fiamma_drakon: dejichan © (Fiamma_Drakon)
[personal profile] fiamma_drakon
Titolo: Cure inattese
Rating: Giallo
Genere: Generale
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Francis Bonnefoy (Francia)
Wordcount: 1782 ([livejournal.com profile] fiumidiparole)
Prompt: 20. Nobiltà/Corona della mia tabellina @ [livejournal.com profile] auverse + 09. Winter Ease @ [livejournal.com profile] 12_teas + Historical!AU per la sfida contro Dzec della zodiaco!challenge @ [livejournal.com profile] fiumidiparole
Timeline: Ambientata nel 1700 in Inghilterra.
Note: AU, Shonen-ai
«Inghilterra!» esclamò Francia ad alta voce, facendo irruzione nella lussuosa stanza dell'inglese senza nemmeno aspettare che la servitù annunciasse il suo arrivo e chiedessero se era possibile che venisse ricevuto.
La camera da letto di Arthur era piena di servi che si affaccendavano attorno allo sfarzoso baldacchino dove evidentemente si trovava il padrone della stanza.
Al vedere il francese avanzare a passo sicuro e lungo, molti volti si girarono e molti occhi si fissarono su di lui con espressione stupita: da quando Francia aveva il libero ed incondizionato accesso agli appartamenti di Inghilterra?


«Inghilterra!» esclamò Francia ad alta voce, facendo irruzione nella lussuosa stanza dell'inglese senza nemmeno aspettare che la servitù annunciasse il suo arrivo e chiedessero se era possibile che venisse ricevuto.
La camera da letto di Arthur era piena di servi che si affaccendavano attorno allo sfarzoso baldacchino dove evidentemente si trovava il padrone della stanza.
Al vedere il francese avanzare a passo sicuro e lungo, molti volti si girarono e molti occhi si fissarono su di lui con espressione stupita: da quando Francia aveva il libero ed incondizionato accesso agli appartamenti di Inghilterra?
Francis era vestito in modo parecchio elegante, con una casacca azzurra e calzoncini dello stesso colore, calze bianche che gli coprivano le gambe dal ginocchio in giù e scarpe bianche tirate a lucido con un piccolo tacco piatto che produceva rumore ad ogni passo.
Tra le mani il Bonnefoy portava un piccolo vassoio d'argento rotondo sul quale era appoggiata quella che aveva tutta l'aria di essere una teiera di spessa porcellana, decorata con fiori rosa. Cosa ci fosse dentro era l'interrogativo che si agitava nella mente di tutti i servi presenti.
«Inghilterra!» chiamò una seconda volta Francis, arrivando vicino al letto dell'interpellato.
Molti servi fecero ala al passaggio dell'ospite, ma soltanto uno si azzardò a dire: «Mi scusi, sir Francia, ma il padrone non sta bene».
Avrebbe soprattutto voluto chiedergli di smettere di chiamare il suo padrone a voce tanto alta, ma non lo fece per paura che venisse punito per insubordinazione. Del resto, lui era solo un umile servo.
Il francese guardò il ragazzo che aveva appena parlato per qualche momento, poi scrollò le spalle ed agitò una mano nella sua direzione con fare noncurante.
«Ne sono già al corrente, giovanotto. Perché credi che sia venuto con questa?» replicò, scuotendo impercettibilmente il vassoio, facendo leggermente tintinnare la teiera.
La curiosità nei confronti del contenuto di quell'oggetto crebbe ulteriormente.
Quando si fermò al lato del letto, il Bonnefoy si sporse finalmente ad esaminare il malato: Arthur era rosso in viso e respirava con la bocca mentre, ad ogni suo tentativo di inalare aria dal naso, si sentiva distintamente il rumore del muco che glielo impediva.
«Uhm... sei messo peggio di quanto credessi» constatò Francis con un certo disappunto, appoggiando il vassoio sul comò.
Il Kirkland socchiuse un occhio, guardandolo di sbieco.
«Ho il raffreddore, che cosa sei venuto a fare?» esclamò, parlando con voce fortemente nasale.
«Si sente che hai il raffreddore e sono venuto per questo» disse, stirando le labbra in un sorriso sghembo che instillò una buona dose di curiosità nell'inglese.
«Che vorresti dire? Ti sei improvvisamente fatto medico?» domandò l'altro, sorridendo.
«No, per l'amor del cielo!» sbuffò l'ospite, apparentemente inorridito dall'idea. Non avrebbe mai rinunciato al suo status di rispettato componente dell'aristocrazia di Francia per mettersi a fare il dottore alla corte inglese, anche se l'idea di poter ordinare ad Inghilterra di spogliarsi quando voleva era un'allettante prospettiva.
«E allora cosa vuoi?» insistette Arthur, puntellandosi con i gomiti sulla montagna di cuscini che la servitù gli aveva messo sotto il capo per alzare il busto.
La testa iniziò a pulsare dolorosamente in corrispondenza delle tempie non appena l'ebbe sollevata, ma non si lasciò ricadere sdraiato.
