponendo era fattibile.
«Non so se può farlo… ma io non voglio!» Ninnuus pareva più risoluto che mai nella sua decisione «Devo riavere indietro il mio focus».
«E cosa pensi di fare? Bussare ad ogni casa della città per sapere se qualcuno per caso l’ha trovato?!» Mordula lo stava apertamente perculando «È impossibile che tu ci riesca!».
«Se riuscissi a ritrovare quei delinquenti...» iniziò a dire il Firbolg, improvvisamente più esitante nel tono.
«Dipende se erano dei normali delinquenti… Trebelize ne è piena, ti sorprenderesti della quantità di criminali che bazzicano persino le zone più sorvegliate di questo posto...» la Mezzorca scosse il capo.
«Be’, uno di loro aveva un tatuaggio strano sul braccio» rispose il Firbolg, sperando che il particolare che aveva notato si rivelasse in qualche modo utile «Un serpente intrecciato a forma di “8”...».
Mordula e Miz’ri si scambiarono un’occhiata interrogativa.
«Sono in molti a farsi tatuaggi, Ninnuus...» spiegò il Drow, un po’ dispiaciuto nel dare la notizia al suo compare «Non credo possa aiutare...».
«È quel pusillanime!».
Una voce maschile incorporea proruppe a seguito del commento di Miz’ri, il quale riconobbe il timbro snob e il vago eco. Accanto a lui, Mordula si irrigidì, improvvisamente a disagio, ma prima che potesse dire o fare qualcosa la sua ascia cominciò ad essudare una sorta di aura lattiginosa che si condensò al di sopra delle sue spalle, acquisendo la forma di un mezzo busto di Elfo coi capelli lunghi ed un bel pizzetto curato, vestito con abiti eleganti e aristocratici.
Ninnuus trasalì all’apparizione, incespicando nei suoi stessi piedi e cadendo goffamente a terra nel tentativo di allontanarsi.
«U-un fantasma!» gemette terrorizzato.
«Alejster! È già una femminuccia piagnucolosa da solo, non ti ci mettere pure tu!» brontolò Mordula, alzando verso il soffitto gli occhi «Non ti fa niente, smettila di tremare. Ogni tanto sente solo il bisogno di dar fiato alla bocca che non ha più...».
«Insultarmi non risolverà il problema del ragazzino» Alejster sollevò il naso aquilino e affilato verso l’alto, evidentemente offeso «Ma tu mia cara hai la memoria di un Troglodita...».
Mordula digrignò i denti, palesemente irritata dall’offesa.
«Che c’entro io, adesso?!» sbottò.
«Quell’ameba che ha cercato di impossessarsi di me appena una settimana fa… aveva lo stesso tatuaggio che ha appena descritto questo giovanotto».
Il suo tono di voce attraversò diverse inflessioni: ira, pacatezza e baldanza. Alejster pareva in balia delle proprie emozioni molto più di qualsiasi essere vivente Miz’ri avesse mai incontrato.
«Di cosa sta parlando, Mordula?» intervenne il Drow, incuriosito dall’affermazione dello spettro.
Ninnuus nel frattempo si era rialzato, lentamente e dolorosamente, e cercava di seguire il discorso sforzandosi di ignorare il fatto che stavano interloquendo con un fantasma che abitava nell’arma di una donna parimenti spaventosa. Sperava di non dover mai scoprire cosa succedeva quando uno dei due - o entrambi - si arrabbiavano con qualcuno seriamente.
La Mezzorca scrollò le spalle, come se l’argomento non fosse abbastanza importante da aver bisogno di attenzioni.
«Una stupidaggine, un gruppetto di balordi che quando sono scesa a terra ha pensato che fosse una buona idea provare a rubarmi l’arma» s’interruppe, sorridendo con fare malvagio «Se non fosse intervenuta la guardia del porto a quest’ora starebbero ancora raccogliendo i loro pezzi incastrati tra le assi della banchina...».
Ninnuus represse un conato nell’immaginarsi la scena, complice anche quella parimenti cruenta cui aveva assistito solo poche ore prima.
Miz’ri era dell’idea che le guardie avrebbero dovuto usare il pugno di ferro con certa gente, organizzata in ridicole bande al solo scopo di piantare casini per divertirsi e non in gruppi grossi per il contrabbando. In questo modo fomentavano soltanto la creazione di bande che avrebbero poi causato altri problemi alla città.
«E non sai niente sul loro conto? Le guardie non hanno accennato nulla?» indagò il Drow con curiosità.
«Lei non ci ha prestato attenzione» intervenne Alejster con tono altezzoso «Era impegnata a ringhiare contro quei codardi in fuga… ma ho sentito le guardie parlare di quel gruppetto di balordi. Pare che siano una vera spina nel fianco e che vaghino spesso per la zona a nord del porto, quando non sono a creare scompiglio altrove».
«Là se non sbaglio si trovano i capannoni commerciali» rammentò Miz’ri, creandosi una mappa mentale della zona del porto «Ottimo posto per nascondersi, sotto il naso delle guardie, troppo stupide per arrivarci… come sempre».
«Q-quindi… è lì che hanno portato il mio focus?» domandò esitante Ninnuus, sperando di aver compreso abbastanza del discorso per fare un’ipotesi corretta.
«Se non lo hanno ancora piazzato al mercato nero, è probabile» Mordula schioccò la lingua, increspando le labbra in un sogghigno mentre incrociava lo sguardo con Miz’ri. In quel preciso istante, i due correvano sulla stessa lunghezza d’onda. Riuscivano a percepirlo al di là delle parole.
Il Drow distorse le labbra in un sorriso perverso che per fortuna era fuori della visuale di Ninnuus.
