The Exiled
May. 23rd, 2021 08:49 am![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: The Exiled
Rating: Giallo
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Balfaren (OC), Maximus (OC), Ninnuus (OC), Valoris (OC)
Wordcount: 4821 (wordcounter)
Timeline: Ambientata quattro anni dopo questa.
Disclaimer: L'ambientazione appartiene a Chibi.
Note: Gen
Venne scortato al centro dello spiazzo e qui costretto in ginocchio al cospetto del Concilio degli Anziani, composto dagli stessi membri che quattro anni addietro lo avevano nominato Druido. Nonostante fosse passato del tempo, Ninnuus si ricordava le loro facce con straordinaria precisione.
Il suo aspetto adesso era tanto diverso da quello del ragazzino che si era inginocchiato in quello stesso punto tempo addietro quanto lo era emotivamente. Era come cercare di mettere a confronto due versioni di sé stesso completamente differenti.
Nei suoi ricordi di ormai quattro anni addietro - un tempo che adesso gli sembrava quasi una vita fa - la piazza della fortezza gli era sembrata molto più grande e paradossalmente meno affollata rispetto alla distesa di teste variopinte che circondava adesso lo spiazzo centrale.
Una sottile lingua di terra era stata lasciata vuota per consentirgli il passaggio, esattamente come allora. Adesso tuttavia, percorreva quella stessa strada a testa bassa, in catene e sotto le espressioni inquisitorie e cupe di tutto il Clan anziché fiero e soddisfatto per la sua imminente nomina a Druido, che tutti gli invidiavano e ammiravano al tempo stesso.
Ninnuus rallentò leggermente il passo mentre i suoi occhi ambrati scattavano da un lato all’altro della folla, constatando con sempre maggiore apprensione quanto poco spazio gli fosse stato concesso per passare. Si sentiva soffocare dalle imponenti stazze dei Firbolg che gli delimitavano la strada.
La guardia dietro di lui lo pungolò nel fianco con il fondo della lancia, affondando leggermente nello spesso strato di adipe che adesso gli rivestiva l’addome. Anni fa, con un gesto simile, avrebbero rischiato di rompergli qualcuna delle sue costole, così pericolosamente esposte a causa della sua naturale corporatura magrolina - quasi scheletrica per gli standard del suo Clan. Il prigioniero sobbalzò imbarazzato, chiedendosi se avesse percepito quanto effettivamente fosse grasso con quel brevissimo contatto. Purtroppo era in grado di nascondere i suoi chili di troppo solo visivamente, grazie alla tunica che sua madre gli aveva cucito appositamente sovradimensionata in occasione della sua cerimonia di nomina a Druido. Allora l’indumento gli arrivava fino a terra e le maniche erano talmente lunghe da costringerlo a farci numerosi risvolti per renderle visibili e utilizzabili; adesso, complice la sua “ragguardevole” altezza - per i suoi standard personali - di circa due metri e l’essere fortemente sovrappeso, l’abito gli arrivava circa a metà delle ginocchia ed il girovita quasi giusto. L’avanzo era sufficiente a consentirgli di indossare al di sotto un mezzo giubbotto di cuoio imbottito per tentare di pareggiare il pronunciato dislivello tra il suo petto - rimasto curiosamente piatto - e la sua pancia prominente. Aveva inoltre dovuto trovare delle braghe per coprire la porzione di gambe grassocce rimasta scoperta, impresa che non si era rivelata così difficile come aveva preventivato, considerato che anche nelle sue condizioni attuali continuava ad essere molto più minuto della media del suo Clan.
La guardia che lo precedeva - una femmina grossa il doppio di lui e molto muscolosa - strattonò le catene per incitarlo a muoversi.
Ninnuus affrettò il passo, cercando di focalizzare lo sguardo sul terreno. Sentiva le occhiate accusatorie di tutti su di sé, i sussurri concitati al suo passaggio. La tensione nell’aria era palpabile e rifletteva ciò che lui stesso provava.
La sua testa era affollata di pensieri frenetici e contrastanti, che cercavano di avere la meglio gli uni sugli altri nel catturare la sua attenzione. Era una condizione con cui conviveva da due anni, da quel maledetto giorno in cui era tornato a mani vuote dalla sua prima e unica caccia solitaria.
Qualsiasi cosa notasse attorno a lui dava origine ad una miriade di impulsi diversi nel suo cervello da cui scaturivano altrettanti pensieri. La sua incapacità ormai cronica di mantenere la propria attenzione su qualcosa per più di pochi secondi lo rendeva estremamente vulnerabile agli stimoli esterni.
Era costantemente soverchiato da ciò che i suoi sensi perennemente allertati e i nervi a fior di pelle captavano dall’ambiente circostante. Era come se centinaia di voci nella sua testa gli urlassero all’unisono messaggi diversi.
Iniziò a tormentarsi le mani, intrecciando le dita, muovendole, strofinandole e torcendole senza posa. Era uno tra i tic più vecchi della sua attuale condizione, che era andato aggravandosi nel corso degli anni.
Venne scortato al centro dello spiazzo e qui costretto in ginocchio al cospetto del Concilio degli Anziani, composto dagli stessi membri che quattro anni addietro lo avevano nominato Druido. Nonostante fosse passato del tempo, Ninnuus si ricordava le loro facce con straordinaria precisione.
Il suo aspetto adesso era tanto diverso da quello del ragazzino che si era inginocchiato in quello stesso punto tempo addietro quanto lo era emotivamente. Era come cercare di mettere a confronto due versioni di sé stesso completamente differenti.
Allora, alla tenera età di sedici anni, Ninnuus ricordava distintamente di essersi preparato per l’evento tagliandosi i capelli e facendosi crescere la barba per darsi un aspetto più maturo, dato che fisicamente c’era poco che lo aiutasse in tal senso. I suoi sforzi erano stati poi annullati dalla vastità della sua nuova tunica, ma era un dettaglio trascurabile.
Adesso, a venti anni compiuti da poco e in balia di continue crisi di nervi e attacchi di panico, dire che Ninnuus avesse ben poco di curato era eufemistico. I capelli rosso acceso erano cresciuti ispidi e spettinati, tornando all’antico aspetto a nido d’uccello di quando era piccolo. La barba si era infoltita e adesso gli incorniciava la bocca, ma era trascurata e arruffata e in alcuni punti gli erano rimasti impigliati dei frammenti di cibo. I suoi occhi color del miele erano iniettati di sangue negli angoli interno ed esterno e cerchiati di scuro. Le occhiaie spiccavano nettamente in contrasto con il suo incarnato azzurrognolo, con le palpebre gonfie e la zona perioculare incavata. Dava la netta impressione di qualcuno che non riusciva a riposare correttamente da molto tempo, anche se in verità erano comparse solo di recente.
La tunica era pulita solo se guardata di sfuggita. Ad un esame più attento risultavano evidenti le chiazze di grasso e sporco rimaste sul tessuto a dispetto dei tentativi di lavarle via.
Nella sua nuova posizione, si agitò a disagio quando percepì nel suo campo visivo l’imponente e sicuramente difficile da ignorare stazza di suo fratello maggiore Maximus. Spostando rapidamente gli occhi dal Concilio, notò che vicino a lui c’erano anche i suoi genitori. Suo padre Balfaren sembrava in certa misura preoccupato; l’espressione di sua madre Valoris invece era indecifrabile.
Si chiese cosa pensassero di lui adesso. Si era impegnato così tanto per riuscire a guadagnarsi il diritto di essere rispettato all’interno del Clan e non essere più considerato un peso morto, e adesso tutto il suo lavoro stava andando in fumo. L’incubo che lo aveva perseguitato per due interminabili anni si stava realizzando: stava per perdere la sua posizione di Druido e la fiducia del Clan in una sola volta.
Tutto perché il suo insaziabile appetito nervoso la sera avanti gli aveva fatto dimenticare la porta della dispensa aperta, permettendo così a suo padre di coglierlo in flagrante.
