fiamma_drakon: (America)
[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: Why does it look like you can't do this?
Rating: Verde
Genere: Romantico, Sentimentale
Personaggi: Feliciano Veneziano Vargas (Nord Italia), Ludwig (Germania)
Wordcount: 1292 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Prompt: Military / Trincea per l'Hetalia Prompt-athon 2011 @ [livejournal.com profile] hetafic_it
Note: Shonen-ai
«Italia!».
Feliciano sobbalzò nel sentirsi richiamare rudemente da una voce che ormai gli era diventata ben più familiare di tante altre e che - tutto sommato - nella maggior parte dei casi era lieto di udire.
«Germania! N-non mi picchiareee!» frignò, girandosi a guardare colui che l'aveva richiamato, tremando da capo a piedi.
Il tedesco avanzava chino all'interno della trincea per evitare che proiettili - vaganti o meno - lo colpissero, l'espressione più alterata e seria del normale rivolta all'italiano accucciato al suolo con le gambe ripiegate contro il petto.
«Cosa stai facendo?! Sei impazzito?!» sbottò irato «Siamo al fronte, in una trincea! Perché non stai portando l'elmetto?!».


«Italia!».
Feliciano sobbalzò nel sentirsi richiamare rudemente da una voce che ormai gli era diventata ben più familiare di tante altre e che - tutto sommato - nella maggior parte dei casi era lieto di udire.
«Germania! N-non mi picchiareee!» frignò, girandosi a guardare colui che l'aveva richiamato, tremando da capo a piedi.
Il tedesco avanzava chino all'interno della trincea per evitare che proiettili - vaganti o meno - lo colpissero, l'espressione più alterata e seria del normale rivolta all'italiano accucciato al suolo con le gambe ripiegate contro il petto. Sembrava incurante della chiazza di melma che gli macchiava il fondoschiena e l'area circostante, ma del resto nemmeno l'uniforme di Ludwig poteva dirsi in condizioni migliori.
Quando si era in guerra non si badava tanto a cose come la pulizia dell'uniforme. L'importante era sopravvivere.
I rumori degli spari dei fucili si confondevano con le raffiche assordanti delle mitragliatrici, il tutto sovrastato da qualche sporadica esplosione di granate. La guerra di trincea era uno schifo sotto tanti punti di vista, ma era necessaria per mantenere i territori che avevano conquistato col sudore e col sangue.
Italia, tuttavia, sembrava completamente disinteressato alla situazione altamente drammatica in cui si trovava al momento.
Germania si fermò dirimpetto a lui, osservandolo dritto negli occhi.
«Cosa stai facendo?! Sei impazzito?!» sbottò irato «Siamo al fronte, in una trincea! Perché non stai portando l'elmetto?!» continuò, senza né abbassare né variare il tono.
Veneziano sobbalzò una seconda volta ed assunse un'espressione colma di imbarazzato disagio: evidentemente il tedesco si era dimenticato del suo problematico rapporto con l'altezza. Ribadirlo in un momento simile, in cui Germania sembrava pronto a massacrarlo alla minima azione discordante con ciò che lui si aspettava facesse, gli pareva una qualche sorta di suicidio.
«M-ma non sto combattendo» si difese timidamente l'italiano, cercando di farsi sempre più piccolo, quasi volesse scomparire.
«E allora?! È pericoloso! Se dovessi essere colpito da un proiettile io n...!».
Il biondo s'interruppe, arrossendo in modo più che evidente. Il Vargas piegò perplesso la testa da un lato.
«Eh...?» fece, invitandolo innocentemente a proseguire.
Germania si era interrotto un momento prima di pronunciare una delle - a parer suo - più toccanti e sentimentali frasi della sua vita: "io non me lo perdonerei mai".
Lui non voleva solo un gran bene al giovane italiano - nonostante le scarse doti militari e, almeno in apparenza, intellettuali - lui lo amava; tuttavia, non era proprio il tipo da sbandierarlo né con lui né tantomeno con altri.
Semplicemente lasciava alle sue azioni il compito di far capire al più giovane quanto tenesse a lui.
«Cosa stavi dicendo, Germania...?» domandò Italia, continuando a guardarlo, in attesa.
Ludwig sembrò arrossire ancor di più.
«Io n... non... non... potrei garantire che tu torni a casa vivo» esclamò rigido, continuando la frase con la prima cosa che gli era balzata alla mente.
«Per cui mettiti l'elmetto!» insistette con un po' più di fervore.
Una scarica di mitragliatrice riempì l’aria in quel momento, accompagnata da grida di soldati il cui fronte d’appartenenza non era riconoscibile.
Il castano scosse il capo sconsolato.
«Non voglio farlo...» borbottò.
«E perché no?!» gridò il biondo fuori di sé per l'esasperazione.
Un gruppetto di soldati che stava passando di fianco a loro con i fucili imbracciati si volsero perplessi a guardarli, attirati dal grido.
Veneziano sobbalzò tremando nel vederlo di nuovo arrabbiato e, dall'esiguo spazio che intercorreva tra il suo petto e le gambe rannicchiate, cadde fuori una cartelletta rigida provvista di fogli bianchi ed una matita.
Lo sguardo del tedesco cadde immediatamente sull'oggetto, che era caduto sul suolo rivolto in modo da nascondere i fogli. D'istinto si piegò e lo raccolse, voltandolo.
