Incontri nella foresta
Oct. 17th, 2019 04:18 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Incontri nella foresta
Rating: Verde
Genere: Generale, Slice of Life
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 4509 (wordcounter)
Timeline: Ambientata dopo questa.
Prompt: 16. Caldarroste per il Leaftober 2019 @ Lande Di Fandom
Note: Gen
Sgusciò in mezzo ai cespugli e si avvicinò alle spalle del Tiefling. Stava per presentarsi, quando il suo stomaco proruppe in un gorgoglio a volume piuttosto alto, precedendolo. Il Mezzorco tentò imbarazzato di coprirsi l’addome per attenuare il rumore; tuttavia, l’udito evidentemente ricettivo del Tiefling lo colse comunque.
Tharazar lo vide afferrare con un gesto fluido il martello appoggiato a terra e balzare in piedi, ruotando sul posto.
«Fermo! FERM...!» cercò di placarlo il Mezzorco in allarme, sollevando un braccio per cercare di bloccargli l’arma.
Erano giorni che Tharazar non vedeva altro che foresta intorno a sé. Si era lasciato alle spalle la costa sperando di riuscire ad arrivare in qualche città dell’interno in cui fosse presente un’arena o un anfiteatro che gli permettesse di dare sfoggio delle sue innate abilità di gladiatore e di intrattenitore. Si era illuso che il viaggio non sarebbe stato molto peggiore di quello che aveva dovuto fare per andarsene da Neverwinter verso nord: la foresta era abbastanza protetta rispetto alla strada costiera; inoltre, era piena di piante che potevano dare frutti di cui poteva cibarsi in aggiunta o in alternativa alle sue misere razioni da viaggio.
Le sue previsioni non sarebbero potute essere più sbagliate: nella foresta faceva freddo alla sera e il terreno era sempre umido, le piante che costituivano il sottobosco erano fitte e piene di spine anziché di frutti e la fauna pareva attiva e pericolosa ad ogni ora del giorno e della notte. Già dormire sul nudo terreno era un’impresa mastodontica per lui, abituato com’era a riposare su un materasso morbidissimo tra coperte e guanciali; se poi ci si mettevano anche gli animali che emettevano ruggiti, cinguettii e quant’altro praticamente sempre, poteva scordarsi di dormire sonni tranquilli.
Le notti gelide e chiassose avevano già lasciato il loro segno sul viso solitamente florido e affascinante del Mezzorco, nella forma di un vistoso paio di occhiaie nere che rendevano il suo sguardo molto più cupo del normale, quasi minaccioso. I vestiti eleganti e sofisticati erano sporchi di terra, specialmente la camicia - che ora ciondolava fuori dei pantaloni neri aderenti.
L’ora di cena era imminente e benché il suo stomaco reclamasse le sue attenzioni, Tharazar si rifiutava di offrirgliene: sperava di riuscire a macinare altri preziosi metri verso l’uscita dalla foresta. Forse il suo sacrificio sarebbe stato ripagato con l’arrivo in un villaggio o in una delle città al di là di quel selvaggio muro di alberi.
La prospettiva che sarebbe prima o poi giunto in un luogo civilizzato in cui avrebbe potuto nuovamente dormire in un vero letto era ciò che lo spingeva a combattere il sonno e la fame.
«Tharazar il Magnifico non può farsi sconfiggere così dai primordiali istinti di sopravvivenza!» esclamò tra sé e sé mentre si abbandonava all’ennesimo sbadiglio.
Osservò la cupola di rami che lo sovrastava, non abbastanza fitta da oscurare del tutto il cielo, che al momento era tinto dei colori violacei tipici del crepuscolo inoltrato.
Stava per convincersi che forse era meglio fermarsi per trovare un punto riparato per dormire - o quantomeno provarci - quando il suo olfatto raffinato colse un sottile odore nell’aria che non poteva appartenere a niente di naturale. Era l’aroma di cibo cotto, il che poteva soltanto significare che nei paraggi c’era un altro viaggiatore accampato per la notte.
«Forse riuscirò a chiudere occhio!» commentò tra sé, di colpo sveglio ed energico.
Poiché la qualità del suo sonno dipendeva dalla sua capacità di individuare lo sconosciuto affidandosi unicamente all’olfatto, il Mezzorco iniziò a fiutare attorno a sé nella speranza di captare la traccia che l’avrebbe portato a destinazione. Non gli ci volle molto a trovarla, complice anche il suo appetito sempre più forte e difficile da ignorare.
Il suo stomaco gorgogliò diverse volte mentre Tharazar si incamminava tra i cespugli, inseguendo il profumo di cibo. Non era qualcosa che gli era particolarmente familiare, anche se non era la prima volta che percepiva quell’odore nello specifico.
Dopo alcuni minuti di riflessione riuscì a riconoscerlo con certezza: quello era l’odore delle caldarroste appena cotte. Era un cibo che non mangiava di frequente poiché le castagne erano un tipico frutto di stagione; tuttavia, nelle poche occasioni in cui aveva avuto a portata una porzione, quest’ultima era sempre stata consumata con prontezza.
La scia di profumo lo condusse attraverso l’odiato sottobosco fino ad una piccola radura, molto simile ad un’alcova per le dimensioni, al centro della quale era stato acceso un piccolo faló.
Vicino ad esso era seduta una figura in armatura che doveva essere un maschio a giudicare dalle misure del suo torace. Gli dava la schiena, per cui fu semplice delineare le spalle squadrate e larghe sormontate da rigide placche metalliche, il busto massiccio a imbuto e i fianchi stretti ma non troppo. La metà inferiore del corpo era nascosta sotto una lunga tunica scura, rinforzata con placche di metallo sui lati delle cosce.
Portava i capelli - scuri e ricciuti - tagliati piuttosto corti. A Tharazar occorsero alcuni secondi per realizzare che c’era qualcosa di anomalo nel suo cranio: ai due lati dello stesso si trovavano quelle che a tutti gli effetti erano due corna da ariete, ritorte su loro stesse e con l’attaccatura piuttosto grande.
Aveva già avuto modo di interagire con dei Tiefling nella sua vita, ovviamente. Molte delle ragazze che gli facevano compagnia regolarmente durante le notti di festeggiamenti tra uno spettacolo e l’altro all’Arena di Neverwinter lo erano. L’unica particolarità, se proprio doveva trovarne una, era il fatto che fosse un maschio: prima di allora non ne aveva mai visto un esemplare maschio, anche se la tunica gli creava qualche dubbio circa il suo reale sesso.
Ciononostante, non si sentiva minimamente intimorito né dal grosso martello che lo sconosciuto teneva poggiato a terra al suo fianco né dal fatto in sé di trovarsi dinanzi ad un Tiefling.
Il suo stomaco vuoto brontolò ancora, tentato dal piacevole aroma che riempiva l’aria. Era difficile riuscire ad ignorare un tale aroma.
Tharazar sospirò debolmente, cercando dentro di sé la forza necessaria ad abbassarsi ad elemosinare del cibo decente.
«Quanto sono caduto in basso...» borbottò tra sé e sé prima di farsi avanti.
Sgusciò in mezzo ai cespugli e si avvicinò alle spalle del Tiefling. Stava per presentarsi, quando il suo stomaco proruppe in un gorgoglio a volume piuttosto alto, precedendolo. Il Mezzorco tentò imbarazzato di coprirsi l’addome per attenuare il rumore; tuttavia, l’udito evidentemente ricettivo del Tiefling lo colse comunque.
Tharazar lo vide afferrare con un gesto fluido il martello appoggiato a terra e balzare in piedi, ruotando sul posto.