«Se avessi chiuso quella dannata porta…! Avevo tutto!» si rimproverò tra sé e sé, digrignando i denti con evidente frustrazione «La ricetta era perfetta. Le quantità erano perfette. Nessuno si sarebbe accorto di un po’ di carne e di patate scomparse… non con quelle quantità ridicole!».
Il pensiero del cibo che era quasi riuscito a rubare gli fece brontolare lo stomaco. Si portò istintivamente le mani sulla pancia - dove erano già, impossibilitate ad essere spostate più lontano - come se fosse possibile coprire il rumore. Con il solo bisbigliare a fare da sottofondo al suo processo pubblico, gli parve che il gorgoglio echeggiasse amplificato centinaia di volte. Gli parve tuttavia strano che nessuno commentasse in proposito.
«Ninnuus, figlio di Balfaren e Valoris» la voce greve di uno degli anziani del Concilio gli fece drizzare le orecchie pelose e subito dopo la sua testa imitò il movimento.
Fissò con espressione impaurita e nervosa il gruppetto di Firbolg che aveva dinanzi. Il suo battito cardiaco accelerato gli martellava nelle orecchie tant’era forte, obliterando il bisbiglìo generale dalla sua sfera percettiva.
«Sei stato portato al cospetto del Concilio per essere giudicato per le tue azioni contro il Clan» esclamò quello che dall’aspetto pareva il più anziano e il più autoritario tra tutti. Nonostante l’età, la sua presenza era sufficiente a incutere un timore reverenziale nel giovane Ninnuus a dispetto delle sue precarie condizioni mentali; purtroppo però non fu abbastanza per riuscire a farlo stare zitto.
Facendo dondolare pesantemente le grosse manette che gli bloccavano i polsi, Ninnuus si sporse in avanti appoggiando entrambi i pugni tremanti a terra, assumendo una posizione parzialmente carponi mentre sollevava il capo verso il Concilio.
«N-n-non volevo fare n-n-niente di male!» esclamò con la voce incrinata di qualcuno che stava per scoppiare in lacrime. Parlò di scatto, quasi inciampando nelle sue stesse parole, ignorando volutamente il movimento dei suoi secondini nel momento in cui aprì bocca.
«Silenzio!» ruggirono in coro dissonante varie voci dal gruppo del Concilio, al che la femmina alla sua sinistra gli afferrò la testa con una mano e lo costrinse a prostrarsi sul terreno. Le manette gli impedirono una naturale flessione delle braccia, complice anche l’ingombro della sua pancia, e Ninnuus si ritrovò con il naso nella polvere ad annaspare, dolorante e sempre più succube di tremori convulsi: la sua incapacità di rimanere concentrato mentalmente si rifletteva anche fisicamente in una grave carenza nel riuscire a restare fermo, tanto più se doveva farlo perché costretto da qualcosa o qualcuno di esterno a lui stesso.
«Ninnuus. Hai deliberatamente sottratto del cibo alle scorte destinate a tutto il Clan» continuò a parlare il più anziano del Concilio, con la stessa ferma pacatezza di poco prima. Era come se l’interruzione non fosse mai avvenuta.
«Tuo padre, Balfaren, è testimone del tuo crimine».
Alle sue parole, un impeto di emozioni contrastanti lo travolse, e i suoi occhi schizzarono in ogni dove come se cercassero un soggetto specifico su cui fermarsi. Purtroppo, dalla sua nuova posizione, non c’era molto su cui potesse concentrarsi.
Il senso di colpa lo soverchiò al ricordo di come suo padre sembrasse soddisfatto delle sue doti culinarie, per poi sfumare in sdegno e tristezza al pensiero della sua completa cecità dinanzi ai suoi problemi comportamentali sempre più difficili da nascondere. Era pur sempre suo padre, e nella concezione della famiglia che aveva Ninnuus, si sarebbe dovuto accorgere che qualcosa non andava e di conseguenza aiutarlo.
«Aiutarmi. Non spingermi nella fossa».
In ultimo arrivò la rabbia, scatenata dall’evidente mancanza di fiducia in lui. Suo padre non solo non l’aveva aiutato, ma non appena lo aveva colto in flagranza di reato lo aveva denunciato senza neppure cercare di capire il motivo dietro al suo gesto.
Stavolta il giovane Druido rimase in silenzio, nonostante percepisse l’urgenza di gridare. Sperava che la sua “buona condotta” venisse notata, e così fu: dopo pochi secondi, la guardia lo strattonò perché tornasse in ginocchio, libero di guardarsi intorno.
I suoi occhi color del miele si inchiodarono sulla figura di suo padre, scrutandolo con espressione penetrante e accusatoria.
Balfaren si accorse del suo sguardo ed un brivido gli corse lungo la schiena notando come i suoi occhi un tempo innocenti adesso somigliassero a quelli di un pazzo consumato dalle difficoltà della vita. Erano trascorsi solo quattro anni dal giorno della sua nomina a Druido, eppure sembrava che avesse trascorso un secolo di disastrose peripezie prima di arrivare lì.
Lo sguardo di Ninnuus tornò sull’anziano Firbolg e lì rimase, come a voler sfidare apertamente la sua autorità. Le sue orecchie basse, quasi parallele ai lati del collo, manifestavano chiaramente la sua paura per l’intera vicenda; tuttavia, il fuoco che ardeva nelle sue iridi ambrate pareva resistere contro il suo stesso terrore.
Il suo sciocco tentativo di apparire più coraggioso di quanto non fosse servì solamente a far irritare il Concilio: i membri del Clan che ricevevano il loro giudizio dovevano tremare al loro cospetto in reverenziale e sottomesso silenzio, terrorizzati dalla prospettiva di essere ostracizzati o uccisi a seconda di come si sarebbero pronunciati.
Quel patetico barlume di dignità doveva sparire dalla sua faccia e dal suo contegno.
Il capo del Concilio tacque per qualche secondo, studiando gli occhi del giovane Druido senza perdere il suo flemma né la sua autorevolezza.
«… e adesso lo saranno tutti quanti» esclamò all’improvviso, in tono lento e perentorio «Spogliatelo».
L’ostinata cocciutaggine di Ninnuus si tramutò in puro orrore quando le due guardie si avventarono su di lui. Cercò di accovacciarsi sul terreno, coprendo le zone più facili da strappare del suo vestiario, ma il maschio dei due lo ghermì per le spalle e lo trattenne con il busto dritto. La femmina iniziò a tirargli da parte la “scollatura” della tunica, nel punto in cui i due lembi di tessuto erano in parte sovrapposti. Notando che era chiusa stretta, le sue attenzioni scesero alla spessa fusciacca gialla che gli avvolgeva la metà inferiore dell’addome.
Ninnuus la sentì armeggiare senza alcuna delicatezza col tessuto, strappandone un’estremità nel tentativo di sfilarla dall’intreccio che la tratteneva in posizione. Il giovane Firbolg sentì distintamente il sostegno e la pressione della stola stretta attorno alla pancia venire meno.
L’attimo dopo, la sua tunica ormai libera si aprì a mostrare a tutto il Clan il suo nuovo fisico: la sua pancia era molliccia e prominente, con diversi rotoli di adipe stratificati sui fianchi. La zona sotto l’ombelico pendeva flaccida oltre il bordo delle braghe, tremolando appena ad ogni suo respiro. La metà superiore del suo addome era una cupola di grasso stranamente liscia e uniforme, anche se prosperosa.
Non c’era più traccia del corpo magrolino e gracile di pochi anni prima. Adesso Ninnuus era più robusto ed il suo sovrappeso era il segno evidente delle sue colpe.
I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre vedeva il disgusto e il disprezzo manifestarsi nelle espressioni di coloro che lo stavano guardando. Le sue guance paffute assunsero un’intensa sfumatura violacea per la vergogna e il suo sguardo vagò istintivamente nella direzione di suo fratello. Le lacrime che gli rigavano il volto erano fresche sulle sue gote bollenti.
Sul volto di Maximus era stampato un ghigno misto di tronfia arroganza e soddisfazione. Ninnuus immaginava che avesse da sempre aspettato il momento in cui tutto il Clan lo avrebbe visto come lo vedeva lui: un patetico e insulso Firbolg buono solo a dare spettacolo della sua misera esistenza.