«Maledetto raffreddore...!» sibilò tra sé e sé, posando gli occhi verde smeraldo in quelli blu cobalto di Francis. Quest'ultimo sorrise con fare eccessivamente dolce per i suoi parametri standard. Sembrava nascondere qualcosa dietro quel sorriso e Arthur, istintivamente, si rivolse alla sua schiera di servi ed intimò: «Andate e lasciateci soli».
Si sorprese di come nella sua mente ormai fosse diventato automatico pretendere che la sua privacy fosse rispettata quando si trovava in compagnia di Francis.
Vedendo le espressioni esitanti sui volti della maggior parte di loro il britannico rincarò l'ordine con un più minaccioso: «Andatevene o vi caccio io a calci in culo, chiaro?!».
Le sue parole gli riecheggiarono amplificate nella testa, acuendo per qualche secondo il dolore, però sortirono l'effetto sperato: il gruppo di servitori raccolti attorno al capezzale del Kirkland si affrettarono ad uscire e concedere ai due nobili la privacy che il loro padrone richiedeva.
«E chiudete bene la porta!» soggiunse a tono sempre alto, portandosi una mano a massaggiare le tempie.
L'ultimo ragazzo ad uscire si affrettò a chiudere la porta, onde evitare di suscitare le ire funeste del signorino.
Francia, che aveva silenziosamente seguito tutta la scena, fissò gli occhi per qualche istante sulla porta chiusa, le sopracciglia fini e curatissime inarcate in un'espressione di vivo stupore.
Dopo qualche istante la sua attenzione tornò a concentrarsi unicamente sul malato, ancora seduto con una mano sulle tempie.
«Molto persuasivo, devo ammetterlo... ma petite» constatò elegantemente il francese, calcando con accento particolarmente raffinato sulle ultime due parole.
«Be', dovevo lasciarli rimanere?! Con te tra i piedi non si sa mai dove andremo a finire...!» sbottò spazientito Inghilterra, irritato dal sarcasmo sotteso nell'appunto mossogli dal suo ospite.
«Puoi stare tranquillo mon amour, non ti toccherò stavolta. Non voglio prendere il raffreddore anch'io» assicurò il Bonnefoy. Improvvisamente pareva molto più a suo agio. Il padrone di casa attribuì quell'impressione al fatto che era solito chiamarlo con appellativi come "ma petite" e "mon amour" e che non utilizzarli - come faceva sempre in presenza di altre persone - comportava per lui un bello sforzo.
Per tutta risposta a quell'asserzione tutt'altro che gentile, il britannico digrignò leggermente i denti e gli mostrò il dito medio, evitando di aggiungere ulteriori insulti.
Francis scosse la testa come si sarebbe fatto in presenza di un bambino disobbediente.
«Suvvia, l'educazione che ti hanno impartito è così scarsa, mon chèrie...?» chiese, accomodandosi sul bordo del letto.
«Mi vuoi dire chiaramente cosa sei venuto a fare qui? Sono malato e vorrei riposarmi!» sbottò Inghilterra, cambiando inaspettatamente discorso.
«Appunto per quello sono venuto» interloquì l'ospite in tono ovvio, scrollando le spalle «Ti ho portato una cosa, se mi fai spiegare».
Così dicendo gli indicò la teiera, che aveva appoggiato sul comodino accanto al letto.
L'altro sgranò gli occhi, senza sapere se dovesse preoccuparsi o soltanto stupirsi.
«Cosa c'è lì dentro?» domandò quest'ultimo.
Francia si prese un momento per rifletterci e per non sbagliare la pronuncia, dopodiché rispose: «W-Winter Ease».
Era difficile riuscire a parlare con un minimo di accento inglese nonostante dovesse dire solamente un nome.
«Mi hai portato del thé?!» chiese incredulo Inghilterra, dilatando gli occhi.
L'ultima volta che era capitato un evento simile era stato quando voleva farsi perdonare l'intossicazione alimentare che Inghilterra aveva avuto in seguito ad un invito a cena presso la reggia di Versailles.
Francis si mostrò estremamente sdegnato dalla reazione del suo interlocutore.
«Cosa credi, lo sappiamo preparare anche noi, mon chère. Non serve essere inglesi per farlo...!» sbuffò con atteggiamento sussiegoso.
Il Kirkland controbatté con un arrogante: «L'ultima volta che mi hai portato del thé se non sbaglio era per chiedermi scusa...».
L'espressione carica di stizza e indignazione che comparve sul volto del francese fece godere nel profondo l'altro.
«Stavi comunque male. La situazione è analoga» ribatté Francis. Ricordava ancora bene la circostanza in cui aveva trovato il suo compagno quella volta: costretto a letto, digiuno da diversi giorni e con un aspetto particolarmente deperito.
Il britannico tacque, ma lo fece soltanto in virtù di un accesso di starnuti che gli fece gocciolare terribilmente il naso. Era imbarazzante essere visto in quelle condizioni.