«Fermo! FERM...!» cercò di placarlo il Mezzorco in allarme, sollevando un braccio per cercare di bloccargli l’arma.
Ciò che non si aspettava fu lo scudo che il Tiefling portava fissato sul braccio, piccolo e affusolato, e che fu ciò che lo colpì al posto del martello, dritto in faccia.
Tharazar caracollò all’indietro per il dolore, finendo col culo a terra. Con gli occhi inondati di lacrime per il dolore - principalmente al naso - si coprì tempestivamente la faccia per nascondere la parte lesa e sollevò l’altro braccio per cercare di proteggersi da altri colpi.
«Per favore basta! Basta! Non voglio attaccarti!» gemette con voce nasale il Mezzorco.
Era pronto a sentirsi arrivare addosso un’altra scudata, o peggio ancora una mazzata vera e propria; tuttavia, ciò non accadde mai. Dopo alcuni secondi di tregua, Tharazar si azzardò ad alzare lo sguardo verso il Tiefling.
Vide che aveva abbassato l’arma, almeno in parte, e che lo scrutava con cipiglio diffidente.
Il suo viso era affilato e sottile, con la bocca insolitamente larga ma dalle labbra sottili. Attualmente era dischiusa in una smorfia irritata che lasciava intravedere una doppia fila di denti aguzzi. Il naso era piccolo e appuntito, con la cima rivolta verso l’alto. Gli occhi erano grandi e dalla forma leggermente a mandorla, completamente neri. Se non fosse stato per la luce del falò - seppur schermata dal suo corpo per la maggior parte - Tharazar non sarebbe mai riuscito a scorgere nella notte quei pozzi neri.
La sua pelle era scarlatta, anche se di una tonalità un poco sbiadita.
Il suo aspetto esotico non mise il Mezzorco in soggezione. A spaventarlo di più era la sua arma, ancora brandita a mezz’aria.
«Allora perché mi hai raggiunto alle spalle, Mezzorco?! Perché non ti sei annunciato prima di avvicinarti?» esclamò il Tiefling, togliendo ogni dubbio in merito alla sua virilità con la sua voce profonda e leggermente echeggiante. Pareva quasi che parlasse dal fondo di una caverna.
«Perché da lì sono arrivato…» Tharazar deglutì a vuoto e le sue guance grigiastre si tinsero di un colorito piuttosto intenso «… attirato dall’odore delle tue caldarroste...».
Il Tiefling socchiuse gli occhi dinanzi al suo palese imbarazzo, per niente convinto della veridicità delle sue parole. Ogni suo dubbio in merito venne fugato dall’improvviso e cupo brontolio che proruppe dall’addome del Mezzorco.
«Ho solo fame...» commentò a disagio quest’ultimo, rimanendo a terra.
Il Tiefling cambiò espressione e parve rilassarsi almeno un po’, a giudicare dal fatto che abbassò l’arma e gli tese la mano libera.
Tharazar si abbassò ad accettare il suo aiuto a rialzarsi, più per desiderio di non contrariarlo che per vero e proprio bisogno. Il suo orgoglio ne rimase comunque segnato.
La presa sul suo braccio fu forte e decisa e con uno strattone secco il Tiefling riuscì a rimetterlo in piedi senza apparente sforzo.
Per un fugace istante, i loro sguardi si incrociarono. Tharazar ebbe l’impressione che l’altro si trovasse in difficoltà in quel momento, emotivamente parlando, come se non fosse avvezzo ad avere certi tipi di contatto. L’ego del Mezzorco ebbe un guizzo: sicuramente era la sua presenza a metterlo in soggezione a quella maniera. Del resto, lui era Tharazar il Magnifico, Signore dell’Arena di Neverwinter.
Dopo un momento, il Tiefling lasciò la presa con uno scatto brusco e si voltò per tornare a sedersi vicino al falò e occuparsi della sua cena. Non disse niente, segnale che il Mezzorco interpretò come un permesso ad unirsi a lui.
Pur essendo ancora dolorante per il colpo ricevuto e non proprio entusiasta all’idea di aver praticamente elemosinato del cibo ad un perfetto estraneo, Tharazar andò ad accomodarsi su una pietra vicino al fuoco, accanto al Tiefling.
Da così vicino, l’odore di caldarroste era talmente forte da fargli venire l’acquolina in bocca. Gli occorse tutta la sua capacità di autocontrollo per non mettersi a sbavare volgarmente.
Per cercare di distrarsi dall’imminente cena - e ignorare il suo stomaco che continuava imperterrito a gorgogliare - il Mezzorco si decise a cominciare una conversazione… a cominciare dalle basi.
«Comunque io sono Tharazar… sicuramente avrai già sentito parlare di me dato che ero il gladiatore di punta dell’Arena di Neverwinter» esclamò, gonfiando il petto e sollevando il mento in un evidente tentativo di darsi importanza.
Seguì un attimo di silenzio in cui il rumore del fuoco scoppiettante parve acuirsi a dismisura, quindi il Tiefling rispose: «Non amo frequentare le città, quindi la tua fama mi è del tutto sconosciuta».
Tharazar lo fissò con la stessa espressione scandalizzata di qualcuno che era appena stato pugnalato alle spalle dal proprio migliore amico; tuttavia, invece di protestare per la sua ignoranza, sospirò profondamente e abbassò il capo, affranto.
Il Tiefling notò il suo drammatico cambiamento di umore e non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa di ciò; ciononostante, non espresse il proprio dispiacere a parole, preferendo concentrare la sua attenzione su un altro argomento che per lui era molto più importante e degno di approfondimento dell’ego ferito di un Mezzorco appena incontrato.
«Sei davvero così affamato da rischiare la vita approcciando uno sconosciuto nel bosco di notte?» domandò curioso, togliendo dal fuoco il pentolino contenente le caldarroste per lasciarle raffreddare un attimo «… non hai paura?».
«E di cosa dovrei averne? Sei da solo e non ero armato» rispose Tharazar senza tanti giri di parole «Inoltre sono giorni che viaggio da solo… è davvero snervante non avere nessuno con cui parlare…».
Gli occhi neri del Tiefling si spalancarono, colmi di stupore.
«Tu… non sei spaventato dal mio aspetto?!» esclamò, come se fosse una cosa assurda e fuori di ogni logica.
Il Mezzorco lo scrutò perplesso.
«Be’, non sei il primo Tiefling che vedo in vita mia… e di solito siete una compagnia più gradevole rispetto ad altre razze...» disse, come se fosse una cosa ovvia.
A giudicare dallo sguardo del suo interlocutore, non doveva essere una cosa che gli veniva detta spesso.
Tharazar era abituato ad essere circondato di persone che stravedevano per lui e solo una volta abbandonata l’Arena di Neverwinter aveva avuto modo di constatare che la maggior parte delle persone pareva non del tutto a proprio agio in sua presenza. Sicuramente ciò era dovuto alla sua bellezza e alla sua fama, almeno finché si trovava entro i confini della sua città ‘natia’. Al di fuori di essa, la diffidenza nei suoi riguardi aveva cominciato a diventare maggiore, e anche se lui non vi aveva dato molto peso, in realtà gli dispiaceva non avere modo di esibirsi e poter dimostrare di essere allo stesso livello degli intrattenitori di razze più ‘civilizzate’ - se non addirittura migliore.
Con i Tiefling si era sempre trovato particolarmente a proprio agio, forse proprio per il fatto di essere entrambe razze più ‘esotiche’.
Le guance già rossastre del suo interlocutore si fecero di colpo ancor più rosse mentre si occupava di smistare le castagne in due porzioni distinte utilizzando delle ciotole che tirò tempestivamente fuori dal suo zaino, poggiato poco distante.