Ninnuus cercò di coprirsi come meglio poté con le mani bloccate dalle manette, riportando lo sguardo prima alla terra sotto di lui e poi al Concilio.
Adesso il suo sguardo era implorante e sottomesso. Si chiedeva il perché di quel gesto, se c’era qualche altra cosa che volevano portargli via oltre il suo titolo di Druido e la sua posizione riconosciuta nel Clan. Doveva forse strisciare come un verme al loro cospetto?
Si sentiva vuoto, un guscio spogliato del suo scopo e della sua dignità. Tutto ciò che gli rimaneva da fare era tacere e attendere il suo verdetto, sperando che quella denigrazione pubblica del suo corpo incontrasse presto una fine.
Vedendo come il suo modo di porsi era tornato nei canoni della situazione, il capo del Concilio diede indicazione alle guardie di coprirlo.
Mentre Ninnuus si stringeva convulsamente addosso le vesti, tentando invano di trattenere il respiro per ritrarre la pancia, l’anziano parlò di nuovo: «Per un simile atto contro il benessere del Clan, la pena è la morte».
Ninnuus raggelò sul posto. I suoi occhi si spalancarono in un’espressione vitrea di terrore e qualsiasi tic nervoso avesse attualmente in atto cessò all’istante.
Dal pubblico, sua madre Valoris emise un gemito che udì solamente suo marito. Chiunque avrebbe potuto dire che potesse essere l’espressione del dolore di una madre che vedeva condannare a morte uno dei suoi figli; Balfaren, purtroppo, non era “chiunque”. Lui sapeva benissimo che cosa stesse attraversando la mente della sua compagna in quel frangente: la condanna di Ninnuus sarebbe stata la fine delle sue paranoie riguardo il loro secondogenito.
Balfaren era sinceramente rattristato dalla notizia, dato che almeno lui possedeva una parvenza di istinto genitoriale nei confronti di Ninnuus: in fin dei conti, non solo era pur sempre suo figlio - come Maximus - ma era anche colui che condivideva la sua attitudine per la cucina. Se qualcuno gli avesse pronosticato che Ninnuus sarebbe stato il figlio con cui si sarebbe sentito più in sintonia quando era solo uno scricciolo insignificante, Balfaren gli avrebbe dato del folle.
Adesso accanto alla soddisfazione che contraddistingueva i ricordi degli ultimi due anni trascorsi col suo secondogenito nella mensa comunitaria si affiancava una profonda delusione nel pensare che probabilmente lo aveva fatto solo per rubare il cibo del Clan.
Non osò esternare i suoi sentimenti in tal senso: il Clan non accettava di buon grado chi simpatizzava per i condannati; inoltre, non voleva perdere l’affetto di sua moglie. Si limitò a stringere un braccio attorno al bacino di Valoris, osservando in rigoroso silenzio il giovane che era riuscito a rovinare il suo idillio padre-figlio con le sue stesse mani.
«Normalmente questa sarebbe la prassi… ma questa non è un’occasione normale» decretò alcuni momenti più tardi un altro membro del Concilio, con tono di voce misurato e studiato per impartire il massimo effetto drammatico alla sua affermazione.
Ninnuus, le orecchie ancora piatte sul collo e gli occhi colmi della più semplice e cruda paura per la sua vita, non osò consolarsi troppo con quelle parole. Le sue speranze di cavarsela da quella situazione erano inesistenti, soprattutto dopo la vergognosa dimostrazione pubblica del suo corpo.
Nessuno l’avrebbe mai potuto perdonare o assolvere, neanche se il Concilio si fosse pronunciato in suo favore.
«Il criminale in questione è stato il primo tra noi a riuscire a guadagnarsi il titolo di Druido prima dei vent’anni d’età… ed ha prestato un formidabile servizio al Clan come guaritore… prima di macchiarsi di questa orribile colpa» spiegò il capo del Concilio, passando in rassegna il suo pubblico per verificare che nessuno tra loro stesse anche solo valutando l’idea di opporsi alle sue parole «Siccome le sue azioni hanno leso il Clan, sarà il Clan stesso a decretare la sua punizione» soggiunse più lentamente e solennemente, riportando lo sguardo su Ninnuus, fissandolo dall’alto in basso con l’espressione più cupa ed inquisitoria possibile.
Il giovane Druido fece per sollevare gli occhi verso di lui ma si fermò a metà dell’atto, riportandoli sul terreno. Aveva paura di ciò che sarebbe potuto accadere se avesse osato sfidare ancora la sua autorità. L’umiliazione appena subita aveva lasciato un segno indelebile nel suo inconscio, privandolo di ogni desiderio di ribellarsi o protestare ancora.
«Quindi dovrete votare per la morte… o l’esilio».
Sommessi bisbiglii si diffusero tra i Firbolg, le voci un misto di sorpresa, eccitazione e timore. I rumori giunsero alle orecchie di Ninnuus come un’accozzaglia indistinta di parole mentre il suo cervello lavorava febbrilmente nel tentativo di decifrarle tutte allo stesso tempo contro la sua stessa volontà. Non avrebbe saputo dire se la scelta del Concilio fosse davvero un atto di clemenza nei suoi confronti o meno: non pensava che i suoi “concittadini” potessero essere capaci di manifestare nei suoi riguardi niente di simile a compassione. Nonostante avesse speso tutte le sue fatiche ed il suo impegno nel dimostrarsi un buon guaritore, era pur sempre Ninnuus, il Firbolg minuscolo che per la maggior parte della sua vita era stato buono solo come metro di paragone negativo per i suoi coetanei.
Non si aspettava di ricevere niente da loro, eccetto il verdetto ultimo di esecuzione. Probabilmente era ciò che si meritava, la degna fine della sua vita breve e insulsa. Tutto il tempo che aveva impiegato a studiare e coltivare il suo talento innato per la magia per poi finire col rovinarsi da solo. Si meritava ciò che stava per abbattersi su di lui.
Maximus sarebbe tornato ad essere l’unico figlio dei suoi genitori, benché non ci fosse stata molta differenza da ciò dopo che era stato introdotto al circolo druidico: essendosi dovuto trasferire nella frazione riservata ai Druidi, sua madre e suo padre non avevano più dovuto occuparsi di lui. Aveva intrattenuto contatti solo con Balfaren e solamente in ambito “lavorativo”.
Per il resto, tutte le loro attenzioni erano state di nuovo focalizzate su suo fratello maggiore.
«Chi tra di voi è a favore dell’esilio, alzi la mano» esclamò il capo del Concilio, riportando la fragile attenzione di Ninnuus al momento presente.
Timidamente alzò gli occhi, guardandosi freneticamente attorno per vedere quanti si sarebbero pronunciati favorevoli. Non nutriva molte speranze, per cui si sorprese nel notare parecchie mani alzate. Tutti lo fissavano intensamente, anche coloro che ancora non si erano espressi, inducendolo a tornare ben presto ad inchiodare gli occhi sul terreno sotto le sue ginocchia. La sua mente proiettava un'immagine distorta della realtà attorno a lui, con il Clan che incombeva sopra di lui, piccolo e indifeso, con espressioni malvagie e sogghigni canzonatori. Chiuse gli occhi, cercando di allontanare il pensiero disperatamente. Avrebbe voluto mettersi ad urlare, implorandoli di smetterla di guardarlo in quella maniera, ma una piccola parte di lui era ancora consapevole che fosse tutto frutto della sua immaginazione e lottava per contenere un’imminente crisi isterica. Dall’esterno, la sua guerra interiore era intuibile - per chi fosse interessato a notarlo - dai tremori e dalla sudorazione profusa.
«Adesso… alzi la mano chi è a favore della pena capitale».
Le palpebre di Ninnuus cominciarono a vibrare, succubi di un improvviso tic nervoso, mentre tentava con ogni fibra del suo essere di non alzare lo sguardo. Voleva rimanere all’oscuro dell’identità di chi lo voleva vedere morto; tuttavia, la sua capacità di resistere ad un qualsivoglia stimolo esterno era stata obliterata da tempo.