«Direi che è il caso di fargli una visita» annunciò, facendo scrocchiare le nocche rumorosamente.

Ninnuus si pentì dell’istante stesso in cui mise piede fuori della locanda: la grossa ferita al fianco gli doleva ad ogni passo, mandandogli fitte pulsanti difficili da ignorare. Riuscire a reprimere le lacrime e l’impulso di fare dietrofront e tornare a letto fu un incredibile sforzo di autocontrollo da parte sua, perlopiù sostenuto dalla prospettiva di recuperare il suo focus druidico.
L’importanza di quell’oggetto per lui andava ben oltre il fatto che alcuni incantesimi ne avevano necessità per essere lanciati, anche se aveva preferito omettere alcuni particolari in proposito. In realtà il suo focus “originale” era soltanto il rametto di vischio che portava legato alla cordicella della collana. Soltanto successivamente vi aveva aggiunto la pigna di Hayako, anche se non sapeva con certezza se fosse possibile modificare un focus semplicemente aggiungendoci qualcosa di intrinsecamente magico legato al proprio cammino druidico. In fin dei conti non gli importava nemmeno saperlo.
Quello che per lui era realmente prioritario in quel momento era recuperare la pigna, in virtù del significato affettivo che aveva: prima di Hayako, nessuno gli aveva mai regalato qualcosa se non per il raggiungimento di un obiettivo personale. I suoi genitori gli avevano donato una borsa di componenti quando era ancora alle prime armi, ma solo allo scopo di dargli i mezzi necessari ad affrontare il auto apprendistato come Druido, in modo da diventare un membro “attivo” del Clan e non essere più solo un peso; i suoi maestri gli avevano fatto dono del suo focus una volta raggiunto lo stato di Druido effettivo, ma soltanto per agevolargli il lancio degli incantesimi quando era impegnato a curare i numerosi gruppi di caccia.
Hayako era stata la prima a fargli un regalo del tutto disinteressato, che non serviva a dargli qualcosa che le permettesse di raggiungere un obiettivo suo.
Da quando era comparsa per la prima volta con quella pigna, non l’aveva più abbandonato. Ogni volta che la richiamava dal Piano del Fuoco, era sempre arrivata in suo aiuto.
Si sentiva in dovere di recuperarla, a qualsiasi costo.
«Se non ce la fai a camminare, puoi rimanere indietro» udì commentare a Mordula ad un certo punto, al che Ninnuus si riscosse dai suoi pensieri e vide che lei e Miz’ri si erano fermate ad alcuni metri di distanza e lo fissavano. La Mezzorca non sembrava entusiasta delle sue condizioni, a giudicare dalle sue sopracciglia corrugate; il suo compagno invece pareva del tutto insensibile all’argomento.
Il Firbolg si raddrizzò in tutta la sua altezza, sopprimendo un gemito nel distendere il fianco ferito, e aggrottò le folte sopracciglia rossicce nell’espressione più determinata che Miz’ri gli avesse mai visto in volto dalla prima volta che si erano incontrati.
«Ce la faccio! Non serve preoccuparsi per me» esclamò con tono indignato e infantile, arrancando verso di loro imponendosi di non toccarsi il fianco e di mantenere lo sguardo alto «Andiamo, forza. Io non so la strada, guidatemi».
Miz’ri lo guardò con rinnovato stupore: era incredibile come una mirata motivazione riuscisse a renderlo quasi una persona normale.
In quello stesso istante, il Firbolg capitombolò a terra inciampando in un tratto di strada dissestato che non aveva visto. All’impatto non riuscì a trattenere un gridolino di dolore e lacrime che vennero viste da tutti e due quando alzò il viso dalla polvere.
«Soltanto “quasi”... è sempre lo stesso bambinone piagnucolante di prima...» si corresse Miz’ri fra sé e sé mentre si avvicinava per tendergli una mano «Cerca di guardare dove cammini se non vuoi che ti medichi di nuovo quello squarcio» lo avvisò a voce alta.
Ninnuus si morse il labbro inferiore e annuì mesto, accettando il suo aiuto per rimettersi in piedi. La prospettiva di essere di nuovo immobilizzato su un letto da quel mostro nerboruto di Mordula e ustionato dal liquore rovesciato barbaramente sulla carne viva lo terrorizzava.
Costeggiarono l’ampia area del porto, senza mai valicarne il confine. Miz’ri e Mordula fecero bene attenzione a tenersi alla larga dai gruppetti di guardie che pattugliavano la zona, onde evitare spiacevoli attenzioni. Ninnuus cercava di tenere il loro passo, benché fosse un’impresa difficile nelle sue condizioni; tuttavia, riuscì a camminare nella loro scia senza attirare sguardi indiscreti.
Giunsero infine ad una zona in cui si trovavano molti grossi edifici a pianta quadrata o rettangolare, dotati di poche finestrelle a diversi metri d’altezza e grossi portoni a due battenti sprangati.
«Adesso tenete gli occhi aperti» bisbigliò Miz’ri agli altri due, appostati in una stradina in penombra tra due capannoni «Abbiamo dalla nostra l’effetto sorpresa ma non sappiamo dove...».
«È lui!» esclamò a voce alta Ninnuus all’improvviso, indicando qualcosa oltre le spalle del Drow, in barba a qualsiasi cautela adottata da quest’ultimo.
«Che cazz…?» cominciò a dire Miz’ri, voltandosi nella direzione in cui stava indicando l’altro. Non vide niente di che: oltre l’uscita della stradina in cui si trovavano c’era un piazzale vuoto su cui si affacciavano diversi capannoni.
«Ninnuus che cosa hai…! No! Fermo!».
Nel mentre che il Drow cercava di capire cosa avesse attirato la sua attenzione, il Firbolg lo superò con uno scatto.