«È comunque stato imprudente da parte tua avvicinarti senza prima cercare di capire che tipo di intenzioni potessi avere» insistette il Tiefling in tono di rimprovero. Adesso teneva in mano due scodelle consunte e fissava il suo ospite con cipiglio severo, quasi stesse valutando se consegnargli la sua razione di cibo o no.
Quest’ultimo scrollò le ampie spalle, distogliendo lo sguardo con fare rassegnato. Le cuciture della camicia aderente che indossava furono messe alla prova dal movimento ma riuscirono a resistere: i suoi muscoli avevano dato migliore prova di loro stessi in altre occasioni.
«Non che avessi molto da perdere in questo momento...» borbottò, puntando gli occhi azzurri verso la periferia della radura, crogiolandosi per un istante nei dolorosi e ormai lontani ricordi della sua gloria passata.
Quando era il gladiatore più importante e famoso tra quelli che si esibivano presso l’Arena di Neverwinter, la sua vita era piena di significato ai suoi occhi. Viveva per compiacere il pubblico, beandosi delle ovazioni degli spettatori e impegnandosi per offrire loro il più bello spettacolo di cui era capace.
Dopo il tentato rimpiazzo con un Orco di sangue puro da parte di colui che lo aveva praticamente cresciuto, Tharazar si era ribellato al sistema ed era fuggito e da allora le sue giornate erano divenute vuote e senza senso, volte unicamente a sopravvivere giorno dopo giorno in un mondo duro per il quale non era minimamente preparato.
Era un peccato che non fosse in una locanda al momento, perché sentiva la necessità di bere qualcosa di forte che gli ottenebrasse i sensi almeno in parte, alleviando il suo dolore emotivo.
Improvvisamente nel suo campo visivo comparve una scodella di caldarroste.
«Hai la faccia di uno che ha bisogno di non pensare» gli giunse la voce fuori campo del Tiefling «Concentrati sul cibo. Non è forse per questo che sei venuto a disturbarmi?» aggiunse.
Tharazar abbassò gli occhi sulla scodella e nel farlo si rese conto che era andato ad un passo dal mettersi a piangere. Che patetica immagine di sé che stava dando…!
L’odore di caldarroste gli invase le narici, riaccendendo con ferocia il suo appetito. Il suo stomaco tornò a brontolare forte.
Il Mezzorco accettò la scodella, rivolgendo un’occhiata grata e remissiva all’altro, prima di mettersi a mangiare con foga. Se non poteva affogare la sua depressione nell’alcol, almeno poteva consolarsi con il cibo.
Il Tiefling si sedette vicino a lui e dopo un poco esclamò: «… comunque io sono Patria».
Non era un nome molto comune anche se non era certamente un termine insolito. Tharazar ne aveva sentiti di più complicati.
Emise un grugnito di assenso con la bocca piena, rivolgendogli un’occhiata rapida mentre con le mani si occupava di sbucciare le castagne. Erano ancora molto calde, per cui non riusciva a tenerle in mano a lungo senza scottarsi, fatto che rese più lunga la sua cena.
Patria pareva invece avvezzo alle alte temperature, a giudicare dalla rapidità con cui riuscì a terminare le sue caldarroste.
Una volta finito di mangiare, non gli rimase altro da fare che mettersi ad osservare il Mezzorco che combatteva la sua guerra personale con le caldarroste sempre più tiepide.
«Sembra che tu non sia molto abituato ad arrangiarti… è la prima volta che passi per il bosco?» domandò incuriosito, studiando i vestiti ricercati del suo compagno.
«Avevo altre persone che facevano queste cose al posto mio» ribatté stizzito Tharazar con la bocca mezza piena, cercando di togliere una mezza buccia che pareva non volersi staccare dal nucleo della castagna.
Vide una mano affusolata di Patria avvicinarsi a lui e togliergli dal palmo il frutto. Aveva le dita stranamente snelle per la sua corporatura mascolina e degli artigli niente male, neri come i suoi occhi.
Il Tiefling inserì la cima acuminata di un’unghia sotto la buccia e la rimosse con un gesto rapido e semplice, prima di porgerla di nuovo a Tharazar.
«Eri un nobile?» azzardò, inarcando sorpreso un sopracciglio «… pur essendo un Mezzorco?».
Il diretto interessato prese la caldarrosta sbucciata e se la mise in bocca intera, masticandola con fare contrariato. Possibile che lui avesse tante difficoltà a fare una cosa che Patria sapeva far sembrare così facile?!
«Non ero un nobile. Ero un gladiatore» lo corresse Tharazar «Ero famoso ed ero pieno di ammiratori!».
«Nonostante… il tuo sangue misto?!» Patria sembrava stupito dalla notizia e la cosa diede fastidio al suo interlocutore, anche se quest’ultimo non riuscì a capirne la ragione.
«Già» replicò risentito il Mezzorco, infilandosi un’altra castagna in bocca «Finché poi non hanno… preferito un vero Orco a me...».
Tacque, digrignando leggermente i denti in una smorfia di rabbia e dolore. Strappò con violenza la buccia dalla successiva castagna e la scaraventò lontano, verso il buio al limitare della radura, per poi masticarne il nucleo con irruenza.
Evidentemente l’argomento era delicato per lui. Patria si sorprese del repentino cambio di atteggiamento e decise di far cadere la discussione.
Doveva essere un tipo bizzarro per variare umore con tanta facilità.
Anziché fare domande - del tutto legittima dato che era stato “aggredito” dal Mezzorco perché gli offrisse cena - decise di preoccuparsi di controllare le sue armi e il suo scudo, per non essere colto alla sprovvista nel caso in cui quel Tharazar avesse cercato di assalirlo per derubarlo o altro.
La porzione di caldarroste era abbondante considerata la miseria dei pasti degli ultimi giorni. Il fatto che fossero pure tiepide fu un ulteriore punto a favore rispetto alle patetiche e disgustose razioni da viaggio che aveva dovuto ingurgitare pur di non digiunare. Quando terminò, Tharazar si accarezzò l’addome con espressione soddisfatta e porse la scodella a Patria accennando un sorrisetto.
«Erano deliziose» commentò, leccandosi il labbro superiore «Hai imparato da solo a cucinare?».
Patria sgranò gli occhi, accettando la stoviglia che gli veniva resa.
«Ehm… grazie» rispose, per niente abituato a ricevere complimenti per la sua cucina «Sì, be’... non potendomi fermare troppo nelle città, ho dovuto imparare ad arrangiarmi con quello che offre la natura» spiegò.
«Le precauzioni non sono mai troppe» soggiunse poco dopo in tono più criptico.
Sembrava alludere a qualche episodio spiacevole del suo passato. Tharazar sbadigliò vistosamente e fece per chiedere spiegazioni in proposito - giusto per rendergli la serie di domande che gli erano state poste poco prima - quando un ringhio bestiale fin troppo vicino alle loro spalle attirò la sua attenzione.
Si girò in tempo per vedere una figura scura balzare in aria verso di lui e venir bloccata da un enorme scudo che si frappose tempestivamente tra di loro.
Tharazar vide solo il braccio di Patria dinanzi ai suoi occhi e la sua voce poco distante che esclamava: «Vuoi essere sbranato dai lupi senza difenderti?!».
L’esortazione accese nel Mezzorco un guizzo di quella reattività che il pasto aveva temporaneamente sopito. Si alzò dal masso rapido, sguainando lo stocco che fino ad allora aveva tenuto nel fodero appeso al fianco ed assumendo una posizione offensiva.