Il suo primo istinto fu stavolta di guardare nella direzione dei suoi genitori, cogliendo in flagrante il momento in cui Valoris alzava prontamente e con palese entusiasmo la mano.
Tutto il resto del mondo parve scomparire dal suo campo visivo mentre la sua attenzione veniva inesorabilmente attratta dal viso di sua madre. Gli occhi color del miele di Ninnuus si spalancarono inorriditi nel vedere l’espressione di distorta e grottesca soddisfazione che gli increspava le labbra. Sembrava così serena nel votare a favore della sua morte, addirittura contenta.
Non si aspettava compassione né pietà dagli altri membri del Clan, era vero, ma ancor di meno si aspettava che qualcuno della sua famiglia fosse favorevole alla sua esecuzione. Soprattutto sua madre, che si era presa cura di lui da sola per tutta la sua infanzia.
«Mi odia fino a questo punto? Proprio lei… che mi ha dato la vita...» si ritrovò a domandarsi, sotto shock «Era così contenta per la mia nomina… e dopo non mi ha mai cercato… era solo una scusa per liberarsi di me…?».
Nella sua visuale comparve Maximus, al fianco di sua madre, un braccio nerboruto avvolto in maniera protettiva attorno alle spalle di lei.
«Se Maximus fosse stato al mio posto… avrebbe supplicato per salvarlo».
Il pensiero gravò sui suoi nervi cedevoli con tale forza da spezzarli. Un’ondata di rabbia, odio e frustrazione a lungo rimasta sopita nel profondo del suo inconscio crebbe dentro di lui, consumando il poco raziocinio che gli rimaneva e ottenebrando i suoi sensi. La sua vista sfumò nel rosso mentre un’irrefrenabile brama di sangue lo dilaniava dall’interno, prevalendo su ciò che restava della sua personalità.
Ninnuus si acquattò sugli arti e con uno schiocco acuto e inquietante delle ossa che cambiavano posizione si tramutò in lupo. La sua corporatura animale rispecchiava il suo nuovo fisico: il lupo che un tempo era stato magrolino e dall’aspetto gracile era adesso robusto e in carne, addirittura troppo. Il pelo era di una sfumatura di azzurro più scura di quella della sua pelle e la cresta dorsale di pelo fulvo più accesa e ispida. Le zampe erano l’unica parte rimasta abbastanza sottile, per cui non gli fu difficile liberarsi dalle manette che lo imprigionavano.
La trasformazione, benché rumorosa, avvenne nello spazio di pochi secondi, troppo pochi perché le guardie riuscissero a reagire prontamente quando la bestia scattò verso Valoris, balzando nella direzione generica della sua gola. Ninnuus non aveva minimamente cercato di opporre resistenza sino ad allora, per cui non avevano avuto alcuna ragione per mantenersi in allerta.
A differenza loro, i riflessi di Maximus erano abituati a cogliere le avvisaglie di pericolo ancora prima che questo si palesasse ai più. Il grosso Firbolg spostò da parte la madre con un vigoroso colpo d’anca, facendola finire tra le braccia di Balfaren, quindi si lanciò contro il fratello con tutto il peso del suo massiccio corpo.
La mano di Maximus lo ghermì al collo con presa d’acciaio, togliendogli il respiro, quindi lo guidò con forza all’indietro. Il suo braccio descrisse un arco quasi perfetto mentre Ninnuus veniva sbattuto a terra con violenza, per poi essere sovrastato dal resto del corpo di Maximus.
Il lupo iniziò a ringhiare e sbavare, cercando di graffiare e scalciare con gli arti mentre tentava di azzannare la faccia di Maximus. Il nuovo odio per sua madre si fuse con quello di vecchia data per il fratello e la rabbia della bestia crebbe esponenzialmente, inducendola a tentare con maggior ferocia di guadagnarsi la libertà.
Attorno a loro il Clan commentava inorridito la scena, mentre i due secondini di Ninnuus cercavano di capire se fosse il caso di intervenire: Maximus pareva forte abbastanza per riuscire a trattenere il suo fratellino senza problemi. A dispetto della trasformazione infatti, il primogenito di Balfaren e Valoris era ancora mastodontico in paragone alla stazza del secondogenito.
Valoris osservava incredula la scena, entrambe le mani a coprire la bocca con fare sgomento. Aveva realizzato cosa aveva rischiato solamente nel momento in cui il suo coraggiosissimo Maximus l’aveva spinta da parte per fronteggiare il suo aggressore.
Non riusciva a credere che Ninnuus avesse avuto davvero il coraggio di trasformarsi per cercare di ucciderla. Non immaginava neppure che quell’insignificante, minuscolo, inutile e patetico rifiuto Firbolg fosse in grado di concepire cosa fosse la violenza; soprattutto, era stupita del fatto che avesse tentato di rivolgerla contro di lei.
«Ho rinunciato a così tanto della mia vita per lui…!» rifletté tra sé e sé, mentre in preda alla rabbia esclamava: «Meriti davvero la morte, piccolo ingrato!».
La sua accusa non fece altro che gettare altra benzina sul fuoco: il lupo si agitò convulsamente sul terreno, latrando rabbioso nel disperato tentativo di liberarsi per raggiungerla. I suoi occhi ferini erano concentrati sul viso di lei e buona parte delle successive artigliate a vuoto che produsse erano orientate nella sua direzione.
Vedendo che la sua minacciosa presenza non era più oggetto delle sue attenzioni, Maximus utilizzò la mano libera per afferrare le fauci frementi di Ninnuus e le trattenne chiuse, schiacciandogli il cranio contro il terreno e voltando il muso verso di lui. Si chinò dunque sul suo corpo e, appellandosi alle sue innate capacità da Firbolg, gli sussurrò alle orecchie nel linguaggio dei lupi: «Non ti ho ancora ammazzato per quella volta che mi salvasti la vita, piccolo stronzo. Se ci tieni davvero a campare ancora, vattene da qui all’istante. Se ti azzardi a provare un altro giochino come questo, ti spezzerò l’osso del collo con infinito piacere».
Nonostante la furia cieca che lo dominava, le parole di Maximus riuscirono a far breccia nel velo che ottenebrava la sua coscienza, raggiungendo il vero Ninnuus. Il lupo smise di agitarsi lentamente e i suoi occhi tornarono ad essere quelli da Firbolg, pieni del terrore e del dolore che lo avevano indotto a mutare forma.
Maximus si accorse del cambiamento e rincarò in Gigante: «Scappa come il patetico codardo che sei sempre stato… e considera saldato il mio debito».
Ciò detto, si sollevò sulle ginocchia e scaraventò via il fratello mentre quest’ultimo cominciava a tornare nella sua forma originaria.
Ninnuus atterrò nella polvere, accasciandosi su un fianco con un gemito strozzato, a diversi metri di distanza da Maximus. Gli astanti si erano fatti da parte vedendolo arrivare nella loro direzione, e sembravano tutt’altro che propensi all’idea di avvicinarglisi.
Il giovane Druido annaspò e tossì, puntellandosi su un gomito per guardare verso suo fratello e poi verso il Concilio degli Anziani poco distante.
Era finita. Non aveva più nessuna possibilità di salvarsi e restare col Clan. Anche l’ultimo stupido errore che poteva commettere era stato fatto. Si era lasciato soverchiare dalle emozioni e aveva dimostrato a tutti di non poter essere degno della benché minima fiducia, né tantomeno della possibilità di riscattarsi.
«Lasciatelo scappare. Ormai è innocuo… e inutile. Esiliato».
La voce di Maximus si udì distintamente in tutta la piazza. Le sue parole si impressero a fuoco nella mente travagliata di Ninnuus.
Aveva ragione: l’unico modo che aveva per continuare a vivere era fuggire. E così fece: goffamente, si alzò da terra e se ne andò attraverso la folla che si apriva per lasciarlo passare, in silenzio, giudicandolo.
Non si volse indietro: corse a perdifiato, ignorando le gambe tremanti, la respirazione affannosa e le lacrime che gli offuscavano la vista. Corse senza fermarsi, diretto verso la sua unica salvezza: il mondo all’esterno della fortezza.