«Merda!» ringhiò Miz’ri, improvvisamente tentato di tirargli un giavellotto nel polpaccio per azzopparlo, ma declinò il proposito immaginandosi la drammatica sceneggiata che ne sarebbe scaturita.
«Avevo capito che era ancora dolorante per la ferita… piccolo stronzo, è un grande attore» commentò in aggiunta Mordula, e nel suo tono stavolta c’era ammirazione.
In effetti, Ninnuus stava davvero correndo incontro a qualsiasi persona avesse attirato la sua attenzione - ammesso che la ferita non si fosse infettata e stesse avendo delle allucinazioni. Benché la vista acuta del Drow non fosse riuscita a carpire ciò che aveva eccitato tanto il suo compare, una cosa gli appariva evidente in quel momento: sotto la luce del sole, una bella macchia di sangue fresco riluceva sul retro della tunica di Ninnuus.
Miz’ri sbuffò, visibilmente irritato. Per disinfettarla la prossima volta ci avrebbe rovesciato sopra l’alcol puro. Era uno spreco ma forse se gli avesse ustionato il fianco ci avrebbe pensato due volte prima di fare una cazzata del genere senza essersi innanzitutto rimesso in sesto.
«Attore un cazzo, quell’imbecille sta volutamente ignorando la ferita!» sbottò «Nessuno mi pagherà mai abbastanza per fare il baby-sitter ad una testa di cazzo del genere!».
Ciò detto corse dietro al Firbolg.
Mordula si trattenne indietro un momento, ridendo tra sé e sé dinanzi all’evidente incapacità del Drow di abbandonare quel bambinone piagnucolante a sé stesso, a prescindere da quanti guai combinasse.
«Ah, Alejster… sono un’accoppiata esilarante» esclamò con un sospiro «Mi serviva proprio qualcosa del genere per riprendermi dopo l’ultimo viaggio».
«Non perdere tempo con le chiacchiere… non voglio perdermi lo spettacolo» le rispose il fantasma telepaticamente, senza manifestarsi dall’arma. La sua voce era distorta da una malsana aspettativa che non sfuggì alla Mezzorca, che si affrettò nella direzione degli altri due.
Ninnuus stringeva con entrambe le mani il suo bastone, come se volesse utilizzarlo come arma. Il suo obiettivo si trovava a solo pochi metri da lui: l’Umano tarchiato che lo aveva mandato al tappeto. Stava passeggiando insieme a due dei suoi scagnozzi, nessuno dei quali sembrò familiare a Ninnuus.
Cercando di farsi coraggio, raddrizzò la schiena ed esclamò: «Ehi tu! Ridammi il mio focus!».
I tre si voltarono verso di lui e il “capo” parve riconoscerlo, a giudicare dalla risata sguaiata che gli rivolse.
«Sei ancora tu?! Non hai imparato la lezione, mh? E va bene, se proprio vuoi morire...» disse, schioccando le dita.
I suoi tirapiedi sguainarono le spade, avanzando minacciosamente verso di lui.
Ninnuus percepì una spiacevole sensazione di dejavù che si affrettò ad allontanare, mettendo la mano alla cintura.
Stava per impugnare la sua vecchia scimitarra quando udì gridare: «Giù!».
Ninnuus si abbassò d’istinto, mettendosi carponi nel riconoscere la voce di Miz’ri. Un attimo dopo, il tacco di un suo stivale si piantò nella sua schiena mentre il Drow lo utilizzava come trampolino di lancio per superarlo e balzare sul malvivente più vicino.
La lama del suo spadone - che teneva sollevato sopra la testa - si abbatté sul cranio dello sventurato con tutta la forza del colpo unita a quella di gravità. Il cranio si aprì all’impatto e pezzi di ossa e materia grigia si sparsero attorno allo sventurato, pochi secondi prima che il corpo si accasciasse inerte al suolo.
Ninnuus ebbe la buona creanza di portare altrove lo sguardo, sicuro che il suo stomaco non avrebbe retto ancora a lungo dopo la scena del vicolo.
Miz’ri si pulì con l’indice una striscia di sangue dalla guancia, fissando con sadica gioia e trepidazione i due ancora in vita. Il compare del morto reputò la vicinanza con il Drow eccessiva e la triste dipartita del suo amico troppo brutale per i suoi gusti.
Abbandonando la sua sciabola, se la diede a gambe senza pensarci due volte, lasciando alla mercé di Miz’ri il suo capo.
Quest’ultimo aveva gli occhi sgranati e pieni di terrore per la violenza che si era appena perpetrata dinanzi ai suoi occhi. Tremando, fece un mezzo passo indietro per poi fare dietrofront e fuggire. O almeno ci provò: dietro di lui era comparsa Mordula, piazzandosi a gambe leggermente divaricate e con le braccia intrecciate, per cui andò a sbattere contro il suo poderoso petto. Come avesse fatto a sgattaiolare fin lì così silenziosamente era un mistero, soprattutto considerata la sua mole non indifferente.
«Dove vorresti andare, mezza sega?» esclamò, gonfiando i bicipiti con fare minaccioso.
Il bandito arretrò leggermente, impaurito, e Miz’ri sopraggiunse alle sue spalle in tempo perché sbattesse contro di lui. Lo afferrò e lo costrinse a voltarsi, ghermendolo con la mano libera attorno al collo e stringendo appena la trachea.
«Allora… so che la tua banda ha una base nei dintorni» disse senza mezzi termini, andando dritto al sodo «Quindi parla, se ci tieni alla vita. Dove vi nascondete».
Era stanco dei preliminari. Voleva il resto del gruppo, adesso. Non aveva intenzione di prolungare quella struggente attesa di violenza ancora a lungo.