Patria ritirò lo scudo per lasciargli campo libero. Tharazar si rese conto che quello che l’aveva protetto era uno scudo molto più grosso di quello che aveva ricevuto così candidamente in faccia e si chiese per un istante che fine avesse fatto l’altro.
Il lupo ringhiava e sbavava a pochi metri da loro due, evidentemente ansioso di mangiare. Dai cespugli alle sue spalle comparvero i musi arruffati e minacciosi di altri tre suoi simili; tuttavia, Tharazar era sicuro delle sue capacità come spadaccino e non si fece minimamente intimidire dall’inferiorità numerica. In fin dei conti, era stato in grado di affrontare nemici ben più grandi di loro e più pericolosi.
Si concentrò sul suo bersaglio ed inspirò a fondo, serrando la presa sull’impugnatura della sua arma, quindi la sollevò con un movimento fluido, puntando al muso del lupo. Fece mezzo passo avanti, approfittando delle sue gambe e delle sue braccia lunghe per colmare la distanza senza troppa fatica.
Dalla sua posizione, Patria lo vide compiere un affondo talmente aggraziato e preciso per la sua mole da lasciarlo basito. Com’era possibile che un Mezzorco tanto imponente fosse capace di una cosa simile…?
Il suo colpo andò a segno nonostante il lupo si fosse mosso per evitarlo. La bestia latrò quando la lama aprì una ferita profonda nel suo collo.
Tharazar ritrasse l’arma sporca di sangue tracciando un arco nell’aria, quindi scoccò un’occhiata a Patria e si schiarì la voce prima di intonare un canto in una lingua che per il Tiefling era completamente sconosciuta. Il ritmo era incalzante, simile a quello di un inno di guerra tribale. Era ridicolo - anzi quasi assurdo - sentir fuoriuscire una voce così acuta dalla gola del Mezzorco, una tonalità talmente squillante e soave da sembrare quasi femminile; inoltre, era palese persino alle sue orecchie non avvezze al canto che ci fosse ampio margine di miglioramento. Era come se fosse ancora alle prime armi, uno strumento grezzo che veniva utilizzato di rado e men che meno veniva allenato. Nonostante tutti quei difetti, Patria se ne sentì comunque ispirato.
Al termine della breve esibizione, Tharazar sembrava colpito in qualche maniera; tuttavia, l’attenzione di Patria era altrove e non se ne curò. Si mosse spedito verso il lupo più vicino a lui ed abbatté il suo martello da guerra sul suo cranio con tutta la forza di cui era in possesso. Le ossa scricchiolarono sotto il suo assalto implacabile e cedettero. La testa del lupo si incuneò e buona parte del contenuto schizzò sul terreno. Il corpo rimase fermo dov’era per alcuni secondi prima di afflosciarsi, inerte.
L’odore di sangue che riempiva l’aria indusse i lupi in una specie di frenesia che li spinse ad attaccare alla cieca, mancando del tutto i loro bersagli.
Tharazar colpì ancora con precisione assoluta e stavolta riuscì a centrare il ventre del suo avversario, che cadde morto ai suoi piedi. Non cantò di nuovo, limitandosi a spostarsi verso Patria per aiutarlo con l’ultimo lupo sopravvissuto.
Il combattimento fu breve e unilaterale. La creatura si unì al resto del suo gruppetto nel giro di pochi minuti.
Al termine della lotta, Tharazar si piegò sul corpo dell’ultimo lupo per pulire la lama della sua spada nel suo pelo.
«Ci mancavano soltanto dei lupi… questa giornata non poteva finire meglio...» sospirò, abbandonandosi ad uno sbadiglio «Tu stai bene? Sei ferito?» chiese subito dopo a Patria.
Il Tiefling mostrò il grosso scudo, recante sopra il simbolo di una corona di rovi irti di spine.
«Con questo vorrei vederli dei semplici lupi che riescono a toccarmi!» commentò in tono arrogante, sogghignando di sbieco e rivelando una perfetta dentatura aguzza.
Parve rendersi conto solo dopo dello spettacolo offerto e si affrettò a serrare le labbra.
«Be’... meglio così» disse Tharazar, rinfoderando la sua arma e guardando il suo compagno per la serata.
Vide che quest’ultimo lo stava fissando intensamente e subito si sentì a disagio.
«C-che c’è? Perché mi guardi in quel modo…? Io sto bene, le macchie scure sulla camicia sono di ter...».
«Quella voce femminile di prima… era davvero tua?» lo interruppe il Tiefling «Nel senso… tu canti così? La tua voce ora è… sì, insomma… virile» il suo tono di voce adesso era palesemente scettico.
Persino nella fioca luce gettata dal falò era possibile vedere distintamente la faccia paonazza di Tharazar in risposta al commento. Aveva sperato con tutto se stesso che la cosa passasse sotto silenzio, dato che persino lui era rimasto sorpreso del risultato ottenuto.
Non aveva mai cantato prima di quella notte; tuttavia era consapevole che la magia della sua musica poteva dare ispirazione in alcune circostanze e aveva pensato che persino il canto potesse avere le stesse proprietà. Il fatto era che non si sentiva a suo agio a suonare dinanzi ad un singolo sconosciuto, nel cuore della foresta e a notte fonda.
Quando si trovava nell’arena e si esibiva, non aveva contatti con il pubblico e ciò rendeva tutto più semplice. Il fatto che si fossero conosciuti, anche se per poco, e che avessero stabilito un contatto o addirittura un legame, ciò gli creava difficoltà nell’esprimere la sua arte al massimo potenziale.
Sicuramente non si aspettava che cantando la sua voce normalmente mascolina e sexy si tramutasse in maniera tanto radicale da somigliare addirittura a quella di una donna. Era stato lo spettacolo più imbarazzante della sua vita ed in quel momento non desiderava che di dissolversi nella nebbia notturna ed essere dimenticato da tutti.
«S-sì… pare sia così» disse con tono incerto «L’importante è che abbia sortito l’effetto desiderato...».
«Immagino… però è stato sconvolgente» ammise Patria con onestà.
Tharazar sentì il suo ego sprofondare sempre più in basso, e promise a se stesso che non avrebbe mai più cantato per nessuno al di fuori della sua persona.
«Già…» borbottò, senza sapere che altro aggiungere «Comunque, credo sia meglio che tolga il disturbo… ti ho già infastidito abbastanza immagino...».
Non vedeva l’ora di annegare i ricordi di quella notte in litri di birra nella prima locanda che avesse incrociato.
«Fermo! Aspetta! Dove pensi di andare a quest’ora della notte?» lo riprese Patria, sbarrandogli il cammino.
«Troverò un posto dove accamparmi da solo, non serve che tu ti preoccupi per me» spiegò il Mezzorco con una scrollata di spalle «So badare a me stesso!».
«Oh, l’ho notato» gli garantì il Tiefling «… tuttavia, viaggiare da soli non è facile e nemmeno sicuro… e neppure dormire da soli nella foresta lo è» soggiunse.
«… e quindi?» Tharazar non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso.
«Potresti rimanere qui con me per la notte… e magari potremmo anche viaggiare insieme fino a che non arriviamo fuori dal bosco» propose Patria «Meglio essere in due contro un branco di lupi affamati, non credi?».
L’altro lo fissò per alcuni istanti, poi disse: «Non vedo perché no… ma ad una condizione».
«Quale?» volle sapere Patria.
«Prometti che non racconterai a nessuno della mia esibizione di stasera. Nessuno. Vivo o morto» puntualizzò Tharazar con un’espressione determinata in netto contrasto con le sue guance rosse.
Il Tiefling rise mentre tornava verso il falò.
«D’accordo, hai la mia parola. Terrò la cosa segreta».