Rating: Giallo
Genere: Generale, Introspettivo
Personaggi: Balfaren (OC), Maximus (OC), Ninnuus (OC), Valoris (OC)
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Timeline: Ambientata quattro anni dopo questa.
Disclaimer: L'ambientazione appartiene a Chibi.
Note: Gen
Venne scortato al centro dello spiazzo e qui costretto in ginocchio al cospetto del Concilio degli Anziani, composto dagli stessi membri che quattro anni addietro lo avevano nominato Druido. Nonostante fosse passato del tempo, Ninnuus si ricordava le loro facce con straordinaria precisione.
Il suo aspetto adesso era tanto diverso da quello del ragazzino che si era inginocchiato in quello stesso punto tempo addietro quanto lo era emotivamente. Era come cercare di mettere a confronto due versioni di sé stesso completamente differenti.
Nei suoi ricordi di ormai quattro anni addietro - un tempo che adesso gli sembrava quasi una vita fa - la piazza della fortezza gli era sembrata molto più grande e paradossalmente meno affollata rispetto alla distesa di teste variopinte che circondava adesso lo spiazzo centrale.
Una sottile lingua di terra era stata lasciata vuota per consentirgli il passaggio, esattamente come allora. Adesso tuttavia, percorreva quella stessa strada a testa bassa, in catene e sotto le espressioni inquisitorie e cupe di tutto il Clan anziché fiero e soddisfatto per la sua imminente nomina a Druido, che tutti gli invidiavano e ammiravano al tempo stesso.
Ninnuus rallentò leggermente il passo mentre i suoi occhi ambrati scattavano da un lato all’altro della folla, constatando con sempre maggiore apprensione quanto poco spazio gli fosse stato concesso per passare. Si sentiva soffocare dalle imponenti stazze dei Firbolg che gli delimitavano la strada.
La guardia dietro di lui lo pungolò nel fianco con il fondo della lancia, affondando leggermente nello spesso strato di adipe che adesso gli rivestiva l’addome. Anni fa, con un gesto simile, avrebbero rischiato di rompergli qualcuna delle sue costole, così pericolosamente esposte a causa della sua naturale corporatura magrolina - quasi scheletrica per gli standard del suo Clan. Il prigioniero sobbalzò imbarazzato, chiedendosi se avesse percepito quanto effettivamente fosse grasso con quel brevissimo contatto. Purtroppo era in grado di nascondere i suoi chili di troppo solo visivamente, grazie alla tunica che sua madre gli aveva cucito appositamente sovradimensionata in occasione della sua cerimonia di nomina a Druido. Allora l’indumento gli arrivava fino a terra e le maniche erano talmente lunghe da costringerlo a farci numerosi risvolti per renderle visibili e utilizzabili; adesso, complice la sua “ragguardevole” altezza - per i suoi standard personali - di circa due metri e l’essere fortemente sovrappeso, l’abito gli arrivava circa a metà delle ginocchia ed il girovita quasi giusto. L’avanzo era sufficiente a consentirgli di indossare al di sotto un mezzo giubbotto di cuoio imbottito per tentare di pareggiare il pronunciato dislivello tra il suo petto - rimasto curiosamente piatto - e la sua pancia prominente. Aveva inoltre dovuto trovare delle braghe per coprire la porzione di gambe grassocce rimasta scoperta, impresa che non si era rivelata così difficile come aveva preventivato, considerato che anche nelle sue condizioni attuali continuava ad essere molto più minuto della media del suo Clan.
La guardia che lo precedeva - una femmina grossa il doppio di lui e molto muscolosa - strattonò le catene per incitarlo a muoversi.
Ninnuus affrettò il passo, cercando di focalizzare lo sguardo sul terreno. Sentiva le occhiate accusatorie di tutti su di sé, i sussurri concitati al suo passaggio. La tensione nell’aria era palpabile e rifletteva ciò che lui stesso provava.
La sua testa era affollata di pensieri frenetici e contrastanti, che cercavano di avere la meglio gli uni sugli altri nel catturare la sua attenzione. Era una condizione con cui conviveva da due anni, da quel maledetto giorno in cui era tornato a mani vuote dalla sua prima e unica caccia solitaria.
Qualsiasi cosa notasse attorno a lui dava origine ad una miriade di impulsi diversi nel suo cervello da cui scaturivano altrettanti pensieri. La sua incapacità ormai cronica di mantenere la propria attenzione su qualcosa per più di pochi secondi lo rendeva estremamente vulnerabile agli stimoli esterni.
Era costantemente soverchiato da ciò che i suoi sensi perennemente allertati e i nervi a fior di pelle captavano dall’ambiente circostante. Era come se centinaia di voci nella sua testa gli urlassero all’unisono messaggi diversi.
Iniziò a tormentarsi le mani, intrecciando le dita, muovendole, strofinandole e torcendole senza posa. Era uno tra i tic più vecchi della sua attuale condizione, che era andato aggravandosi nel corso degli anni.
Venne scortato al centro dello spiazzo e qui costretto in ginocchio al cospetto del Concilio degli Anziani, composto dagli stessi membri che quattro anni addietro lo avevano nominato Druido. Nonostante fosse passato del tempo, Ninnuus si ricordava le loro facce con straordinaria precisione.
Il suo aspetto adesso era tanto diverso da quello del ragazzino che si era inginocchiato in quello stesso punto tempo addietro quanto lo era emotivamente. Era come cercare di mettere a confronto due versioni di sé stesso completamente differenti.
Allora, alla tenera età di sedici anni, Ninnuus ricordava distintamente di essersi preparato per l’evento tagliandosi i capelli e facendosi crescere la barba per darsi un aspetto più maturo, dato che fisicamente c’era poco che lo aiutasse in tal senso. I suoi sforzi erano stati poi annullati dalla vastità della sua nuova tunica, ma era un dettaglio trascurabile.
Adesso, a venti anni compiuti da poco e in balia di continue crisi di nervi e attacchi di panico, dire che Ninnuus avesse ben poco di curato era eufemistico. I capelli rosso acceso erano cresciuti ispidi e spettinati, tornando all’antico aspetto a nido d’uccello di quando era piccolo. La barba si era infoltita e adesso gli incorniciava la bocca, ma era trascurata e arruffata e in alcuni punti gli erano rimasti impigliati dei frammenti di cibo. I suoi occhi color del miele erano iniettati di sangue negli angoli interno ed esterno e cerchiati di scuro. Le occhiaie spiccavano nettamente in contrasto con il suo incarnato azzurrognolo, con le palpebre gonfie e la zona perioculare incavata. Dava la netta impressione di qualcuno che non riusciva a riposare correttamente da molto tempo, anche se in verità erano comparse solo di recente.
La tunica era pulita solo se guardata di sfuggita. Ad un esame più attento risultavano evidenti le chiazze di grasso e sporco rimaste sul tessuto a dispetto dei tentativi di lavarle via.
Nella sua nuova posizione, si agitò a disagio quando percepì nel suo campo visivo l’imponente e sicuramente difficile da ignorare stazza di suo fratello maggiore Maximus. Spostando rapidamente gli occhi dal Concilio, notò che vicino a lui c’erano anche i suoi genitori. Suo padre Balfaren sembrava in certa misura preoccupato; l’espressione di sua madre Valoris invece era indecifrabile.
Si chiese cosa pensassero di lui adesso. Si era impegnato così tanto per riuscire a guadagnarsi il diritto di essere rispettato all’interno del Clan e non essere più considerato un peso morto, e adesso tutto il suo lavoro stava andando in fumo. L’incubo che lo aveva perseguitato per due interminabili anni si stava realizzando: stava per perdere la sua posizione di Druido e la fiducia del Clan in una sola volta.
Tutto perché il suo insaziabile appetito nervoso la sera avanti gli aveva fatto dimenticare la porta della dispensa aperta, permettendo così a suo padre di coglierlo in flagrante.
«Se avessi chiuso quella dannata porta…! Avevo tutto!» si rimproverò tra sé e sé, digrignando i denti con evidente frustrazione «La ricetta era perfetta. Le quantità erano perfette. Nessuno si sarebbe accorto di un po’ di carne e di patate scomparse… non con quelle quantità ridicole!».