Ninnuus, dietro al Drow, osservava l’espressione terrorizzata dell’Umano mentre cercava disperatamente di allentare la presa sul suo collo, rantolando in cerca di aria. Una parte di lui era contenta di vederlo soffrire, per vendetta di ciò che aveva subito nel vicolo; dall’altra, si domandava se anche lui aveva avuto in viso quella stessa espressione mentre veniva trapassato da parte a parte come un pezzo di carne allo spiedo.
Cercò di focalizzare i suoi pensieri sul fatto che era stato lui a portargli via il suo focus druidico, alimentando al tempo stesso frustrazione e rabbia. La seconda non era un’emozione che era avvezzo a provare, nonostante tutto ciò che era stato costretto a subire da parte del suo Clan.
«U-un capannone...» mormorò l’Umano, cercando di parlare in maniera concitata a dispetto della mancanza sempre più pressante d’aria nei suoi polmoni «Azzurro…! In fondo… a...» sollevò un braccio ad indicare la direzione, ma il termine della frase venne soffocato dal sangue che gli sgorgò dal collo a fiotti. Miz’ri aveva estratto gli artigli per un attimo, impalando sul posto il disgraziato, per poi ritrarli.
Nel mentre che il corpo si accasciava a terra, Ninnuus sgranò gli occhi, stupito dalla rapidità con cui si era consumata la scena, quindi balzò sul cadavere istintivamente, cominciando a tastargli i vestiti con movimenti inconsulti.
«Che stai facendo?» gli domandò Miz’ri, leccandosi le dita sporche e poi sputando il sangue più in là.
«Non glielo hai chiesto!» gli urlò contro l’altro, lo sguardo pieno di una rabbia primitiva e irrazionale che stonava con il suo solito comportamento esitante e tranquillo «Dove lo tiene! Dov’è?!».
«Il ragazzino sta facendo troppo baccano...» mormorò Mordula, guardandosi attorno con aria guardinga.
Frustrato dalla mancanza di risultati della sua ricerca, Ninnuus serrò i pugni e cominciò a picchiarli sul corpo, macchiandosi di sangue.
«Ridammelo! È mio!» gemette, insistendo nel martoriare l’Umano.
Miz’ri intervenne a bloccarlo prima che la sua scenata attirasse davvero attenzioni indesiderate. Lo afferrò per entrambe le braccia con tale forza da fargli male, quindi lo trasse in piedi voltandolo verso di sé e costringendolo a guardarlo negli occhi.
«Smettila con le tue cazzate sentimentali, Ninnuus» ringhiò minacciosamente il Drow «Vuoi il tuo focus? Bene, allora muovi quel tuo culo grasso verso il capannone. Adesso. Altrimenti a quel buco nel fianco ne aggiungerò personalmente un altro… nella tua testa» esclamò, spintonandolo indietro con violenza.
Il Firbolg riuscì a mantenere l’equilibrio nonostante tutto, guardandolo con rinnovato timore dopo quella aperta minaccia nei suoi confronti. Chinò la testa e appiattì le orecchie lungo il collo, nel suo più classico segno di totale sottomissione, rimanendo in assoluto silenzio.
A quel punto, il trio si mosse nella direzione indicata dal cadavere. I capannoni più vicini erano tutti tristemente composti da assi dello stesso colore: legno. Spostandosi verso il centro della zona, tuttavia, gli edifici iniziarono ad essere un po’ più variegati nelle colorazioni.
Un capannone azzurro svettava in mezzo agli altri, più grosso e più alto rispetto a quelli vicini. Nel vederlo finalmente apparire, Miz’ri si concesse un ghigno di perfida gioia. Le sue mani fremevano per l’eccitazione a stento repressa e il suo cervello era incapace nel decidere se dare la precedenza alla sua ricerca di cruenta gratificazione personale oppure alla rapidità della pulizia che si apprestava a fare.
La porta era sprangata e fuori non c’era neanche l’ombra di una guardia. La cosa deluse grandemente il Drow: entrare con un corpo mutilato da mostrare ai cani che si trovavano all’interno sarebbe stata una entrata in scena grandiosa. D’altro canto, così facendo avrebbe avuto ancora maggiore effetto sorpresa - ammesso che il tizio che era riuscito a fuggire non avesse avuto il tempo di arrivare fin lì e avvertire tutti. L’idea di non trovare nessuno incupì l’umore di Miz’ri, spingendolo ad affrettarsi ad andare a controllare.
Scattò verso la porta, caricandola con tutto il peso dei suoi muscoli.
«Ah, finalmente… non ne potevo più di aspettare» brontolò Mordula, brandendo la sua inquietante ascia a due mani e correndo appresso al Drow.
Ninnuus riuscì a sentire una macabra risata riecheggiare dietro di lei e capì che l’impazienza della Mezzorca era pienamente condivisa anche dal suo accompagnatore fantasma.
Purtroppo dopo la sua bravata contro il terzetto di banditi, la ferita aveva ripreso a dolergli intensamente. Nel momento in cui cercò di accelerare il passo si ritrovò piegato su se stesso a premersi la fasciatura attraverso la tunica, pregando che la fitta si ridimensionasse in intensità il più in fretta possibile.
Boccheggiando per il dolore, tentò di arrancare nella direzione in cui erano scappati gli altri due, anche se ogni passo gli costava una fatica immane.
«Miz’ri aveva ragione… dannata ferita...» si ritrovò a brontolare tra sé e sé.
Bloccato a parecchi metri di distanza, vide Miz’ri levare lo spadone sopra la testa e spiccare un balzo selvaggio contro la porta. Con un singolo affondo dell’arma, la sbarra di legno cedette di schianto e Mordula - sopraggiunta alle sue spalle - spalancò il portone con un calcio.