Rating: Verde
Genere: Generale, Slice of Life
Personaggi: Patria (OC!Tiefling Paladino), Tharazar (OC!Mezzorco Bardo)
Wordcount: 4509 (wordcounter)
Timeline: Ambientata dopo questa.
Prompt: 16. Caldarroste per il Leaftober 2019 @ Lande Di Fandom
Note: Gen
Sgusciò in mezzo ai cespugli e si avvicinò alle spalle del Tiefling. Stava per presentarsi, quando il suo stomaco proruppe in un gorgoglio a volume piuttosto alto, precedendolo. Il Mezzorco tentò imbarazzato di coprirsi l’addome per attenuare il rumore; tuttavia, l’udito evidentemente ricettivo del Tiefling lo colse comunque.
Tharazar lo vide afferrare con un gesto fluido il martello appoggiato a terra e balzare in piedi, ruotando sul posto.
«Fermo! FERM...!» cercò di placarlo il Mezzorco in allarme, sollevando un braccio per cercare di bloccargli l’arma.
Erano giorni che Tharazar non vedeva altro che foresta intorno a sé. Si era lasciato alle spalle la costa sperando di riuscire ad arrivare in qualche città dell’interno in cui fosse presente un’arena o un anfiteatro che gli permettesse di dare sfoggio delle sue innate abilità di gladiatore e di intrattenitore. Si era illuso che il viaggio non sarebbe stato molto peggiore di quello che aveva dovuto fare per andarsene da Neverwinter verso nord: la foresta era abbastanza protetta rispetto alla strada costiera; inoltre, era piena di piante che potevano dare frutti di cui poteva cibarsi in aggiunta o in alternativa alle sue misere razioni da viaggio.
Le sue previsioni non sarebbero potute essere più sbagliate: nella foresta faceva freddo alla sera e il terreno era sempre umido, le piante che costituivano il sottobosco erano fitte e piene di spine anziché di frutti e la fauna pareva attiva e pericolosa ad ogni ora del giorno e della notte. Già dormire sul nudo terreno era un’impresa mastodontica per lui, abituato com’era a riposare su un materasso morbidissimo tra coperte e guanciali; se poi ci si mettevano anche gli animali che emettevano ruggiti, cinguettii e quant’altro praticamente sempre, poteva scordarsi di dormire sonni tranquilli.
Le notti gelide e chiassose avevano già lasciato il loro segno sul viso solitamente florido e affascinante del Mezzorco, nella forma di un vistoso paio di occhiaie nere che rendevano il suo sguardo molto più cupo del normale, quasi minaccioso. I vestiti eleganti e sofisticati erano sporchi di terra, specialmente la camicia - che ora ciondolava fuori dei pantaloni neri aderenti.
L’ora di cena era imminente e benché il suo stomaco reclamasse le sue attenzioni, Tharazar si rifiutava di offrirgliene: sperava di riuscire a macinare altri preziosi metri verso l’uscita dalla foresta. Forse il suo sacrificio sarebbe stato ripagato con l’arrivo in un villaggio o in una delle città al di là di quel selvaggio muro di alberi.
La prospettiva che sarebbe prima o poi giunto in un luogo civilizzato in cui avrebbe potuto nuovamente dormire in un vero letto era ciò che lo spingeva a combattere il sonno e la fame.
«Tharazar il Magnifico non può farsi sconfiggere così dai primordiali istinti di sopravvivenza!» esclamò tra sé e sé mentre si abbandonava all’ennesimo sbadiglio.
Osservò la cupola di rami che lo sovrastava, non abbastanza fitta da oscurare del tutto il cielo, che al momento era tinto dei colori violacei tipici del crepuscolo inoltrato.
Stava per convincersi che forse era meglio fermarsi per trovare un punto riparato per dormire - o quantomeno provarci - quando il suo olfatto raffinato colse un sottile odore nell’aria che non poteva appartenere a niente di naturale. Era l’aroma di cibo cotto, il che poteva soltanto significare che nei paraggi c’era un altro viaggiatore accampato per la notte.
«Forse riuscirò a chiudere occhio!» commentò tra sé, di colpo sveglio ed energico.
Poiché la qualità del suo sonno dipendeva dalla sua capacità di individuare lo sconosciuto affidandosi unicamente all’olfatto, il Mezzorco iniziò a fiutare attorno a sé nella speranza di captare la traccia che l’avrebbe portato a destinazione. Non gli ci volle molto a trovarla, complice anche il suo appetito sempre più forte e difficile da ignorare.
Il suo stomaco gorgogliò diverse volte mentre Tharazar si incamminava tra i cespugli, inseguendo il profumo di cibo. Non era qualcosa che gli era particolarmente familiare, anche se non era la prima volta che percepiva quell’odore nello specifico.
Dopo alcuni minuti di riflessione riuscì a riconoscerlo con certezza: quello era l’odore delle caldarroste appena cotte. Era un cibo che non mangiava di frequente poiché le castagne erano un tipico frutto di stagione; tuttavia, nelle poche occasioni in cui aveva avuto a portata una porzione, quest’ultima era sempre stata consumata con prontezza.
La scia di profumo lo condusse attraverso l’odiato sottobosco fino ad una piccola radura, molto simile ad un’alcova per le dimensioni, al centro della quale era stato acceso un piccolo faló.
Vicino ad esso era seduta una figura in armatura che doveva essere un maschio a giudicare dalle misure del suo torace. Gli dava la schiena, per cui fu semplice delineare le spalle squadrate e larghe sormontate da rigide placche metalliche, il busto massiccio a imbuto e i fianchi stretti ma non troppo. La metà inferiore del corpo era nascosta sotto una lunga tunica scura, rinforzata con placche di metallo sui lati delle cosce.
Portava i capelli - scuri e ricciuti - tagliati piuttosto corti. A Tharazar occorsero alcuni secondi per realizzare che c’era qualcosa di anomalo nel suo cranio: ai due lati dello stesso si trovavano quelle che a tutti gli effetti erano due corna da ariete, ritorte su loro stesse e con l’attaccatura piuttosto grande.
Aveva già avuto modo di interagire con dei Tiefling nella sua vita, ovviamente. Molte delle ragazze che gli facevano compagnia regolarmente durante le notti di festeggiamenti tra uno spettacolo e l’altro all’Arena di Neverwinter lo erano. L’unica particolarità, se proprio doveva trovarne una, era il fatto che fosse un maschio: prima di allora non ne aveva mai visto un esemplare maschio, anche se la tunica gli creava qualche dubbio circa il suo reale sesso.
Ciononostante, non si sentiva minimamente intimorito né dal grosso martello che lo sconosciuto teneva poggiato a terra al suo fianco né dal fatto in sé di trovarsi dinanzi ad un Tiefling.
Il suo stomaco vuoto brontolò ancora, tentato dal piacevole aroma che riempiva l’aria. Era difficile riuscire ad ignorare un tale aroma.
Tharazar sospirò debolmente, cercando dentro di sé la forza necessaria ad abbassarsi ad elemosinare del cibo decente.
«Quanto sono caduto in basso...» borbottò tra sé e sé prima di farsi avanti.
Sgusciò in mezzo ai cespugli e si avvicinò alle spalle del Tiefling. Stava per presentarsi, quando il suo stomaco proruppe in un gorgoglio a volume piuttosto alto, precedendolo. Il Mezzorco tentò imbarazzato di coprirsi l’addome per attenuare il rumore; tuttavia, l’udito evidentemente ricettivo del Tiefling lo colse comunque.
Tharazar lo vide afferrare con un gesto fluido il martello appoggiato a terra e balzare in piedi, ruotando sul posto.