Il pensiero del cibo che era quasi riuscito a rubare gli fece brontolare lo stomaco. Si portò istintivamente le mani sulla pancia - dove erano già, impossibilitate ad essere spostate più lontano - come se fosse possibile coprire il rumore. Con il solo bisbigliare a fare da sottofondo al suo processo pubblico, gli parve che il gorgoglio echeggiasse amplificato centinaia di volte. Gli parve tuttavia strano che nessuno commentasse in proposito.
«Ninnuus, figlio di Balfaren e Valoris» la voce greve di uno degli anziani del Concilio gli fece drizzare le orecchie pelose e subito dopo la sua testa imitò il movimento.
Fissò con espressione impaurita e nervosa il gruppetto di Firbolg che aveva dinanzi. Il suo battito cardiaco accelerato gli martellava nelle orecchie tant’era forte, obliterando il bisbiglìo generale dalla sua sfera percettiva.
«Sei stato portato al cospetto del Concilio per essere giudicato per le tue azioni contro il Clan» esclamò quello che dall’aspetto pareva il più anziano e il più autoritario tra tutti. Nonostante l’età, la sua presenza era sufficiente a incutere un timore reverenziale nel giovane Ninnuus a dispetto delle sue precarie condizioni mentali; purtroppo però non fu abbastanza per riuscire a farlo stare zitto.
Facendo dondolare pesantemente le grosse manette che gli bloccavano i polsi, Ninnuus si sporse in avanti appoggiando entrambi i pugni tremanti a terra, assumendo una posizione parzialmente carponi mentre sollevava il capo verso il Concilio.
«N-n-non volevo fare n-n-niente di male!» esclamò con la voce incrinata di qualcuno che stava per scoppiare in lacrime. Parlò di scatto, quasi inciampando nelle sue stesse parole, ignorando volutamente il movimento dei suoi secondini nel momento in cui aprì bocca.
«Silenzio!» ruggirono in coro dissonante varie voci dal gruppo del Concilio, al che la femmina alla sua sinistra gli afferrò la testa con una mano e lo costrinse a prostrarsi sul terreno. Le manette gli impedirono una naturale flessione delle braccia, complice anche l’ingombro della sua pancia, e Ninnuus si ritrovò con il naso nella polvere ad annaspare, dolorante e sempre più succube di tremori convulsi: la sua incapacità di rimanere concentrato mentalmente si rifletteva anche fisicamente in una grave carenza nel riuscire a restare fermo, tanto più se doveva farlo perché costretto da qualcosa o qualcuno di esterno a lui stesso.
«Ninnuus. Hai deliberatamente sottratto del cibo alle scorte destinate a tutto il Clan» continuò a parlare il più anziano del Concilio, con la stessa ferma pacatezza di poco prima. Era come se l’interruzione non fosse mai avvenuta.
«Tuo padre, Balfaren, è testimone del tuo crimine».
Alle sue parole, un impeto di emozioni contrastanti lo travolse, e i suoi occhi schizzarono in ogni dove come se cercassero un soggetto specifico su cui fermarsi. Purtroppo, dalla sua nuova posizione, non c’era molto su cui potesse concentrarsi.
Il senso di colpa lo soverchiò al ricordo di come suo padre sembrasse soddisfatto delle sue doti culinarie, per poi sfumare in sdegno e tristezza al pensiero della sua completa cecità dinanzi ai suoi problemi comportamentali sempre più difficili da nascondere. Era pur sempre suo padre, e nella concezione della famiglia che aveva Ninnuus, si sarebbe dovuto accorgere che qualcosa non andava e di conseguenza aiutarlo.
«Aiutarmi. Non spingermi nella fossa».
In ultimo arrivò la rabbia, scatenata dall’evidente mancanza di fiducia in lui. Suo padre non solo non l’aveva aiutato, ma non appena lo aveva colto in flagranza di reato lo aveva denunciato senza neppure cercare di capire il motivo dietro al suo gesto.
Stavolta il giovane Druido rimase in silenzio, nonostante percepisse l’urgenza di gridare. Sperava che la sua “buona condotta” venisse notata, e così fu: dopo pochi secondi, la guardia lo strattonò perché tornasse in ginocchio, libero di guardarsi intorno.
I suoi occhi color del miele si inchiodarono sulla figura di suo padre, scrutandolo con espressione penetrante e accusatoria.
Balfaren si accorse del suo sguardo ed un brivido gli corse lungo la schiena notando come i suoi occhi un tempo innocenti adesso somigliassero a quelli di un pazzo consumato dalle difficoltà della vita. Erano trascorsi solo quattro anni dal giorno della sua nomina a Druido, eppure sembrava che avesse trascorso un secolo di disastrose peripezie prima di arrivare lì.
Lo sguardo di Ninnuus tornò sull’anziano Firbolg e lì rimase, come a voler sfidare apertamente la sua autorità. Le sue orecchie basse, quasi parallele ai lati del collo, manifestavano chiaramente la sua paura per l’intera vicenda; tuttavia, il fuoco che ardeva nelle sue iridi ambrate pareva resistere contro il suo stesso terrore.
Il suo sciocco tentativo di apparire più coraggioso di quanto non fosse servì solamente a far irritare il Concilio: i membri del Clan che ricevevano il loro giudizio dovevano tremare al loro cospetto in reverenziale e sottomesso silenzio, terrorizzati dalla prospettiva di essere ostracizzati o uccisi a seconda di come si sarebbero pronunciati.
Quel patetico barlume di dignità doveva sparire dalla sua faccia e dal suo contegno.
Il capo del Concilio tacque per qualche secondo, studiando gli occhi del giovane Druido senza perdere il suo flemma né la sua autorevolezza.
«… e adesso lo saranno tutti quanti» esclamò all’improvviso, in tono lento e perentorio «Spogliatelo».
L’ostinata cocciutaggine di Ninnuus si tramutò in puro orrore quando le due guardie si avventarono su di lui. Cercò di accovacciarsi sul terreno, coprendo le zone più facili da strappare del suo vestiario, ma il maschio dei due lo ghermì per le spalle e lo trattenne con il busto dritto. La femmina iniziò a tirargli da parte la “scollatura” della tunica, nel punto in cui i due lembi di tessuto erano in parte sovrapposti. Notando che era chiusa stretta, le sue attenzioni scesero alla spessa fusciacca gialla che gli avvolgeva la metà inferiore dell’addome.
Ninnuus la sentì armeggiare senza alcuna delicatezza col tessuto, strappandone un’estremità nel tentativo di sfilarla dall’intreccio che la tratteneva in posizione. Il giovane Firbolg sentì distintamente il sostegno e la pressione della stola stretta attorno alla pancia venire meno.
L’attimo dopo, la sua tunica ormai libera si aprì a mostrare a tutto il Clan il suo nuovo fisico: la sua pancia era molliccia e prominente, con diversi rotoli di adipe stratificati sui fianchi. La zona sotto l’ombelico pendeva flaccida oltre il bordo delle braghe, tremolando appena ad ogni suo respiro. La metà superiore del suo addome era una cupola di grasso stranamente liscia e uniforme, anche se prosperosa.
Non c’era più traccia del corpo magrolino e gracile di pochi anni prima. Adesso Ninnuus era più robusto ed il suo sovrappeso era il segno evidente delle sue colpe.
I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre vedeva il disgusto e il disprezzo manifestarsi nelle espressioni di coloro che lo stavano guardando. Le sue guance paffute assunsero un’intensa sfumatura violacea per la vergogna e il suo sguardo vagò istintivamente nella direzione di suo fratello. Le lacrime che gli rigavano il volto erano fresche sulle sue gote bollenti.
Sul volto di Maximus era stampato un ghigno misto di tronfia arroganza e soddisfazione. Ninnuus immaginava che avesse da sempre aspettato il momento in cui tutto il Clan lo avrebbe visto come lo vedeva lui: un patetico e insulso Firbolg buono solo a dare spettacolo della sua misera esistenza.