All’interno gli scatoloni di merce erano stati sistemati contro le pareti e al centro era stato ricavato uno spazio comune in cui si trovavano radunate una ventina di persone dall’aria tutt’altro che raccomandabile. Erano intenti a giocare a carte o a tirare coltelli contro bersagli disegnati sulle pareti, ma quando la porta cedette erano già tutti rivolti verso di essa.
«E così è questo l’aspetto di un covo di ratti» Miz’ri sollevò il mento, sogghignando in maniera spaventosa, mostrando i denti «Chi di voi ha preso il focus a un Firbolg solitario e moribondo oggi?» domandò a voce alta ai presenti.
Come era logico aspettarsi, nessuno rispose al suo quesito, ma tutti estrassero le proprie armi.
«Speravo in questa risposta...» ammise Miz’ri, riponendo il suo spadone ed estraendo di nuovo gli artigli «Avanti, fatevi sotto!».
Il Drow e la Mezzorca svanirono oltre la porta sfondata molto prima che Ninnuus riuscisse a trascinarsi fin lì. Ansimando per lo sforzo fisico, si appoggiò contro uno stipite per riprendersi un attimo e in quello stesso momento fu investito dal tanfo del sangue fresco.
Il ricordo del vicolo di poche ore prima si ripresentò vivido nella sua memoria mentre si costringeva a sbirciare tremando oltre il margine della porta.
Lo spettacolo che si trovò dinanzi era agghiacciante: cadaveri orrendamente mutilati si trovavano sparsi un po’ ovunque attorno al punto in cui Miz’ri e Mordula si trovavano, schiena a schiena, ad affrontare un gruppo in schiacciante vantaggio numerico con selvaggio divertimento. I loro movimenti, fluidi e coordinati, somigliavano ad una macabra danza di morte. Ogni colpo affondava nella tenera carne di un nemico e laddove uno dei due aveva aperto solo una ferita, l’altro giungeva a terminare l’opera.
Ninnuus si ritrovò ipnotizzato ad osservarli, incapace di distogliere lo sguardo nonostante percepisse distintamente le gambe tremare.
Gli eventi della giornata gli affollarono la mente, andando ad aggiungersi agli orrori cui stava assistendo in quel preciso istante. Senza neppure accorgersene, i suoi occhi iniziarono a posarsi singolarmente sui cadaveri, imprimendogli nel cervello immagini incredibili che non sapeva se avrebbe mai avuto modo di dimenticare.
«Il focus. Loro hanno il mio focus» si disse, cercando di scatenare la stessa rabbia che era esplosa poco prima. Non aveva altro mezzo per spronarsi a rendersi utile in qualche modo, smettendo di rimanere lì a tremare come una foglia.
«Senza il mio focus sono inutile. Non posso lanciare incantesimi» mormorò, abbassando lo sguardo mentre le sue mani cominciavano a fremere «Posso… soltanto...».
Un ricordo balenò nella sua memoria: l’esaltante eccitazione della caccia e il sapore del sangue e della carne viva tra i denti. Aveva passato un intero anno a cercare di cancellare tutto ciò dalla sua memoria, ma evidentemente non si era applicato abbastanza. E in quel momento, benché fosse consapevole di quanto fosse estrema la misura che stava adottando e delle ripercussioni che avrebbe dovuto affrontare subito dopo, era contento di non aver dimenticato.
Irrigidì la mandibola, chiudendo gli occhi e costringendosi ad inalare a pieni polmoni l’olezzo di sangue e di viscere. Inarcò lentamente la schiena e si portò dolorosamente a quattro zampe mentre percepiva le ossa iniziare a modificare la propria disposizione.
La frenesia selvaggia di Miz’ri e Mordula venne interrotta da un penetrante ululato. Entrambi si volsero in tempo per vedere un grosso lupo ringhiante fermo sulla porta. Ciò che catturò l’attenzione del Drow fu la colorazione piuttosto singolare della pelliccia: il colore grigio tendeva al blu e sulla schiena correva una cresta di un bel rosso acceso che gli era fin troppo familiare.
Con gli occhi sgranati per la sorpresa, tutto ciò che riuscì a dire fu: «Ninnuus?».
Il lupo caricò verso i banditi che ancora erano in piedi davanti a Miz’ri, abbattendoli sotto il proprio peso per poi cominciare a sbranarli selvaggiamente, masticando le parti che riuscì a strappare.
Miz’ri rimase stupito dalla ferocia della bestia, fatto che riuscì a placare abbastanza la sua furia omicida da renderlo in grado di preoccuparsi di altro: ciò per cui erano andati lì.
Mentre Ninnuus e Mordula finivano di occuparsi dei pochi sopravvissuti - che adesso cercavano di scappare anziché combattere - il Drow procedette verso il fondo del capannone. Superò diversi scatoloni che erano stati disposti a separare “l’ingresso” da una sorta di camera di accumulo beni. C’era molta refurtiva sparsa qua e là e alcune cose era evidente che fossero state scambiate solo in parte.
Miz’ri fece uno sforzo di autocontrollo notevole nel non toccare il denaro buttato qua e là, concentrandosi solo nel sondare la zona in cerca della roba di Ninnuus. Era certo che non avessero avuto il tempo di rivenderla.
«Chi mai avrebbe comprato una bisaccia consunta e piena di carne probabilmente avariata…?» commentò tra sé e sé, ricordandosi delle arpie e dei granchi che il Firbolg aveva macellato usando le sue asce da lancio e che ad ora non gli aveva mai visto cucinare «Oh, giusto!».