«Fermo! FERM...!» cercò di placarlo il Mezzorco in allarme, sollevando un braccio per cercare di bloccargli l’arma.
Ciò che non si aspettava fu lo scudo che il Tiefling portava fissato sul braccio, piccolo e affusolato, e che fu ciò che lo colpì al posto del martello, dritto in faccia.
Tharazar caracollò all’indietro per il dolore, finendo col culo a terra. Con gli occhi inondati di lacrime per il dolore - principalmente al naso - si coprì tempestivamente la faccia per nascondere la parte lesa e sollevò l’altro braccio per cercare di proteggersi da altri colpi.
«Per favore basta! Basta! Non voglio attaccarti!» gemette con voce nasale il Mezzorco.
Era pronto a sentirsi arrivare addosso un’altra scudata, o peggio ancora una mazzata vera e propria; tuttavia, ciò non accadde mai. Dopo alcuni secondi di tregua, Tharazar si azzardò ad alzare lo sguardo verso il Tiefling.
Vide che aveva abbassato l’arma, almeno in parte, e che lo scrutava con cipiglio diffidente.
Il suo viso era affilato e sottile, con la bocca insolitamente larga ma dalle labbra sottili. Attualmente era dischiusa in una smorfia irritata che lasciava intravedere una doppia fila di denti aguzzi. Il naso era piccolo e appuntito, con la cima rivolta verso l’alto. Gli occhi erano grandi e dalla forma leggermente a mandorla, completamente neri. Se non fosse stato per la luce del falò - seppur schermata dal suo corpo per la maggior parte - Tharazar non sarebbe mai riuscito a scorgere nella notte quei pozzi neri.
La sua pelle era scarlatta, anche se di una tonalità un poco sbiadita.
Il suo aspetto esotico non mise il Mezzorco in soggezione. A spaventarlo di più era la sua arma, ancora brandita a mezz’aria.
«Allora perché mi hai raggiunto alle spalle, Mezzorco?! Perché non ti sei annunciato prima di avvicinarti?» esclamò il Tiefling, togliendo ogni dubbio in merito alla sua virilità con la sua voce profonda e leggermente echeggiante. Pareva quasi che parlasse dal fondo di una caverna.
«Perché da lì sono arrivato…» Tharazar deglutì a vuoto e le sue guance grigiastre si tinsero di un colorito piuttosto intenso «… attirato dall’odore delle tue caldarroste...».
Il Tiefling socchiuse gli occhi dinanzi al suo palese imbarazzo, per niente convinto della veridicità delle sue parole. Ogni suo dubbio in merito venne fugato dall’improvviso e cupo brontolio che proruppe dall’addome del Mezzorco.
«Ho solo fame...» commentò a disagio quest’ultimo, rimanendo a terra.
Il Tiefling cambiò espressione e parve rilassarsi almeno un po’, a giudicare dal fatto che abbassò l’arma e gli tese la mano libera.
Tharazar si abbassò ad accettare il suo aiuto a rialzarsi, più per desiderio di non contrariarlo che per vero e proprio bisogno. Il suo orgoglio ne rimase comunque segnato.
La presa sul suo braccio fu forte e decisa e con uno strattone secco il Tiefling riuscì a rimetterlo in piedi senza apparente sforzo.
Per un fugace istante, i loro sguardi si incrociarono. Tharazar ebbe l’impressione che l’altro si trovasse in difficoltà in quel momento, emotivamente parlando, come se non fosse avvezzo ad avere certi tipi di contatto. L’ego del Mezzorco ebbe un guizzo: sicuramente era la sua presenza a metterlo in soggezione a quella maniera. Del resto, lui era Tharazar il Magnifico, Signore dell’Arena di Neverwinter.
Dopo un momento, il Tiefling lasciò la presa con uno scatto brusco e si voltò per tornare a sedersi vicino al falò e occuparsi della sua cena. Non disse niente, segnale che il Mezzorco interpretò come un permesso ad unirsi a lui.
Pur essendo ancora dolorante per il colpo ricevuto e non proprio entusiasta all’idea di aver praticamente elemosinato del cibo ad un perfetto estraneo, Tharazar andò ad accomodarsi su una pietra vicino al fuoco, accanto al Tiefling.
Da così vicino, l’odore di caldarroste era talmente forte da fargli venire l’acquolina in bocca. Gli occorse tutta la sua capacità di autocontrollo per non mettersi a sbavare volgarmente.
Per cercare di distrarsi dall’imminente cena - e ignorare il suo stomaco che continuava imperterrito a gorgogliare - il Mezzorco si decise a cominciare una conversazione… a cominciare dalle basi.
«Comunque io sono Tharazar… sicuramente avrai già sentito parlare di me dato che ero il gladiatore di punta dell’Arena di Neverwinter» esclamò, gonfiando il petto e sollevando il mento in un evidente tentativo di darsi importanza.
Seguì un attimo di silenzio in cui il rumore del fuoco scoppiettante parve acuirsi a dismisura, quindi il Tiefling rispose: «Non amo frequentare le città, quindi la tua fama mi è del tutto sconosciuta».
Tharazar lo fissò con la stessa espressione scandalizzata di qualcuno che era appena stato pugnalato alle spalle dal proprio migliore amico; tuttavia, invece di protestare per la sua ignoranza, sospirò profondamente e abbassò il capo, affranto.
Il Tiefling notò il suo drammatico cambiamento di umore e non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa di ciò; ciononostante, non espresse il proprio dispiacere a parole, preferendo concentrare la sua attenzione su un altro argomento che per lui era molto più importante e degno di approfondimento dell’ego ferito di un Mezzorco appena incontrato.
«Sei davvero così affamato da rischiare la vita approcciando uno sconosciuto nel bosco di notte?» domandò curioso, togliendo dal fuoco il pentolino contenente le caldarroste per lasciarle raffreddare un attimo «… non hai paura?».
«E di cosa dovrei averne? Sei da solo e non ero armato» rispose Tharazar senza tanti giri di parole «Inoltre sono giorni che viaggio da solo… è davvero snervante non avere nessuno con cui parlare…».
Gli occhi neri del Tiefling si spalancarono, colmi di stupore.
«Tu… non sei spaventato dal mio aspetto?!» esclamò, come se fosse una cosa assurda e fuori di ogni logica.
Il Mezzorco lo scrutò perplesso.
«Be’, non sei il primo Tiefling che vedo in vita mia… e di solito siete una compagnia più gradevole rispetto ad altre razze...» disse, come se fosse una cosa ovvia.
A giudicare dallo sguardo del suo interlocutore, non doveva essere una cosa che gli veniva detta spesso.
Tharazar era abituato ad essere circondato di persone che stravedevano per lui e solo una volta abbandonata l’Arena di Neverwinter aveva avuto modo di constatare che la maggior parte delle persone pareva non del tutto a proprio agio in sua presenza. Sicuramente ciò era dovuto alla sua bellezza e alla sua fama, almeno finché si trovava entro i confini della sua città ‘natia’. Al di fuori di essa, la diffidenza nei suoi riguardi aveva cominciato a diventare maggiore, e anche se lui non vi aveva dato molto peso, in realtà gli dispiaceva non avere modo di esibirsi e poter dimostrare di essere allo stesso livello degli intrattenitori di razze più ‘civilizzate’ - se non addirittura migliore.
Con i Tiefling si era sempre trovato particolarmente a proprio agio, forse proprio per il fatto di essere entrambe razze più ‘esotiche’.
Le guance già rossastre del suo interlocutore si fecero di colpo ancor più rosse mentre si occupava di smistare le castagne in due porzioni distinte utilizzando delle ciotole che tirò tempestivamente fuori dal suo zaino, poggiato poco distante.