Ninnuus cercò di coprirsi come meglio poté con le mani bloccate dalle manette, riportando lo sguardo prima alla terra sotto di lui e poi al Concilio.
Adesso il suo sguardo era implorante e sottomesso. Si chiedeva il perché di quel gesto, se c’era qualche altra cosa che volevano portargli via oltre il suo titolo di Druido e la sua posizione riconosciuta nel Clan. Doveva forse strisciare come un verme al loro cospetto?
Si sentiva vuoto, un guscio spogliato del suo scopo e della sua dignità. Tutto ciò che gli rimaneva da fare era tacere e attendere il suo verdetto, sperando che quella denigrazione pubblica del suo corpo incontrasse presto una fine.
Vedendo come il suo modo di porsi era tornato nei canoni della situazione, il capo del Concilio diede indicazione alle guardie di coprirlo.
Mentre Ninnuus si stringeva convulsamente addosso le vesti, tentando invano di trattenere il respiro per ritrarre la pancia, l’anziano parlò di nuovo: «Per un simile atto contro il benessere del Clan, la pena è la morte».
Ninnuus raggelò sul posto. I suoi occhi si spalancarono in un’espressione vitrea di terrore e qualsiasi tic nervoso avesse attualmente in atto cessò all’istante.
Dal pubblico, sua madre Valoris emise un gemito che udì solamente suo marito. Chiunque avrebbe potuto dire che potesse essere l’espressione del dolore di una madre che vedeva condannare a morte uno dei suoi figli; Balfaren, purtroppo, non era “chiunque”. Lui sapeva benissimo che cosa stesse attraversando la mente della sua compagna in quel frangente: la condanna di Ninnuus sarebbe stata la fine delle sue paranoie riguardo il loro secondogenito.
Balfaren era sinceramente rattristato dalla notizia, dato che almeno lui possedeva una parvenza di istinto genitoriale nei confronti di Ninnuus: in fin dei conti, non solo era pur sempre suo figlio - come Maximus - ma era anche colui che condivideva la sua attitudine per la cucina. Se qualcuno gli avesse pronosticato che Ninnuus sarebbe stato il figlio con cui si sarebbe sentito più in sintonia quando era solo uno scricciolo insignificante, Balfaren gli avrebbe dato del folle.
Adesso accanto alla soddisfazione che contraddistingueva i ricordi degli ultimi due anni trascorsi col suo secondogenito nella mensa comunitaria si affiancava una profonda delusione nel pensare che probabilmente lo aveva fatto solo per rubare il cibo del Clan.
Non osò esternare i suoi sentimenti in tal senso: il Clan non accettava di buon grado chi simpatizzava per i condannati; inoltre, non voleva perdere l’affetto di sua moglie. Si limitò a stringere un braccio attorno al bacino di Valoris, osservando in rigoroso silenzio il giovane che era riuscito a rovinare il suo idillio padre-figlio con le sue stesse mani.
«Normalmente questa sarebbe la prassi… ma questa non è un’occasione normale» decretò alcuni momenti più tardi un altro membro del Concilio, con tono di voce misurato e studiato per impartire il massimo effetto drammatico alla sua affermazione.
Ninnuus, le orecchie ancora piatte sul collo e gli occhi colmi della più semplice e cruda paura per la sua vita, non osò consolarsi troppo con quelle parole. Le sue speranze di cavarsela da quella situazione erano inesistenti, soprattutto dopo la vergognosa dimostrazione pubblica del suo corpo.
Nessuno l’avrebbe mai potuto perdonare o assolvere, neanche se il Concilio si fosse pronunciato in suo favore.
«Il criminale in questione è stato il primo tra noi a riuscire a guadagnarsi il titolo di Druido prima dei vent’anni d’età… ed ha prestato un formidabile servizio al Clan come guaritore… prima di macchiarsi di questa orribile colpa» spiegò il capo del Concilio, passando in rassegna il suo pubblico per verificare che nessuno tra loro stesse anche solo valutando l’idea di opporsi alle sue parole «Siccome le sue azioni hanno leso il Clan, sarà il Clan stesso a decretare la sua punizione» soggiunse più lentamente e solennemente, riportando lo sguardo su Ninnuus, fissandolo dall’alto in basso con l’espressione più cupa ed inquisitoria possibile.
Il giovane Druido fece per sollevare gli occhi verso di lui ma si fermò a metà dell’atto, riportandoli sul terreno. Aveva paura di ciò che sarebbe potuto accadere se avesse osato sfidare ancora la sua autorità. L’umiliazione appena subita aveva lasciato un segno indelebile nel suo inconscio, privandolo di ogni desiderio di ribellarsi o protestare ancora.
«Quindi dovrete votare per la morte… o l’esilio».
Sommessi bisbiglii si diffusero tra i Firbolg, le voci un misto di sorpresa, eccitazione e timore. I rumori giunsero alle orecchie di Ninnuus come un’accozzaglia indistinta di parole mentre il suo cervello lavorava febbrilmente nel tentativo di decifrarle tutte allo stesso tempo contro la sua stessa volontà. Non avrebbe saputo dire se la scelta del Concilio fosse davvero un atto di clemenza nei suoi confronti o meno: non pensava che i suoi “concittadini” potessero essere capaci di manifestare nei suoi riguardi niente di simile a compassione. Nonostante avesse speso tutte le sue fatiche ed il suo impegno nel dimostrarsi un buon guaritore, era pur sempre Ninnuus, il Firbolg minuscolo che per la maggior parte della sua vita era stato buono solo come metro di paragone negativo per i suoi coetanei.
Non si aspettava di ricevere niente da loro, eccetto il verdetto ultimo di esecuzione. Probabilmente era ciò che si meritava, la degna fine della sua vita breve e insulsa. Tutto il tempo che aveva impiegato a studiare e coltivare il suo talento innato per la magia per poi finire col rovinarsi da solo. Si meritava ciò che stava per abbattersi su di lui.
Maximus sarebbe tornato ad essere l’unico figlio dei suoi genitori, benché non ci fosse stata molta differenza da ciò dopo che era stato introdotto al circolo druidico: essendosi dovuto trasferire nella frazione riservata ai Druidi, sua madre e suo padre non avevano più dovuto occuparsi di lui. Aveva intrattenuto contatti solo con Balfaren e solamente in ambito “lavorativo”.
Per il resto, tutte le loro attenzioni erano state di nuovo focalizzate su suo fratello maggiore.
«Chi tra di voi è a favore dell’esilio, alzi la mano» esclamò il capo del Concilio, riportando la fragile attenzione di Ninnuus al momento presente.
Timidamente alzò gli occhi, guardandosi freneticamente attorno per vedere quanti si sarebbero pronunciati favorevoli. Non nutriva molte speranze, per cui si sorprese nel notare parecchie mani alzate. Tutti lo fissavano intensamente, anche coloro che ancora non si erano espressi, inducendolo a tornare ben presto ad inchiodare gli occhi sul terreno sotto le sue ginocchia. La sua mente proiettava un'immagine distorta della realtà attorno a lui, con il Clan che incombeva sopra di lui, piccolo e indifeso, con espressioni malvagie e sogghigni canzonatori. Chiuse gli occhi, cercando di allontanare il pensiero disperatamente. Avrebbe voluto mettersi ad urlare, implorandoli di smetterla di guardarlo in quella maniera, ma una piccola parte di lui era ancora consapevole che fosse tutto frutto della sua immaginazione e lottava per contenere un’imminente crisi isterica. Dall’esterno, la sua guerra interiore era intuibile - per chi fosse interessato a notarlo - dai tremori e dalla sudorazione profusa.
«Adesso… alzi la mano chi è a favore della pena capitale».
Le palpebre di Ninnuus cominciarono a vibrare, succubi di un improvviso tic nervoso, mentre tentava con ogni fibra del suo essere di non alzare lo sguardo. Voleva rimanere all’oscuro dell’identità di chi lo voleva vedere morto; tuttavia, la sua capacità di resistere ad un qualsivoglia stimolo esterno era stata obliterata da tempo.