Miz’ri chiuse gli occhi e si avvicinò al punto del pavimento in cui pareva fossero state accumulate tutte le borse, scarselle e quant’altro. Sapendo quanto si sarebbe pentito di ciò che stava per fare, si chinò sul mucchio e cominciò a inalare a fondo, in cerca del classico odore di provviste andate a male. Purtroppo la sua esperienza per mare lo aveva costretto a trovarsi dinanzi al problema più volte di quante gli sarebbe piaciuto, per cui era perfettamente in grado di discernerlo anche al di sopra del profumo di sangue fresco.
Come immaginava, non solo la carne era andata a male, ma Ninnuus non l’aveva buttata: individuò la scia dell’odore senza nessuna difficoltà e seguendola anche la bisaccia del suo compagno - intelligentemente messa da parte rispetto alle altre, con ogni probabilità per evitare che appestasse anche tutto il resto.
Miz’ri scosse il capo con un sospiro, afferrando l’accessorio per controllare l’interno. Sperava che non avessero fatto molto caso al focus e avessero messo tutto assieme, ma purtroppo si sbagliava: la collana non si trovava lì.
«… merda!» sibilò frustrato, mettendosi disgustato lo zaino in spalla mentre si guardava attorno in cerca di qualche cosa che gli suggerisse dove potesse essere quel dannato aggeggio.
Ad un tratto scorse una specie di bancarella improvvisata su alcuni scatoloni dalla parte opposta del capannone e si accostò speranzoso. C’erano diversi ninnoli ammonticchiati tutti assieme, per cui immaginava che il focus di Ninnuus potesse essere un ottimo candidato da annoverare tra la paccottiglia, anche se era solo una collanina di corda con del vischio e una pigna.
Frugò in mezzo a gioielli sicuramente falsi per alcuni minuti prima di riuscire finalmente ad intravedere qualcosa che potesse somigliare all’oggetto del desiderio del Druido. Afferrò la parte di cordicella e tirò, cercando di non farlo troppo forte.
Un sorriso gli increspò le labbra quando finalmente estrasse proprio la collana di Ninnuus.
«Finalmente! Quel bambinone smetterà di assill...».
Un grido di dolore da parte di Mordula interruppe Miz’ri nel suo momento di trionfo. Il Drow si cacciò lesto in tasca il focus e tornò di corsa indietro, temendo che i banditi l’avessero sopraffatta.
Ciò che non si aspettava fu di vedere che la Mezzorca stava venendo aggredita da Ninnuus: il grosso lupo col ciuffo rosso le era sopra e le stava mordendo l’avambraccio sinistro, che lei aveva prontamente alzato per difendersi. Come avesse fatto ad abbattere una come Mordula, per Miz’ri rimaneva un mistero.
I banditi giacevano tutti a terra, morti. Erano rimasti soltanto loro due.
«Massacra anche lui!» quest’ultimo sentì urlare Alejster con la stessa voce da folle psicopatico che aveva usato quando si erano “conosciuti”. Il fantasma si manifestò dall’ascia, che Mordula teneva ancora nella mano destra. Aveva gli occhi cerchiati di scuro e la bocca deformata in un ghigno maniacale mentre incitava la sua compagna a colpire a morte il lupo.
Vedendola sollevare l’arma, Miz’ri si affrettò verso di lei: «No!».
Si sentì uno stupido nel constatare con quanta apprensione si stava precipitando a salvare quell’idiota di Ninnuus. Il fatto era che tutta quella faccenda si era rivelata terribilmente divertente per lui e se il Firbolg fosse morto lì non avrebbe più potuto cacciarsi in guai che Miz’ri avrebbe potuto risolvere appellandosi alla cara vecchia violenza.
Vedendo al limitare del proprio campo visivo avvicinarsi qualcosa, gli occhi del lupo si sollevarono immediatamente da Mordula e si incatenarono a quelli del Drow.
Il sapore del sangue fresco tra i denti lo esaltava quasi più dell’odore di carne che regnava ovunque, spingendolo a cercare altre prede. Per fortuna ce n’era ancora una che stava correndo verso di lui.
Ninnuus lasciò andare il braccio di Mordula e si diresse correndo verso Miz’ri, sollevandosi sulle zampe posteriori per raggiungergli le spalle e abbatterlo.
L’altro riuscì ad indovinare cosa stava per fare, per cui levò il braccio in tempo per parare il morso. Le zanne piantate nella carne facevano male, ma lui era abituato a crogiolarsi nel dolore e trarre da esso forza e piacere.
Mantenne il contatto visivo con Ninnuus, esibendosi in un sorriso arrogante.
«Stai cercando di farmi paura? Sei solo un cagnolino eccitato...» commentò con tono di sfida.
Dalla gola del lupo proruppe un ringhio rabbioso.
«Ah, sì? Sgranocchiare il mio braccio è più importante… di questo?».
Così dicendo, Miz’ri tirò fuori il focus dalla tasca, facendolo oscillare davanti agli occhi della bestia. Per qualche secondo vide una totale mancanza di reazione all’oggetto; poi la sua sclera ambrata cambiò colore e gli occhi tornarono ad essere quelli di Ninnuus.
Uggiolando, il lupo lo lasciò andare e gli camminò attorno, per poi sedersi davanti a lui con le orecchie basse, mostrando il collo peloso. Miz’ri riconobbe il gesto di resa tipico di alcuni predatori e si rilassò.
«Bravo Ninnuus…» disse, passandogli la cordicella attorno al collo per legargliela a mo’ di collare.
A quel punto, il lupo ululò e la sua forma cominciò a mutare nuovamente, con diversi schiocchi di ossa, finché seduto a terra davanti a lui non si trovò di nuovo il Firbolg, che adesso esibiva una bella chiazza di sangue parzialmente rappresa attorno alla bocca.