«Oh, la testa...» bofonchiò mentre si allungava di lato, protendendosi verso il proprio fazzoletto parzialmente usato.
Si soffiò rumorosamente il naso in un modo che il Bonnefoy giudicò veramente poco educato; tuttavia non commentò.
«Questo è un thé particolare che aiuta a guarire dal raffreddore, ma petite» spiegò con serenità ed un pizzico di orgoglio l'ospite.
«Va bene, versamene una tazza...» acconsentì Arthur, premendosi il fazzoletto sul viso nello starnutire un'altra volta.
Se fosse stato qualcun altro a chiederlo - specialmente in quella maniera - Francia non avrebbe esitato a rimarcare il suo status sociale e proporre con un commento acido e pungente di rivolgersi in quel modo ai servi; ciononostante, per Inghilterra si prestò a vestire temporaneamente i panni della servitù.
Prese la tazza vuota che era stata lasciata sul comò e vi versò dentro il suo thé. Per fortuna l'aveva portato ancora bollente, perché altrimenti a quel punto sarebbe stato freddo e certamente il sapore e l'aroma ne avrebbero enormemente risentito.
«Tieni, bevilo tutto» disse con apprensione l'ospite, porgendo la stoviglia al nobile britannico.
«Sembri mia madre» replicò quest'ultimo con un sorriso simile ad una smorfia, accettando la chicchera.
Bevve un lungo sorso, poi abbassò la tazza e proruppe in un sorpreso: «Ma è buono davvero!».
«Che domande, ovvio che è buono! L'ho preparato io personalmente...!» si vantò il Bonnefoy.
«Strano che non sia un veleno. Non cucini molto spesso...» constatò il Kirkland, terminando la bevanda.
Francis gonfiò il petto cercando di incutere al tempo stesso timore e autorità.
«I nobili non dovrebbero mai cuc...?!».
Fu interrotto da un bacio a tradimento che l'altro gli posò sulle labbra con una certa violenza. Francis rimase interdetto per qualche momento, stupito dalla forza con cui l'inglese aveva preso l'iniziativa: accadeva veramente di rado che fosse lui a cominciare. Lo trovava... romantico, tutto sommato.
Arthur, per contro, si sentiva un completo idiota: voleva zittirlo, ma baciarlo - addirittura con uno scatto così repentino - era una maniera oltremodo sconveniente di farlo. Ciononostante, le sue labbra umide a contatto così stretto con le proprie erano veramente piacevoli, anche se non l'avrebbe mai ammesso apertamente con lui - a meno che non fosse messo sotto tortura.
Il bacio si protrasse per più di una manciata di secondi ed il Bonnefoy non se ne dispiacque affatto finché il suo cervello non realizzò di nuovo che il Kirkland era malato. A quel punto si allontanò bruscamente da lui guardandolo dritto negli occhi con espressione in un certo senso ferita.
«Ma tu sei malato...!» esclamò.
«Sì... e allora?» fece l'altro, sbattendo le palpebre. L'essere malato non aveva pregiudicato le sue capacità come baciatore... o almeno così sperava.
«Ora mi ammalerò anch'io!» disse il francese sconvolto, mentre l'inglese si riempiva in totale tranquillità una seconda tazza di Winter Ease.
«Per un bacio?» esclamò in tono sorpreso Inghilterra, sorseggiando dalla sua chicchera «Non penso proprio».
Arrossì leggermente, ringraziando la tazza che gli copriva buona parte del viso.
«I-in quel caso p-p-potrei... portarti del thé anch'io...» disse a bassa voce, balbettando nervoso. Quell'improvviso accesso di romanticismo poco si addiceva a lui, però l'affermazione gli era venuta spontanea.
Francis lo guardò con espressione piena di meraviglia.
«Me lo porteresti per davvero?» chiese, inarcando le sopracciglia, esterrefatto.
Arthur avvampò una seconda volta, ancor di più.
«A-ah... è-è probabile, sì... m-ma solo perché m-me lo hai portato tu!» disse, senza osare ammettere che l'idea gli fosse venuta perché lo amava a dispetto di tutti gli anni che avevano passato facendosi la guerra.
Un sorriso di consapevolezza increspò le labbra del francese ed il suo sguardo si fece più morbido e tenero. Tutto sommato Inghilterra era molto più sentimentale di quanto desse a vedere e la cosa gli faceva decisamente piacere. L'altro si accorse del cambiamento e, a disagio, domandò in tono burbero: «Che cos'è quell'espressione ebete?».
«Niente, mon chère. Vuoi ancora thé?» chiese, sollevando la teiera.

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Benvenuti nel mio journal personale, dove posto tutte le mie fiffi!
Qui troverete un po' di tutto sia per tipo di relazioni (het, yaoi e yuri) sia per rating (con prevalenza di lavori NSFW). Se ciò non vi aggrada, migrate tranquillamente verso siti a voi più gradevoli; in caso contrario, buona permanenza e buona lettura! ♥

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