Il primo foglio era stropicciato ai margini ed anche macchiato di fango e polvere, ma ciò che attirò di più l'attenzione di Germania fu il contenuto: sul foglio, infatti, c'era un ritratto che lo raffigurava.
Era sdraiato su un fianco, privo di casacca e profondamente addormentato. La scena circostante era stata appena abbozzata, tracciata in modo piuttosto approssimativo e rapido fatta eccezione per la brandina su cui era steso.
Dall'ambientazione capì che quel ritratto gliel'aveva fatto mentre era in tenda a dormire.
Attorno a lui - notò dopo qualche attimo d'osservazione - l'italiano aveva disegnato tanti piccoli cuoricini che si era anche prodigato nel colorare con la matita.
Era innegabile che Feliciano avesse molto talento per l’arte, il disegno in particolar modo. Era un peccato che non ne avesse altrettanto come militare.
«Cosa...?» borbottò il tedesco, sbattendo perplesso le palpebre, arrossendo al tempo stesso.
Veneziano iniziò ad agitarsi e, approfittando del momento di basita contemplazione, gli sottrasse l'oggetto dalle mani, acquistando un tenero colorito porpora.
«A-ah... Germania io...» cercò di spiegare, ma non sapeva come giustificarsi ed era certo che su di lui stesse per abbattersi una sorta di ciclone rabbioso d'inaudita potenza.
Quando lo vide aprir bocca chiuse gli occhi, pronto ad invocare misericordia frignando; tuttavia, tutto ciò che udì fu uno stupito: «Quando l'hai fatto...?».
All'udire quella domanda di palese ed innocuo interesse, l'italiano si calmò e replicò: «Qualche sera fa, quando sei andato a dormire prima del solito perché eri stanco».
Il tedesco ricordava la circostanza e si meravigliava - dato il suo sonno particolarmente leggero - di non essersi svegliato quando il Vargas si era introdotto nella sua tenda. Doveva essere proprio esausto, perché - conoscendolo - dubitava fortemente che fosse riuscito ad entrare senza fare il minimo rumore.
«Quindi sei entrato nella mia tenda mentre dormivo» asserì inquisitorio.
L'altro annuì con un vigoroso cenno del capo e, sorridendo svanito, aggiunse: «Sì, ed il terreno era particolarmente scomodo, però la visuale era perfetta!».
Per un attimo Germania assunse un'aria imbarazzata, considerando il commento di Italia alla stessa stregua di un complimento vero e proprio.
Si pentì di non essersi svegliato quella notte: durante le ore notturne era difficile che la temperatura si mantenesse su livelli accettabili. Magari la faccenda sarebbe terminata con loro due stretti su una brandina striminzita cercando di trasmettersi calore corporeo. In fondo non era un'eventualità così tragica.
«Dovresti dormire la notte, altrimenti finisce che ti addormenti sul fronte!» sbottò Germania, deviando i pensieri dall'immagine allettante di se stesso e Feliciano stesi l'uno accanto all'altro.
«M-mi dispiace!» si scusò per l'ennesima volta Italia, tremando.
«Comunque... è venuto bene» continuò il biondo impacciato.
«Ah?! Dici davvero?» fece il castano, abbracciandolo.
«O-ohi, Italia! Lasciami!» sentenziò Ludwig guardandosi intorno, temendo d'essere visto da qualcuno.
Anche se l'avessero visto, in pochi si sarebbero curati di raccontarlo in giro, dato che erano impegnati a portare salva a casa la pelle da quella fossa melmosa.
A Italia però, la cosa non sembrava interessare: a lui non importava se i soldati li vedevano insieme. A lui Germania piaceva ed era tutto limitato a quello.
«Comunque, non devi stare a disegnare qui!» obiettò il tedesco all’improvviso, svincolandosi dall'italiano «Questa è una trincea! Qui si fa la guerra!».
«Yaaah! M-mi dispiace... io...» borbottò Veneziano, tremando.
«Mettiti l'elmetto e combatti o vai in tenda nelle retrovie!» aggiunse Ludwig, dandogli la schiena e muovendo i primi passi per allontanarsi.
In quel momento una granata cadde lì vicino e lo scoppio fece sollevare di getto il Vargas, che corse verso il biondo, aggrappandoglisi ad un braccio frignando.
«Ueee! Germania ho paura! Non voglio stare qui!» piagnucolò.
«Italia, lasciami!» ordinò l'altro, cercando di sottrarsi alla presa «Ti accompagno alla tenda, ma lasciami!».
Il castano ubbidì, mansueto, e si apprestò a seguire il suo alleato.
«Tsk! Ma guarda cosa mi tocca fare...» esclamò contrariato quest’ultimo, marciando a testa china nella trincea «Domani rimani direttamente in tenda. Non sprecarti nemmeno a venire qui!».
Seguì qualche momento di silenzio in cui l'unico rumore udibile era quello delle armi da fuoco.
«Però mi vieni a trovare prima di tornare qui...?» chiese innocentemente Italia: non gli piaceva stare da solo in tenda tutta la giornata e sapeva bene che Germania non avrebbe mai acconsentito a tenergli compagnia. Lui doveva badare ai plotoni.
Fargli almeno visita, però, era un compromesso accettabile, tutto sommato.
Il tedesco arrossì ed assunse un'espressione impacciata ed imbarazzata.
«Uhm... va bene, ma ora sbrighiamoci» acconsentì sbrigativo, paonazzo per il sentimentalismo intrinseco dell'affermazione.

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