«Miz… m-mi dispiace per… non volevo morderti» cominciò a scusarsi, con gli occhioni già pieni di lacrime «I-io non volevo… oh, cielo che cosa ho fatto…!».
Allungò entrambe le mani verso il braccio ferito di Miz’ri e iniziò a mormorare una formula magica. Attorno al punto di contatto fra loro comparvero alcune foglie di pura magia che svolazzarono sul posto mentre Miz’ri sentiva il debole dolore del morso svanire del tutto.
«Questo potrebbe rivelarsi utile» rifletté il Drow. Non aveva mai viaggiato con qualcuno in grado di curarlo con la magia. Il potenziale era notevole: con la sua resistenza al dolore e la magia di Ninnuus a mantenerlo in forze sul campo di battaglia, soltanto nemici veramente cazzuti avrebbero avuto una chance di spuntarla contro di lui.
L’idea lo eccitava in maniera quasi indecente, tanto che dovette assicurarsi che la cosa non trasparisse dai suoi pantaloni - già messi a dura prova in tal senso durante il massacro. Per fortuna si premurava sempre di sistemarlo in maniera tale da non fare troppo spessore anche nei momenti “peggiori”. Non si poteva mai sapere quando si sarebbe presentata l’occasione di picchiare qualcuno.
Terminato l’intervento, Ninnuus si accasciò di nuovo sul pavimento in una posizione a metà tra lo stare seduto e l’essere in ginocchio.
I ricordi del suo vecchio incidente, avvenuto durante la sua primissima battuta di caccia da solo, tornarono a travolgerlo più vividi che mai. La frenesia selvaggia del sangue e il brivido di essere lui, per una volta, il predatore. La gioia primitiva e semplice di uccidere soltanto perché ne aveva i mezzi. Erano state le stesse sensazioni corroboranti che aveva provato in entrambe le occasioni.
L’unica differenza era che quand’era accaduto la prima volta era stato un evento non previsto; in quel caso invece si era imposto volontariamente la trasformazione con lo scopo di replicare la carneficina che aveva compiuto allora.
Aveva ucciso e banchettato coi resti di persone moribonde, ma ancor di più aveva fatto del male a Mordula e Miz’ri in preda agli istinti bestiali. Era mortificato e schiacciato dal senso di colpa. Avrebbe voluto urlare e raggomitolarsi sul pavimento a piangere, anche se sapeva che non sarebbe servito a cambiare nulla di ciò che era stato.
Un tremito incontrollabile si impadronì di lui mentre un terrore strisciante lo invadeva. Non sapeva come rimediare a ciò che aveva fatto.
Il Drow lo colpì sulla fronte facendo schioccare l’indice con il pollice, distraendolo dall’imminente attacco di panico.
«Ahio» brontolò il diretto interessato, portandosi una mano alla fronte per massaggiarsi il punto leso.
«Chiamala, invece di piangere» lo redarguì in tono calmo l’altro. Sapeva che arrabbiarsi a quel punto avrebbe solo peggiorato la sua già precaria condizione.
Ninnuus lo guardò con l’espressione di un bambino che aveva appena ricevuto un ceffone da sua madre, poi chiuse gli occhi e sfiorò la pigna con dita tremanti.
Una scintilla di fuoco gli sbocciò in grembo, allungandosi e assumendo rapidamente la snella figura di una volpe. L’elementale appoggiò le zampe anteriori sul petto di Ninnuus e strofinò il muso contro di lui, poco sotto la collana.
«Hayako!» esclamò il Firbolg, stringendo la sua compagna a sé, la voce spezzata per l’emozione «L’ho recuperato, visto? È stato Miz’ri a riportarmelo...».
Il suo tremore diminuì visibilmente con l’abbraccio.
Nel mentre che veniva stritolata affettuosamente da Ninnuus, Hayako volse il muso per qualche istante verso Miz’ri, il quale giurò di vederle fare l’occhiolino prima di tornare a strofinare il pelo infuocato contro il suo proprietario.
«Devo essere davvero stanco...» commentò tra sé e sé il Drow, rifiutandosi di prendere in considerazione l’ipotesi che a quel punto avesse ancora dell’alcol in corpo che potesse dargli dei sintomi da sbornia. Era passato troppo tempo.
«Che scena strappalacrime» brontolò Mordula, sopraggiungendo con l’avambraccio ancora sanguinante «Con me non ti scusi per il braccio? Cazzo… spero di poter suonare domani...».
Ninnuus interruppe le sue effusioni con Hayako per alzarsi e avvicinarsi a Mordula. La sua compagna elementale si arrampicò prontamente sulle sue spalle mentre il Firbolg sollevava le mani libere per mostrarle alla Mezzorca.
«Non ero in me durante… ehm… in quel momento» Ninnuus pareva decisamente restio ad accennare al fatto appena accaduto «Per favore, ti chiedo scusa… permettimi di provare a rimediare...».
«Ti meriteresti un calcio nelle palle per avermi ridotto così il braccio» sputò la Mezzorca con rabbia, ma non si sottrasse al tocco del Druido «… però se ti mando al tappeto poi dovremmo trascinarti fuori da svenuto e pesi una tonnellata».
Il Firbolg arrossì, a disagio, ma cercò di ignorare l’insulto per focalizzarsi sull’incantesimo di cura. Sentiva di meritarsi le sue offese per quello che aveva combinato.
Per la seconda volta, le foglioline magiche apparvero vorticando nell’aria attorno all’arto ferito, per poi dissiparsi lasciando dietro di loro della pelle intatta.