«È comunque stato imprudente da parte tua avvicinarti senza prima cercare di capire che tipo di intenzioni potessi avere» insistette il Tiefling in tono di rimprovero. Adesso teneva in mano due scodelle consunte e fissava il suo ospite con cipiglio severo, quasi stesse valutando se consegnargli la sua razione di cibo o no.
Quest’ultimo scrollò le ampie spalle, distogliendo lo sguardo con fare rassegnato. Le cuciture della camicia aderente che indossava furono messe alla prova dal movimento ma riuscirono a resistere: i suoi muscoli avevano dato migliore prova di loro stessi in altre occasioni.
«Non che avessi molto da perdere in questo momento...» borbottò, puntando gli occhi azzurri verso la periferia della radura, crogiolandosi per un istante nei dolorosi e ormai lontani ricordi della sua gloria passata.
Quando era il gladiatore più importante e famoso tra quelli che si esibivano presso l’Arena di Neverwinter, la sua vita era piena di significato ai suoi occhi. Viveva per compiacere il pubblico, beandosi delle ovazioni degli spettatori e impegnandosi per offrire loro il più bello spettacolo di cui era capace.
Dopo il tentato rimpiazzo con un Orco di sangue puro da parte di colui che lo aveva praticamente cresciuto, Tharazar si era ribellato al sistema ed era fuggito e da allora le sue giornate erano divenute vuote e senza senso, volte unicamente a sopravvivere giorno dopo giorno in un mondo duro per il quale non era minimamente preparato.
Era un peccato che non fosse in una locanda al momento, perché sentiva la necessità di bere qualcosa di forte che gli ottenebrasse i sensi almeno in parte, alleviando il suo dolore emotivo.
Improvvisamente nel suo campo visivo comparve una scodella di caldarroste.
«Hai la faccia di uno che ha bisogno di non pensare» gli giunse la voce fuori campo del Tiefling «Concentrati sul cibo. Non è forse per questo che sei venuto a disturbarmi?» aggiunse.
Tharazar abbassò gli occhi sulla scodella e nel farlo si rese conto che era andato ad un passo dal mettersi a piangere. Che patetica immagine di sé che stava dando…!
L’odore di caldarroste gli invase le narici, riaccendendo con ferocia il suo appetito. Il suo stomaco tornò a brontolare forte.
Il Mezzorco accettò la scodella, rivolgendo un’occhiata grata e remissiva all’altro, prima di mettersi a mangiare con foga. Se non poteva affogare la sua depressione nell’alcol, almeno poteva consolarsi con il cibo.
Il Tiefling si sedette vicino a lui e dopo un poco esclamò: «… comunque io sono Patria».
Non era un nome molto comune anche se non era certamente un termine insolito. Tharazar ne aveva sentiti di più complicati.
Emise un grugnito di assenso con la bocca piena, rivolgendogli un’occhiata rapida mentre con le mani si occupava di sbucciare le castagne. Erano ancora molto calde, per cui non riusciva a tenerle in mano a lungo senza scottarsi, fatto che rese più lunga la sua cena.
Patria pareva invece avvezzo alle alte temperature, a giudicare dalla rapidità con cui riuscì a terminare le sue caldarroste.
Una volta finito di mangiare, non gli rimase altro da fare che mettersi ad osservare il Mezzorco che combatteva la sua guerra personale con le caldarroste sempre più tiepide.
«Sembra che tu non sia molto abituato ad arrangiarti… è la prima volta che passi per il bosco?» domandò incuriosito, studiando i vestiti ricercati del suo compagno.
«Avevo altre persone che facevano queste cose al posto mio» ribatté stizzito Tharazar con la bocca mezza piena, cercando di togliere una mezza buccia che pareva non volersi staccare dal nucleo della castagna.
Vide una mano affusolata di Patria avvicinarsi a lui e togliergli dal palmo il frutto. Aveva le dita stranamente snelle per la sua corporatura mascolina e degli artigli niente male, neri come i suoi occhi.
Il Tiefling inserì la cima acuminata di un’unghia sotto la buccia e la rimosse con un gesto rapido e semplice, prima di porgerla di nuovo a Tharazar.
«Eri un nobile?» azzardò, inarcando sorpreso un sopracciglio «… pur essendo un Mezzorco?».
Il diretto interessato prese la caldarrosta sbucciata e se la mise in bocca intera, masticandola con fare contrariato. Possibile che lui avesse tante difficoltà a fare una cosa che Patria sapeva far sembrare così facile?!
«Non ero un nobile. Ero un gladiatore» lo corresse Tharazar «Ero famoso ed ero pieno di ammiratori!».
«Nonostante… il tuo sangue misto?!» Patria sembrava stupito dalla notizia e la cosa diede fastidio al suo interlocutore, anche se quest’ultimo non riuscì a capirne la ragione.
«Già» replicò risentito il Mezzorco, infilandosi un’altra castagna in bocca «Finché poi non hanno… preferito un vero Orco a me...».
Tacque, digrignando leggermente i denti in una smorfia di rabbia e dolore. Strappò con violenza la buccia dalla successiva castagna e la scaraventò lontano, verso il buio al limitare della radura, per poi masticarne il nucleo con irruenza.
Evidentemente l’argomento era delicato per lui. Patria si sorprese del repentino cambio di atteggiamento e decise di far cadere la discussione.
Doveva essere un tipo bizzarro per variare umore con tanta facilità.
Anziché fare domande - del tutto legittima dato che era stato “aggredito” dal Mezzorco perché gli offrisse cena - decise di preoccuparsi di controllare le sue armi e il suo scudo, per non essere colto alla sprovvista nel caso in cui quel Tharazar avesse cercato di assalirlo per derubarlo o altro.
La porzione di caldarroste era abbondante considerata la miseria dei pasti degli ultimi giorni. Il fatto che fossero pure tiepide fu un ulteriore punto a favore rispetto alle patetiche e disgustose razioni da viaggio che aveva dovuto ingurgitare pur di non digiunare. Quando terminò, Tharazar si accarezzò l’addome con espressione soddisfatta e porse la scodella a Patria accennando un sorrisetto.
«Erano deliziose» commentò, leccandosi il labbro superiore «Hai imparato da solo a cucinare?».
Patria sgranò gli occhi, accettando la stoviglia che gli veniva resa.
«Ehm… grazie» rispose, per niente abituato a ricevere complimenti per la sua cucina «Sì, be’... non potendomi fermare troppo nelle città, ho dovuto imparare ad arrangiarmi con quello che offre la natura» spiegò.
«Le precauzioni non sono mai troppe» soggiunse poco dopo in tono più criptico.
Sembrava alludere a qualche episodio spiacevole del suo passato. Tharazar sbadigliò vistosamente e fece per chiedere spiegazioni in proposito - giusto per rendergli la serie di domande che gli erano state poste poco prima - quando un ringhio bestiale fin troppo vicino alle loro spalle attirò la sua attenzione.
Si girò in tempo per vedere una figura scura balzare in aria verso di lui e venir bloccata da un enorme scudo che si frappose tempestivamente tra di loro.
Tharazar vide solo il braccio di Patria dinanzi ai suoi occhi e la sua voce poco distante che esclamava: «Vuoi essere sbranato dai lupi senza difenderti?!».
L’esortazione accese nel Mezzorco un guizzo di quella reattività che il pasto aveva temporaneamente sopito. Si alzò dal masso rapido, sguainando lo stocco che fino ad allora aveva tenuto nel fodero appeso al fianco ed assumendo una posizione offensiva.