Il suo primo istinto fu stavolta di guardare nella direzione dei suoi genitori, cogliendo in flagrante il momento in cui Valoris alzava prontamente e con palese entusiasmo la mano.
Tutto il resto del mondo parve scomparire dal suo campo visivo mentre la sua attenzione veniva inesorabilmente attratta dal viso di sua madre. Gli occhi color del miele di Ninnuus si spalancarono inorriditi nel vedere l’espressione di distorta e grottesca soddisfazione che gli increspava le labbra. Sembrava così serena nel votare a favore della sua morte, addirittura contenta.
Non si aspettava compassione né pietà dagli altri membri del Clan, era vero, ma ancor di meno si aspettava che qualcuno della sua famiglia fosse favorevole alla sua esecuzione. Soprattutto sua madre, che si era presa cura di lui da sola per tutta la sua infanzia.
«Mi odia fino a questo punto? Proprio lei… che mi ha dato la vita...» si ritrovò a domandarsi, sotto shock «Era così contenta per la mia nomina… e dopo non mi ha mai cercato… era solo una scusa per liberarsi di me…?».
Nella sua visuale comparve Maximus, al fianco di sua madre, un braccio nerboruto avvolto in maniera protettiva attorno alle spalle di lei.
«Se Maximus fosse stato al mio posto… avrebbe supplicato per salvarlo».
Il pensiero gravò sui suoi nervi cedevoli con tale forza da spezzarli. Un’ondata di rabbia, odio e frustrazione a lungo rimasta sopita nel profondo del suo inconscio crebbe dentro di lui, consumando il poco raziocinio che gli rimaneva e ottenebrando i suoi sensi. La sua vista sfumò nel rosso mentre un’irrefrenabile brama di sangue lo dilaniava dall’interno, prevalendo su ciò che restava della sua personalità.
Ninnuus si acquattò sugli arti e con uno schiocco acuto e inquietante delle ossa che cambiavano posizione si tramutò in lupo. La sua corporatura animale rispecchiava il suo nuovo fisico: il lupo che un tempo era stato magrolino e dall’aspetto gracile era adesso robusto e in carne, addirittura troppo. Il pelo era di una sfumatura di azzurro più scura di quella della sua pelle e la cresta dorsale di pelo fulvo più accesa e ispida. Le zampe erano l’unica parte rimasta abbastanza sottile, per cui non gli fu difficile liberarsi dalle manette che lo imprigionavano.
La trasformazione, benché rumorosa, avvenne nello spazio di pochi secondi, troppo pochi perché le guardie riuscissero a reagire prontamente quando la bestia scattò verso Valoris, balzando nella direzione generica della sua gola. Ninnuus non aveva minimamente cercato di opporre resistenza sino ad allora, per cui non avevano avuto alcuna ragione per mantenersi in allerta.
A differenza loro, i riflessi di Maximus erano abituati a cogliere le avvisaglie di pericolo ancora prima che questo si palesasse ai più. Il grosso Firbolg spostò da parte la madre con un vigoroso colpo d’anca, facendola finire tra le braccia di Balfaren, quindi si lanciò contro il fratello con tutto il peso del suo massiccio corpo.
La mano di Maximus lo ghermì al collo con presa d’acciaio, togliendogli il respiro, quindi lo guidò con forza all’indietro. Il suo braccio descrisse un arco quasi perfetto mentre Ninnuus veniva sbattuto a terra con violenza, per poi essere sovrastato dal resto del corpo di Maximus.
Il lupo iniziò a ringhiare e sbavare, cercando di graffiare e scalciare con gli arti mentre tentava di azzannare la faccia di Maximus. Il nuovo odio per sua madre si fuse con quello di vecchia data per il fratello e la rabbia della bestia crebbe esponenzialmente, inducendola a tentare con maggior ferocia di guadagnarsi la libertà.
Attorno a loro il Clan commentava inorridito la scena, mentre i due secondini di Ninnuus cercavano di capire se fosse il caso di intervenire: Maximus pareva forte abbastanza per riuscire a trattenere il suo fratellino senza problemi. A dispetto della trasformazione infatti, il primogenito di Balfaren e Valoris era ancora mastodontico in paragone alla stazza del secondogenito.
Valoris osservava incredula la scena, entrambe le mani a coprire la bocca con fare sgomento. Aveva realizzato cosa aveva rischiato solamente nel momento in cui il suo coraggiosissimo Maximus l’aveva spinta da parte per fronteggiare il suo aggressore.
Non riusciva a credere che Ninnuus avesse avuto davvero il coraggio di trasformarsi per cercare di ucciderla. Non immaginava neppure che quell’insignificante, minuscolo, inutile e patetico rifiuto Firbolg fosse in grado di concepire cosa fosse la violenza; soprattutto, era stupita del fatto che avesse tentato di rivolgerla contro di lei.
«Ho rinunciato a così tanto della mia vita per lui…!» rifletté tra sé e sé, mentre in preda alla rabbia esclamava: «Meriti davvero la morte, piccolo ingrato!».
La sua accusa non fece altro che gettare altra benzina sul fuoco: il lupo si agitò convulsamente sul terreno, latrando rabbioso nel disperato tentativo di liberarsi per raggiungerla. I suoi occhi ferini erano concentrati sul viso di lei e buona parte delle successive artigliate a vuoto che produsse erano orientate nella sua direzione.
Vedendo che la sua minacciosa presenza non era più oggetto delle sue attenzioni, Maximus utilizzò la mano libera per afferrare le fauci frementi di Ninnuus e le trattenne chiuse, schiacciandogli il cranio contro il terreno e voltando il muso verso di lui. Si chinò dunque sul suo corpo e, appellandosi alle sue innate capacità da Firbolg, gli sussurrò alle orecchie nel linguaggio dei lupi: «Non ti ho ancora ammazzato per quella volta che mi salvasti la vita, piccolo stronzo. Se ci tieni davvero a campare ancora, vattene da qui all’istante. Se ti azzardi a provare un altro giochino come questo, ti spezzerò l’osso del collo con infinito piacere».
Nonostante la furia cieca che lo dominava, le parole di Maximus riuscirono a far breccia nel velo che ottenebrava la sua coscienza, raggiungendo il vero Ninnuus. Il lupo smise di agitarsi lentamente e i suoi occhi tornarono ad essere quelli da Firbolg, pieni del terrore e del dolore che lo avevano indotto a mutare forma.
Maximus si accorse del cambiamento e rincarò in Gigante: «Scappa come il patetico codardo che sei sempre stato… e considera saldato il mio debito».
Ciò detto, si sollevò sulle ginocchia e scaraventò via il fratello mentre quest’ultimo cominciava a tornare nella sua forma originaria.
Ninnuus atterrò nella polvere, accasciandosi su un fianco con un gemito strozzato, a diversi metri di distanza da Maximus. Gli astanti si erano fatti da parte vedendolo arrivare nella loro direzione, e sembravano tutt’altro che propensi all’idea di avvicinarglisi.
Il giovane Druido annaspò e tossì, puntellandosi su un gomito per guardare verso suo fratello e poi verso il Concilio degli Anziani poco distante.
Era finita. Non aveva più nessuna possibilità di salvarsi e restare col Clan. Anche l’ultimo stupido errore che poteva commettere era stato fatto. Si era lasciato soverchiare dalle emozioni e aveva dimostrato a tutti di non poter essere degno della benché minima fiducia, né tantomeno della possibilità di riscattarsi.
«Lasciatelo scappare. Ormai è innocuo… e inutile. Esiliato».
La voce di Maximus si udì distintamente in tutta la piazza. Le sue parole si impressero a fuoco nella mente travagliata di Ninnuus.
Aveva ragione: l’unico modo che aveva per continuare a vivere era fuggire. E così fece: goffamente, si alzò da terra e se ne andò attraverso la folla che si apriva per lasciarlo passare, in silenzio, giudicandolo.
Non si volse indietro: corse a perdifiato, ignorando le gambe tremanti, la respirazione affannosa e le lacrime che gli offuscavano la vista. Corse senza fermarsi, diretto verso la sua unica salvezza: il mondo all’esterno della fortezza.