«Limitiamoci ad andarcene. A quest’ora persino quelle ritardate delle guardie portuali si saranno accorte del caos che è scoppiato qui» proseguì Mordula, ritraendo il braccio per verificarne la funzionalità «Spero non ci siano testimoni scomodi…».
«Q-qualcuno ci ha visto?!» gemette il Druido, terrorizzato alla prospettiva di essere stato visto sbranare vive delle persone. Cercò di ricacciare indietro il pensiero delle interiora crude che aveva ingoiato come lupo, per niente desideroso di dare di stomaco in quel momento.
«Non credo, ma nel caso meglio toglierci dai piedi prima che arrivino a controllare» decretò Miz’ri.
«A-allora… un momento...» intervenne Ninnuus, mettendosi una mano al fianco ed eseguendo un’ultima cura di emergenza su se stesso «Almeno potrò stare al vostro passo» aggiunse a mo’ di spiegazione all’occhiata interrogativa degli altri due «Non sono in grado di curarmi del tutto, dato che questo è l’ultimo incantesimo che posso lanciare prima di riposarmi… ma così non sarò di peso… mi auguro».
L’ultima precisazione la fece con le guance violacee.
«Bene, allora testiamo quanto è stato efficace» commentò il Drow.
Il terzetto e Hayako uscirono lesti dal capannone, sgattaiolando in mezzo agli altri edifici per andarsene senza attirare sguardi indiscreti. Lungo la strada, Mordula utilizzò un trucchetto magico per ripulire buona parte del sangue che avevano addosso, soprattutto quello incrostato sulla faccia e nella barba di Ninnuus.
«Pensi che sia una buona idea non farsi vedere a Trebelize per un po’...?» intervenne Miz’ri ad un certo punto, non appena si furono lasciati alle spalle l’area di stoccaggio merci del porto. Il quesito era rivolto a Mordula: Ninnuus passeggiava dietro di loro, lentamente, giocherellando con Hayako - che adesso si era appollaiata a mo’ di scialle sulle sue spalle. Spesso e volentieri si toccava la collana, come se avesse paura che potesse scappare da sola.
«Be’, uno dei tizi è sopravvissuto» gli ricordò la Mezzorca «E a seconda di chi lo accoglierà, potrebbe rivelarsi un problema… inoltre il tuo amico non mi pare proprio il tipo di persona che si scorda facilmente una cosa del genere… potrebbe parlare» soggiunse, abbassando pian piano il tono di voce perché la fine della frase potesse udirla solo il Drow accanto a lei.
Quest’ultimo non poté darle torto. Gli bastò ripensare al modo in cui era esploso a piangere Ninnuus per avergli mentito circa le sue nozioni di economia base. Non sapeva quanto di quella scenata era stato causato dalla sbronza che si era preso, ma sicuramente non avrebbe tentato la fortuna per scoprirlo in una situazione come quella. Non aveva intenzione di finire in carcere per colpa della lingua lunga del Firbolg.
«Sai se c’è qualche buon impiego in altri porti? La prossima partenza dei mercantili da Trebelize è tra una settimana… troppo tempo» chiese Miz’ri.
Mordula sollevò con fare pensieroso lo sguardo verso il cielo e rimase in silenzio a riflettere per un po’.
«Non so di altri porti...» esordì dopo alcuni minuti «Ma so che nell’entroterra, in un villaggio non proprio conosciutissimo, tra una settimana circa dovrebbe tenersi una gara tra bardi» spiegò.
«Non vedo come la cosa possa aiutarmi. A differenza tua, io non sono bravo con la musica» la interruppe perplesso il Drow.
Mordula sospirò pesantemente, con aria spazientita.
«Vista l’affluenza che ci sarà al villaggio, il sindaco ha lanciato un appello per chiunque voglia presentarsi per mantenere l’ordine durante la gara. Per quello dovresti essere all’altezza» concluse, lanciandogli un sorrisetto di sghembo.
«Se mi pagheranno per prendere a pugni chiunque cerchi di piantare grane, benissimo» Miz’ri colpì con un pugno chiuso il palmo aperto dell’altra mano «Mi pare un ottimo lavoro part-time! Come si chiama il posto?».
«Il villaggio è Amre» rispose la Mezzorca «Se davvero andrete, magari ci incontreremo là. Forse ci sarà del pubblico in grado di apprezzare davvero la mia musica».
«Nel caso ci sarò io ad invitarli a farlo» il Drow le fece l’occhiolino, prima di fermarsi e voltarsi su se stesso per guardare il terzo membro del gruppo.
Ormai era destino, avrebbe dovuto portarselo appresso. Nella peggiore delle ipotesi, avrebbe potuto divertirsi a cavarlo fuori da altri impicci.
«Ninnuus! Spero tu sia pronto a partire!» esclamò in tono squillante, battendo le mani.
L’altro lo guardò, visibilmente confuso da tanto entusiasmo.
«Mi porterai in nave con te…?» chiese con tono esitante ma speranzoso, alzando a mezz’asta le orecchie.
«Niente nave stavolta» replicò l’altro «Andiamo verso l’interno, ad una festa di paese. Immagino tu non ne abbia mai vista una».
«Be’, no… non credo. A meno che le celebrazioni del raccolto contino come feste...» ponderò il Firbolg.
Miz’ri gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla con fare incoraggiante.
«Niente a che fare con le feste del continente. Vedrai, sarà divertente».
L’altro drizzò le orecchie, eccitato dal suo stesso atteggiamento propositivo. Non sarebbe stato abbandonato a se stesso, almeno nel prossimo futuro, e la cosa lo rendeva estremamente felice.
Miz’ri tacque di proposito il vero obiettivo del viaggio. Sicuramente sarebbe stata una pretesa eccessiva per i sensibili nervi di Ninnuus.

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