Patria ritirò lo scudo per lasciargli campo libero. Tharazar si rese conto che quello che l’aveva protetto era uno scudo molto più grosso di quello che aveva ricevuto così candidamente in faccia e si chiese per un istante che fine avesse fatto l’altro.
Il lupo ringhiava e sbavava a pochi metri da loro due, evidentemente ansioso di mangiare. Dai cespugli alle sue spalle comparvero i musi arruffati e minacciosi di altri tre suoi simili; tuttavia, Tharazar era sicuro delle sue capacità come spadaccino e non si fece minimamente intimidire dall’inferiorità numerica. In fin dei conti, era stato in grado di affrontare nemici ben più grandi di loro e più pericolosi.
Si concentrò sul suo bersaglio ed inspirò a fondo, serrando la presa sull’impugnatura della sua arma, quindi la sollevò con un movimento fluido, puntando al muso del lupo. Fece mezzo passo avanti, approfittando delle sue gambe e delle sue braccia lunghe per colmare la distanza senza troppa fatica.
Dalla sua posizione, Patria lo vide compiere un affondo talmente aggraziato e preciso per la sua mole da lasciarlo basito. Com’era possibile che un Mezzorco tanto imponente fosse capace di una cosa simile…?
Il suo colpo andò a segno nonostante il lupo si fosse mosso per evitarlo. La bestia latrò quando la lama aprì una ferita profonda nel suo collo.
Tharazar ritrasse l’arma sporca di sangue tracciando un arco nell’aria, quindi scoccò un’occhiata a Patria e si schiarì la voce prima di intonare un canto in una lingua che per il Tiefling era completamente sconosciuta. Il ritmo era incalzante, simile a quello di un inno di guerra tribale. Era ridicolo - anzi quasi assurdo - sentir fuoriuscire una voce così acuta dalla gola del Mezzorco, una tonalità talmente squillante e soave da sembrare quasi femminile; inoltre, era palese persino alle sue orecchie non avvezze al canto che ci fosse ampio margine di miglioramento. Era come se fosse ancora alle prime armi, uno strumento grezzo che veniva utilizzato di rado e men che meno veniva allenato. Nonostante tutti quei difetti, Patria se ne sentì comunque ispirato.
Al termine della breve esibizione, Tharazar sembrava colpito in qualche maniera; tuttavia, l’attenzione di Patria era altrove e non se ne curò. Si mosse spedito verso il lupo più vicino a lui ed abbatté il suo martello da guerra sul suo cranio con tutta la forza di cui era in possesso. Le ossa scricchiolarono sotto il suo assalto implacabile e cedettero. La testa del lupo si incuneò e buona parte del contenuto schizzò sul terreno. Il corpo rimase fermo dov’era per alcuni secondi prima di afflosciarsi, inerte.
L’odore di sangue che riempiva l’aria indusse i lupi in una specie di frenesia che li spinse ad attaccare alla cieca, mancando del tutto i loro bersagli.
Tharazar colpì ancora con precisione assoluta e stavolta riuscì a centrare il ventre del suo avversario, che cadde morto ai suoi piedi. Non cantò di nuovo, limitandosi a spostarsi verso Patria per aiutarlo con l’ultimo lupo sopravvissuto.
Il combattimento fu breve e unilaterale. La creatura si unì al resto del suo gruppetto nel giro di pochi minuti.
Al termine della lotta, Tharazar si piegò sul corpo dell’ultimo lupo per pulire la lama della sua spada nel suo pelo.
«Ci mancavano soltanto dei lupi… questa giornata non poteva finire meglio...» sospirò, abbandonandosi ad uno sbadiglio «Tu stai bene? Sei ferito?» chiese subito dopo a Patria.
Il Tiefling mostrò il grosso scudo, recante sopra il simbolo di una corona di rovi irti di spine.
«Con questo vorrei vederli dei semplici lupi che riescono a toccarmi!» commentò in tono arrogante, sogghignando di sbieco e rivelando una perfetta dentatura aguzza.
Parve rendersi conto solo dopo dello spettacolo offerto e si affrettò a serrare le labbra.
«Be’... meglio così» disse Tharazar, rinfoderando la sua arma e guardando il suo compagno per la serata.
Vide che quest’ultimo lo stava fissando intensamente e subito si sentì a disagio.
«C-che c’è? Perché mi guardi in quel modo…? Io sto bene, le macchie scure sulla camicia sono di ter...».
«Quella voce femminile di prima… era davvero tua?» lo interruppe il Tiefling «Nel senso… tu canti così? La tua voce ora è… sì, insomma… virile» il suo tono di voce adesso era palesemente scettico.
Persino nella fioca luce gettata dal falò era possibile vedere distintamente la faccia paonazza di Tharazar in risposta al commento. Aveva sperato con tutto se stesso che la cosa passasse sotto silenzio, dato che persino lui era rimasto sorpreso del risultato ottenuto.
Non aveva mai cantato prima di quella notte; tuttavia era consapevole che la magia della sua musica poteva dare ispirazione in alcune circostanze e aveva pensato che persino il canto potesse avere le stesse proprietà. Il fatto era che non si sentiva a suo agio a suonare dinanzi ad un singolo sconosciuto, nel cuore della foresta e a notte fonda.
Quando si trovava nell’arena e si esibiva, non aveva contatti con il pubblico e ciò rendeva tutto più semplice. Il fatto che si fossero conosciuti, anche se per poco, e che avessero stabilito un contatto o addirittura un legame, ciò gli creava difficoltà nell’esprimere la sua arte al massimo potenziale.
Sicuramente non si aspettava che cantando la sua voce normalmente mascolina e sexy si tramutasse in maniera tanto radicale da somigliare addirittura a quella di una donna. Era stato lo spettacolo più imbarazzante della sua vita ed in quel momento non desiderava che di dissolversi nella nebbia notturna ed essere dimenticato da tutti.
«S-sì… pare sia così» disse con tono incerto «L’importante è che abbia sortito l’effetto desiderato...».
«Immagino… però è stato sconvolgente» ammise Patria con onestà.
Tharazar sentì il suo ego sprofondare sempre più in basso, e promise a se stesso che non avrebbe mai più cantato per nessuno al di fuori della sua persona.
«Già…» borbottò, senza sapere che altro aggiungere «Comunque, credo sia meglio che tolga il disturbo… ti ho già infastidito abbastanza immagino...».
Non vedeva l’ora di annegare i ricordi di quella notte in litri di birra nella prima locanda che avesse incrociato.
«Fermo! Aspetta! Dove pensi di andare a quest’ora della notte?» lo riprese Patria, sbarrandogli il cammino.
«Troverò un posto dove accamparmi da solo, non serve che tu ti preoccupi per me» spiegò il Mezzorco con una scrollata di spalle «So badare a me stesso!».
«Oh, l’ho notato» gli garantì il Tiefling «… tuttavia, viaggiare da soli non è facile e nemmeno sicuro… e neppure dormire da soli nella foresta lo è» soggiunse.
«… e quindi?» Tharazar non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso.
«Potresti rimanere qui con me per la notte… e magari potremmo anche viaggiare insieme fino a che non arriviamo fuori dal bosco» propose Patria «Meglio essere in due contro un branco di lupi affamati, non credi?».
L’altro lo fissò per alcuni istanti, poi disse: «Non vedo perché no… ma ad una condizione».
«Quale?» volle sapere Patria.
«Prometti che non racconterai a nessuno della mia esibizione di stasera. Nessuno. Vivo o morto» puntualizzò Tharazar con un’espressione determinata in netto contrasto con le sue guance rosse.
Il Tiefling rise mentre tornava verso il falò.
«D’accordo, hai la mia parola. Terrò la cosa segreta».